Visualizzazione post con etichetta #EnzoFavoino. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #EnzoFavoino. Mostra tutti i post

Il cibo è salute, oggi un focus su spreco alimentare e scarto organico

 













Si è svolto oggi, nell’ambito del progetto “Il Cibo è Salute“, un incontro online con gli studenti dell’Istituto Tecnico Tecnologico Da Vinci di Foligno. Tema centrale il rapporto tra Ambiente, Cibo e Salute, con uno sguardo particolare sulla prevenzione dello spreco alimentare, sulla corretta gestione dei rifiuti e sul compostaggio.



Durante l’evento, a cura di Movimento Difesa del Cittadino Perugia, sono intervenuti Tommaso Bertolini, dell’app Too Good To Go, e Enzo Favoino, ricercatore presso la Scuola Agraria del Parco di Monza e tra i fondatori dell’ECN (European Compost Network). Favoino è anche coordinatore del Comitato Scientifico di Zero Waste Europe (il network di riferimento per la strategia Rifiuti Zero in Europa) e di Zero Waste Italy e Membro del Board di ZWIA (Zero Waste International Alliance).

Un’occasione per confrontarsi con i ragazzi sull’importanza, oggi più che mai, di “salvare” i beni alimentari, riducendo quindi gli sprechi, anche a tutela della salute e dell’ambiente, minacciato dai cambiamenti climatici.
Spreco alimentare, alcuni numeri

Un terzo di tutto il cibo viene sprecato, con conseguenze ambientali, sociali e ed economiche. 1,6 miliardi di tonnellate in totale, di cui 1.3 miliardi edibili e 300 tonnellate non edibili. Uno spreco che – spiega Tommaso Bertolini – si verifica lungo tutta la filiera agroalimentare.

In base a una media degli sprechi a livello globale, il 32% avviene nella fase di produzione, il 23% nella fase di trattamento e stoccaggio, il 10% in quella di lavorazione e packaging, il 13% in distribuzione e retail e il 22% nella fase di consumo. (Fonte; Fao, 2011; BCG 2018)

In Europa, in particolare, il 53% dello spreco alimentare si verifica proprio tra le mura domestiche (Fonte: EU Fusions 2016).

Numeri che mettono in luce la necessità di affrontare la problematica nel suo complesso.


“Capire da dove arriva il cibo è un gesto rivoluzionario – afferma Tommaso Bertolini. – Andare a comprare qualcosa che ha una filiera più corta, prodotto senza un determinato uso di fertilizzanti e in modo sostenibile è un gesto importante, con un impatto importante”.
Come funziona l’app Too Good To Go?

Da queste premesse nasce l’idea di creare uno strumento in grado di mettere in contatto diverse realtà, dalle aziende al consumatore finale, nella lotta allo spreco alimentare.

L’app Too Good To Go, nata nel 2015 in Danimarca e presente in 13 Paesi d’Europa, permette a bar, ristoranti, forni, pasticcerie, supermercati ed hotel di recuperare e vendere online – a prezzi ribassati – il cibo invenduto “troppo buono per essere buttato”, grazie alle Magic Box. Delle “bag” con una selezione a sorpresa di prodotti e piatti freschi che non possono essere rimessi in vendita il giorno successivo.

L’utente si geolocalizza sull’app e cerca il suo store preferito nelle vicinanze. Con pochi click prenota e acquista le sue magic box. Completato l’acquisto il consumatore può andare a ritirarle, nella fascia oraria indicata, per scoprire cosa c’è dentro, mostrando tramite cellulare la ricevuta.




Fonte: Too Good To Go



Un sistema che la piattaforma definisce “win win win”, in cui tutti vincono.


“Gli utenti – spiega Tommaso Bertolini – acquistano delizioso cibo invenduto a prezzi convenienti, aiutiamo l’ambiente riducendo gli sprechi e gli store riducono lo spreco e possono raggiungere nuovi clienti”.

L’app ha lanciato, inoltre, il “Patto contro lo Spreco Alimentare”, a cui diverse aziende hanno già aderito. Tra le iniziative, l’Etichetta consapevole che, posta sulla confezione del prodotto, inviterà i consumatori a verificare se i il cibo sia ancora consumabile dopo la data minima di conservazione, grazie alla presenza di una frase distintiva “Spesso buono oltre” e ad una serie di pittogrammi che consiglieranno di “osservare, annusare, assaggiare”.
Il ruolo dello scarto organico

Quando il cibo non è più adatto al consumo umano cosa si può fare? Da questa domanda parte l’intervento di Enzo Favoino, che ha spiegato agli studenti in che modo può essere valorizzato lo scarto organico tramite il processo di compostaggio.

In ogni parte del mondo, Europa compresa, lo scarto organico rappresenta la gran parte del rifiuto urbano.


“Quando riusciamo a raccogliere bene lo scarto organico – spiega Enzo Favoino – si minimizza la percentuale di organico nel rifiuto residuo (indifferenziato), e il fatto di avere poco organico ci consente di ridurre la frequenza di raccolta del rifiuto residuo stesso”.

