Sviluppata dalla luxemburghese Capsul’in Pro, offre la necessaria barriera all'ossigeno attraverso un'etichetta applicata nello stampo.
La società luxemburghese Capsul’in Pro ha annunciato l'introduzione sul mercato della nuova generazione di capsule caffè Zero Impact Nespresso, dotate di proprietà barriera all'ossigeno e destinate, una volta usate, al compostaggio domestico (è certificata “OK Compost Home”) o industriale attraverso la raccolta dell'organico.
Secondo la società, le capsule, compatibili con le macchine Nespresso, sono interamente biobased (da cellulosa e oli vegetali, secondo quanto si legge sul sito internet), non utilizzando nella composizione materie prime di origine fossile.
Si tratterebbe, secondo il CEO della società Laurent Lombart, della prima capsula per caffè al tempo stesso biobased e dotata di barriera all'ossigeno (OTR < 0,0009 cm3/giorno), funzione necessaria per mantenere inalterati sapore e aroma. La società ha sviluppato a questo scopo una tecnologia IML (In Mold Label) che consente di applicare nello stampo un'etichetta decorata che offre, al contempo, anche la funzione di barriera all'ossigeno.
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fonte: www.polimerica.it
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Si è svolto oggi, nell’ambito del progetto “Il Cibo è Salute“, un incontro online con gli studenti dell’Istituto Tecnico Tecnologico Da Vinci di Foligno. Tema centrale il rapporto tra Ambiente, Cibo e Salute, con uno sguardo particolare sulla prevenzione dello spreco alimentare, sulla corretta gestione dei rifiuti e sul compostaggio.
Durante l’evento, a cura di Movimento Difesa del Cittadino Perugia, sono intervenuti Tommaso Bertolini, dell’app Too Good To Go, e Enzo Favoino, ricercatore presso la Scuola Agraria del Parco di Monza e tra i fondatori dell’ECN (European Compost Network). Favoino è anche coordinatore del Comitato Scientifico di Zero Waste Europe (il network di riferimento per la strategia Rifiuti Zero in Europa) e di Zero Waste Italy e Membro del Board di ZWIA (Zero Waste International Alliance).
Un’occasione per confrontarsi con i ragazzi sull’importanza, oggi più che mai, di “salvare” i beni alimentari, riducendo quindi gli sprechi, anche a tutela della salute e dell’ambiente, minacciato dai cambiamenti climatici. Spreco alimentare, alcuni numeri
Un terzo di tutto il cibo viene sprecato, con conseguenze ambientali, sociali e ed economiche. 1,6 miliardi di tonnellate in totale, di cui 1.3 miliardi edibili e 300 tonnellate non edibili. Uno spreco che – spiega Tommaso Bertolini – si verifica lungo tutta la filiera agroalimentare.
In base a una media degli sprechi a livello globale, il 32% avviene nella fase di produzione, il 23% nella fase di trattamento e stoccaggio, il 10% in quella di lavorazione e packaging, il 13% in distribuzione e retail e il 22% nella fase di consumo. (Fonte; Fao, 2011; BCG 2018)
In Europa, in particolare, il 53% dello spreco alimentare si verifica proprio tra le mura domestiche (Fonte: EU Fusions 2016).
Numeri che mettono in luce la necessità di affrontare la problematica nel suo complesso.
“Capire da dove arriva il cibo è un gesto rivoluzionario – afferma Tommaso Bertolini. – Andare a comprare qualcosa che ha una filiera più corta, prodotto senza un determinato uso di fertilizzanti e in modo sostenibile è un gesto importante, con un impatto importante”. Come funziona l’app Too Good To Go?
Da queste premesse nasce l’idea di creare uno strumento in grado di mettere in contatto diverse realtà, dalle aziende al consumatore finale, nella lotta allo spreco alimentare.
L’app Too Good To Go, nata nel 2015 in Danimarca e presente in 13 Paesi d’Europa, permette a bar, ristoranti, forni, pasticcerie, supermercati ed hotel di recuperare e vendere online – a prezzi ribassati – il cibo invenduto “troppo buono per essere buttato”, grazie alle Magic Box. Delle “bag” con una selezione a sorpresa di prodotti e piatti freschi che non possono essere rimessi in vendita il giorno successivo.
L’utente si geolocalizza sull’app e cerca il suo store preferito nelle vicinanze. Con pochi click prenota e acquista le sue magic box. Completato l’acquisto il consumatore può andare a ritirarle, nella fascia oraria indicata, per scoprire cosa c’è dentro, mostrando tramite cellulare la ricevuta.
Fonte: Too Good To Go
Un sistema che la piattaforma definisce “win win win”, in cui tutti vincono.
“Gli utenti – spiega Tommaso Bertolini – acquistano delizioso cibo invenduto a prezzi convenienti, aiutiamo l’ambiente riducendo gli sprechi e gli store riducono lo spreco e possono raggiungere nuovi clienti”.
L’app ha lanciato, inoltre, il “Patto contro lo Spreco Alimentare”, a cui diverse aziende hanno già aderito. Tra le iniziative, l’Etichetta consapevole che, posta sulla confezione del prodotto, inviterà i consumatori a verificare se i il cibo sia ancora consumabile dopo la data minima di conservazione, grazie alla presenza di una frase distintiva “Spesso buono oltre” e ad una serie di pittogrammi che consiglieranno di “osservare, annusare, assaggiare”. Il ruolo dello scarto organico
Quando il cibo non è più adatto al consumo umano cosa si può fare? Da questa domanda parte l’intervento di Enzo Favoino, che ha spiegato agli studenti in che modo può essere valorizzato lo scarto organico tramite il processo di compostaggio.
In ogni parte del mondo, Europa compresa, lo scarto organico rappresenta la gran parte del rifiuto urbano.
“Quando riusciamo a raccogliere bene lo scarto organico – spiega Enzo Favoino – si minimizza la percentuale di organico nel rifiuto residuo (indifferenziato), e il fatto di avere poco organico ci consente di ridurre la frequenza di raccolta del rifiuto residuo stesso”.
Questo produce due effetti positivi sulla raccolta dei rifiuti: una ottimizzazione operativa ed economica e un’ulteriore spinta per l’utente a separare meglio anche gli altri materiali riciclabili, come carta, plastica, vetro, metalli. Cos’è il compostaggio?
Il compostaggio è un processo biologico del tutto naturale, mediante il quale i materiali organici si decompongono grazie all’azione di microrganismi e si trasformano in “compost”, un terriccio che può essere utilizzato nel giardinaggio, nell’orto, come fertilizzante naturale.
Il processo, pur essendo naturale, va però controllato e “ingegnerizzato” – spiega Favoino – in modo da velocizzarlo, assicurare prodotti di alta qualità e minimizzare problemi come il rilascio di odori, gas serra.
Il processo avviato nel modo corretto produce, quindi, un aumento della temperatura della massa di materiale, consentendo la sanitizzazione: muoiono gli organismi dannosi e sopravvivono quelli positivi che portano avanti il processo. Muoiono, ad esempio, i patogeni delle piante.
