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Torneremo a guidare automobili realizzate in canapa e altre fibre vegetali?

Dalla Hempcar della Ford interamente ricavata da soia e canapa e alimentata ad etanolo, ai moderni impieghi di Bmw, Peugeot e Seat



L’iniziativa di provare ad utilizzare fibre vegetali nei processi industriali del settore automobilistico sono oggi dettate dall’esigenza di realizzare materiali a bassa impronta di carbonio. Con questo tipo di produzioni si cerca di esercitare un bassa pressione ambientale durante i loro processi di produzione ma anche di prevedere percorsi di smaltimento più sostenibili.

Lo studio, la ricerca e la realizzazione di tutti questi materiali a base vegetale erano saliti alla ribalta delle economie nazionali autarchiche principalmente per motivi di strategie politiche ed economiche. Questo era stato possibile grazie agli enormi progressi della chimica, avvenuti nel periodo tra le due guerre ed attribuendo a questi prodotti di sintesi caratteri di modernità e di progresso in chi ne facesse uso.

Studi e ricerche per nuovi materiali

Durante gli anni ’30, negli stati Uniti, la Ford mette all’opera stuoli di ingegneri per progettare la prima auto realizzata interamente con un materiale ottenuto da soia e canapa. Vale qui ricordare che dai semi di quest’ultima si ricava anche l’etanolo che sarebbe servito per alimentare l’auto stessa. Si tratta di un carburante alternativo ai derivati del petrolio, per anni ampiamente sperimentato nei motori termici ma che non è mai “decollato”.

Dopo anni di tentativi nel 1941 il prototipo della Hempcar è presentato ma l’entrata degli USA nel secondo conflitto mondiale ne farà naufragare il progetto.

Anche la Pegamoide, oggi si direbbe “ecopelle”, risale al periodo tra le due guerre mondiali. Si tratta di un materiale costituito da un supporto di tela o di carta su cui è applicata una miscela di sostanze varie, fra cui sostanze a base di celluloide ed olio di ricino.

La Pegamoide è un materiale che imita il cuoio, un tempo usato in valigeria, tappezzeria e simili, ma che è stata ampiamente utilizzata dalle case automobilistiche e dai più famosi carrozzieri per rivestire le loro creazioni. La pegamoide grazie alle sue caratteristiche di maggiore resistenza alle sollecitazioni ed agli eventi atmosferici veniva preferita rispetto alle pelli di animale e quindi, come si direbbe oggi, meno impattante per origine e trattamenti anche se all’epoca questi ultimi erano aspetti del tutto trascurabili e di nessuna rilevanza.

Nella Repubblica Democratica Tedesca RDT, la La VEB Sachsenring Automobilwerk Zwickau (Fabbrica Automobilistica Sachsenring di Zwickau) produceva in Duroplast le carrozzerie delle proprie utilitarie (Trabant). Procedimento utilizzato fino al termine della produzione avvenuta nel 1991. Il Duroplast era realizzato con materiale vegetale riciclato, cascami di cotone e resine fenoliche.

Tuttavia, a causa delle sue caratteristiche (si comporta come una plastica di derivazione minerale) il Duroplast si è dimostrato assolutamente non degradabile e la sua trasformazione richiede lavorazioni costose; l’unica possibilità per smaltirlo è stata trovata nel suo impiego, una volta macinato, come componente delle pavimentazioni stradali.

Si torna ad usare materie vegetali

Ai giorni nostri, la BMW isola le portiere della sua i3 con il Kenaf (Hibiscus cannabinus) ed è possibile acquistare in Florida presso la Renew Sports Cars un’auto dal nome fortemente evocativo: “canna”, almeno per il mercato italiano. La leggerissima carrozzeria è realizzata interamente in fibra di canapa.

Nelle Peugeot più recenti, la versatile pianta è impiegata nei rinforzi del cruscotto e nei condotti di sbrinamento del parabrezza.

Seat (gruppo Volkswagen) sta verificando la possibilità di sostituire la plastica di alcune componenti della Leon con il pulone che è il materiale ottenuto dal cascame del riso. Il pulone è trasformato in Oryzite, mischiato con poliuretani e polipropileni ed infine utilizzato, per esempio negli spessori fonoassorbenti e/o di rivestimento del bagagliaio o del cielo della macchina.

Considerato che ogni anno si raccolgono oltre 700 milioni di tonnellate di riso e che 140 milioni di questo diventano scarti, il progetto ha enormi potenzialità. In questo senso la Seat sta sottoponendo a test di resistenza gli elementi così realizzati per capire di quanto può aumentare la percentuale di pulone presente, fatti salvi i requisiti qualitativi come la resistenza meccanica e quella alle sollecitazioni del caldo/freddo ed all’umidità.

Ridurre l’uso della plastica rientra nel ventagli di strategie adottate dalle case automobilistiche per tentare di portare a zero la “carbon-footprint” nell’intero ciclo di vita delle vetture, obiettivo che la Seat ha fissato per il 2050.

fonte: www.greenreport.it



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Case in canapa e calce per un abitare davvero sostenibile

È possibile costruire rispettando la natura? Come si può creare armonia tra attività umane e ambiente naturale? Messapia Style, Emilio e i suoi collaboratori cercano di darci una risposta diffondendo teoria e pratica di un modello di edilizia naturale fondato sull'utilizzo di materiali ecologici, tradizionali e anche economici: canapa e calce.








Oggi più che mai l’ambiente ha bisogno di aiuto. L’emergenza climatica sta diventando un problema sempre più rilevante e la necessità di promuovere in ogni campo l’eco-sostenibilità è uno degli obiettivi cardine del ventunesimo secolo. Anche l’edilizia può svolgere un ruolo significativo in questo ambito, cercando di non arrecare danno a ciò che ci circonda. Ed è proprio qui che entra in gioco Messapia Style, una realtà salentina pioniera in Italia dell’edilizia naturale per la realizzazione di case in canapa e calce.

«Nel 2015 ho deciso di costruire per me e mia moglie questa abitazione a Supersano, nella quale tuttora viviamo, con l’uso di materiali ecosostenibili», racconta l’imprenditore bioedile Emilio Sanapo, fondatore dell’azienda. «Ho voluto sperimentare su di me per primo questo sistema innovativo fondato sull’uso della calce/canapa. Il mio obiettivo è proprio quello di non rimanere una goccia nel mare, ma di portare quante più persone possibile a seguire il mio esempio. Se tutti ci impegnassimo sarebbe un vero e proprio toccasana per l’ambiente, anche perché la canapa è un materiale rinnovabile e biodegradabile, cresce in cento giorni e con un ettaro si può costruire una casa».