Questo produce due effetti positivi sulla raccolta dei rifiuti: una ottimizzazione operativa ed economica e un’ulteriore spinta per l’utente a separare meglio anche gli altri materiali riciclabili, come carta, plastica, vetro, metalli.
Cos’è il compostaggio?

Il compostaggio è un processo biologico del tutto naturale, mediante il quale i materiali organici si decompongono grazie all’azione di microrganismi e si trasformano in “compost”, un terriccio che può essere utilizzato nel giardinaggio, nell’orto, come fertilizzante naturale.

Il processo, pur essendo naturale, va però controllato e “ingegnerizzato” – spiega Favoino – in modo da velocizzarlo, assicurare prodotti di alta qualità e minimizzare problemi come il rilascio di odori, gas serra.

Il processo avviato nel modo corretto produce, quindi, un aumento della temperatura della massa di materiale, consentendo la sanitizzazione: muoiono gli organismi dannosi e sopravvivono quelli positivi che portano avanti il processo. Muoiono, ad esempio, i patogeni delle piante.





Alcune regole per il compostaggio

Favoino spiega che vi sono due tipologie di materiali destinati al compostaggio: quelli a lenta degradazione, come paglie, potature di siepi e alberi, e quelli putrescibili, come verdure, scarto alimentare cotto, scarti di carne e pesce. La regola è, quindi, miscelare questi due materiali e il metodo più semplice è quello di disporli a strati.

Un’altra regola importante è quella di allontanare l’eccesso d’acqua che, accumulandosi alla base, determinerebbe condizioni che potrebbero causare assenza di ossigeno e quindi la putrefazione del materiale.

Per evitare l’eccesso di acqua si potrebbe, ad esempio, fare il cumulo su uno strato drenante, come un bancale di legno, che tramite le sue fessure permette di sgrondare l’acqua, o uno strato di paglia o ramoscelli spezzati grossolanamente.

Con queste poche regole si può dare via libera alla fantasia per creare diversi sistemi di compostaggio.



“Realizzato/acquistato nell’ambito del Programma generale di intervento della Regione Umbria con l’utilizzo dei fondi del Ministero dello Sviluppo Economico. Ripartizione 2018”

fonte: www.mdcumbria.it



#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enzo Favoino: valutazioni sulle strategie per la riduzione dell'inquinamento da plastica
















Oggi è stato pubblicato su Science un articolo scritto a molte mani, e di cui sono co-autore, dal titolo "Evaluating Scenarios Toward Zero Plastic Pollution" (Valutazione degli scenari per arrivare ad annullare l'inquinamento da plastica). 
L'articolo include i risultati di uno studio ben più ampio condotto (sotto il coordinamento di PEW Trust, organizzazione filantropica statunitense), da un pool di ricercatori internazionali, tra i più attivi nel valutare la dispersione di plastica nell'ambiente, le principali cause ed i relativi contributi, le strategie e le pratiche per affrontare e contenere il problema, fino a risolverlo.

Lo studio, il primo che sistematizza le valutazioni numeriche sui contributi delle diverse strategie, intende fornire una guida nella individuazione delle opzioni più efficaci per prevenire la dispersione di plastica, e dei relativi effetti numerici a medio e lungo termine.

Per stimare l'efficacia degli interventi intesi a ridurre l'inquinamento da plastica, abbiamo modellizzato stock e flussi per cinque scenari (dal "business as usual" agli scenari di intervento più radicale) tra il 2016 e il 2040.
L'implementazione congiunta di tutti gli interventi ridurrebbe l'inquinamento da plastica del 40% rispetto al 2016 e del 78% rispetto al "Business as usual" nel 2040. Purtroppo, anche con un'azione immediata e concertata, ben 710 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica entrerebbero, cumulativamente, negli ecosistemi acquatici e terrestri.

Il principale messaggio dello studio, e dell'articolo in corso di pubblicazione su Science,  è dunque che non solo il "business as usual" prefigura scenari catastrofici (facendo aumentare la dispersione di plastica nei mari e negli oceani dagli attuali 8 milioni di tonnellate/anno a circa 30 milioni di tonnellate nel 2040) ma anche gli "impegni volontari" che recentemente sono stati definiti da alcuni grandi produttori ed utilizzatori di plastica (in genere impostati sull'aumento delle capacità di riciclo, e sull'impiego di quote crescenti di polimeri riciclati), danno una risposta del tutto marginale ed insoddisfacente al problema, riducendolo per una percentuale che oscilla appena tra il 3 ed il 6%.

Per evitare tale massiccio accumulo di plastica nell'ambiente, è dunque necessaria ed urgente un'azione coordinata globale per ridurre il consumo di plastica, aumentare i tassi di riutilizzo, raccolta e riciclo, espandere e consolidare i sistemi di gestione dei rifiuti nelle aree non ancora coperte da servizi di tale tipo, valorizzare il ruolo del settore informale.

Ma soprattutto, necessitano politiche e pratiche più aggressive che affrontino il problema alla radice, lavorando soprattutto sui livelli più elevati della gerarchia delle azioni: la riduzione, la durevolezza, il riuso, la minimizzazione del monouso. 


