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Non ci salvano i supermercati ma chi coltiva e chi raccoglie

Avere meno del 4% degli occupati in agricoltura è una pistola costantemente puntata alla tempia del nostro paese, che un giorno lontano era chiamato il Giardino d’Europa. E ora con l'emergenza coronavirus manca anche chi raccoglie. Cosa mangeremo?


















Avere meno del 4% degli occupati in agricoltura è una pistola costantemente puntata alla tempia del nostro paese, che un giorno lontano era chiamato il Giardino d’Europa. Nel settore primario (sarà un caso che si chiama così?) agricolo che determina la nostra sopravvivenza lavora una percentuale ridicola di lavoratori, se paragonata agli altri settori. E come se ciò non fosse già molto pericoloso, si tratta in grandissima parte di una agricoltura che dipende totalmente dalle fonti fossili.
Basta una qualsiasi crisetta di approvvigionamento e ci ritroviamo alla fame. Questo perchè i nostri decisori politici sono così lungimiranti che per rendere le cose ancora più eccitanti, hanno deciso di farci dipendere energeticamente per più del 75% dall’estero e dai combustibili fossili. Qualsiasi cosa succede o decide chi all’estero ha la mano sui nostri rubinetti energetici, noi siamo spacciati.
E per non farci mancare proprio nulla in fatto di rischio, l’agricoltura dipende molto dalla manodopera di persone che spesso vengono da paesi esteri e per questo più facilmente sfruttabili. Con la cosiddetta emergenza coronavirus, mancano o sono bloccati molti dei lavoratori che raccolgono gli alimenti nei campi, soprattutto in un periodo come quello primaverile/estivo che, per chi pensa che il cibo cresca direttamente negli scaffali dei supermercati, è fondamentale.
Improvvisamente si è scoperta la dipendenza da quei lavoratori che qualcuno vorrebbe ributtare a mare quando fa comodo per avere voti elettorali ma che poi sono quelli senza i quali i raccolti delle campagne sono a rischio. E quei lavoratori fanno comodo anche alle aziende prive di scrupoli, alle mafie, ai caporali, ai supermercati e al consumatore perché senza di loro, che lavorano pesantemente per qualche spicciolo l’ora, non potremmo comprare il cibo a prezzi irrisori.
La nostra politica ora si è accorta che lasciare marcire il cibo nei campi potrebbe essere un problemino che nessun supermercato può risolvere. Quindi si cercano come sempre soluzioni di corsa che non possono che essere delle non soluzioni dove vige l’improvvisazione e l’ipocrisia. Si invocano sanatorie, regolarizzazioni temporali o fisse, anche per quei lavoratori dalla carnagione più scura della nostra che ci servono per raccogliere gli alimenti. Oppure si invocano i lavoratori rumeni che però sembra ci stiano facendo il gesto dell’ombrello, visto che non si può prima creare il panico, fare scappare tutti, chiudere in casa la gente e poi quando fa comodo, chiedere l’aiuto di chi si è terrorizzato. Altri vogliono mandare nei campi quelli che percepiscono il reddito di cittadinanza o i disoccupati in genere. Ottima idea ma se ci mandiamo i nostri ariani italici (ammesso che ci vogliano andare), mica possiamo dare loro qualche spicciolo all’ora come percepiscono ad esempio quei lavoratori dalla carnagione più scura della nostra; mica li possiamo fare vivere ammassati nelle baracche, senza acqua, senza servizi igienici, senza nulla; mica li possiamo trattare come bestie nei furgoni del trasporto della mafia e dei caporali. Qualche diritto e una paga dignitosa gliela si deve pure garantire, se non altro perché sono appunto della nostra stessa razza ariana italica e assai difficilmente accetterebbero le condizioni disumane che invece non ci turbano se sono sottoposte ai non italici.
Ma se succede tutto questo, poi gli alimenti quanto ci verranno a costare? Di sicuro non il poco che costano adesso grazie proprio a chi viene sfruttato in maniera vergognosa. E chi sarebbe poi disposto a pagare quel cibo il giusto prezzo?
In questa fase suggerirei a gente come Salvini di combattere la sua personale battaglia del grano e di andare lui a torso nudo modello Papeete a raccogliere gli alimenti nei campi, magari nel sud Italia, così da dare il buon italico/padano esempio alle masse. Lo faccia come campagna elettorale anche solo per un mesetto di seguito, farà un figurone.
Oppure ora mi rivolgerei a tutti i fanatici invasati della supertecnologia chiedendogli di mandare eserciti di droni e robot vari a raccogliere nei campi in un attimo tutto quello che serve e consegnarcelo direttamente sull’uscio di casa. Immagino che sia tecnicamente fattibilissimo, non costi nemmeno nulla e così risolviamo tutti i problemi. Attendo istruzioni in merito dai suddetti fanatici, anzi mi chiedo come mai non ci sia già una task force che stia risolvendo la situazione nel tempo di un click. Ma chissà, forse se si aggrava il problema si deciderà di accelerare la fine dell’emergenza corona virus perché senza mangiare si muore davvero come mosche.
In ogni caso la soluzione per non ritrovarsi più in simili assurde e pericolose situazioni è ritornare a coltivare la terra ovunque sia possibile e per favore non si tiri fuori la solita insostenibile scusa che i terreni costano, perché per farsi almeno un orto, non servono di certo ettari. Inoltre ci sono gli usi civici e ovunque terre incolte, abbandonate, di chi non sa cosa farci e che possono essere chieste in affitto, in comodato d’uso, ecc. Poi ci sono gli orti collettivi comunali, di quartiere, di circoscrizione e se non ci sono, fondateli voi. Queste sono tutte strade percorribilissime senza essere ricchi o spendere chissà quali soldi.
Quindi è bene aumentare l’autoproduzione e per il resto si può acquistare direttamente dai piccoli produttori biologici locali che sono strangolati dalla grande distribuzione, quella che ci dicono che ci sta salvando, quando l’unica cosa che sta facendo sono affari giganteschi. Per fare ciò è possibile anche creare o rivolgersi ai gruppi di acquisto collettivo che sono sparsi in tutta Italia e che da anni fanno un lavoro prezioso come ad esempio qui dalle nostre parti è molto attivo il gruppo storico di acquisto collettivo Pulmino contadino . Sempre in questa ottica si può guardare all’attività encomiabile di strutture come il movimento wwoof che supporta da sempre proprio il mondo agricolo di prossimità. Ma queste sono solo alcune delle tante soluzioni a portata di mano per qualsiasi persona di buona volontà.
Paolo Ermani
fonte: www.ilcambiamento.it