Alcune regole per il compostaggio
Favoino spiega che vi sono due tipologie di materiali destinati al compostaggio: quelli a lenta degradazione, come paglie, potature di siepi e alberi, e quelli putrescibili, come verdure, scarto alimentare cotto, scarti di carne e pesce. La regola è, quindi, miscelare questi due materiali e il metodo più semplice è quello di disporli a strati.
Un’altra regola importante è quella di allontanare l’eccesso d’acqua che, accumulandosi alla base, determinerebbe condizioni che potrebbero causare assenza di ossigeno e quindi la putrefazione del materiale.
Per evitare l’eccesso di acqua si potrebbe, ad esempio, fare il cumulo su uno strato drenante, come un bancale di legno, che tramite le sue fessure permette di sgrondare l’acqua, o uno strato di paglia o ramoscelli spezzati grossolanamente.
Con queste poche regole si può dare via libera alla fantasia per creare diversi sistemi di compostaggio.
“Realizzato/acquistato nell’ambito del Programma generale di intervento della Regione Umbria con l’utilizzo dei fondi del Ministero dello Sviluppo Economico. Ripartizione 2018”
fonte: www.mdcumbria.it
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Il dato emerge dallo studio condotto da Consorzio Italiano Compostatori (CIC) e Corepla, nell’ambito dell’accordo annuale per le attività di monitoraggio relative alla quantità e qualità degli imballaggi in plastica e compostabili conferiti negli scarti di cucina e di giardino
È aumentata negli ultimi 3 anni la presenza di bioplastiche compostabili nella raccolta degli scarti di cucina, la cui incidenza è più che triplicata, passando dalle circa 27.000 t/anno (espresse sul secco) dell’indagine del 2016/2017 alle circa 83.000 t/anno s.s. di quella del 2019/2020. Aumenta anche la plastica tradizionale che viene erroneamente conferita nell’umido, che passa dalle circa 65.000 t/anno (espresso sul secco) del 2016/2017 alle circa 90.000 t/anno del 2019/2020.
È quanto emerge dallo studio condotto da Consorzio Italiano Compostatori (CIC) e Corepla, nell’ambito dell’accordo annuale per le attività di monitoraggio relative alla quantità e qualità degli imballaggi in plastica e compostabili conferiti negli scarti di cucina e di giardino.
Lo studio, presentato dal Direttore del CIC Massimo Centemero, si pone in continuità con quello svolto dai consorzi nel 2016/2017 e ha monitorato la composizione del rifiuto organico così da quantificare la presenza di Materiale Compostabile (MC) quale scarti di cucina e di giardino, carta, plastica compostabile, e di Materiale Non Compostabile (MNC) rappresentato da plastica tradizionale, vetro, metalli, pannolini, cialde caffè, altro.
Realizzata su un campione significativo di impianti che trattano scarti di cucina e di giardino, l’analisi ha riguardato gli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile idonei alla filiera del rifiuto a matrice organica che vengono avviati a recupero presso impianti di compostaggio e di digestione anaerobica. Inoltre, sono stati quantificati gli imballaggi in plastica tradizionale che, erroneamente, entrano nella filiera e sono considerati impurità.
“Questo studio è fondamentale per capire come avviene la raccolta differenziata da parte dei cittadini. Di conseguenza, ci permette di valutare i comportamenti da adottare come consorzi per promuovere la corretta modalità di differenziazione sia degli imballaggi in plastica tradizionale che di quelli in plastica biodegradabile e compostabile, così da migliorare la raccolta differenziata e assicurare un riciclo di qualità da entrambe le parti”, spiegano il presidente del CIC Flavio Bizzoni e il presidente del COREPLA Antonello Ciotti.
Secondo l’analisi, l’umido proveniente dalle raccolte differenziate è costituito per il 94,8% da Materiale Compostabile. Le plastiche compostabili certificate UNI 13432 presenti nei rifiuti organici sono in aumento rispetto al 2016/2017: la loro incidenza è infatti passata dall’1,5% al 3,7%. Si tratta quasi esclusivamente di bioplastica flessibile e gli imballaggi rappresentano il 70% dei manufatti in bioplastica presenti nell’umido. Lo studio ha confermato inoltre, così come per la precedente ricerca, l’assenza di bioplastiche nel compost a dimostrazione dell’effettiva degradazione della bioplastica negli impianti.
I Materiali Non Compostabili presenti nell’umido rappresentano invece il 5,2%, con un leggero aumento del +0,3% rispetto al monitoraggio 2016/2017. L’incidenza della plastica rappresenta il 3,1% del totale: il 90% della plastica presente nell’umido è flessibile e gli imballaggi rappresentano circa il 50% dei manufatti in plastica.
L’indagine ha consentito inoltre di approfondire e conoscere meglio le abitudini degli italiani in relazione ai sacchi e ai sacchetti utilizzati per il conferimento della frazione umida.
Rispetto al 2017 si nota un aumento interessante del 6,8% dei manufatti conformi alla norma. Il 63,8% dei sacchi per contenere l’umido è infatti compostabile: a farla da padrone sono le shopper in plastica compostabile (38,5%), mentre diminuiscono del 6% gli appositi per la RD del rifiuto organico (15,1%) e vengono rilevati anche sacchi compostabili appositi grandi oltre i 50 litri (2,4%). Interessante è la comparsa degli ortofrutta compostabili tra i manufatti utilizzati per conferire l’organico (7,6%), introdotti nei reparti dei supermercati a partire dal 2018.
Diminuisce, seppur ancora presente in modo significativo con una percentuale del 36,2% del totale, l’utilizzo di sacchi non compostabili, nonostante l’obbligo di raccolta con manufatti biodegradabili e compostabili: ancora alto l’utilizzo di shopper di plastica (10,6%) e di sacchi tradizionali per l’indifferenziato (21%), ma si nota una diminuzione di sacchetti per l’ortofrutta in plastica, sostituiti da quelli compostabili (passando dal 9% all’1,8%), mentre scompaiono quasi del tutto i manufatti per la raccolta rifiuti organici in plastiche additivate/OXO bio-degradabili (0,1%).
“Dobbiamo purtroppo constatare l’aumento della presenza dei Materiali Non Compostabili (MNC), di cui le plastiche tradizionali rappresentano il 60%, nelle raccolte differenziate degli scarti di cucina e giardino. Solo negli scarti di cucina i MNC sono passati dalle circa 190.000 t/a (espresse sul tal quale) rilevate nella precedente indagine del 2016/2017, alle circa 240.000 t/a t.q. di quella attuale (2019/2020)”, dichiara Flavio Bizzoni, presidente del CIC. “I dati raccolti evidenziano che il pur considerevole aumento della presenza dei manufatti flessibili in bioplastica compostabile da solo non è bastato a garantire la diminuzione delle plastiche tradizionali. Questa consistente presenza dei MNC provoca a tutta la filiera enormi costi per il loro smaltimento che, nel solo 2019, possono essere stimati in una cifra che va dai 90 ai 120 milioni di euro, con l’effetto inoltre di ‘trascinare’ allo smaltimento rilevanti quantità di materiale organico sottraendolo così alla produzione di compost di qualità”.