Enzo Favoino


Qui l'articolo di Science

https://science.sciencemag.org/content/early/2020/07/22/science.aba9475 




#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

Coronavirus: si continua a dire che gli oggetti di plastica siano più sicuri ma non è così

La paura per il contagio ha innalzato le vendite di imballaggi: secondo ilSole24Ore il numero di questi, almeno per quanto riguarda il commercio elettronico, hanno segnato un balzo del 73% tra il 22 febbraio e l’8 marzo rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Particolare attenzione è stata data agli imballaggi di plastica, considerati più igienici e quindi sicuri nel contenere il contagio da coronavirus. Una sicurezza che ha dato slancio al tema dell’usa-e-getta, settore che prima dell’attuale emergenza era stato ridimensionato da due provvedimenti cruciali: la direttiva europea sulla single-use-plastic, appunto, e la cosiddetta plastic tax.



Per entrambe le misure è stato chiesta, nel primo caso, una rimodulazione dei tempi di entrata in vigore, per la seconda invece una vera e propria sospensione. Da chi ha avanzato tali pretese è stato avanzato il fatto che la plastica usa-e-getta è un materiale più sicuro e igienico, quindi molto adatto alla pandemia che stiamo vivendo.

Ma è vero che la plastica è più igienica e più sicura? Le cose, a differenza di come sono comunicate, non stanno esattamente così. Almeno a livello generale.

Durante una sua diretta facebook, il premier Giuseppe Conte ha rassicurato i produttori di plastica, dicendo che le norme restrittive non avrebbero portato al collasso del settore. Un assist, molto probabilmente involontario, che è stato subito preso al volo dai produttori che, difendendo appunto il ruolo della plastica in questa fase, hanno prontamente chieso la sospensione della plastic tax in Italia. La tassa, approvata con l’ultima Legge di Bilancio, dovrebbe entrare in vigore nel luglio 2020 e prevede per il produtture il pagamento di un’imposta pari a 1 euro al chilogrammo per quanto riguarda i contenitori di plastica (es. bottiglie, sacchetti, vaschette per alimenti, ecc.). Secondo alcune testate giornalistiche, la sospensione della tassa starebbe diventando un’ipotesi reale, anche se a livello governativo non è stata ancora adottata alcuna scelta in merito.

A livello europeo, intanto, si è mossa l’associazione di categoria European plastics converters la quale ha inviato una missiva alla Commissione Europea in cui chiede un rinvio della data di entrata in vigore della Direttiva sulla Single-use-plastic (Sup), “per dare più tempo agli stati membri dell’Ue di concentrarsi su misure più urgenti nella lotta contro il Covid-19”. La Direttiva oggetto della richiesta è quella che dovrebbe abolire dal 2021 alcuni manufatti in plastica usa-e-getta. Nella stessa lettera, l’associazione spiega come “le materie plastiche monouso non sono facilmente sostituibili e offrono vantaggi unici quando si tratta di garantire igiene, sicurezza e conservazione dalla contaminazione per la protezione dei consumatori”.

Zero Waste Europe ha calcolato i tempi di permanenza del virus sui vari materiali spiegando come sulla plastica sia maggiore di quel che si pensi: secondo Enzo Favoino della scuola agraria Parco di Monza, infatti, i materiali che compongono gli imballaggi dovrebbero trascorrere un certo periodo in quarantena prima di essere manipolati. In primis la plastica, perché ha un tempo di permanenza di alcune ore. “Fare la spesa al supermercato significa aumentare il tasso di ricambio degli imballaggi nell’ambiente domestico, aumentando di fatto il rischio di diffusione del virus”.

Insomma, l’emergenza da covid19, dati alla mano, non ci giustifica a fare più rifiuti. La riduzione di questi rimane un comportamento virtuoso, tanto più che il mondo che verrà nel post-epidemia ha bisogno ancora di più di comportamenti virtuosi e all’insegna della sostenibilità. Compito della comunicazione è quello di veicolare il messaggio in questa direzione.

fonte: www.envi.info


#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

Rifiuti: la soluzione è ridurre alla fonte, non contrapporre discariche e inceneritori

Uscire dalla contrapposizione tra discariche e inceneritori e scegliere la strada della riduzione massiva della produzione di rifiuti alla fonte è ciò che permetterà di trovare la vera soluzione al problema.




Può sembrare assurdo parlare di ambiente in un momento in cui tutto è dominato dall’emergenza sanitaria del Covid-19. Ma non dobbiamo mollare, occorre continuare a lavorare per un mondo migliore, sicuramente più pulito. E, come molti ormai stanno sempre più evidenziando, un mondo meno inquinato resiste meglio alle avversità, anche sanitarie, oltre che essere più bello. E’ importante, quindi, che non si abbassi adesso la guardia sui temi ambientali, anche per evitare che in momenti particolari come questi, ove l’attenzione è rivolta ad altro, si possano avallare scelte e decisioni di cui pentirsi subito dopo.