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Erbicidi, Bayer al centro di nuove azioni legali. Sotto accusa il Dicamba di BASF

Bayer e BASF rischiano di essere travolte da una nuova ondata di cause legali. Già impegnata sul fronte del Roundup e della contaminazione da PCB, la multinazionale tedesca rischia un assedio che potrebbe costarle molto caro

















Il giganti tedeschi Bayer e BASF sono alle prese con una nuova ondata di azioni legali intraprese da più parti negli Stati Uniti. Al centro delle cause ci sarebbe il Dicamba, erbicida “ereditato” da Monsanto e ritenuto responsabile della distruzione di diverse colture. 
L’attenzione dei giudici – che sabato hanno imposto una sanzione per danni ambientali di 265 milioni di dollari a causa della distruzione di un’intera coltura di peschi – si concentra in particolare su Bayer, già “impegnata” sul fronte del Roundup, diserbante dannoso e potenzialmente cancerogeno.
Al momento, non è chiaro in che modo saranno ripartite le rispettive responsabilità: nell’aprile del 2018, la compatriota BASF, produttrice dell’erbicida a base di Dicamba per l’uso su semenze geneticamente modificateaveva infatti firmato un accordo per acquisire da Bayer ulteriori business e asset nel settore della protezione delle colture. In ogni caso, al di là delle sanzioni e dei risarcimenti milionari a cui le aziende rischiano di andare incontro, i crescenti problemi legali sono costati a Bayer un calo del 3,3% nelle azioni, con conseguente perdita per il CEO Werner Baumann del voto di fiducia degli azionisti. 
  