“Ridurre drasticamente i MNC nel settore del biowaste, che recupera ogni anno il 40,4% del rifiuto urbano differenziato - conclude Bizzoni - deve diventare una priorità per tutti, Governo e soggetti istituzionali preposti. Servono urgenti e mirati interventi, sia legislativi che di informazione, per mettere i cittadini, fulcro imprescindibile della nostra filiera, nelle condizioni di poter dare il loro determinante contributo”.
“L’analisi svolta insieme al CIC – dichiara il presidente di Corepla Antonello Ciotti – dimostra come, nonostante gli evidenti passi avanti compiuti, occorra proseguire nell’azione di sensibilizzazione e di informazione dei cittadini rispetto alle prassi di differenziazione dei rifiuti, anche a fronte dell’aumento dell’utilizzo di plastiche monouso avvenuto in concomitanza con l’emergenza sanitaria. Plastica e bioplastica sono risorse che vanno correttamente raccolte e trattate a vantaggio dell’Ambiente e di un’economia che, oggi più di ieri, guarda alla sostenibilità come ambito su cui impostare le strategie di ripresa del Paese. Corepla è da sempre impegnato su questo fronte, come dimostrano i risultati di raccolta del 2019, e intende continuare a sostenere l’affermazione di una cultura ambientale fatta di innovazione, ricerca e anche nuova occupazione qualificata, elemento, quest’ultimo, che speriamo possa contrassegnare sempre più il futuro del Paese. Proprio per questo, è evidente la necessità di rafforzare il sistema italiano di trattamento sia delle plastiche compostabili che di quelle tradizionali, ampliando la capacità del sistema paese di trattare questo tipo di rifiuto”.
Si è svolta la prima videoconferenza di Eco dalle Città sul tema raccolta differenziata nell'emergenza Covid-19: esperti concordano che non abbia senso indicare a chi è in casa in cura per il virus di buttare i suoi rifiuti nell'indifferenziato
Si è svolta venerdì 3 aprile la prima di una serie di videoconferenze, in diretta fb, organizzate da Eco dalle Città sul tema raccolta differenziata nell'emergenza Covid-19. L'obiettivo è quello di capire, attraverso il dialogo con alcuni dei maggiori esperti nazionali e addetti ai lavori, in che modo preservare la raccolta differenziata dei rifiuti urbani e le filiere del riciclo in questo momento così complicato che il paese sta vivendo. Le direttive del Governo e dell'Istituto Superiore di Sanità, riprese dagli enti locali, indicano che nelle case dei soggetti positivi al Coronavirus la differenziata debba essere sospesa e tutti i rifiuti debbano necessariamente essere conferiti nell'indifferenziato, per evitare qualsiasi rischio di contaminazione e di contagio. Non tutti però sono d'accordo.
In questo primo appuntamento ci siamo concentrati sulla raccolta del rifiuto organico e del relativo compostaggio. Sono intervenuti Roberto Cavallo, scrittore e divulgatore scientifico, Alberto Confalonieri, CIC Consorzio Italiano Compostatori, Carmine Pagnozzi, direttore di Assobioplastiche, ed Enzo Favoino, della Scuola Agraria del Parco di Monza e direttore scientifico di Zero Waste Europe. Il dibattito ha messo in evidenza e rafforzato la convinzione che, soprattutto per quanto riguarda l'organico, sia assolutamente esagerato il timore che la sua raccolta differenziata e il successivo compostaggio possano essere veicolo di contagio.
Cavallo, Favoino e Confalonieri sono d'accordo sul fatto che non abbia senso indicare a chi è in casa in quarantena, in isolamento, o in cura per il virus di buttare i suoi rifiuti nell'indifferenziato anzichè nell'umido. Anzi per tutta una serie di protocolli e aspetti tecnici relativi al trattamento negli impianti, assolutamente precedenti alla pandemia, la gestione dell'umido risulta particolarmente sicura. Per quanto riguarda poi il percorso dei rifiuti dal sacchetto domestico - su cui Pagnozzi ha sottolineato il ruolo importante delle bioplastiche - al bidone e dal bidone ai mezzi di raccolta e agli impianti, non c'è nessun motivo razionale o scientifico per ritenere che l'indifferenziato sia più "sicuro".
"Sembra quasi che si guardi al coronavirus come a una peste o a un colera che prolifera nelle bucce marce e che va sanato col fuoco - ha detto a margine dell'incontro Paolo Hutter - E' stato avviato un dialogo con Istituto superiore di Sanità e con Ispra ma per ora predomina ancora l'indicazione ai malati o sospetti tali di conferire nell'indifferenziato. A partire da questo incontro si cercherà di far retrocedere i pregiudizi e rimettere il discorso su basi razionali".
Per quanto riguarda i dati "si nota - ha detto Confalonieri - un leggero calo della quantità di organico conferita agli impianti. Ciò forse non dipende dalle prescrizioni 'igieniche' di cui sopra, ma dal calo drastico della ristorazione collettiva e dei mercati dell'ortofrutta e probabilmente anche da una maggiore cura della gestione del cibo a casa".
Da una raccolta differenziata al mercato di Porta Palazzo sotto al 50% per arrivare sopra il 75%. E’ questo il primo importante risultato di tre anni di #RePopp, il progetto per la valorizzazione dell’organico, il recupero del cibo invenduto e l’educazione ambientale al mercato all’aperto più grande d’Europa. “Un dato straordinario contando la complessità e il numero di ambulanti presenti, circa 260” sottolinea Luigi Vendola dell’associazione Eco dalle Città che coordina il progetto #RePopp. “Un altro dato significativo riguarda il recupero delle eccedenze alimentari. Nel 2017 abbiamo recuperato quasi 56 tonnellate di cibo. Nel 2018 quasi 67. E ad oggi siamo già a 79 tonnellate nel 2019. Tanto cibo che viene redistribuito al momento. E pensiamo al valore economico, calcolando 50 centesimi al chilo, possiamo dire che abbiamo reimmesso in circolo 40 mila euro di frutta e verdura”.
“Mi sono fatto l’idea che questo sia un caso unico al mondo. Per tutte le ricerche che abbiamo compiuto fin ora, non mi pare che esista al Mondo in un mercato all’aperto un intervento che si svolge tutti i giorni, tutto l’anno, organizzato che redistribuisce sul posto la frutta e la verdura invendute e che sia anche un lavoro” sottolinea Paolo Hutter, presidente dell’associazione Eco dalle Città. “Questa non è un impegno che si basa sul volontario ma ora si svolge principalmente sul lavoro. E stiamo lavorando con un appoggio che si sta per concretizzare da parte del Comune di tipo materiale e sostanziale. Cercheremo – ha aggiunto Paolo Hutter – di portare questa esperienza unica al Mondo in sedi europee ed internazionali come la COP25 di Madrid e la Cumbre Social Alternativa in Cile”.