Emilio Sanapo

L’intento di Emilio e dei suoi collaboratori è quello di promuovere un modo di vivere salutare attraverso la costruzione e la ristrutturazione delle abitazioni facendo uso di materiali naturali che non siano nocivi all’ambiente. La natura è infatti capace di fornirci tutti i mezzi necessari per realizzare case ed edifici che possano durare nel tempo e che siano in grado di fare del bene tanto all’uomo quanto alla natura stessa.

In tutto ciò la canapa riveste un ruolo di primaria importanza. Si tratta di una pianta erbacea a ciclo annuale dalla quale si ricavano semi e fibre. Lo stelo legnoso invece contiene una buona quantità di silice e questo la rende resistente al fuoco e alla decomposizione. La miscela che viene utilizzata per la bioedilizia si realizza impastando con acqua la canapa, la calce idrata (un legante) e un eccipiente naturale che ha la funzione di far indurire quest’ultima in un tempo adeguato.

I materiali edili a base di canapa e calce presentano numerose proprietà, positive sia per l’uomo che per l’ambiente. Innanzitutto, le pareti costituite da questi elementi permettono di gestire in maniera naturale l’umidità, che viene mantenuta a un livello stabile intorno al 50-60%. Inoltre, si tratta di materiali isolanti che permettono di creare una barriera contro il calore, isolando sia dal freddo invernale sia dal caldo estivo. Questi fattori garantiscono costi di climatizzazione particolarmente bassi, per quanto riguarda sia i consumi energetici che la manutenzione degli impianti. La miscela di calce e canapa è del tutto traspirante ed esente da condense e muffe poiché, assorbendo la CO2, si viene a creare un clima interno all’abitazione salubre che tende all’alcalino. Inoltre, essa costituisce un materiale da costruzione ideale sia per il basso consumo di energia, sia per il bassissimo inquinamento in fase di produzione, di installazione e a fine vita. È, infine, un prodotto molto durevole nel tempo, a differenza dei materiali da costruzione sintetici che iniziano a presentare fenomeni di degrado dopo pochi anni.

Emilio e i suoi collaboratori lavorano principalmente in Puglia, ma piano piano stanno esportando la filosofia della bioedilizia in tutta Italia, per insegnare a imprese o a persone normalissime come auto-costruirsi e costruire per altri abitazioni in calce/canapa. «Si tratta però – ci spiega Emilio – di una tecnica che solo parzialmente siamo riusciti a diffondere. Un grosso ostacolo è quello culturale: si è poco propensi a mettersi in gioco e a imparare nuovi modi di costruire anche se, nolenti o dolenti, saremo costretti a reinventarci, perché è l’ambiente a imporcelo. La mia speranza è che a livello politico qualcosa si possa muovere, per favorire innanzitutto lo sviluppo di questo tipo di materiali e penalizzare quelli derivanti dal petrolio e, soprattutto, per agevolare la filiera della bioedilizia, costruendo degli impianti di trasformazione della canapa».








I mattoni, i blocchetti in laterizio e il calcestruzzo utilizzati nelle costruzioni moderne vengono prodotti da impianti industriali che emettono grandi quantità di CO2, inquinanti per l’atmosfera. Per giunta, il cemento stesso contiene molto spesso alcune sostanze che sono tossiche sia per i lavoratori che per gli abitanti delle abitazioni. Messapia Style, Emilio e tutti i collaboratori di questa azienda si battono ormai da anni per cambiare la situazione attuale e per far fronte alle problematiche ambientali e della salute del singolo. Passo dopo passo, stanno diffondendo il loro ideale di edilizia naturale in calce/canapa, mettendosi al servizio dell’ambiente e dimostrando che anche una goccia d’acqua può far sentire la propria presenza in un mare, soprattutto se questa goccia ne ispira molte altre al cambiamento.

fonte: www.italiachecambia.org


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Come la canapa può accelerare la transizione verso l’economia circolare

Il futuro è verde canapa, secondo il giornalista Mario Catania. Lo abbiamo intervistato per capire quanto l’impiego di tale pianta potrebbe favorire lo sviluppo sostenibile.


Era il 18 giugno del 1971 quando Richard Nixon, allora presidente degli Stati Uniti d’America, dichiarava “guerra alla droga”, un’espressione divenuta famosa in tutto il mondo. Molti si ricorderanno quegli anni turbolenti, quando sulla scena faceva il suo ingresso Pablo Escobar, che sarebbe presto divenuto uno dei più noti e ricchi narcotrafficanti a livello globale; altri ne avranno avuto un assaggio appassionandosi alla serie tv Narcos.

E se la cocaina provoca danni all’organismo tali per cui non è possibile smettere di combatterla, con la marijuana molti stati hanno raggiunto una tregua, legalizzando il consumo della cannabis a scopo ricreativo come per uso medico, data l’efficacia dimostrata dei suoi principi attivi nel trattamento degli stati dolorosi, per esempio in malattie infiammatorie croniche. Lo stesso hanno fatto interi paesi, tra cui Canada e Sudafrica per citare gli ultimi.

Di questo abbiamo parlato con Mario Catania, giornalista specializzato nell’ambito, autore del libro Cannabis. Il futuro è verde canapa. Che ci ha spiegato come questa pianta sia in grado di assorbire grandi quantità di CO2, di ripulire i terreni dai metalli pesanti; e quali vantaggi ambientali deriverebbero dal suo utilizzo in settori come l’energia, la moda, l’edilizia e l’alimentazione.

Una parte del testo che personalmente mi ha molto colpito è quella che riguarda i trimmigrants. Chi sono?


Ho avuto l’opportunità di scoprire questo mondo durante il viaggio che ho fatto in California e Oregon a fine 2016, in cui ho avuto la possibilità di svolgere sia lavori giornalistici – reportage, interviste e quant’altro – sia di lavorare fisicamente in quella che è la filiera della cannabis.

In California sono andato nella Humboldt county, che è l’epicentro di quello che è chiamato “emerald triangle”, il triangolo smeraldo, che comprende tre contee – Humboldt, Mendocino e Trinity – ed è considerata la zona dove viene coltivata più cannabis pro capite al mondo, dove c’è la più alta concentrazione di coltivatori perché dagli anni Sessanta c’è stato questo fenomeno di persone – il movimento hippie, il movimento che predicava il ritorno alla terra, che rifiutava la guerra in Vietnam – che hanno iniziato a spostarsi in questa zona ricca di foreste, molto protetta per poter condurre una vita comunitaria e iniziare a coltivare cannabis più liberamente di quanto si potesse fare in città.