Attualmente Bayer si trova infatti impegnata sotto diversi fronti: da una parte ci sono ancora i 10 miliardi di dollari “sospesi” per il caso Roundup, da un’altra le accuse di aver nascosto i rischi per la sicurezza connessi al suo dispositivo anticoncezionale Essure e, da un’altra ancora, le migliaia di azioni legali già intraprese da diverse città americane che accusavano Monsanto di aver contaminato i corsi d’acqua con PCB tossici. 
A tutto questo, andranno nei prossimi mesi a sommarsi anche le nuove cause legali riguardanti la dannosità del Dicamba. La decisione di sabato di imporre 250 milioni di dollari di multai oltre ai 15 per risarcire l’agricoltore Bill Bader potrebbe infatti incoraggiare altri coltivatori dell’Arkansas e dell’Illinois ad intraprendere simili azioni legali. 
Le aziende si sono difese affermando che dei danni alle colture sarebbero responsabili gli agricoltori, colpevoli d’aver applicato la sostanza chimica in modo errato sia in fatto di procedure che di formulazioni. Bayer ha promesso un ricorso, ma, come dichiarato da uno degli avvocati di Bader, il verdetto dei giudici sembrerebbe in ogni caso inviare un messaggio molto chiaro: “Non esiste un gigante tanto grande dal potersi sottrarre alla legge”. 

fonte: www.rinnovabili.it

Satelliti a servizio delle foreste




















Workshop del Tavolo Copernicus “Agricoltura e Foreste” a Roma per fare il punto sui servizi di monitoraggio offerti dal Programma UE di osservazione della terra.
Sono ormai note le potenzialità offerte dal Programma Copernicus, user driven per Regolamento, al monitoraggio dell’ambiente. Il workshop organizzato a Roma il 28 febbraio, presso la Sala polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha visto la partecipazione attiva di attori che in Italia già beneficiano delle potenzialità offerte dal Programma per sviluppare e utilizzare servizi a tutela e valorizzazione delle risorse forestali, nonché di utenti potenziali istituzionali e commerciali.
Ministeri, enti di ricerca, università, agenzie regionali per l’ambiente e imprese private si sono confrontati su quelle che oggi sono le principali questioni legate alla tutela delle foreste italiane: a partire dai danni provocati dagli incendi, da eventi estremi o da organismi patogeni, si è discusso tra l’altro di come monitorare il cambiamento delle coperture boschive, come integrare i dati cartografici disponibili, rilevare i tagli boschivi, misurare le biomasse.
Gli interventi della giornata hanno mostrato il panorama diversificato degli attori che afferiscono all’”ecosistema” di Copernicus. Oltre agli sviluppi in tema di ricerca presentati congiuntamente da diversi enti e associazioni (Sisef, Crea, Aisf, Ispra e Cnr), Arpa Valle d’Aosta e Arpa Lombardia hanno condiviso esperienze operative di monitoraggio sul territorio attraverso l’uso combinato dei satelliti Sentinel e dei droni. Ispra, presente anche con il presidente Laporta, ha mostrato come i dati di Copernicus contribuiscono alla realizzazione del Rapporto annuale sul consumo di suolo e di come esso contribuisca al monitoraggio delle dinamiche territoriali. Di grande interesse è quello che le imprese stanno sviluppando per monitorare gli incendi boschivi, individuare parassiti nelle foreste o il taglio illegale del legname.
Quanto mai necessario, ha sottolineato il coordinatore del Forum nazionale degli utenti Copernicus Bernardo De Bernardinis a conclusione dell’evento, che si avvii una fase di contaminazione tra tutte le diverse comunità di “utenti”. Se l’Italia vuole avere un peso maggiore in Europa, questo passa dalla capacità delle istituzioni (Enti Pubblici e Istituti di Ricerca e Università) di fare squadra tra loro e di raccordarsi strategicamente con il settore commerciale dell’impresa e dell’industria nazionale, mettendo a disposizione infrastrutture esistenti e promuovendone di nuove e innovative.
L’appuntamento del tavolo Copernicus Agricoltura e Foreste fa parte di un percorso avviato nel 2014 dal Forum Nazionale degli Utenti del Programma Copernicus. Il Forum è un elemento di raccordo istituzionale fra tutti coloro che in Italia operano a diverso titolo nel quadro del Programma e svolge il ruolo di collettore e coordinatore del requisito delle diverse comunità di utenza nazionali al fine di influenzare le politiche spaziali europee, a cui Copernicus appartiene, a vantaggio del Sistema Paese.
fonte: http://ambienteinforma-snpa.it