“Quando capita che la Città va in giro in Europa, incontriamo altri partner e parliamo di ambiente, si dicono più o meno le stesse cose. Ma quando raccontiamo il progetto RePopp a Porta a Palazzo, ci guardano come se ‘fossimo scesi dalla Luna’ e ci dicono che vorrebbero fare anche loro questo progetto” ha sottolineato l’assessore all’Ambiente, Alberto Unia. “Il progetto è iniziato nel 2016 con l’assessore che mi ha preceduto, poi io l’ho portato avanti. E’ sempre stato fortemente voluto dall’Amministrazione. Noi ci crediamo tanto in questo progetto. Ci crediamo perché ha un valore sociale, morale ed ecologico incredibile. Penso che questo sia veramente il progetto con la P maiuscola. E’ molto complicato per una Città portarlo avanti, anche per motivi burocratici. Devo dire che ce la facciamo anche grazie all’impegno di Sentinelle dei Rifiuti, Ecomori e dei partner (Amiat, Novamont, Sea) dando un importante messaggio alla cittadinanza”.
“Il Comune ha ben accettato questa iniziativa. Questo è un lavoro ed è per questo che ci siamo impegnati a sostenerlo fattivamente. Questo lavoro porta avanti una filosofia che dovrebbe essere di tutti. Per questo abbiamo invitato i protagonisti di RePopp a parlare più volte in Comune” ha evidenziato Federico Mensio, presidente della Commissione consiliare Ambiente del Comune di Torino. “Non si tratta solo di non sprecare. Si tratta di capire che stiamo facendo qualcosa di riduzione di qualcosa che neanche dovremmo buttare. E’ da incivili buttare il cibo oggi, più di quanto lo era anni fa. Un altro aspetto è l’opportunità per le persone che sono qua e che stanno lavorando per noi. Abbiamo anche ospitato in Commissione in passato alcuni richiedenti asilo che animavano il progetto, in un momento che le persone arrivate in Italia correvano il rischio di essere mandati via solo perché non avevano una firma su un foglio (oggi si è avviato l’inserimento lavorativo di alcuni dei rifugiati dell’Africa Occidentale che avevano iniziato l’esperienza Ecomori come volontari NdA)”.
“Sui mercati la raccolta differenziata a Torino c’è da tanti anni” ricorda Marco Rossi, Direttore Servizi Territoriali di Amiat. “Abbiamo iniziato a farla 15 anni fa. Ad un certo ci siamo resi conto che mentre tanti mercati avevano raggiunto percentuali interessanti intorno al 55-60%, a Porta Palazzo eravamo fermi al 30. Ci eravamo convinti che questo mercato fosse ‘un’altra cosa’ per una via della sua intrinseca complicazione, dimensione ed eterogeneità. Nel 2016 ci sono venuti a parlare di questa idea, proponendo il miglioramento della raccolta differenziata dell’organico insieme alla redistribuzione del cibo. All’inizio – racconta Rossi – ero perplesso. Ma vendendo l’entusiasmo di Eco dalle Città, dell’assessorato e dei suoi tecnici, ci siamo convinti. A tre anni di distanza possiamo dire che è stata una storia di successo. E i risultati danno ragione e non ho dubbi che in Europa venga considerata un’eccezione e una perla nel panorama delle iniziative di sostenibilità ambientale”.
Alla presentazione dei risultati di tre anni di RePopp (che si è svolta sabato 16 novembre 2019 presso il Mercato Centrale) sono intervenuti Massimo Guglielmo e Enzo Tutone della Sea srl che opera a Porta Palazzo. “Una collaborazione proficua con il progetto RePopp” secondo i rappresentanti di Sea che hanno annunciato l’arrivo di nuovi compattatori completamente elettrici che “renderanno ancora più sostenibile” l’iniziativa.
Infine, Flavia Vigoriti, Business Communication Specialist di Novamont, ha aggiunto: “L’entusiasmo di questo progetto è contagioso. Fin dall’inizio abbiamo creduto nel progetto. Vedere che dopo tre anni i numeri crescono e i risultati sia sociali che ambientali sono sempre migliori è un elemento che ci fa credere ancora di più in RePopp per supportarlo e sostenerlo in futuro. Continuate così perché Porta Palazzo può essere un modello per mostrare all’esterno che recuperare cibo, coinvolgendo persone in difficoltà, non è una follia ma può essere replicabile. Si può fare. Lo abbiamo dimostrato e lo state dimostrando” ha concluso Flavia Vigoriti.
Che fine fanno le bucce di tutte le arance che spremiamo, a casa o al bar, per bere un succo fresco? Nella maggior parte dei casi finiscono, inevitabilmente, tra i rifiuti organici (quando vengono differenziate correttamente). Ma non deve essere per forza così. Le bucce possono essere riutilizzate per produrre nuovi oggetti, ad esempio i bicchieri in cui bere la spremuta stessa. Lo dimostra ‘Feel the Peel’, il juice bar circolare sperimentale ideato dallo studio di design Carlo Ratti Associati (CRA), in collaborazione con Eni, che si sta preparando a girare l’Italia per dimostrare come funziona il suo approccio all’economia circolare.
Già, ma come funziona? Il prototipo è sormontato da una spettacolare cupola di arance (circa 1.550), che scendono una dopo l’altra lungo i binari della macchina, ogni volta che si ordina una spremuta. I frutti cadono quindi nella spremitrice, che taglia le arance in due per estrarre il succo. Le bucce, invece, cadono nella parte inferiore della macchina, dove si accumulano.
Una volta essiccate, le bucce vengono polverizzare e miscelate con acido polilattico (Pla), un biopolimero di origine vegetale, per produrre una bioplastica utilizzata come materia prima da una stampante 3D per realizzare i bicchieri in cui, rispettando i principi dell’economia circolare, viene servita la spremuta stessa. Una volta usati, questi bicchieri possono essere smaltiti nell’organico.
Siglato un accordo tra CIC e Corepla per lo studio e il monitoraggio della raccolta differenziata di materiali organici: ad oggi, ogni anno tra gli scarti compostabili vengono trovate circa 230 tonnellate di plastica.
CIC (Consorzio Italiano Compostatori), organizzazione dedita alla promozione e alla valorizzazione delle attività di riciclo di materiali organici per la produzione di compost e biogas, e il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica Corepla, sono le due firme protagoniste di un accordo raggiunto lo scorso giugno per il quale i due enti si impegnano a collaborare in attività di studio, ricerca e monitoraggio della quantità di imballaggi in bioplastica compostabile, ma anche e soprattutto di plastiche comuni, all’interno degli impianti di riciclo organico.
L’obiettivo di questa collaborazione è migliorare la qualità intrinseca della raccolta differenziata dei rifiuti organici, anche se passi avanti in questo senso si stanno registrando sin dal momento dell’introduzione della raccolta porta a porta in sostituzione di quella stradale. Si tratta di un miglioramento assolutamente necessario per il raggiungimento di uno standard qualitativo della raccolta più elevato e quindi per l’ottenimento di un compost sempre più puro.