Così si è sviluppata quell’area dove ancora oggi vengono coltivate ingenti quantità di canapa, e io sono stato lì nel momento in cui si iniziava a preparare una transizione: fino ad allora la marijuana era stata legale solo in medicina, invece nel mese in cui sono stato lì, novembre 2016, è stata legalizzata anche a scopo ricreativo. Fatto sta che in quelle zone, in tutti quei paesini che circondano la valle – uno dei principali è Eureka –, durante la stagione della raccolta della cannabis, che va da inizio estate fino a settembre-ottobre inoltrati, s’incontrano centinaia e centinaia di persone che vanno lì proprio per effettuare questa raccolta. Dalla popolazione vengono soprannominati trimmigrants, che rappresenta l’unione delle parole trimmer (colui che pulisce le cime di cannabis con delle apposite forbicine) ed immigrant.

Il fenomeno non viene visto troppo bene dalla popolazione, perché negli ultimi anni questa massa di gente che va lì a cercare lavoro è aumentata sempre di più, e spesso non c’è nemmeno lavoro per tutti. Fondamentalmente è una massa eterogenea di lavoratori, chiamiamoli stagionali, in cui si trovano giovani freak [fricchettoni, ndr] che arrivano dall’Europa, giovani americani che lo sfruttano come lavoro saltuario per arrotondare lo stipendio, signori di cinquanta/sessanta/settant’anni che lo fanno con lo stesso scopo, immigrati che arrivano dall’America centrale, quindi Messico e zone limitrofe; un sacco di persone che vengono dal Sudamerica, magari in coppia, che fanno questi tre o quattro mesi di raccolta per ottenere una cifra che poi permetta loro di vivere tutto il resto dell’anno, con tranquillità, in Sudamerica: ho visto coppie che raccoglievano in tre, quattro mesi di lavoro dai 10 ai 25mila euro a testa e poi tornavano in Guatemala per trascorrere il resto dell’anno senza fare praticamente nulla. Ho conosciuto anche un ragazzo messicano che puntava a raccogliere 5-10mila dollari perché aveva la ragazza incinta che lo aspettava in Chiapas e quei soldi gli sarebbero serviti per costruirsi una casa. Insomma, è un crocevia incredibile: la pianta con il fiore più magico che c’è attira 
ogni sorta di genio e stravaganza.




Trimmigrant è l’unione delle parole trimmer (colui che pulisce le cime di cannabis con delle apposite forbicine) ed immigrant © Uriel Sinai/Getty Images


C’è chi sostiene che legalizzare la marijuana a scopo ricreativo possa spingere i narcotrafficanti ad abbassare il costo delle droghe pesanti, con un conseguente aumento del consumo. Lei cosa ne pensa?

In realtà è una cosa che, dove la cannabis è stata legalizzata, non sta succedendo. La teoria che probabilmente sta alla base di questo ragionamento è che la marijuana sia una droga di passaggio. È una teoria che però è recentemente stata smentita, sia da nuove branche della psicologia sia da svariate ricerche. Ad esempio in Giappone, dove non c’è un consumo di cannabis, c’è gente che fa uso di altre sostanze senza mai aver utilizzato prima la cannabis. Secondo alcuni psicologi, se bisogna identificare una costante all’inizio, a livello psicotropo probabilmente sono l’alcol e le sigarette molto spesso, e poi c’è tutta una branca della psicologia che oggi non parla più di “teoria del passaggio”, ma analizza le persone e i loro comportamenti identificando quelle che sono più portate ad abusare di sostanze in generale, per la loro storia personale, per mille motivi socioculturali.

Ad ogni modo, è qualcosa che dai dati non si sta verificando in America. L’altra grossa paura dei proibizionisti era che legalizzando potesse aumentare il consumo fra gli adolescenti, ma non sta accadendo nemmeno quello, nel senso che nei casi peggiori il consumo fra gli adolescenti rimane invariato, mentre nei casi migliori, come ad esempio in Nevada, cala addirittura dell’8-10 per cento, fondamentalmente per due ragioni: legalizzando viene meno il fascino del proibito, e con i soldi delle tasse sulla cannabis in America vengono fatte delle campagne molto serie d’informazione sugli stupefacenti nelle scuole.



Denver, Colorado. Alcune persone sono in fila, rigorosamente ad un metro di distanza le une dalle altre, per comprare marijuana © Michael Ciaglo/Getty Images

Lei riporta che le morti per overdose da oppiacei negli Stati Uniti continuano a crescere. “Un’epidemia che – cito le sue testuali parole – può trovare anche nella cannabis un possibile argine”. Come?

La cannabis, più che una “droga di passaggio”, si sta dimostrando un mezzo con cui guarire da altre dipendenze, quella da oppiacei come quella da nicotina, alcol o cocaina. Negli Stati Uniti sta succedendo proprio questo: è un paese dove è molto facile ottenere la prescrizione di oppiacei, una cosa che negli ultimi anni è andata fuori controllo, ci sono stati anche dei processi, per esempio la Johnson & Johnson di recente si è presa una multa da centinaia di milioni di dollari per la pubblicità aggressiva che aveva fatto dei propri farmaci contenenti oppiacei. Quello che sta succedendo in America è che muoiono migliaia di persone di overdose ogni anno perché magari cominciano ad assumere queste sostanze sotto prescrizione medica e poi finiscono a prendere l’eroina per strada.

La cannabis medica in tutto questo processo ha rappresentato un game changer: visto che gli oppiacei vengono prescritti in larga parte per la terapia del dolore, e per quanto riguarda la cannabis ormai ci sono decine di studi che la indicano come uno dei trattamenti più adeguati, è accaduto che negli Stati in cui si legalizzava la cannabis per uso medico le persone cominciavano a sostituire gli oppiacei con la cannabis, e diminuivano i casi di overdose. Questo significa che passare dagli oppiacei alla cannabis terapeutica salva decine di migliaia di vite.

fonte: www.lifegate.it


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Arrivano le mascherine di canapa: riutilizzabili, lavabili e senza l’uso di sostanze chimiche

















Le mascherine sono indubbiamente utili a limitare i contagi da coronavirus ma, quelle usa e getta, sono molto inquinanti e stanno creando non pochi problemi a livello ambientale. Un’azienda italiana specializzata in tessuti naturali ha pensato allora di realizzare mascherine riutilizzabili in canapa.