Compostaggio domestico

l compostaggio é una tecnica caratteristica dell’agricoltura organica che mi ha sempre affascinato. Come é noto, la fertilitá del terreno é legata all’humus. Esso é infatti in grado di fornire alle piante tutti gli elementi nutritivi di cui queste hanno bisogno per il loro sviluppo. In natura l’humus si forma attraverso i naturali processi di decomposizione della sostanza organica (come avviene nel sottobosco). Nei terreni coltivati, dove le sostanze organiche vengono asportate con i raccolti, l’humus deve essere apportato artificialmente dall’uomo. Questo é possibile attraverso il compostaggio, una tecnica che riproduce i processi naturali di decomposizione e che puó avvenire a livello industriale oppure domestico utilizzando semplicemente, in questo caso, gli scarti di cucina.
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Ho visto le prime compostiere in Inghilterra, sia a Braziers Park, dove ne avevano alcune in plastica, che a Lower Shaw Farm, dove invece erano autocostruite con pallet in legno. Qualcuno scava semplicemente una buca nel terreno e la riempie degli scarti a disposizione. Di compostaggio abbiamo parlato anche con Antonio De Falco alla Fattoria dell’autosufficienza durante un corso di agricoltura sinergica. Antonio proponeva il compostaggio del non fare, nel senso che suggeriva soltanto di ammassare una certa quantitá di materiale (umido e secco) nelle giuste proporzioni per un determinato periodo di tempo e aspettare che la natura facesse il suo corso, senza piú intervenire rivoltando il tutto per areare e facilitare i processi di trasformazione. All’inizio questa idea non mi convinceva, ma poi ho finito per accettarla, soprattutto per mancanza di tempo!!
A casa all’inizio ho utilizzato la compostiera di plastica fornita gratuitamente dal Comune qualche anno fa. Poi quando ho iniziato ad aggiungere agli scarti di cucina anche quelli degli ortaggi raccolti nei campi e letame fornito dai vicini, ho preferito costruire delle compostiere in legno con pallet riciclati. In questo modo ottengo dell’ottimo terriccio e humus che reintegro periodicamente nel terreno.
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Ad affascinarmi é il poter vedere personalmente l’intero processo di nascita, crescita e raccolta delle piante coltivate o spontanee, per poi tornare ad ottenere una sostanza da restituire al terreno in un circolo virtuoso che idealmente, ma anche praticamente, rinnova la fertilitá della terra, senza impoverirla.
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In questo processo che dura diversi mesi sono due gli aspetti piú tangibili: il calore che si crea durante la trasformazione della sostanza organica accumulata (il cumulo é caldo, lo si puó percepire appoggiandoci le mani), ed in una fase piú avanzata la comparsa di un gran numero di lombrichi che si nutrono delle sostanze in trasformazione e contribuiscono in modo determinante alla creazione di humus.
Non sono un grande esperto di compostaggio ma l’esperienza diretta fatta é sufficiente ad apprezzare la magia della vita che sta in esso.