Un tema ambientale che merita di essere seguito con attenzione riguarda la gestione dei rifiuti nell’ambito della nuova direttiva 2018/850 sulle discariche che rappresenta uno dei cardini del pacchetto sull’economia circolare adottato nel 2018. Tale pacchetto, che ha come sottotitolo “un programma rifiuti zero per l’Europa”, ha, tra le sue originali intenzioni, proprio quella di sottolineare la sinergia tra l’attuazione di strategie che mirano ad azzerare la quantità di rifiuti prodotti e una visione circolare dell’economia. Se gli obiettivi generali della nuova direttiva vanno nella stessa direzione di quelli già definiti con la direttiva 1999/31/EC, tra gli obiettivi specifici del nuovo pacchetto sull’economia circolare troviamo l’obbligo di raccolta differenziata dell’organico in tutta Europa a partire dal 2024, il riuso e riciclo dei rifiuti urbani (almeno il 65% entro il 2035) e dei rifiuti da imballaggio (almeno il 70% al 2035), e la minimizzazione del ricorso alla discarica per i rifiuti urbani (massimo il 10% entro il 2035). Proprio su quest’ultimo punto, cogliamo l’occasione del recente policy briefing redatto da Enzo Favoino, uno dei massimi esperti di economia circolare, per conto di Zero Waste Europe, per fare chiarezza. In tale analisi, infatti, si ipotizza una contraddizione tra l’obiettivo fissato nella direttiva e il concetto stesso di economia circolare.

Sebbene l'obiettivo di minimizzazione dell’uso delle discariche sembra essere in linea con gli obiettivi strategici della direttiva quadro sui rifiuti , e cioè la massimizzazione delle attività propedeutiche al riciclaggio e al riutilizzo e gli obblighi di raccolta differenziata per specifiche tipologie di rifiuti, il nuovo obbligo genera anche obiettivi operativi che potrebbero contraddire i principi generali dell'economia circolare dettati dalla stessa Unione Europea.

Alcuni casi concreti evidenziano che il raggiungimento della soglia del 10% della quantità di rifiuti da conferire in discarica è estremamente impegnativo e ciò potrebbe spingere i decisori ad investire sull’incenerimento dei rifiuti in modo da ridurre al minimo tale quantità. Si potrebbe quindi determinare una situazione di stallo, con i rifiuti costretti ad andare verso l’incenerimento, contravvenendo però a questo punto ai principi e agli obiettivi strategici dello stesso pacchetto sull'economia circolare. Inoltre, la soglia definita in percentuale potrebbe anche scoraggiare le misure di riduzione dei rifiuti in quanto, con questa lettura, non sarebbe più rilevante quanti rifiuti produciamo, l’importante è che se ne conferiscano in discarica al massimo il 10% del totale.

Per questo motivo, l’associazione Zero Waste Europe ritiene importante modificare la direttiva in modo da allinearla ai principi generali e agli obiettivi strategici dell'agenda europea sull'economia circolare. Sono due i suggerimenti proposti:

● impostare l'obiettivo del conferimento in discarica facendo riferimento ad un anno base specifico, anziché a "ogni dato anno". Ciò premierebbe gli sforzi di riduzione, azione questa che si attua prima nella ben nota gerarchia sulla gestione dei rifiuti e che dovrebbe essere sempre il faro per ogni politica di settore;

● adottare un obiettivo di conferimento in discarica espresso in kg di rifiuti per persona all'anno, anziché in percentuale, in modo da premiare quelle aree (comunità, autorità locali) che stanno attuando strategie di gestione dei rifiuti che mirano a ridurre al minimo la generazione di rifiuti residui. L'obiettivo espresso in kg/persona/anno dovrebbe quindi sostituire quello in percentuale.

La logica stessa dell’utilizzo degli inceneritori contraddice la nuova politica sull’economia circolare. Gli impianti di incenerimento, che alcuni definiscono termovalorizzatori per sottolineare la produzione di energia dalla combustione dei rifiuti, sono molto costosi da realizzare e così, al fine di ripagare gli investimenti fatti e avere un margine di profitto, essi devono avere garantiti una certa quantità di rifiuti. Tale garanzia viene data dalla sottoscrizione di contratti a lungo termine (20-30 anni) con le autorità locali per la fornitura di determinate quantità di rifiuti, pena il pagamento di penali per compensare l’azienda che gestisce l’inceneritore per i mancati profitti. Quindi, con tali contratti, le autorità locali si trovano a dover produrre una certa quantità di rifiuti invece che a diminuirne l’ammontare ed incrementare il tasso di riciclaggio. Una evidente contraddizione nell’attuazione di norme europee.

Esempi concreti in tutta Europa dimostrano che esistono alternative. In Italia, ad esempio, secondo i dati dell’ultimo rapporto sui rifiuti urbani di ISPRA, ben sedici provincie hanno superato il livello del 75% di raccolta differenziata di cui quattro sopra l’80% e due addirittura sopra l’85%. Tra le migliori, la provincia di Treviso che attualmente si attesta sui 49 kg/persona/anno di rifiuti residui e, in particolare, vi sono 45 Comuni trevigiani con meno di 40 kg di rifiuti residui e 12 addirittura con meno di 30 kg. Questi dati fanno capire il potenziale che c’è dietro programmi di economia circolare ispirati dal concetto “zero-waste” che puntano a minimizzare il conferimento in discarica mettendo in evidenza la reale quantità che si conferisce e, di conseguenza, la mole di rifiuti che non viene più prodotta. Approccio diverso da quello previsto dalla direttiva sulle discariche che, riferendosi ad un valore percentuale, non stimola la riduzione dei rifiuti a monte.