Le mascherine, che sembra dovremo utilizzare a livello planetario ancora per molto, in versione usa e getta devono essere smaltite correttamente, altrimenti rischiano di aumentare il già pesante livello di inquinamento sostituendosi (o peggio unendosi) a quello derivato dalla plastica.

A questo proposito, vi avevamo segnalato i modi corretti per smaltire mascherine usa e getta ma anche guanti.

Esiste però un’altra possibilità, quella di dotarsi di mascherine in tessuto che si possono lavare e riutilizzare in modo da non pesare sull’ambiente. Tanti le propongono in cotone (si possono anche realizzare fai da te), ma c’è chi ha avuto l’idea di produrle utilizzando la canapa.

Si tratta di un’azienda italiana, la Maeko, specializzata in filati e tessuti naturali (non solo canapa ma anche soia, ortica e bamboo). Le mascherine da loro realizzate in fibra di canapa hanno un effetto naturalmente battericida (contro i batteri, non contro i virus) e sono state anche inviate in dono al policlinico di Cagliari.



Come specifica l’azienda, le mascherine che produce sono artigianali e made in Italy, realizzate esclusivamente con tessuti in fibre naturali e senza l’uso di alcuna sostanza chimica impermeabilizzante. Si possono utilizzare fino a che non si rompono e hanno la stessa valenza di quelle fatte in casa o chirurgiche in tessuto. Sono prodotte ai sensi dell’art. 16, comma 2, del D.L. 18/2020 “Cura Italia” del 17/03/2020.

Le possono usare tutte le persone a contatto con il pubblico, gli addetti alla vendita di alimentari e, in ogni caso, tutti i cittadini. Ma, ovviamente, non sono un presidio medico sanitario ma solo una protezione realizzata su più strati, che sfrutta in più anche le qualità antibatteriche delle fibre naturali.

Ve ne sono di varie tipologie, come è possibile vedere dal sito dell’azienda e dalla pagina Facebook.

Un modello è realizzato 100% Canapa con un interno 100% Nylon, un altro è 100% canapa e poi ve ne sono altre ancora in bamboo.

Le mascherine in canapa, realizzate da sarte nel numero di 200 al giorno, vanno letteralmente a ruba e spesso non sono disponibili sul sito dell’azienda che cerca comunque di rifornirle il più velocemente possibile.

Fonte di riferimento: Maeko tessuti/ Facebook

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Lego dice addio alla plastica: i mattoncini saranno realizzati in bioplastica ecologica

Anche le grandi aziende non restano a guardare. LEGO ha reso nota l’intenzione di utilizzare bioplastiche ecologiche e di origine naturale per fabbricare i suoi mattoncini da costruzione. La priorità dell’azienda è focalizzata verso il rispetto per l’ambiente.





L’azienda danese LEGO già dal 2012 era alla ricerca di soluzioni valide per dire no alla plastica con l’impegno di trovare entro il 2030 delle alternative sostenibili.
Dopo quasi sessant’anni di attività, nel corso dei quali la storica azienda ha utilizzato unicamente un tipo di plastica a base di petrolio, nota come ABS (acrilonitrile-butadiene-stirene) sta cercando di mettere a punto procedimenti innovativi a basso impatto ambientale.
Foglie, cespugli e alberi, già dallo scorso anno, sono realizzati in plastica a base vegetale proveniente dalla canna da zucchero. “Non possiamo dire che ispiriamo e sviluppiamo i costruttori di domani se stiamo rovinando il pianeta“, le Tim Guy Brooks, capo del dipartimento per la sostenibilità ambientale di LEGO
Si cercano nuovi materiali duraturi come la plastica convenzionale finora usata: in questo modo i mattoncini potranno ancora continuare a passare di generazione in generazione, come spiega il Project Manager di LEGO, Allan Rasmussen.
La  priorità dell’azienda è focalizzata verso il rispetto per l’ambiente e i nuovi materiali ecologici, sostenibili e biodegradabili rappresentano al meglio questo concetto, essendo in grado di contrastare l’inquinamento prodotto dalla plastica non riciclabile.
Il fabbricante di giocattoli danese non ha ancora dato notizie definitive su quale sarà il materiale prescelto. Chissà se tra questi materiale venga magari presa in considerazione proprio la canapa.
In un mondo sempre più attento alle tematiche ambientali, che cerca nuove misure per limitare gli sprechi e i danni all’intero ecosistema, anche le grandi aziende come LEGO, che da anni promuovono valori indirizzati alla crescita del potenziale dei più piccoli, non possono stare a guardare.
fonte: https://www.teleambiente.it/

Bioplastica di Canapa – Premiata l’Invenzione Siciliana a difesa dell’ambiente















La bioplastica di canapa creata dalla start-up siciliana Kanèsis si è aggiudicata il premio “Zero Waste Italy, Le Buone Pratiche di Impresa Verso Rifiuti Zero”.
Il premio è stato consegnato il 22 maggio al fondatore Giovanni Milazzo al termine della seconda edizione del Meeting Zero Waste di Capannori (LU). È un’iniziativa che nasce nel 2009, anno in cui si è costituita Zero Waste Italy e che «ha il compito primario di raccordare le iniziative Zero Waste italiane con le reti europee e mondiali di questo movimento-progetto. Si pone in modo complementare e non competitivo con la Rete Italiana Rifiuti Zero sviluppando principalmente il versante dell’applicazione dei 10 passi verso i rifiuti zero così come definiti dalla Carta internazionale di Napoli della Zero Waste International Alliance».
Kanèsis è stata scelta non solo perché la bioplastica di canapa è completamente biodegradabile e compostabile, ma anche perché per creare il filamento per la stampa 3D dell’azienda, vengono usati materiali di scarto per creare un nuovo prodotto che però non dà origine a nuovi rifiuti. Accade nel caso della canapa, ma anche nei nuovi tipi di bioplastiche che i ragazzi intendono sviluppare, sempre con biomasse che ad oggi non vengono utilizzate, conservando i colori originali e conferendo ad ogni tipo di prodotto caratteristiche diverse di resistenza ed elasticità. Non dimentichiamo poi il forte valore ambientale che la coltivazione di canapa rappresenta ed ai molti benefici che porterebbe una coltivazione diffusa di questa pianta.
«Desidero ringraziare, a nome di tutto il team Kanèsis, Zero Waste Italy e il Comune di Capannori per questo prestigiosissimo premio», ha dichiarato Giovanni Milazzo. «Fino a qualche tempo fa non pensavano neanche di raggiungere questo obiettivo. Crediamo che per riappropriarci del nostro futuro dobbiamo tornare alla terra: questo non vuol dire regressione ma evoluzione. La nostra bioplastica è moderna, attuale e con sviluppi futuri infiniti. Eppure è totalmente verde».
La start-up è stata protagonista di recente di una raccolta fondi online: l’obiettivo, come ci ha raccontato Giovanni Milazzo, «è quello di acquistare un macchinario da laboratorio per continuare le sperimentazioni in autonomia invece che all’Università di Catania come abbiamo fatto fino ad oggi. Si tratta di un macchinario da sperimentazione per materiali innovativi con l’aggiunta di scarti vegetali».
A Ragusa, nel cuore della Sicilia, è dunque nata l’idea di un futuro diverso in grado di contagiare tutto il Paese e andare oltre, stringendo connessioni con un network internazionale che guarda oltre il petrolio ed i suoi derivati verso un futuro che profuma di terra baciata dal sole e soluzioni sostenibili.