fonte: https://solatiaorganicfarm.wordpress.com

Monsanto ci distrugge il microbioma
















Il microbioma che Monsanto distrugge da decenni
Quasi certamente anche i nostri lettori più distratti sanno che Monsanto è accusata da tempo di provocare il cancro attraverso il glifosato. Quel che forse non sanno è che di recente negli Stati Uniti, grazie a un’azione legale avviata in giugno nel Missouri, a quell’accusa se n’è aggiunta un’altra di notevole rilevanza: quella di distruggere i batteri dell’intestino umano che formano il microbioma. Quei batteri sono essenziali non solo alla salute dell’apparato digerente ma anche al sistema immunitario, al funzionamento del cervello e all’organismo nel suo complesso. A distruggerli per decenni è stato ancora il glifosato, inventato e commercializzato nel 1974 da Monsanto (in Italia ne è stato limitato l’uso solo un anno fa), e poi dilagato con la diffusione degli Ogm. La tesi difensiva della multinazionale acquisita da Bayer è sempre stata che l’erbicida inibisce la formazione di un enzima presente nelle piante ma non negli animali e negli esseri umani. Adesso però sappiamo che quell’enzima, l’EPSP sintasi, indispensabile per la sintesi di diversi importanti aminoacidi, che a loro volta costruiscono le proteine, è presente nei batteri che Monsanto distrugge da decenni. Intanto, a luglio lo Stato dell’Arkansas ha vietato l’uso di un altro potente agrotossico, un cuginetto del glifosato che può uccidere le semine di ortaggi, frutta, piante ornamentali e perfino alberi. Si chiama dicamba, e oltre alla sua tossicità è noto per l’alta volatilità. Eppure, secondo Monsanto, nella formulazione prodotta per la soia Xtend la volatilità è bassa. Dite che possiamo credergli?
Negli Stati Uniti Monsanto si trova sotto un’ondata di processi, è accusata dai ricorrenti di aver provocato il cancro con il glifosato, essendo a conoscenza del fatto che fosse nocivo, perfino potenzialmente cancerogeno.
A questo si aggiungono ora nuove accuse contro la transnazionale e il glifosato: la distruzione di batteri presenti nell’intestino umano, essenziali per la buona salute dell’apparato digerente, del sistema immunitario e anche per il funzionamento del cervello. Sembra insignificante, perché non siamo soliti riconoscere l’importanza vitale dei miliardi di batteri che formano il nostro microbioma, ma la verità è che sono cruciali per la salute e il buon funzionamento di molti organi, e perfino del nostro organismo nel suo complesso. Mentre la scienza va avanti nel riconoscere l’importanza del microbioma, Monsanto per decenni l’ha distrutto in maniera rilevante.
Questo è il nucleo dell’azione legale che sei consumatori del Missouri hanno iniziato nel giugno 2017 contro Monsanto, [accusata] di diffondere falsa informazione sui danni del glifosato. Il glifosato agisce come erbicida inibendo l’azione dell’enzima EPSP sintasi, indispensabile per la sintesi di diversi importanti aminoacidi, che a loro volta costruiscono le proteine.


 


In parole povere, quando questo enzima non agisce, l’erba non può svilupparsi e muore. Monsanto ha ripetutamente affermato che, poiché questo enzima esiste solo nelle piante e non negli animali e negli umani, il glifosato è sicuro per noi e per i nostri animali domestici.
Ma l’enzima esiste nei batteri che si trovano nei nostri organi digestivi e, pertanto, l’ingestione continua di glifosato, li uccide, inibendo non solo la loro funzione benefica, ma producendo anche uno squilibrio che permette la diffusione di altri microrganismi dannosi.
Monsanto ha inventato il glifosato nel 1974 e lo vende da allora: è una delle sue principali fonti di profitto. Ma quello che ha realmente provocato l’aumento esponenziale del suo uso, sono stati i transgenici tolleranti al glifosato, come la soia, il mais e il cotone transgenici. Prima dei transgenici, il glifosato danneggiava comunque le colture, per quanto l’uso fosse minore e limitato a determinati periodi della semina. Con i transgenici, l’uso si è moltiplicato fino al 2000 per cento negli Stati Uniti, uccidendo tutto quello che si trova attorno alla coltura, ma generando rapidamente anche resistenza in quelle erbe, che vengono chiamate “super erbacce”, perché resistono al glifosato e ad altri erbicidi.
Più della metà dei campi coltivati negli Stati Uniti hanno le “super erbacce” e negli Stati del sud, come ad esempio la Georgia, più del 90 per cento delle tenute agricole hanno una o più erbe infestanti resistenti. Situazioni simili si ripetono in Argentina e in Brasile che, con gli Stati Uniti, sono i tre paesi con la maggiore estensione di coltivazioni transgeniche.
Di fronte a questa situazione, gli agricoltori hanno iniziato a usare dosi sempre maggiori e frequenti di glifosato e, a loro volta, Monsanto e le altre transnazionali dei transgenici, hanno aumentato la concentrazione e i surfattanti presenti negli agrotossici, aumentando la loro tossicità.
Attualmente, soffriamo di un’epidemia silenziosa da glifosato – per inalazione diretta nei campi, per essere vicini a zone di fumigazione o per i molto diffusi e sempre più alti residui negli alimenti, soprattutto prodotti industriali che contengono soia e mais transgenici.
All’ombra di questa minaccia, se n’è scatenata un’altra, direttamente correlata. Di fronte alle erbe resistenti, le transnazionali degli agrotossici e dei transgenici hanno iniziato a creare colture transgeniche tolleranti a diversi erbicidi contemporaneamente, ancora più tossici e pericolosi. Una di queste è la soia RR2 XTend di Monsanto, che tollera il glifosato e il dicamba, un altro agrotossico ad alto rischio.




