La bioplastica di canapa creata dalla start-up siciliana Kanèsis si è aggiudicata il premio “Zero Waste Italy, Le Buone Pratiche di Impresa Verso Rifiuti Zero”.
Il premio è stato consegnato il 22 maggio al fondatore Giovanni Milazzo al termine della seconda edizione del Meeting Zero Waste di Capannori (LU). È un’iniziativa che nasce nel 2009, anno in cui si è costituita Zero Waste Italy e che «ha il compito primario di raccordare le iniziative Zero Waste italiane con le reti europee e mondiali di questo movimento-progetto. Si pone in modo complementare e non competitivo con la Rete Italiana Rifiuti Zero sviluppando principalmente il versante dell’applicazione dei 10 passi verso i rifiuti zero così come definiti dalla Carta internazionale di Napoli della Zero Waste International Alliance».
Kanèsis è stata scelta non solo perché la bioplastica di canapa è completamente biodegradabile e compostabile, ma anche perché per creare il filamento per la stampa 3D dell’azienda, vengono usati materiali di scarto per creare un nuovo prodotto che però non dà origine a nuovi rifiuti. Accade nel caso della canapa, ma anche nei nuovi tipi di bioplastiche che i ragazzi intendono sviluppare, sempre con biomasse che ad oggi non vengono utilizzate, conservando i colori originali e conferendo ad ogni tipo di prodotto caratteristiche diverse di resistenza ed elasticità. Non dimentichiamo poi il forte valore ambientale che la coltivazione di canapa rappresenta ed ai molti benefici che porterebbe una coltivazione diffusa di questa pianta.
«Desidero ringraziare, a nome di tutto il team Kanèsis, Zero Waste Italy e il Comune di Capannori per questo prestigiosissimo premio», ha dichiarato Giovanni Milazzo. «Fino a qualche tempo fa non pensavano neanche di raggiungere questo obiettivo. Crediamo che per riappropriarci del nostro futuro dobbiamo tornare alla terra: questo non vuol dire regressione ma evoluzione. La nostra bioplastica è moderna, attuale e con sviluppi futuri infiniti. Eppure è totalmente verde».
La start-up è stata protagonista di recente di una raccolta fondi online: l’obiettivo, come ci ha raccontato Giovanni Milazzo, «è quello di acquistare un macchinario da laboratorio per continuare le sperimentazioni in autonomia invece che all’Università di Catania come abbiamo fatto fino ad oggi. Si tratta di un macchinario da sperimentazione per materiali innovativi con l’aggiunta di scarti vegetali».
A Ragusa, nel cuore della Sicilia, è dunque nata l’idea di un futuro diverso in grado di contagiare tutto il Paese e andare oltre, stringendo connessioni con un network internazionale che guarda oltre il petrolio ed i suoi derivati verso un futuro che profuma di terra baciata dal sole e soluzioni sostenibili.
«Il filamento in canapa è solo il primo di una lunga serie», hanno puntualizzato spiegando che «tutti saranno prodotti con biomasse di scarto ed ognuno con una finitura ed un colore proporzionale alla biomassa utilizzata. Quindi nel caso dell’arancia sarà arancione, ginestra giallo, carciofo verde, canapa marrone e così via ed ognuno con le proprie caratteristiche tecniche per sottolineare la polivalenza di sviluppo di materiali termoplastici di questo tipo».
Si sta diffondendo anche in
Italia un nuovo modello economico che fa dello scarto la materia prima
per la produzione di nuovo valore, vantaggi nel sociale e nuovi posti di
lavoro. La Fiera delle Idee, ospitata dalla manifestazione culturale
Novo Modo, è stata l'occasione per conoscere alcuni imprenditori
virtuosi rappresentativi della cosiddetta Economia circolare.
In un’epoca in cui le risorse sono diventate scarsissime e parlare di
utilizzo massiccio di materie prime diventa quasi anacronistico, l’Economia Circolare
risveglia in noi la voglia di cambiare le cose, secondo un nuovo
paradigma in cui il rifiuto in quanto tale non esiste più ed i processi
produttivi utilizzano solo materie prime seconde realizzate a partire da
scarti di altre filiere.
Se l’impianto teorico è già affascinante di per sé, poter incontrare
di persona chi questo tipo di economia la sta portando avanti ogni
giorno è semplicemente emozionante e ci dà la misura di quanto questa
scelta coraggiosa e lungimirante sia indispensabile per il futuro del nostro pianeta.
Grazie all’ospitalità di Novo Modo 2016ed
al supporto di FIRST Toscana, nasce la Fiera delle Idee, “una fucina di
belle intelligenze che stanno scommettendo sulla propria intuizione”,
come la definisce Giovanni Gheri, libraio di LibriLiberi, ideatore
dell’iniziativa insieme ad Antonio Di Giovanni, cofondatore di Funghi Espresso, una tre giorni incentrata sul toccare con mano cosa significa fare Economia Circolare oggi.