«Il filamento in canapa è solo il primo di una lunga serie», hanno puntualizzato spiegando che «tutti saranno prodotti con biomasse di scarto ed ognuno con una finitura ed un colore proporzionale alla biomassa utilizzata. Quindi nel caso dell’arancia sarà arancione, ginestra giallo, carciofo verde, canapa marrone e così via ed ognuno con le proprie caratteristiche tecniche per sottolineare la polivalenza di sviluppo di materiali termoplastici di questo tipo».




Fonte DolceVitaonline 

IL MONDO AL SERVIZIO DELL’UOMO SOSTENIBILE - VENERDì 31 AGOSTO - Piediluco (Tr)


Ore 10 - Anna Rita Guarducci. "Rifiuti. Future Materie seconde"
Ore 11 - Melissa Finali. "Inquinamento ambientale e alimentazione"
Ore 12 - Linda Maggiori. Autrice del libro "Impatto zero. Vademecum per famiglie a rifiuti zero."
Presenta: "Occidoria e i territori ribelli" + laboratorio per bambini sull'educazione sostenibili".
Ore 15 - Simone Casagrande - Lucia Fioravanti - @Stefano Vitali. "Coltiviamo la sostenibilità. Riscoprire e conoscere la versatilità della canapa".
Ore 16 - @Alessandro Ronca. "Autosufficienza utile a se stessa".
Ore 17 - @Marco Santarelli. "Tesla. Il mondo non va vissuto va immaginato. Energie del futuro e intelligence ambientale".
Ore 18. Comitato No Inceneritori Terni. "Movimenti cittadini e tutela della salute dal basso".
Ore 19. Serenella Bartolomei. "La sostenibilità ambientale passa anche dal piatto".
TESLA Music Festival è musica, tecnologia, sport e molto altro!!
Un grazie speciale a Serenella Bartolomei

Eco-materiali: funghi e canapa per rimpiazzare il polistirolo

Un team di studenti di ingegneria ambientale e architettura dell’EPFL ha scoperto un modo per far crescere un materiale biodegradabile sfruttando il micelio e i trucioli di legno





L’archivio internazionale degli eco-materiali ha da oggi una voce in più. In Svizzera un gruppo di giovani ricercatori sta studiando le proprietà fisiche dei funghi con l’obiettivo di realizzare un valido sostituto alla plastica. Per la precisione otto studenti della facoltà d’ingegneria ambientale e architettura del Politecnico di Losanna stanno sperimentando le potenzialità pratiche del micelio, l’insieme di filamenti costituenti il tallo dei funghi. Questa sostanza filiforme si può legare in maniera naturale a vari substrati, come la segatura, e la miscela risultante può essere modellata in oggetti come mattoni, pannelli, trucioli di imballaggio e persino mobili.

“L’idea – spiega Gaël Packer, uno studente di ingegneria ambientale – è nata quando abbiamo incontrato studenti di architettura della nostra scuola per sviluppare un’alternativa originale e innovativa ai materiali da costruzione esistenti”. Ispirati da una conferenza TED, Paker e i suoi compagni hanno voluto dare il loro contributo alla comunità di pionieri preoccupati per il futuro del nostro pianeta.

I materiali a base di micelio offrono un’alternativa promettente come eco-materiali perché non solo sono leggeri, economici e facili da realizzare, ma forniscono anche un modo per riciclare i prodotti di scarto e possono essere biodegradati in soli tre mesi.

Oggi sono disponibili online numerosi kit fai-dai-te per la coltivazione dei funghi; tutto ciò di cui si ha bisogno è il micelio, un substrato e un po’ di pazienza. Il primo passo è far crescere le “radici dei funghi” in un ambiente sterile o pastorizzato insieme al substrato e un po’ di farina e acqua. La miscela risultante viene quindi versata in uno stampo. Dopo una settimana la forma viene cotta a bassa temperatura per bloccarne la crescita e consolidare la forma dell’oggetto. Il risultato è un prodotto leggero, a bassa densità, solido e resistente, proprio come se fosse stato realizzato utilizzando la stampa 3D.

Piuttosto che usare un kit di quelli già in commercio, gli studenti hanno creato la loro versione usando il micelio di funghi ostrica locali (Pleurotus ostreatus) e fibre di canapa coltivate nella regione del Giura. “Abbiamo lavorato con diversi laboratori EPFL per testare le proprietà chiave del materiale: isolamento termico, assorbimento acustico, resistenza alla compressione e resistenza all’acqua e al fuoco”, afferma Packer. In questo modo hanno potuto scoprire come la capacità coibentante scoperto fosse alla pari con quella di altri materiali isolanti, che potesse facilmente resistere al peso di un corpo umano, che fosse in grado di galleggiare senza assorbire acqua e di come fosse abbastanza resistente al fuoco. I test di assorbimento acustico sono ancora in corso. “Sebbene siano necessari ulteriori test, i risultati finora sono molto promettenti e mostrano che le proprietà del materiale sono simili a quelle del polistirolo espanso”, ha aggiunto lo studente. “Possiamo certamente migliorare ulteriormente queste proprietà regolando la composizione della nostra miscela, sia in termini di substrato che di alimentazione dei funghi”.







fonte: www.rinnovabili.it

Prodotti industriali dagli scarti della canapa: l’idea di Kanesis

Avvicinare il mondo dell'agricoltura a quello dell'industria, fornendo a quest'ultima la prima bioplastica a base di canapa, un materiale completamente vegetale ricavato dagli scarti. È questo il fulcro delle attività di Kanesis, progetto che promuove l'economia circolare ed il rispetto per la natura quale caposaldo della produzione industriale.