Coltivazioni Monsanto
Questa soia e il cocktail tossico che la accompagna, ha cominciato a essere usata negli Stati Uniti nel 2016 ed è già motivo di forti conflitti, perché il dicamba uccide o danneggia molto di più delle erbe del campo dove si utilizza: per dispersione, ha danneggiato anche le coltivazioni di altri campi, comprese quelli degli agricoltori che coltivano soia transgenica di versioni anteriori, non tollerante al dicamba. Il dicamba è un potente agrotossico, che può uccidere le semine di ortaggi, frutta, piante ornamentali e perfino alberi. Oltre alla sua tossicità, ha un’alta volatilità, ma secondo Monsanto la formulazione per la soia Xtend è a bassa volatilità.
Tuttavia, i danni alle coltivazioni per l’uso di questa soia con il dicamba, si sono scatenate nell’Arkansas, nel Missouri, nel Tennessee, nello Iowa e ogni giorno escono nuovi rapporti in diversi Stati, generando gravi conflitti tra agricoltori – c’è stato anche un morto – fino ad azioni legali e contro le assicurazioni, che a loro volta non vogliono farsi carico dei danni.
A luglio, l’Arkansas ha proibito l’uso del dicamba e diversi altri Stati sono passati a una regolamentazione più severa, secondo gli agricoltori quasi impossibile da soddisfare. A fine luglio 2017, sei allevamenti industriali dell’Arkansas hanno iniziato azioni legali contro Monsanto, Basf e DuPont Pioneer, che sono quelle che vendono gli agrotossici di cui ha bisogno la soia Xtend.




Mezzo gallone di Dicamba e passa la paura degli insetti…
Il Brasile e il Paraguay hanno approvato la semina della soia tollerante al dicamba. In Messico è stata approvata la semina di cotone transgenico tollerante al glifosato, al dicamba, al glufosinate e all’insetticida su una stessa pianta, chiara dimostrazione della “evoluzione” dei transgenici: ogni volta necessitano di maggiori quantità di prodotti tossici.
Per la salute di tutte e tutti e di quella dell’ambiente dal quale dipendiamo, per le economie contadine che ci danno alimenti sani, si devono proibire queste coltivazioni ad alto rischio, che per di più avvantaggiano solamente le transnazionali.

Pubblicato su La Jornada (e qui con il consenso di Silvia Ribeiro) con il titolo Directo al estómago: golpes bajos de Monsanto y compañía
Silvia Ribeiro
fonte: comune-info.net/
 

Prodotti industriali dagli scarti della canapa: l’idea di Kanesis

Avvicinare il mondo dell'agricoltura a quello dell'industria, fornendo a quest'ultima la prima bioplastica a base di canapa, un materiale completamente vegetale ricavato dagli scarti. È questo il fulcro delle attività di Kanesis, progetto che promuove l'economia circolare ed il rispetto per la natura quale caposaldo della produzione industriale.