“La Bioeconomia, definita il cuore biologico
dell’Economia Circolare, conta per il 7,9% del nostro PIL nazionale, con
un valore che oggi in Europa si aggira intorno ai 20.000 miliardi di
euro stimati” ricorda Irene Ivoi, moderatrice della tavola rotonda che
da molti anni si occupa del tema dell’economia circolare da un punto di
vista del design di prodotto. Si capisce quindi che non stiamo parlando
di realtà secondarie, ma di numeri che hanno le potenzialità per
cambiare le carte in tavola.
I volti dell’Economia Circolare
“La buccia vale più del succo”, esordisce Adriana Santanocito cofondatrice insieme a Enrica Arena di Orange Fiber,
start-up siciliana che crea filati a partire dagli scarti di spremitura
delle arance, il cosiddetto “pastazzo”. Consapevoli che la moda è il
secondo settore più inquinante al mondo, le due giovani imprenditrici
hanno sperimentato un tipo di produzione che riduca questo impatto,
utilizzando come materia prima per produrre i loro
tessuti quello che veniva considerato solo rifiuto: il sottoprodotto
dell’industria agrumicola rappresenta infatti un problema per le aziende
di spremitura, che solo in Italia generano ogni anni 700.000 tonnellate
di pastazzo da smaltire a caro prezzo.
“Il pastazzo d’agrumi potrebbe essere usato non solo nel tessile, ma
trasformato per ottenere oggetti di uso comune, sostituendo materie
prime che provengono dall’industria del petrolio”, dice Giovanni
Milazzo, cofondatore insieme ad Antonio Caruso di Kanèsis.
Questi due giovani catanesi studiano da anni i polimeri provenienti da
materiali vegetali e affermano senza paura che tutte le materie prime si
possono ricavare dagli scarti.
L’idea che sta alla base di Kanésis è quindi quella di rimpiazzare la
plastica con biocompositi e alla Fiera delle Idee ci mostrano un primo
prodotto sviluppato dalla canapa sotto forma di filamento per stampanti
3d, utilizzandolo sotto i nostri occhi grazie all’aiuto di Fab Lab,
associazione culturale che supporta le intuizioni di giovani imprenditori attraverso la realizzazione di prototipi.
A ricordarci l’importanza della produzione di biomasse organiche ed
il conseguente impatto positivo che questo settore potrebbe generare su
occupazione e gestione del territorio rurale, è Rachele Invernizzi,
responsabile di South Hemp Tecno, impianto di prima trasformazione della
paglia di canapa nato due anni fa a Crispiano,
Taranto. “Se non ci fossero stati impianti di prima trasformazione, in
Puglia non si iniziava davvero a coltivare canapa industriale in modo
massiccio”, dice Rachele, sottolineando che “la canapa industriale è il
futuro dell’economia ed è una grandissima opportunità sia per
l’agricoltura che per tutti i reparti industriali”.
La paglia di canapa, considerata scarto della coltivazione di canapa
industriale, rappresenta invece una materia prima seconda di grande
qualità che ha tantissimi utilizzi in svariati ambiti, dalla carta, alle
bioplastiche, ai pannelli per l’isolamento in edilizia, per citare solo alcuni esempi, rappresentando una risorsa preziosissima.
Sulla valorizzazione dello scarto organico in agricoltura lavora anche il CLT – Centro di Lombricoltura Toscano,
con sede in provincia di Pisa, che ha incentrato la sua attività
sull’idea di chiudere il ciclo dei rifiuti delle aziende agricole,
contribuendo alla rigenerazione dei terreni agricoli.
Marco Calcaprina, uno dei tre soci fondatori, spiega come l’azienda
toscana ha improntato un sistema che utilizza l’azione dei lombrichi per
trasformare lo scarto in fertile humus, che viene poi commercializzato
in agricoltura e giardinaggio urbano, chiudendo così il ciclo
produttivo.
Nell’ottica di ottimizzare le risorse esistenti ed intercettare lo scarto prima che diventi rifiuto si muove Funghi Espresso,
start-up fondata nel 2013 da Antonio Di Giovanni e Vincenzo
Sangiovanni. A partire da uno studio realizzato con il Centro Ricerche
Rifiuti Zero del Comune di Capannori su come valorizzare il fondo di
caffè in agricoltura, Funghi Espresso ha creato un modello produttivo
che recupera lo scarto dei bar utilizzandolo come substrato di crescita
di funghi che sfruttano le sostanze nutritive in esso contenute per il
loro metabolismo. “Vogliamo dimostrare che da uno scarto che viene
buttato via si può creare valore”, dice Antonio, “reimmettendo sul
mercato un prodotto dalle alte proprietà nutritive”. Un’impresa virtuosa
che opera all’interno della città, utilizzando proprio gli scarti che
la città stessa produce, in un ottica di urban farming.