Un progetto che affonda le sue radici a Ragusa, in Sicilia, nella scoperta e ricerca sulle nuove bioplastiche, arrivando a ideare la prima a base di canapa; un’attività imprenditoriale che nello sviluppo delle nuove bioplastiche guarda alle filiere locali, ai suoi scarti organici e permette di creare una salda rete di economia circolare locale che fa incontrare agricoltura e industria. Un’impresa che ha fatto dell’educazione ambientale un perno importante del proprio percorso, incontrando anche il mondo dei Makers e della stampa 3d.

Tutto questo e molto altro è Kanèsis, crasi tra la parola canapa e il termine greco κίνησις (kinesis) ossia “movimento”, una startup ideata nel 2015 dall’incontro tra Giovanni Milazzo e Antonio Caruso. Già da prima del 2015 Milazzo, allora studente di ingegneria, era impegnato nella ricerca sul comparto industriale della pianta della canapa, arrivando poi insieme ad Antonio a brevettare la prima bioplastica a base di canapa, l’HempBioPlastic (HBP), un biocomposito completamente vegetale prodotto a partire dagli scarti di lavorazione della canapa industriale e che è la base dell’Hemp Filament, il filamento adatto per la stampa in 3d. Il progetto però ora sta evolvendo e dimostrando come anche gli scarti dell’agricoltura siciliana possano trasformarsi in materia prima contenente biomassa con i principi attivi necessari per le bioplastiche e per i prodotti congeniali al mondo industriale.
“Kanesis mette insieme l’agricoltura con l’industria. Come lo fa? Sfruttando delle biomasse di scarto delle filiere agricole e standardizzandole per l’industria.” Ci spiega Giovanni Milazzo: “Quando l’industria apprezza la biomassa che gli viene proposta si imposta un nuovo processo produttivo, dato che con la tua attività tu personalmente contribuisci a fornirgli un materiale migliore. Ma oltre a questo, gli hai reso un prodotto, che magari loro già producevano petrolchimico, ma ora più sostenibile grazie alla quantità di carica organica di scarto aggiunta”.
Passiamo allora a capire, sempre accompagnati da Giovanni, qual è l’ulteriore apporto innovativo che Kanèsis contribuisce a creare con questo prototipo di economia circolare: “Noi andiamo a guardare le filiere locali. Facciamo un esempio: un’azienda nel territorio di Ragusa che ricicla ogni anno quarantamila tonnellate di plastica petrolchimica. Questa azienda è vicina ad un’altra azienda che ha tantissimi aranci da potare. Lo scarto di quest’ultima azienda è la potatura degli aranci, spesso di grandi dimensioni. Questa potatura per loro è un problema ma per noi è un valore. Noi la prendiamo, la standardizziamo in granulometria e umidità e la aggiungiamo al polimero termoplastico della prima azienda citata: questa ha un valore aggiunto perché ha un volume di prodotto in più con un costo di produzione inferiore, che è di maggiore qualità, più leggero e meccanicamente più prestante.

















È una miscelazione meccanica molto semplice: matrice vegetale e cocktail di biomasse. Qui ho fatto l’esempio degli scarti provenienti dalla potatura degli aranci, ma si possono utilizzare carciofi, sulla (pianta foraggera appartenente alla famiglia delle Fabaceae, ndr), melograni, frumento, canapa appunto: a maggio uscirà il secondo filamento, lo faremo con gli scarti delle infiorescenze della canapa perché l’attuale è realizzato con gli scarti della sola lavorazione del fusto, il canapulo. Ognuna di queste biomasse conferisce al materiale finale un’identità con un nuovo concetto di bioplastica.
Dentro alle biomasse ci sono tutti i principi attivi che si possono usare per l’industria. I fluidificanti, gli stabilizzanti, gli emulsionanti sono già in natura! Un’azienda agricola ha spesso al proprio interno dei prodotti chimici naturali che produce senza saperlo, mentre le industrie del luogo che ne avrebbero bisogno se li vanno a comprare all’estero e in questo caso si tratta di sostanze chimiche di sintesi e nemmeno naturali”.
L’HempBioPlastic e l’attenzione al mondo delle bioplastiche di Kanèsis ha naturalmente attirato l’attenzione dei Makers e del mondo legato alla stampa 3d: “E’ stato il mondo dei Makers che ci ha scoperto” ci racconta Giovanni “noi abbiamo semplicemente guardato al sistema economico dei materiali e nel settore delle plastiche abbiamo verificato che il settore più in crescita era quello della stampa 3d. Così ci siamo messi a sviluppare un prodotto, l’Hemp Bio Plastic e il conseguente Hemp Filament, e l’abbiamo fatto testare da alcuni amici Makers qui in Italia, io ho lavorato molto allo sviluppo di questa rete. Oggi il filamento si è diffuso e riusciamo anche ad esportare in Asia attualmente”.


















Insieme ad un’altra realtà proveniente dall’altro lato dell’Italia, la varesina Coomingtools, Kanèsis è anche la promotrice di Hemprinted, primo brand italiano nato per creare oggetti a base di filamento di canapa in stampa 3d.
Per concludere riportiamo parte delle parole inserite nella mission di Kanésis e che ci ricollega al nostro punto di partenza: “Stabilire il rispetto per la natura quale caposaldo della produzione industriale è il fine ultimo del nostro lavoro. Il mezzo è sostituire i materiali plastici petrolchimici con quelli di derivazione vegetale affinché anche gli oggetti d’uso comune siano l’espressione di un ritorno alla natura consapevole e sostenibile”.