L’analisi condotta da Zero Waste Europe mette chiaramente in evidenza la differenza tra alcune aree. La Danimarca, per esempio, ha puntato sull’incenerimento dei rifiuti e riesce a rispettare il target del 10% in discarica; in realtà questa percentuale si traduce in una quantità di scorie e ceneri post combustione, pari a 98 kg/persona, molto più alta, praticamente il doppio, rispetto ai 49 kg/persona prodotti, ad esempio, nella provincia di Treviso a seguito dell’attuazione di una politica che punta alla riduzione, riuso e riciclaggio dei rifiuti. Ovviamente, la differenza parte dall’inizio: nella provincia di Treviso si registrano solo 288 kg/persona di rifiuti all’anno contro i 766 in Danimarca.

E’ questa la strada da percorrere: ridurre massivamente la produzione dei rifiuti, che veramente può arrivare a cifre molto vicine allo zero, e solo dopo occuparci di come gestire la piccola frazione residua che scaturisce a valle dei processi di riduzione, riutilizzo e riciclo. Ciò deve tradursi in un radicale ripensamento del modo di produrre e di consumare. Dobbiamo metterci in testa che è necessario cambiare il nostro comportamento e, quindi, l’attuale modello di sviluppo. E programmando bene le cose, in pochi anni si può fare, salvaguardando al contempo la nostra salute, l’ambiente e i posti di lavoro. Zero Waste Europe ha messo a disposizione un toolkit ove in 10 azioni è possibile pianificare un Piano comunale verso l’obiettivo “rifiuti zero”, sfatando miti e tabù che circondano questo concetto.

L'OPPORTUNITA': IL 13 E 14 GIUGNO IL WORKSHOP "CAMBIARE VITA E LAVORO. ISTRUZIONI PER L'USO".

QUI PER INFO E ISCRIZIONI

fonte: www.ilcambiamento.it


=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Che futuro per il settore del riciclo? Situazione, criticità, prospettive. Colloquio con Enzo Favoino

Sono sempre maggiori gli allarmi sulla crisi del mercato della carta da macero, che si associano a quelli sul riciclo della plastica dopo la famosa stretta cinese. Gli operatori chiedono un tavolo tecnico di confronto tra Istituzioni e piattaforme "al fine di scongiurare il rischio di blocco delle raccolte differenziate". Ne abbiamo parlato con Enzo Favoino, Coordinatore Scientifico di Zero Waste Europe

