“Quali possono essere le soluzioni per coltivare cibo
dove non si può utilizzare il suolo perché inquinato?”. È la domanda
che si pone Stefano Secci, agronomo fiorentino che insieme a Leonardo
Boganini, Chiara Casazza, Alessandra Carta, e Giulia Sala, hanno
presentato alla Fiera delle Idee il loro progetto di Modular City Farm,
un sistema per produrre cibo negli spazi residuali della città. Unendo
competenze inerenti l’architettura, il design, l’agronomia e grazie alla
collaborazione con l’azienda Cammelli, hanno sviluppato un’idea di
agricoltura urbana che operi attraverso sistemi modulari idroponici, in
cui l’acqua sostituisce la terra come substrato di crescita delle
piante. La sfida è quella di utilizzare un sistema di produzione
intensivo in ambito cittadino o addirittura domestico, nonché quella di
ripensare il recupero di acque piovane su larga scala da convogliare in
un tipo di coltivazione come questa.
Il terreno coltivabile ancora presente nella prima
periferia delle nostre città rappresenta a sua volta una risorsa da
tutelare. Maria Leo ci presenta Orto x mille,
associazione nata circa un anno fa con lo scopo di recuperare terreni
incolti ed abbandonati per insegnare alle famiglie a coltivarli in modo
naturale, creando piccoli orti familiari. L’associazione di Maria,
attraverso il progetto “Adotta il contadino” attivo a Scandicci, è
riuscita a rimettere in moto una rete di piccoli agricoltori che aiutano
le famiglie nella realizzazione di un orto sinergico. In questo modo le
conoscenze vengono tramandate, non vanno perse e le famiglie riscoprono
il valore di coltivare da soli il proprio cibo.
Il tema del futuro del cibo riveste infatti
un’importanza enorme e si lega indissolubilmente con l’Economia
Circolare. “Qualcuno deve parlare di Economia Circolare e cibo, fare
educazione in tal senso!”, afferma Antonio Gagliardi, ricercatore del Future Food Institute di
Bologna, il cui obiettivo è creare un impatto sulla società riguardo ai
temi del futuro del cibo, sia attraverso il settore educativo che
tramite l’innovazione d’impresa, aiutando le start-up a crescere e
lavorare sinergicamente con le aziende che possono finanziarle. A Lugo
di Romagna, in provincia di Ravenna, stanno realizzando una Future Farm,
un progetto pilota per chiudere in 60 ettari il concetto di Economia
Circolare.
Gli ostacoli, la sfida e uno sguardo al futuro
Tutte queste realtà hanno il grande merito di provare coraggiosamente
a cambiare le cose, dimostrando che si può fare economia e creare
prodotti di qualità anche senza razziare le risorse del pianeta. Gli
ostacoli che incontrano ogni giorno sono la misura di quanto questo
percorso sia difficile e della determinazione che hanno nel perseguire i loro progetti.
“La difficoltà più grande è stata ed è ancora quella di ottimizzare il processo”,
dice Adriana Santanocito di Orange Fiber, “passando da un prodotto
artigianale ad un processo su scala industriale”. Per fare questo ci
vogliono soldi, investimenti e competenze.
“Ci muoviamo a tentoni nel buio”, afferma Antonio Di Giovanni di
Funghi Espresso, “in un limbo normativo che ci rende difficile ogni
passo, totalmente privi di punti di riferimento certi”. Non esiste
infatti ad oggi una legislatura definita in merito al recupero degli scarti.
“Lo sforzo normativo a livello europeo deve
indirizzarsi verso leggi che obblighino grandi settori, come ad esempio
quello dell’auto, ad utilizzare percentuali fisse minime di biocompositi
nei loro prodotti, aprendo così vaste aree di mercato che incentivino
lo sviluppo del settore e della ricerca”, sostiene Antonio Caruso di
Kanèsis.
I prodotti che questi imprenditori propongono vanno a toccare ambiti
commerciali dove la competizione è fortissima e ogni fetta di mercato
viene difesa strenuamente dalle grandi lobby, poco
inclini a modificare i loro modelli produttivi e sensibili alle
crescenti critiche che gli vengono mosse dal progressivo risveglio di
una coscienza ambientale collettiva. Un panorama ostile, dove “si deve
lottare contro interessi enormi, non si può mollare”, afferma Rachele
Invernizzi di South Hemp Tecno.
Per questo serve unirsi. “Fare rete e cooperazione è il futuro,
dobbiamo avere qualcuno che ci rappresenti nel dialogo con le
istituzioni politiche italiane, ma anche con la Comunità Europea”,
sottolinea Rachele Invernizzi, vicepresidente di Federcanapa –
Federazione italiana canapa che da quest’anno unisce tutte le figure del
settore, produttori, trasformatori e commercio. La rete permette di sviluppare sinergie, per attraversare questo momento di transizione.
La Fiera delle Idee di fine ottobre è stata un’occasione per
riunire a Firenze gli imprenditori che in Italia stanno facendo
innovazione a partire dagli scarti. Ecco il video con le interviste
realizzate da Alessia Macchi e Marco Orazzini, Agenti del Cambiamento, durante l’evento.