Il compost è una risorsa fondamentale se si vuole virare efficacemente verso un’economia circolare, un elemento la cui importanza prende vita dall’idea che un materiale di scarto possa a sua volta divenire una materia prima utile per dare il via a nuovi cicli produttivi.
I rifiuti organici che ognuno di noi produce quotidianamente sono destinati a impianti dedicati dove, riproducendo in maniera artificialmente accelerata quelle che sarebbero le normali fasi del ciclo della natura, vengono trasformati in fertilizzanti (compost) per l’agricoltura in sostituzione di concimi sintetici. Dalla terra coltivata arrivano poi tutti quei prodotti che puntualmente ritroviamo sulle nostre tavole, i cui scarti saranno a loro volta raccolti e ritrasformati in compost, in un ciclo perpetuo nel quale un prodotto diventa rifiuto, che a sua volta si trasforma in risorsa.
Durante le fasi di smistamento successive alla raccolta, tra i rifiuti organici si rileva continuamente la presenza di plastiche non compostabili gettate erroneamente. Si stima che in un anno le impurità presenti nei rifiuti organici arrivino a circa 230 tonnellate, da cui conseguono i relativi sprechi di energie e denaro.
Ecco perché è necessario dare un’enorme importanza agli studi per una raccolta differenziata tanto corretta quanto responsabile. CIC, da più di 25 anni, lavora in questa direzione, monitorando le fasi della filiera del riciclo dei rifiuti organici, dal loro recupero fino alla trasformazione in compost.
L’obiettivo delle attività di ricerca e monitoraggio avviate dall’accordo tra CIC e Corepla è quello di riuscire ad aumentare gli standard qualitativi dei rifiuti, responsabilizzando la cittadinanza e cercando soluzioni per una raccolta differenziata più efficace che possa ridurre al minimo le possibilità di errore.
Raccolta differenziata importante anche in vacanza. Una corretta gestione dei rifiuti vuol dire mantenere le buone abitudini quotidiane anche durante viaggi e villeggiatura, prendendosi cura dell’ambiente anche quando ci si diverte o ci si rilassa. A questo proposito il Consorzio Italiano Compostatori (CIC) ha diffuso un vademecum dedicato proprio a chi è in procinto di partire o si trova già sul luogo di destinazione.
Una corretta raccolta differenziata anche in vacanza permette di non sprecare importanti risorse, spiegano gli esperti CIC, con la quota di organico adatta a diventare fertilizzante per alberi e arbusti, nonché utile per procedere alla pacciamatura e al controllo delle erbe infestanti. Come ha sottolineato Alessandro Canovai, presidente CIC:
Grazie ad una buona raccolta differenziata dei rifiuti organici si ottiene il compost, un fertilizzante naturale che può essere utilizzato ad esempio nell’orto, per una concimazione di fondo che favorisca un buon nutrimento per le piante.
Sono 8 le indicazioni del Consorzio Italiano Compostatori per non sbagliare con la raccolta differenziata in vacanza. Ecco quali sono gli errori da non commettere e le buone pratiche da adottare:
Informarsi sulle modalità di raccolta nel luogo scelto per le vacanze, soprattutto se si è affittato un appartamento, così da adattarsi a quanto richiesto dai consorzi locali di gestione dei rifiuti.
Scaricare l’app eventualmente messa a disposizione dal Comune in cui ci si recherà per le vacanze, così da essere informati di tutte le pratiche richieste per una corretta gestione della raccolta differenziata.
Utilizzare il sacchetto giusto per la raccolta dell’umido, che deve riportare la dicitura “biodegradabile e compostabile”, oltre a quella che identifica lo standard europeo “UNI EN 13432:2002″, e il logo rilasciato dall’ente di certificazione (ad esempio il marchio “Compostabile CIC”).
Ricordarsi che nell’umido possono essere gettati tutti gli scarti della preparazione dei cibi, ma in nessun caso oggetti in plastica, metallo o vetro.
È consigliato far sgocciolare i rifiuti prima di buttarli e se necessario ridurli a pezzetti.
Utilizzare stoviglie compostabili.
Moderarsi con gli acquisti e comprare soltanto gli alimenti che si è in grado di consumare, riducendo così gli sprechi.
In caso di avanzi armarsi di un po’ di fantasia e recuperarli utilizzandoli per preparare nuovi piatti.
Gli autobus di Londra hanno cominciato ad essere alimentati con un biocarburante, denominato B20, composto per il 20% da olio di caffè, grazie alla collaborazione tra Shell, Argent Energy e bio-bean, un’azienda britannica specializzata nello sviluppo di combustibile e carburante derivato dai residui del caffè. L’utilizzo di questa miscela di olio minerale e olio di caffè non richiede modifiche ai motori dei bus e fornisce una soluzione energetica più pulita e sostenibile attraverso il riutilizzo di quelli che altrimenti sarebbero trattati come rifiuti, diminuendo le emissioni nocive in atmosfera.
Biocarburanti che utilizzano olio ricavato da scarti alimentari sono già utilizzati sui 9.500 autobus del trasporto pubblico londinese ma questa è la prima volta che si utilizzano scarti del caffè, che vengono raccolti da bio-bean presso grandi catene commerciali e fabbriche, essiccati e poi processati per l’estrazione dell’olio. Insieme al partner Argent Energy, questo olio viene poi trasformato in miscela di biocarburante B20.
Sinora, sono stati prodotti 6 mila litri di olio di caffè che, se utilizzati come miscela pura per la componente bio del carburante e mescolato con diesel per formare il B20, potrebbe aiutare ad alimentare l’equivalente di un autobus di Londra per un anno. Secondo i dati della British Coffee Association, nel Regno Unito si consumano circa 55 milioni di caffè al giorno, che equivalgono a quasi 21 miliardi l’anno. “Abbiamo iniziato nel Regno Unito, ma immaginate cosa potremmo fare in un Paese come l’Italia, che consuma più di 39 miliardi di tazze di caffè all’anno. Ripensando l’approccio ai rifiuti in ottica di economia circolare, possiamo creare città più smart e un futuro migliore per tutti”, afferma il fondatore di bio-bean, Arthur Kay.
Filiera Consorzio Italiano Compostatori, primo settore recupero
Sono oltre 65 milioni di tonnellate i rifiuti raccolti e
trasformati in 23,5 milioni di tonnellate di compost, e che
hanno evitato l'emissione di 44 milioni di tonnellate di CO2
equivalente. Questi i numeri delle performance relative ai primi
25 anni di attività del CIC, il Consorzio Italiano Compostatori
che oggi celebra 25 anni di attività.
Partendo da un rifiuto, attualmente siamo in grado di
produrre compost di elevata qualità, combustibili puliti che
potranno alimentare automobili e mezzi di trasporto pubblico,
composti naturali utili per l'agroindustria, l'agricoltura e la
farmaceutica. La raccolta della frazione organica (umido +
verde) rappresenta oggi il primo settore di recupero in Italia
con il 43% dei rifiuti urbani raccolti in maniera differenziata.