fonte: http://www.italiachecambia.org

Bonificare terre inquinate con la canapa
















Canapa contro l’inquinamento. Prende il via il progetto per la coltivazione della canapa nei terreni inquinati delle aree industriali del Sulcis, in Sardegna.
La sperimentazione sarà a cura dell’agenzia regionale Agris, affidataria del progetto promosso dall’assessorato all’Agricoltura, che dovrà studiare il comportamento della canapa per capire come e in che modalità riesca a purificare i terreni.
Attraverso la fitodepurazione dei metalli pesanti come piombo, cadmio e zinco, la pianta potrebbe dare buoni risultati nell’estrazione dal terreno di elementi altamente inquinanti.
Inutile dirlo, non si tratta della canapa indiana, ma di canapa sativa a basso contenuto di Thc, sotto lo 0,6%, quindi non assimilabile e diversa da quella con effetti psicoattivi, come la marijuana, proibita per legge perché ritenuta droga leggera.
“È un opportunità straordinaria per il territorio, l’iniziativa ha un duplice obiettivo: bonificare i terreni inquinati, grazie alle proprietà decontaminante della canapa, e riavviare una filiera produttiva in aree industriali molto inquinate”, ha annunciato Luca Pizzuto, consigliere regionale Sel e primo firmatario dell’emendamento inserito due anni fa nella Finanziaria.
Agris si avvale della collaborazione di un team di esperti dell’Università di Sassari e di Sardegna Ricerche, assieme lavoreranno su dieci terreni, sia inquinati che puliti, con un’estensione tra 2500 e 5mila mq da utilizzare per tre anni.
Il progetto prevede poi anche la valutazione di nuovi impieghi della canapa sativa come la produzione di oli di canapa, fibre, materiali per l’edilizia, l’artigianato, il tessile e perfino i biocarburanti.
“È una pianta che ha 25mila diversi tipi di utilizzo. Dai materiali per la bioedilizia ai biocarburanti e, allo stesso tempo, rappresenta un’opportunità unica per aree ormai compromesse come quelle del Sulcis. In questo momento l’interesse maggiore è rappresentato dalla produzioni di seme destinato ad altre coltivazioni o alla produzione di olio”, ha spiegato il responsabile del progetto Gian Luca Carboni.
Il budget annuale a disposizione dell’agenzia regionale è di 150mila euro annuali, gli agricoltori che aderiranno alla sperimentazione avranno un indennizzo di 1.500 euro a ettaro. [Dominella Trunfio]

fonte: www.greenme.it

Da scarto a risorsa: chi sono gli imprenditori dell’Economia Circolare?

Si sta diffondendo anche in Italia un nuovo modello economico che fa dello scarto la materia prima per la produzione di nuovo valore, vantaggi nel sociale e nuovi posti di lavoro. La Fiera delle Idee, ospitata dalla manifestazione culturale Novo Modo, è stata l'occasione per conoscere alcuni imprenditori virtuosi rappresentativi della cosiddetta Economia circolare.
In un’epoca in cui le risorse sono diventate scarsissime e parlare di utilizzo massiccio di materie prime diventa quasi anacronistico, l’Economia Circolare risveglia in noi la voglia di cambiare le cose, secondo un nuovo paradigma in cui il rifiuto in quanto tale non esiste più ed i processi produttivi utilizzano solo materie prime seconde realizzate a partire da scarti di altre filiere.

Se l’impianto teorico è già affascinante di per sé, poter incontrare di persona chi questo tipo di economia la sta portando avanti ogni giorno è semplicemente emozionante e ci dà la misura di quanto questa scelta coraggiosa e lungimirante sia indispensabile per il futuro del nostro pianeta.

Grazie all’ospitalità di Novo Modo 2016 ed al supporto di FIRST Toscana, nasce la Fiera delle Idee, “una fucina di belle intelligenze che stanno scommettendo sulla propria intuizione”, come la definisce Giovanni Gheri, libraio di LibriLiberi, ideatore dell’iniziativa insieme ad Antonio Di Giovanni, cofondatore di Funghi Espresso, una tre giorni incentrata sul toccare con mano cosa significa fare Economia Circolare oggi.

“La Bioeconomia, definita il cuore biologico dell’Economia Circolare, conta per il 7,9% del nostro PIL nazionale, con un valore che oggi in Europa si aggira intorno ai 20.000 miliardi di euro stimati” ricorda Irene Ivoi, moderatrice della tavola rotonda che da molti anni si occupa del tema dell’economia circolare da un punto di vista del design di prodotto. Si capisce quindi che non stiamo parlando di realtà secondarie, ma di numeri che hanno le potenzialità per cambiare le carte in tavola.

I volti dell’Economia Circolare
“La buccia vale più del succo”, esordisce Adriana Santanocito cofondatrice insieme a Enrica Arena di Orange Fiber, start-up siciliana che crea filati a partire dagli scarti di spremitura delle arance, il cosiddetto “pastazzo”. Consapevoli che la moda è il secondo settore più inquinante al mondo, le due giovani imprenditrici hanno sperimentato un tipo di produzione che riduca questo impatto, utilizzando come materia prima per produrre i loro tessuti quello che veniva considerato solo rifiuto: il sottoprodotto dell’industria agrumicola rappresenta infatti un problema per le aziende di spremitura, che solo in Italia generano ogni anni 700.000 tonnellate di pastazzo da smaltire a caro prezzo.

“Il pastazzo d’agrumi potrebbe essere usato non solo nel tessile, ma trasformato per ottenere oggetti di uso comune, sostituendo materie prime che provengono dall’industria del petrolio”, dice Giovanni Milazzo, cofondatore insieme ad Antonio Caruso di Kanèsis. Questi due giovani catanesi studiano da anni i polimeri provenienti da materiali vegetali e affermano senza paura che tutte le materie prime si possono ricavare dagli scarti.

L’idea che sta alla base di Kanésis è quindi quella di rimpiazzare la plastica con biocompositi e alla Fiera delle Idee ci mostrano un primo prodotto sviluppato dalla canapa sotto forma di filamento per stampanti 3d, utilizzandolo sotto i nostri occhi grazie all’aiuto di Fab Lab, associazione culturale che supporta le intuizioni di giovani imprenditori attraverso la realizzazione di prototipi.

A ricordarci l’importanza della produzione di biomasse organiche ed il conseguente impatto positivo che questo settore potrebbe generare su occupazione e gestione del territorio rurale, è Rachele Invernizzi, responsabile di South Hemp Tecno, impianto di prima trasformazione della paglia di canapa nato due anni fa a Crispiano, Taranto. “Se non ci fossero stati impianti di prima trasformazione, in Puglia non si iniziava davvero a coltivare canapa industriale in modo massiccio”, dice Rachele, sottolineando che “la canapa industriale è il futuro dell’economia ed è una grandissima opportunità sia per l’agricoltura che per tutti i reparti industriali”.

La paglia di canapa, considerata scarto della coltivazione di canapa industriale, rappresenta invece una materia prima seconda di grande qualità che ha tantissimi utilizzi in svariati ambiti, dalla carta, alle bioplastiche, ai pannelli per l’isolamento in edilizia, per citare solo alcuni esempi, rappresentando una risorsa preziosissima.