Negli ultimi mesi sono sempre maggiori gli allarmi lanciati dagli addetti ai lavori, in Italia e in Europa, sulla crisi del mercato della carta da macero, che si associano a quelli sul riciclo della plastica dovuti alla famosa stretta cinese del 1° gennaio 2018. Nel nostro paese alcuni operatori del settore chiedono "al Ministro dell’Ambiente l’istituzione urgente di un Tavolo tecnico di confronto tra Istituzioni e piattaforme del riciclo, al fine di scongiurare il concreto e diffuso rischio di blocco delle raccolte differenziate". Una situazione che ha spinto alcuni attori in campo a mettere in discussione il sistema del riciclo e il paradigma dell'economia circolare, proponendo in alcuni casi un ritorno allo smaltimento dei rifiuti.  
Ne abbiamo parlato con Enzo Favoino, della Scuola Agraria del Parco di Monza, e Coordinatore Scientifico di Zero Waste Europe. In questo primo intervento, vengono anticipate alcune valutazioni sulla dimensione globale del problema. Successivamente, verranno esaminate le tendenze in atto a livello UE, gli effetti indotti dalle politiche di settore, e come raccordarsi armonicamente con le stesse.
Favoino che momento sta vivendo il settore del riciclo alla luce dei divieti all’export di carta e plastica?
“Come qualunque settore anche quello del riciclo vive in un'economia pienamente globalizzata e quindi può risentire di trend globali e di alcune specificità congiunturali. Le mosse cinesi, e non solo, sia sulla carta che sulla plastica sono una novità importante e di cui tenere conto, ma come è stato giustamente rilevato anche da altri, stiamo parlando di materia di bassa qualità, cioè quella che supera un certo grado di contaminazione. Questa cosa ha messo sotto stress le filiere del riciclo per quei quantitativi di bassa qualità che venivano esportati verso l'estero, che a quanto ci risulta anche dai report internazionali ufficiali però non sono la prevalenza”.
Di che numeri si parla?
“Un recente rapporto europeo specificava ad esempio che le esportazioni di plastica dall'Italia erano dell’ordine delle 100 mila tonnellate all'anno, ridotte poi a 60 mila negli ultimi anni, verosimilmente anche per effetto dei divieti cinesi ed asiatici. Dunque gran parte del tonnellaggio esportato residuo dovrebbe essere rappresentato da polimeri di valore inviati a processi effettivi di riciclo e valorizzazione. Questo su un totale di plastica immessa al consumo di 6 milioni di tonnellate, di cui circa 2,5 milioni sono di plastica da imballaggio, quella oggetto dei meccanismi EPR e dunque dei circuiti di raccolta differenziata, e circa 1 milione sono le tonnellate avviate a riciclo”.
“Il ricorso all’export non è dunque trascurabile e lavoriamo quotidianamente anche con gruppi di lavoro internazionali, perché venga eliminato il fenomeno del 'recupero truffa', ma sulla base di questi dati non si può inferire che sia fondamentale, e che bloccato il flusso dell’export di plastiche di basso valore il sistema nel suo complesso sia al collasso. Certe filiere del riciclo sono certo sotto stress, uno stress congiunturale in attesa dell’adattamento ai nuovi scenari causati dalle mosse cinesi ed asiatiche, ma questa non è una quota prevalente né è una condizione eterna. Richiede adattamenti che, nello spirito della agenda UE, non sono quelli del 'ci vogliono più inceneritori per smaltire gli scarti'. Ci sono soluzioni congiunturali, come opzioni di valorizzazione del plasmix, sostenute dai meccanismi di stimolo al mercato, e soprattutto strutturali, di lungo termine. Queste ultime sono le dinamiche di maggiore interesse, in prospettiva”.
(Le esamineremo nel dettaglio nella seconda parte dell'intervista, anticipiamo solo che l’istituzione di una 'cabina di regia', come chiesto da molti operatori, potrebbe essere un valido strumento per governare la transizione, ndr)
Il problema tuttavia non riguarda solo l'Europa. Come si stanno muovendo fuori dall'UE per far fronte alla situazione?
“Consideriamo ad esempio le contromosse di una delle realtà più avanzate ed ambiziose nelle politiche e pratiche di differenziazione e riciclo, la città di San Francisco. San Francisco è ad oggi sopra l’80% di raccolta differenziata, e non pensa minimamente a riassestarsi su scenari meno ambiziosi, piuttosto il contrario. Non solo la strategia e la pratica Zero Waste va avanti, ma la città vuole incrementarlo aumentando i tassi di riciclo, le strategie di riduzione e quant'altro, come da programma. Un recente programma di facilitatori per ogni stabile intende ad esempio andare ad intercettare ulteriori materiali valorizzabili che attualmente finiscono nel rifiuto residuo. Il tutto, peraltro, in un contesto operativo e regolamentare ben meno favorevole di quello europeo”.
“A San Francisco non hanno aspettato il divieto cinese per sincerarsi delle effettive filiere di recupero, ed avevano mandato loro ispettori a controllare la destinazione effettiva dei flussi verso l’Asia. Per cui avevano già individuato le pratiche di scam recovery, il 'recupero truffa', e avevano rescisso i contratti con gli intermediari meno affidabili. Per affrontare il problema del miglioramento dei flussi di riciclo, avevano già migliorato le proprie capacità di selezione e oggi riescono ad arrivare alla migliore definizione possibile dei vari tipi di polimero e dei vari tipi di carta e cartone avviabili al mercato, minimizzando i materiali di bassa qualità. Va inoltre sottolineato che il sistema nord americano, si basa generalmente su una raccolta rifiuti a tre bidoni: organico, residuo e imballaggi, dunque con questi ultimi raccolti in modalità 'commingled' non tipizzata, e non a cinque come da noi. Questo sistema genera tipicamente materiali di peggiore qualità dei nostri, tanto che diverse città stanno pensando di passare alle raccolte tipizzate, alcune lo hanno già fatto”.
"Condivido perfettamente le ottime valutazioni di chi ha già sottolineato che la qualità delle raccolte deve essere una delle determinanti del sistema, assieme alla quantità. Essendo tra coloro che per primi hanno ad esempio promosso le raccolte tipizzate e domiciliari, mettendo in risalto le prestazioni incrementali, per quantità e qualità delle raccolte, rispetto a raccolte multimateriali e/o stradali, questo è sempre stato un argomento per noi prioritario".