Molte delle 127 aziende associate - con 308 impianti attivi che
trattano 8,1 milioni di tonnellate di rifiuto organico ogni anno
- si stanno trasformando in bioraffinerie, veri e propri poli
tecnologici che, oltre al compost, producono anche biogas e
biometano. Oggi la filiera conta 9.000 addetti e 1,7 miliardi di
euro di fatturato.
Nei 25 anni di attività, il CIC ha raccolto e sottratto alle
discariche oltre 65 milioni di tonnellate di rifiuti, che
avrebbero occupato un volume di oltre 100 milioni di metri cubi,
uno spazio grande come 5 volte il Colosseo. Questa enorme mole
di rifiuti è stata trasformata in 23,5 milioni di tonnellate di
compost, contribuendo a stoccare nel terreno oltre 7 milioni di
tonnellate di sostanza organica. Non solo: l'utilizzo del
compost in sostituzione di altri prodotti per la
fertilizzazione, come i concimi minerali e di sintesi, ha
portato ad una riduzione dei costi di circa 650 milioni di euro
nel settore agricolo. "E' improcrastinabile - conclude
Alessandro Canovai presidente del CIC - un serio piano di
infrastrutturazione impiantistica che preveda la realizzazione
di almeno 20 nuovi impianti nei prossimi 5 anni incentrate
soprattutto nel Centro e Sud del paese e in alcune grandi città,
a partire da Roma, pensando ai nuovi poli tecnologici, come le
bioraffinerie, in grado di trasformare rifiuti in nuove risorse
con grandi vantaggi anche per l'occupazione".
Alle porte di Grosseto vive da decenni una comunità senza denaro o negozi, ma con la raccolta differenziata
A Nomadelfia non ci sono né proprietà privata né oggetti posseduti
dai singoli: tutti i beni sono infatti in comune, non circola denaro,
si lavora all’interno della comunità e non si è pagati per farlo.
Conseguentemente, a Nomadelfia non esistono neanche negozi e men che
meno supermercati, ma dei magazzini dove vengono distribuiti
generi alimentari e abbigliamento secondo le necessità dei vari gruppi
familiari, in proporzione al numero delle persone e secondo le esigenze
dei singoli. “Da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri
bisogni”, verrebbe da dire, non fosse che Nomadelfia non è un avamposto
marxista in Toscana, bensì una comunità che si definisce “un popolo di
volontari cattolici che vuole costruire una nuova civiltà fondata sul
Vangelo”, la cui esperienza si mantiene viva e vegeta alle porte di Grosseto ormai dal 1952. Fondata da don Zeno, in un fazzoletto di 4 kmq regolato (anche) da
una propria Costituzione, Nomadelfia è costituita oggi da 300 persone,
in gruppi di 50 famiglie riunite in “gruppi familiari” che condividono
tutto: dagli alloggi ai figli. Una piccola “nazione” riconosciuta dallo
Stato come associazione civile organizzata sotto forma di cooperativa di
lavoro, e dalla Chiesa come Parrocchia e associazione tra fedeli, cui
si aderisce per libera scelta e da cui si è liberi di ritirarsi in
qualsiasi momento. Da decenni la primaria forma di sostegno di questa comunità è costituita dall’agricoltura (nella foto scatto tra le vigne, ndr),
ma a Nomadelfia il tempo non si è fermato. I nomadelfi hanno ben
presente la complessità del mondo in cui anche il loro progetto di vita è
inserito, e non chiedono di esserne affrancati. Per capirlo è utile osservare il funzionamento di questa così
particolare comunità dal prisma dei rifiuti, che nell’odierno mondo
occidentalizzato rappresentano l’altra faccia di una società basata sul
consumo. Una comunità che lavora la terra, non conosce denaro né negozi,
quali rifiuti potrà mai produrre? La risposta è un bagno di realismo:
se la frazione organica viene data come mangime agli animali o
compostata direttamente, per i restanti materiali vale la regola della
raccolta differenziata. Carta, cartone, ma anche rifiuti ingombranti,
Raee, eccetera: i nomadelfi raccolgono in modo differenziato tutti
questi loro rifiuti all’interno della propria comunità, ma com’è normale
che sia una volta esaurita questa minuziosa operazione la spazzatura
non sparisce. E deve essere gestita in modo sostenibile. Nella fattispecie ad occuparsene è Sei Toscana, gestore unico di
tutto l’Ato Toscana Sud, che d’accordo con la comunità raccoglie i
rifiuti per poi inviarli ai propri impianti, gli stessi che servono gli
abitanti dei 105 comuni dell’Ato. I rifiuti organici possono infatti
tornare alla terra una volta compostati, ma i rifiuti elettronici (Raee)
la plastica, i metalli o il vetro non possono farlo. Sono figli della
modernità, e anche a una modernità senza capitalismo occorrono gli
appropriati impianti industriali per gestire in modo sostenibile i
propri scarti. Non a caso i nomadelfi hanno chiesto a Sei Toscana un incontro perché
venisse presentato loro come funziona davvero il ciclo integrato dei
rifiuti. Ieri alcuni rappresentati dell’azienda si sono recati a
Nomadelfia e – come spiega l’azienda in una nota – hanno trovato un
pubblico attento e desideroso di avere tutte le informazioni utili per
svolgere al meglio il compito di cittadini responsabili nel dare il
proprio contributo nella tutela dell’ambiente. Quando si tratta di
ambiente, nessun uomo è un’isola. «I nomadelfi – spiegano da Sei Toscana – ci tengono molto a fare la
loro parte di cittadini responsabili dell’ambiente e non solo di quello
in cui vivono: l’incontro richiesto era proprio fatto nell’ottica di
saperne di più e sentirsi partecipi ed integrati di un sistema complesso
come quello della gestione dei rifiuti». Ed è per questo che anche i
ragazzi della comunità (che seguono un percorso educativo interno ed
auto organizzato) si sono già candidati a partecipare alla prossima
edizione di “Ri-Creazione”, il progetto di educazione ambientale che Sei
Toscana organizza per le scuole di tutti i Comuni serviti e che
quest’anno vede la partecipazione di oltre 7000 studenti.
Le norme nazionali, in contrasto con
quelle europee, stavano per affamare la filiera del compostaggio in
Italia a vantaggio dei bruciatori a biomassa. Ma una interrogazione del
M5S in Europa colpisce nel segno.
Sfalci e potature di parchi e giardini sono rifiuti organici e
pertanto vanno compostati. La nuova normativa nazionale voluta dal fu
Governo Renzi, che permette invece di bruciarli come biomassa e che
stava privando la filiera del compostaggio in Italia di una materia
preziosa, finirà sotto la lente d’ingrandimento della Commissione
Europea.
E’ il succo della risposta datata 21 dicembre ad una interrogazione che ho presentato l’11 novembre 2016 e cofirmata dai colleghi Castaldo, Evi e Borrelli. I testi di interrogazione e risposta sono anche in fondo al post.