Sulla valorizzazione dello scarto organico in agricoltura lavora anche il CLT – Centro di Lombricoltura Toscano, con sede in provincia di Pisa, che ha incentrato la sua attività sull’idea di chiudere il ciclo dei rifiuti delle aziende agricole, contribuendo alla rigenerazione dei terreni agricoli. Marco Calcaprina, uno dei tre soci fondatori, spiega come l’azienda toscana ha improntato un sistema che utilizza l’azione dei lombrichi per trasformare lo scarto in fertile humus, che viene poi commercializzato in agricoltura e giardinaggio urbano, chiudendo così il ciclo produttivo.


Nell’ottica di ottimizzare le risorse esistenti ed intercettare lo scarto prima che diventi rifiuto si muove Funghi Espresso, start-up fondata nel 2013 da Antonio Di Giovanni e Vincenzo Sangiovanni. A partire da uno studio realizzato con il Centro Ricerche Rifiuti Zero del Comune di Capannori su come valorizzare il fondo di caffè in agricoltura, Funghi Espresso ha creato un modello produttivo che recupera lo scarto dei bar utilizzandolo come substrato di crescita di funghi che sfruttano le sostanze nutritive in esso contenute per il loro metabolismo. “Vogliamo dimostrare che da uno scarto che viene buttato via si può creare valore”, dice Antonio, “reimmettendo sul mercato un prodotto dalle alte proprietà nutritive”. Un’impresa virtuosa che opera all’interno della città, utilizzando proprio gli scarti che la città stessa produce, in un ottica di urban farming.

“Quali possono essere le soluzioni per coltivare cibo dove non si può utilizzare il suolo perché inquinato?”. È la domanda che si pone Stefano Secci, agronomo fiorentino che insieme a Leonardo Boganini, Chiara Casazza, Alessandra Carta, e Giulia Sala, hanno presentato alla Fiera delle Idee il loro progetto di Modular City Farm, un sistema per produrre cibo negli spazi residuali della città. Unendo competenze inerenti l’architettura, il design, l’agronomia e grazie alla collaborazione con l’azienda Cammelli, hanno sviluppato un’idea di agricoltura urbana che operi attraverso sistemi modulari idroponici, in cui l’acqua sostituisce la terra come substrato di crescita delle piante. La sfida è quella di utilizzare un sistema di produzione intensivo in ambito cittadino o addirittura domestico, nonché quella di ripensare il recupero di acque piovane su larga scala da convogliare in un tipo di coltivazione come questa.

Il terreno coltivabile ancora presente nella prima periferia delle nostre città rappresenta a sua volta una risorsa da tutelare. Maria Leo ci presenta Orto x mille, associazione nata circa un anno fa con lo scopo di recuperare terreni incolti ed abbandonati per insegnare alle famiglie a coltivarli in modo naturale, creando piccoli orti familiari. L’associazione di Maria, attraverso il progetto “Adotta il contadino” attivo a Scandicci, è riuscita a rimettere in moto una rete di piccoli agricoltori che aiutano le famiglie nella realizzazione di un orto sinergico. In questo modo le conoscenze vengono tramandate, non vanno perse e le famiglie riscoprono il valore di coltivare da soli il proprio cibo.

Il tema del futuro del cibo riveste infatti un’importanza enorme e si lega indissolubilmente con l’Economia Circolare. “Qualcuno deve parlare di Economia Circolare e cibo, fare educazione in tal senso!”, afferma Antonio Gagliardi, ricercatore del Future Food Institute di Bologna, il cui obiettivo è creare un impatto sulla società riguardo ai temi del futuro del cibo, sia attraverso il settore educativo che tramite l’innovazione d’impresa, aiutando le start-up a crescere e lavorare sinergicamente con le aziende che possono finanziarle. A Lugo di Romagna, in provincia di Ravenna, stanno realizzando una Future Farm, un progetto pilota per chiudere in 60 ettari il concetto di Economia Circolare.

Gli ostacoli, la sfida e uno sguardo al futuro
Tutte queste realtà hanno il grande merito di provare coraggiosamente a cambiare le cose, dimostrando che si può fare economia e creare prodotti di qualità anche senza razziare le risorse del pianeta. Gli ostacoli che incontrano ogni giorno sono la misura di quanto questo percorso sia difficile e della determinazione che hanno nel perseguire i loro progetti.

“La difficoltà più grande è stata ed è ancora quella di ottimizzare il processo”, dice Adriana Santanocito di Orange Fiber, “passando da un prodotto artigianale ad un processo su scala industriale”. Per fare questo ci vogliono soldi, investimenti e competenze.

“Ci muoviamo a tentoni nel buio”, afferma Antonio Di Giovanni di Funghi Espresso, “in un limbo normativo che ci rende difficile ogni passo, totalmente privi di punti di riferimento certi”. Non esiste infatti ad oggi una legislatura definita in merito al recupero degli scarti.

“Lo sforzo normativo a livello europeo deve indirizzarsi verso leggi che obblighino grandi settori, come ad esempio quello dell’auto, ad utilizzare percentuali fisse minime di biocompositi nei loro prodotti, aprendo così vaste aree di mercato che incentivino lo sviluppo del settore e della ricerca”, sostiene Antonio Caruso di Kanèsis.

I prodotti che questi imprenditori propongono vanno a toccare ambiti commerciali dove la competizione è fortissima e ogni fetta di mercato viene difesa strenuamente dalle grandi lobby, poco inclini a modificare i loro modelli produttivi e sensibili alle crescenti critiche che gli vengono mosse dal progressivo risveglio di una coscienza ambientale collettiva. Un panorama ostile, dove “si deve lottare contro interessi enormi, non si può mollare”, afferma Rachele Invernizzi di South Hemp Tecno.

Per questo serve unirsi. “Fare rete e cooperazione è il futuro, dobbiamo avere qualcuno che ci rappresenti nel dialogo con le istituzioni politiche italiane, ma anche con la Comunità Europea”, sottolinea Rachele Invernizzi, vicepresidente di Federcanapa – Federazione italiana canapa che da quest’anno unisce tutte le figure del settore, produttori, trasformatori e commercio. La rete permette di sviluppare sinergie, per attraversare questo momento di transizione.

La Fiera delle Idee di fine ottobre è stata un’occasione per riunire a Firenze gli imprenditori che in Italia stanno facendo innovazione a partire dagli scarti. Ecco il video con le interviste realizzate da Alessia Macchi e Marco Orazzini, Agenti del Cambiamento, durante l’evento.



fonte: http://www.italiachecambia.org