Un progetto che affonda le sue radici a Ragusa, in Sicilia, nella scoperta e ricerca sulle nuove bioplastiche, arrivando a ideare la prima a base di canapa; un’attività imprenditoriale che nello sviluppo delle nuove bioplastiche guarda alle filiere locali, ai suoi scarti organici e permette di creare una salda rete di economia circolare locale che fa incontrare agricoltura e industria. Un’impresa che ha fatto dell’educazione ambientale un perno importante del proprio percorso, incontrando anche il mondo dei Makers e della stampa 3d.

Tutto questo e molto altro è Kanèsis, crasi tra la parola canapa e il termine greco κίνησις (kinesis) ossia “movimento”, una startup ideata nel 2015 dall’incontro tra Giovanni Milazzo e Antonio Caruso. Già da prima del 2015 Milazzo, allora studente di ingegneria, era impegnato nella ricerca sul comparto industriale della pianta della canapa, arrivando poi insieme ad Antonio a brevettare la prima bioplastica a base di canapa, l’HempBioPlastic (HBP), un biocomposito completamente vegetale prodotto a partire dagli scarti di lavorazione della canapa industriale e che è la base dell’Hemp Filament, il filamento adatto per la stampa in 3d. Il progetto però ora sta evolvendo e dimostrando come anche gli scarti dell’agricoltura siciliana possano trasformarsi in materia prima contenente biomassa con i principi attivi necessari per le bioplastiche e per i prodotti congeniali al mondo industriale.
“Kanesis mette insieme l’agricoltura con l’industria. Come lo fa? Sfruttando delle biomasse di scarto delle filiere agricole e standardizzandole per l’industria.” Ci spiega Giovanni Milazzo: “Quando l’industria apprezza la biomassa che gli viene proposta si imposta un nuovo processo produttivo, dato che con la tua attività tu personalmente contribuisci a fornirgli un materiale migliore. Ma oltre a questo, gli hai reso un prodotto, che magari loro già producevano petrolchimico, ma ora più sostenibile grazie alla quantità di carica organica di scarto aggiunta”.
Passiamo allora a capire, sempre accompagnati da Giovanni, qual è l’ulteriore apporto innovativo che Kanèsis contribuisce a creare con questo prototipo di economia circolare: “Noi andiamo a guardare le filiere locali. Facciamo un esempio: un’azienda nel territorio di Ragusa che ricicla ogni anno quarantamila tonnellate di plastica petrolchimica. Questa azienda è vicina ad un’altra azienda che ha tantissimi aranci da potare. Lo scarto di quest’ultima azienda è la potatura degli aranci, spesso di grandi dimensioni. Questa potatura per loro è un problema ma per noi è un valore. Noi la prendiamo, la standardizziamo in granulometria e umidità e la aggiungiamo al polimero termoplastico della prima azienda citata: questa ha un valore aggiunto perché ha un volume di prodotto in più con un costo di produzione inferiore, che è di maggiore qualità, più leggero e meccanicamente più prestante.

















È una miscelazione meccanica molto semplice: matrice vegetale e cocktail di biomasse. Qui ho fatto l’esempio degli scarti provenienti dalla potatura degli aranci, ma si possono utilizzare carciofi, sulla (pianta foraggera appartenente alla famiglia delle Fabaceae, ndr), melograni, frumento, canapa appunto: a maggio uscirà il secondo filamento, lo faremo con gli scarti delle infiorescenze della canapa perché l’attuale è realizzato con gli scarti della sola lavorazione del fusto, il canapulo. Ognuna di queste biomasse conferisce al materiale finale un’identità con un nuovo concetto di bioplastica.
Dentro alle biomasse ci sono tutti i principi attivi che si possono usare per l’industria. I fluidificanti, gli stabilizzanti, gli emulsionanti sono già in natura! Un’azienda agricola ha spesso al proprio interno dei prodotti chimici naturali che produce senza saperlo, mentre le industrie del luogo che ne avrebbero bisogno se li vanno a comprare all’estero e in questo caso si tratta di sostanze chimiche di sintesi e nemmeno naturali”.
L’HempBioPlastic e l’attenzione al mondo delle bioplastiche di Kanèsis ha naturalmente attirato l’attenzione dei Makers e del mondo legato alla stampa 3d: “E’ stato il mondo dei Makers che ci ha scoperto” ci racconta Giovanni “noi abbiamo semplicemente guardato al sistema economico dei materiali e nel settore delle plastiche abbiamo verificato che il settore più in crescita era quello della stampa 3d. Così ci siamo messi a sviluppare un prodotto, l’Hemp Bio Plastic e il conseguente Hemp Filament, e l’abbiamo fatto testare da alcuni amici Makers qui in Italia, io ho lavorato molto allo sviluppo di questa rete. Oggi il filamento si è diffuso e riusciamo anche ad esportare in Asia attualmente”.


