Il destino da riservare a sfalci e potature sembra solo un dettaglio: in realtà è una questione di notevole importanza. Ogni anno, l’Italia produce circa 5,7 milioni di tonnellate di rifiuti organici, di cui 1,9 milioni
(un terzo) sono costituiti da sfalci e potature provenienti da giardini
pubblici e privati. Sfalci e potature sono un’importantissima parte
“strutturante” del compostaggio, il processo che trasforma in
preziosissimo concime biologico gli scarti organici e alimentari e
restituisce alla terra ciò che essa ci ha dato sotto forma di cibo e di
verde urbano. Grazie a questo “strutturante”
si possono compostare con maggiore facilità e migliori risultati i
materiali putrescibili come gli scarti di cucina. La possibilità di
bruciare sfalci e potature esiste in Italia da pochi mesi ed ha rappresentato un duro colpo per le filiere virtuose del riciclo organico e dell’economia circolare.
Tuttavia, come abbiamo ripercorso nella nostra interrogazione, questo contrasta con le norme europee. La direttiva sui rifiuti 2008/98,
all’articolo 3 punto 4, definisce come “rifiuto organico” i “rifiuti
biodegradabili di giardini e parchi, rifiuti alimentari e di cucina
prodotti da nuclei domestici, ristoranti” eccetera, e dice all’articolo
22 che la loro destinazione è il compostaggio.
Anche il decreto legislativo 205 del 3 dicembre 2010, che recepisce la direttiva europea nella normativa italiana integrando il decreto legislativo 152/06, classifica sfalci e potature come “rifiuti organici”, destinati dunque al compostaggio. I problemi, in Italia, nascono dalla legge 154 del 2016 (il cosiddetto “collegato agricoltura”),
che all’articolo 41 modifica il decreto legislativo 152/06 ed inserisce
anche sfalci e potature tra i materiali da escludere dalla definizione
di rifiuto, consentendo di bruciarli come biomassa a fini energetici.
Pratica che non è permessa in nessun altro Stato UE.
Il tentativo di sopprimere tale esclusione era già stato portato avanti a livello nazionale da diversi esponenti del m5s, come Alberto Zolezzi, Massimo De Rosa (Camera), Paola Nugnes (Senato). Purtroppo, senza successo data la testardaggine del Ministero Agricoltura.
In seguito alla nostra interrogazione i principi dell’economia circolare verranno difesi e la filiera nazionale del compostaggio potrà tirare un sospiro di sollievo.
Qui sotto il testodella nostra interrogazione su sfalci e potature e la risposta del commissario Karmenu Vella a nome della Commissione Europea.
Si sta diffondendo anche in
Italia un nuovo modello economico che fa dello scarto la materia prima
per la produzione di nuovo valore, vantaggi nel sociale e nuovi posti di
lavoro. La Fiera delle Idee, ospitata dalla manifestazione culturale
Novo Modo, è stata l'occasione per conoscere alcuni imprenditori
virtuosi rappresentativi della cosiddetta Economia circolare.
In un’epoca in cui le risorse sono diventate scarsissime e parlare di
utilizzo massiccio di materie prime diventa quasi anacronistico, l’Economia Circolare
risveglia in noi la voglia di cambiare le cose, secondo un nuovo
paradigma in cui il rifiuto in quanto tale non esiste più ed i processi
produttivi utilizzano solo materie prime seconde realizzate a partire da
scarti di altre filiere.
Se l’impianto teorico è già affascinante di per sé, poter incontrare
di persona chi questo tipo di economia la sta portando avanti ogni
giorno è semplicemente emozionante e ci dà la misura di quanto questa
scelta coraggiosa e lungimirante sia indispensabile per il futuro del nostro pianeta.
Grazie all’ospitalità di Novo Modo 2016ed
al supporto di FIRST Toscana, nasce la Fiera delle Idee, “una fucina di
belle intelligenze che stanno scommettendo sulla propria intuizione”,
come la definisce Giovanni Gheri, libraio di LibriLiberi, ideatore
dell’iniziativa insieme ad Antonio Di Giovanni, cofondatore di Funghi Espresso, una tre giorni incentrata sul toccare con mano cosa significa fare Economia Circolare oggi.
“La Bioeconomia, definita il cuore biologico
dell’Economia Circolare, conta per il 7,9% del nostro PIL nazionale, con
un valore che oggi in Europa si aggira intorno ai 20.000 miliardi di
euro stimati” ricorda Irene Ivoi, moderatrice della tavola rotonda che
da molti anni si occupa del tema dell’economia circolare da un punto di
vista del design di prodotto. Si capisce quindi che non stiamo parlando
di realtà secondarie, ma di numeri che hanno le potenzialità per
cambiare le carte in tavola.
I volti dell’Economia Circolare
“La buccia vale più del succo”, esordisce Adriana Santanocito cofondatrice insieme a Enrica Arena di Orange Fiber,
start-up siciliana che crea filati a partire dagli scarti di spremitura
delle arance, il cosiddetto “pastazzo”. Consapevoli che la moda è il
secondo settore più inquinante al mondo, le due giovani imprenditrici
hanno sperimentato un tipo di produzione che riduca questo impatto,
utilizzando come materia prima per produrre i loro
tessuti quello che veniva considerato solo rifiuto: il sottoprodotto
dell’industria agrumicola rappresenta infatti un problema per le aziende
di spremitura, che solo in Italia generano ogni anni 700.000 tonnellate
di pastazzo da smaltire a caro prezzo.
“Il pastazzo d’agrumi potrebbe essere usato non solo nel tessile, ma
trasformato per ottenere oggetti di uso comune, sostituendo materie
prime che provengono dall’industria del petrolio”, dice Giovanni
Milazzo, cofondatore insieme ad Antonio Caruso di Kanèsis.
Questi due giovani catanesi studiano da anni i polimeri provenienti da
materiali vegetali e affermano senza paura che tutte le materie prime si
possono ricavare dagli scarti.
L’idea che sta alla base di Kanésis è quindi quella di rimpiazzare la
plastica con biocompositi e alla Fiera delle Idee ci mostrano un primo
prodotto sviluppato dalla canapa sotto forma di filamento per stampanti
3d, utilizzandolo sotto i nostri occhi grazie all’aiuto di Fab Lab,
associazione culturale che supporta le intuizioni di giovani imprenditori attraverso la realizzazione di prototipi.
A ricordarci l’importanza della produzione di biomasse organiche ed
il conseguente impatto positivo che questo settore potrebbe generare su
occupazione e gestione del territorio rurale, è Rachele Invernizzi,
responsabile di South Hemp Tecno, impianto di prima trasformazione della
paglia di canapa nato due anni fa a Crispiano,
Taranto. “Se non ci fossero stati impianti di prima trasformazione, in
Puglia non si iniziava davvero a coltivare canapa industriale in modo
massiccio”, dice Rachele, sottolineando che “la canapa industriale è il
futuro dell’economia ed è una grandissima opportunità sia per
l’agricoltura che per tutti i reparti industriali”.