Sono sempre maggiori gli allarmi sulla crisi del mercato della carta da macero, che si associano a quelli sul riciclo della plastica dopo la famosa stretta cinese. Gli operatori chiedono un tavolo tecnico di confronto tra Istituzioni e piattaforme "al fine di scongiurare il rischio di blocco delle raccolte differenziate".  Raccogliamo, in prosecuzione con quelle già pubblicate, le valutazioni di Enzo Favoino, della Scuola Agraria del Parco di Monza, e Coordinatore Scientifico di Zero Waste Europe.
Tornando alla situazione Europea, quali sono le strategie di settore e le tendenze in atto?
“La situazione europea va valutata alla luce delle indicazioni di prospettiva generate dal Pacchetto Economia Circolare, dalla Strategia UE sulle Plastiche, e dalla Direttiva sulle Plastiche Monouso. Questo pacchetto di previsioni marca un cambiamento epocale, su vari versanti: quello della progettazione e produzione di beni ed imballaggi, quello della raccolta, quello dell’assorbimento dei maceri. Certamente gli effetti non sono immediati, e questo determina i problemi congiunturali, ma vale la pena di allargare lo sguardo ai processi in atto, perché gli operatori sappiano individuare i processi di cambiamento e accelerarne o anticiparne gli effetti”.
“Anzitutto va ricordato sempre che mentre sinora il riciclo è stata la determinante principale delle strategie europee, e a cascata nazionali, la UE intende lavorare sempre più sulla riduzione ed il riuso. Il discorso di insediamento del Vice Presidente della Commissione Europea Timmermans è stato molto esplicito in questo senso: conferma, come abbiamo sempre detto, che il riciclo è il ‘piano B per la sostenibilità’ e come tale è eccezionale per conseguire gli obiettivi di minimizzazione degli smaltimenti e di riduzione del prelievo di risorse primarie, ma il piano A deve passare necessariamente per la riduzione, che sta diventando uno degli elementi trainanti del green deal della Commissione. Già la Direttiva SUP ne include i primi, importanti segni. Altri verranno nell’aggiornamento del Pacchetto Economia Circolare, con la probabile adozione di obiettivi vincolanti di riduzione”.
Per quanto riguarda la saturazione del mercato cosa si può fare?
 “Le soluzioni sono diverse, ma prima vorrei ricordare un episodio significativo. Quando è stata presentata la strategia europea sulla plastica, i vice presidenti della Commissione UE, stimolati dai giornalisti che li incalzavano sulle difficoltà dovute alla stretta cinese, risposero in modo efficace: dissero in sintesi che non si può parlare di economia circolare e poi voler allargare il cerchio fino a farne un ovale che arriva fino alla Cina. Se il sistema deve essere circolare dev'essere reso circolare in Europa, anche per rispondere alla fame di materie prime di un continente strutturalmente povero delle stesse, il che fu la principale motivazione della strategia. Di conseguenza, secondo tale indicazione, l'Europa deve: completare la propria capacità infrastrutturale per il riciclo e deve soprattutto determinare le condizioni per un aumento della capacità di assorbimento da parte del mercato”.
In che modo?
“Be’ attualmente l'Unione sta lavorando su due aspetti importantissimi del pacchetto sull'economia circolare, che sono le tariffe modulate sugli imballaggi, che andranno a premiare quelli maggiormente riciclabili e riusabili e penalizzare quelli che lo sono meno. In Italia abbiamo già iniziato ad usarle, ma le tariffe non sono ancora sufficientemente incentivanti; il processo è comunque in atto”.
“L'altro aspetto sono gli essential requirments, cioè i requisiti essenziali per gli imballaggi, e tra questi ci saranno anche i MRC, i contenuti minimi di riciclato. Cosa che ha già iniziato a fare capolino nella Direttiva sulle Plastiche Monouso e che dovrebbe sanare alcuni elementi contraddittori, come l’attuale basso assorbimento di polimeri riciclati in vari settori, inclusi quelli a maggiore capacità potenziale di assorbimento, come il settore automobilistico e quello delle costruzioni. In Italia questo potrebbe permettere di superare alcune criticità per l’uso dei polimeri da riciclo negli imballaggi a contatto alimentare, innalzandone le percentuali obbligatorie”.
“Ma se posso, io userei di più e meglio il settore del Green Public Procurement, su cui abbiamo già norme ed obblighi che però sono stati sterilizzati da una inazione generale. Non a caso, la capacità di assorbimento da parte del settore degli acquisiti pubblici è usata come driver principale di mercato in Nord America, ove l’assenza di direttive non fornisce tutti gli altri strumenti di promozione del mercato che invece possiamo dispiegare in Europa”.
 Insomma, per concludere, il riciclo ha i suoi problemi ma sono già operative soluzioni adeguate.
“Diciamo che il sistema ha delle imperfezioni che la transizione, determinata da un lato dalla spinta europea alla differenziazione e al riciclo e dall’altro dalle mosse asiatiche, sta rendendo visibili e condizionanti nel breve periodo. Ma l'agenda europea sta lavorando per risolverle e portare il sistema ad equilibrarsi, così come stanno facendo anche il Canada e la stessa Cina che hanno annunciato agende analoghe a quella UE”.   
 “Certo, il processo è di medio termine, non immediato, ma il trend è chiaro e i segnali ci sono: riduzione dei materiali difficili da riciclare, aumento della capacità continentale di riciclo, aumento delle capacità di assorbimento del mercato, contenuti minimi di riciclato… bisogna saperli cogliere e anticiparli per accelerare la transizione. Intanto sono disponibili subito alcune soluzioni come il recupero del plasmix per esempio, in attesa che le Direttive UE ne riducano la consistenza. L’effetto combinato di queste tecnologie e il potenziamento del Green Public Procurement potrebbe già dare una risposta consistente al tema delle plastiche di basso valore, sino a quando le stesse sono presenti. Mentre di sicuro la roadmap di lungo termine va nel senso della riduzione od eliminazione totale dei materiali difficili da riciclare”.