Insieme ad un’altra realtà proveniente dall’altro lato dell’Italia, la varesina Coomingtools, Kanèsis è anche la promotrice di Hemprinted, primo brand italiano nato per creare oggetti a base di filamento di canapa in stampa 3d.
Per concludere riportiamo parte delle parole inserite nella mission di Kanésis e che ci ricollega al nostro punto di partenza: “Stabilire il rispetto per la natura quale caposaldo della produzione industriale è il fine ultimo del nostro lavoro. Il mezzo è sostituire i materiali plastici petrolchimici con quelli di derivazione vegetale affinché anche gli oggetti d’uso comune siano l’espressione di un ritorno alla natura consapevole e sostenibile”.


fonte: http://www.italiachecambia.org

La scienza sfata il mito: con meno pesticidi la produzione aumenta



Una nuova ricerca mostra come per le aziende agricole sia possibile ridurre i pesticidi aumentando la produzione e i profitti




















Tutte le aziende agricole potrebbero ridurre significativamente il loro uso di pesticidi senza danneggiare produzione e profitti. Ad affermarlo è un nuovo studio che mostra come sia possibile vincere la doppia sfida di una produzione agricola sostenibile accanto alla sicurezza alimentare.

                              
Che i pesticidi e i trattamenti chimici in genere non siano essenziali al settore agricolo, lo aveva già dichiarato l’ONU meno di un mese fa, con un rapporto che accusa le grandi multinazionali dell’agribusiness di negare i rischi sanitari e ambientali legati all’uso di questi prodotti. Per gli autori del rapporto, Hilal Elver, relatrice speciale per il diritto all’alimentazione, e Baskut Tuncak, relatore speciale sulle sostanze tossiche, “l’uso sempre maggiore di pesticidi non ha niente a che vedere con la riduzione della fame nel mondo”. Gli esperti ONU non si sono nascosti dietro giri di parole, accusando direttamente i pesticidi di causare “effetti catastrofici sull’ambiente e sulla salute umana” e produttori di portare avanti una “negazione sistematica dei danni”. 
 A sfatare il mito della necessità degli antiparassitari sintetici è oggi anche la ricerca pubblicata nella rivista peer-reviewed Nature Plants, che ha analizzato l’uso di pesticidi, la produttività e la redditività in quasi 1.000 aziende agricole in tutta la Francia. I risultati sono stati sorprendenti: tagliando i pesticidi di almeno due quinti, il 94% delle aziende agricole non solo non ridurrebbe la produzione ma potrebbe addirittura incrementarla.
“I nostri risultati sono abbastanza coerenti con la relazione delle Nazioni Unite” ha commentato Nicolas Munier-Jolain, dell’Istituto nazionale francese per la ricerca agricola, e tra gli autori del nuovo studio. “Ma [la ricerca] non significa che i pesticidi siano inutili o inefficienti”, quanto piuttosto che è possibile un cambiamento vantaggioso per tutti.
Lo studio comprende una simulazione di una transizione diffusa di tutte le aziende a sistemi più efficienti. “Abbiamo stimato che l’uso totale di pesticidi potrebbe essere ridotto del 42% senza effetti negativi sulla produttività e la redditività nel 59% delle aziende agricole della nostra rete nazionale. Ciò corrisponde ad una riduzione media del 37, 47 e 60% dell’uso di, rispettivamente, erbicidi, fungicidi e insetticidi”. Il risultato più eclatante riguarda gli insetticidi: livelli più bassi si tradurrebbero in una maggiore produzione nell’86% delle aziende agricole, mentre il resto la manterrebbe inalterata.

fonte: www.rinnovabili.it