La paglia di canapa, considerata scarto della coltivazione di canapa
industriale, rappresenta invece una materia prima seconda di grande
qualità che ha tantissimi utilizzi in svariati ambiti, dalla carta, alle
bioplastiche, ai pannelli per l’isolamento in edilizia, per citare solo alcuni esempi, rappresentando una risorsa preziosissima.
Sulla valorizzazione dello scarto organico in agricoltura lavora anche il CLT – Centro di Lombricoltura Toscano,
con sede in provincia di Pisa, che ha incentrato la sua attività
sull’idea di chiudere il ciclo dei rifiuti delle aziende agricole,
contribuendo alla rigenerazione dei terreni agricoli.
Marco Calcaprina, uno dei tre soci fondatori, spiega come l’azienda
toscana ha improntato un sistema che utilizza l’azione dei lombrichi per
trasformare lo scarto in fertile humus, che viene poi commercializzato
in agricoltura e giardinaggio urbano, chiudendo così il ciclo
produttivo.
Nell’ottica di ottimizzare le risorse esistenti ed intercettare lo scarto prima che diventi rifiuto si muove Funghi Espresso,
start-up fondata nel 2013 da Antonio Di Giovanni e Vincenzo
Sangiovanni. A partire da uno studio realizzato con il Centro Ricerche
Rifiuti Zero del Comune di Capannori su come valorizzare il fondo di
caffè in agricoltura, Funghi Espresso ha creato un modello produttivo
che recupera lo scarto dei bar utilizzandolo come substrato di crescita
di funghi che sfruttano le sostanze nutritive in esso contenute per il
loro metabolismo. “Vogliamo dimostrare che da uno scarto che viene
buttato via si può creare valore”, dice Antonio, “reimmettendo sul
mercato un prodotto dalle alte proprietà nutritive”. Un’impresa virtuosa
che opera all’interno della città, utilizzando proprio gli scarti che
la città stessa produce, in un ottica di urban farming.
“Quali possono essere le soluzioni per coltivare cibo
dove non si può utilizzare il suolo perché inquinato?”. È la domanda
che si pone Stefano Secci, agronomo fiorentino che insieme a Leonardo
Boganini, Chiara Casazza, Alessandra Carta, e Giulia Sala, hanno
presentato alla Fiera delle Idee il loro progetto di Modular City Farm,
un sistema per produrre cibo negli spazi residuali della città. Unendo
competenze inerenti l’architettura, il design, l’agronomia e grazie alla
collaborazione con l’azienda Cammelli, hanno sviluppato un’idea di
agricoltura urbana che operi attraverso sistemi modulari idroponici, in
cui l’acqua sostituisce la terra come substrato di crescita delle
piante. La sfida è quella di utilizzare un sistema di produzione
intensivo in ambito cittadino o addirittura domestico, nonché quella di
ripensare il recupero di acque piovane su larga scala da convogliare in
un tipo di coltivazione come questa.
Il terreno coltivabile ancora presente nella prima
periferia delle nostre città rappresenta a sua volta una risorsa da
tutelare. Maria Leo ci presenta Orto x mille,
associazione nata circa un anno fa con lo scopo di recuperare terreni
incolti ed abbandonati per insegnare alle famiglie a coltivarli in modo
naturale, creando piccoli orti familiari. L’associazione di Maria,
attraverso il progetto “Adotta il contadino” attivo a Scandicci, è
riuscita a rimettere in moto una rete di piccoli agricoltori che aiutano
le famiglie nella realizzazione di un orto sinergico. In questo modo le
conoscenze vengono tramandate, non vanno perse e le famiglie riscoprono
il valore di coltivare da soli il proprio cibo.
Il tema del futuro del cibo riveste infatti
un’importanza enorme e si lega indissolubilmente con l’Economia
Circolare. “Qualcuno deve parlare di Economia Circolare e cibo, fare
educazione in tal senso!”, afferma Antonio Gagliardi, ricercatore del Future Food Institute di
Bologna, il cui obiettivo è creare un impatto sulla società riguardo ai
temi del futuro del cibo, sia attraverso il settore educativo che
tramite l’innovazione d’impresa, aiutando le start-up a crescere e
lavorare sinergicamente con le aziende che possono finanziarle. A Lugo
di Romagna, in provincia di Ravenna, stanno realizzando una Future Farm,
un progetto pilota per chiudere in 60 ettari il concetto di Economia
Circolare.
Gli ostacoli, la sfida e uno sguardo al futuro
Tutte queste realtà hanno il grande merito di provare coraggiosamente
a cambiare le cose, dimostrando che si può fare economia e creare
prodotti di qualità anche senza razziare le risorse del pianeta. Gli
ostacoli che incontrano ogni giorno sono la misura di quanto questo
percorso sia difficile e della determinazione che hanno nel perseguire i loro progetti.
“La difficoltà più grande è stata ed è ancora quella di ottimizzare il processo”,
dice Adriana Santanocito di Orange Fiber, “passando da un prodotto
artigianale ad un processo su scala industriale”. Per fare questo ci
vogliono soldi, investimenti e competenze.
“Ci muoviamo a tentoni nel buio”, afferma Antonio Di Giovanni di
Funghi Espresso, “in un limbo normativo che ci rende difficile ogni
passo, totalmente privi di punti di riferimento certi”. Non esiste
infatti ad oggi una legislatura definita in merito al recupero degli scarti.
“Lo sforzo normativo a livello europeo deve
indirizzarsi verso leggi che obblighino grandi settori, come ad esempio
quello dell’auto, ad utilizzare percentuali fisse minime di biocompositi
nei loro prodotti, aprendo così vaste aree di mercato che incentivino
lo sviluppo del settore e della ricerca”, sostiene Antonio Caruso di
Kanèsis.
I prodotti che questi imprenditori propongono vanno a toccare ambiti
commerciali dove la competizione è fortissima e ogni fetta di mercato
viene difesa strenuamente dalle grandi lobby, poco
inclini a modificare i loro modelli produttivi e sensibili alle
crescenti critiche che gli vengono mosse dal progressivo risveglio di
una coscienza ambientale collettiva. Un panorama ostile, dove “si deve
lottare contro interessi enormi, non si può mollare”, afferma Rachele
Invernizzi di South Hemp Tecno.
Per questo serve unirsi. “Fare rete e cooperazione è il futuro,
dobbiamo avere qualcuno che ci rappresenti nel dialogo con le
istituzioni politiche italiane, ma anche con la Comunità Europea”,
sottolinea Rachele Invernizzi, vicepresidente di Federcanapa –
Federazione italiana canapa che da quest’anno unisce tutte le figure del
settore, produttori, trasformatori e commercio. La rete permette di sviluppare sinergie, per attraversare questo momento di transizione.
La Fiera delle Idee di fine ottobre è stata un’occasione per
riunire a Firenze gli imprenditori che in Italia stanno facendo
innovazione a partire dagli scarti. Ecco il video con le interviste
realizzate da Alessia Macchi e Marco Orazzini, Agenti del Cambiamento, durante l’evento.