Plastica, l'allarme di Greenpeace: "Il riciclo non salverà i mari del pianeta"

I dati analizzati dalla Scuola agraria del Parco di Monza sul riciclo del materiale inquinante rivelano che, nonostante questo sia cresciuto negli ultimi anni, non basta a bilanciare l'aumento del consumo di monouso












RICICLARE plastica non salverà i mari del pianeta. Lo sostiene il rapporto "Plastica: il riciclo non basta. Produzione, immissione al consumo e riciclo della plastica in Italia" redatto dalla Scuola agraria del Parco di Monza per conto di Greenpeace,  in cui viene analizzata la situazione specifica relativa alla sola plastica da imballaggi e all'efficacia del sistema di riciclo nel nostro Paese - e non complessivamente a tutta la plastica immessa sul mercato - per contrastare l'inquinamento più grave dei nostri tempi.

PLASTIC RADAR  Segnala i rifiuti in spiaggia e in mare

Con una produzione in vertiginosa crescita su scala globale, che raddoppierà i volumi attuali entro il 2025, - sostiene il report - l'unica possibilità per intervenire in modo risolutivo è ridurre, drasticamente e con urgenza, l'immissione sul mercato di imballaggi in plastica usa e getta.

"Riciclare è un gesto importante ma che da solo non basterà a salvare i mari del pianeta dalla plastica. Le grandi aziende che continuano a fare profitti con la plastica usa e getta sanno benissimo che è impossibile riciclarla tutta ma continuano a produrne sempre di più. È necessario che i grandi marchi si assumano le proprie responsabilità partendo proprio dalla riduzione dei quantitativi di plastica monouso immessi sul mercato" dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna inquinamento di Greenpeace Italia.

L'Italia è al secondo posto in Europa, dietro la Germania, per plastica prodotta con un immesso al consumo che può essere stimato in 6-7 milioni di tonnellate annue, il 40%o delle quali viene impiegato per produrre imballaggi. Nonostante nel nostro Paese il tasso di riciclo degli imballaggi sia cresciuto negli ultimi anni, passando dal 38% del 2014 al 43% del 2017, non è riuscito a bilanciare l’aumento del consumo di plastica monouso. Infatti, le tonnellate di imballaggi non riciclati sono rimaste sostanzialmente invariate dal 2014 (1,292 milioni di tonnellate) al 2017 (1,284 milioni di tonnellate) vanificando, di fatto, gli sforzi e gli investimenti per migliorare e rendere più efficiente il sistema del riciclo.

Oggi in Italia, secondo i dati Corepla del 2017, di tutti gli imballaggi in plastica immessi al consumo, solo poco più di 4 su 10 vengono effettivamente riciclati, 4 invece vengono bruciati negli inceneritori e i restanti immessi in discarica o dispersi nell'ambiente.


















"Nonostante sia possibile prevedere un incremento del riciclo nei prossimi anni, a causa del consolidamento di meccanismi come la Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) o la possibile introduzione di sistemi di deposito su cauzione, è improbabile che si riesca a colmare la differenza tra immesso al consumo e tonnellaggio riciclato” dichiara Enzo Favoino, ricercatore della Scuola Agraria del Parco di Monza e tra gli autori del rapporto. "La direzione principale per affrontare il problema è la drastica riduzione del ricorso alla plastica e la riprogettazione di imballaggi nella direzione della durevolezza e riusabilità prima ancora che della riciclabilità", conclude Favoino.

In paticolare, Greenpeace ricorda che devono essere le aziende leader del mercato mondiale a dover fare di più. A tale scopo l'organizzazione ambientalista nei mesi scorsi ha lanciato una petizione, sottoscritta da più di un milione di persone in tutto il mondo, in cui si chiede ai grandi marchi come Coca-Cola, Pepsi, Nestlé, Unilever, Procter & Gamble, McDonald’s e Starbucks di ridurre drasticamente l’utilizzo di contenitori e imballaggi in plastica monouso.


fonte: www.repubblica.it

Quale alternativa ai vecchi impianti di incenerimento?













Un'alternativa più moderna e meno impattante potrebbero essere le cosiddette "Fabbriche dei materiali". Le fabbriche dei materiali sono in grado, grazie a nuove tecnologie, di separare sempre più i rifiuti indifferenziati, permettendo di rigenerare nuovi materia. A questo proposito vi riporto una descrizione di questa tipologia di impianti che mi è stata fornita recentemente da Enzo Favoino della Scuola Agraria del Parco di Monza: «Un impianto di recupero di materia dal rifiuto residuo (RUR) è costituito da due sezioni parallele di trattamento: in una viene lavorata la frazione residua (sottovaglio) che contiene ancora componenti fermentescibili. Questa viene resa “inerte” attraverso un processo di “stabilizzazione” (del tutto analogo al compostaggio) in modo da minimizzarne gli impatti relativi alla collocazione a discarica. Nell’altra sezione (che tratta il sopravvallo) viene fatto invece il recupero dei materiali, attraverso una combinazione di varie separazioni sequenziali (ad esempio separatori balistici, magnetici, lettori ottici) analogamente a quanto avviene nelle piattaforme di selezione dei materiali da raccolta differenziata. E’ immediato accorgersi che un impianto di questo tipo, è perfettamente adattabile all'aumentare della raccolta differenziata: si aumenterà la lavorazione del rifiuto differenziato (compostaggio dell’organico e selezione delle frazioni CONAI) e si diminuirà parallelamente il trattamento del residuo, lavorando su diverse linee o diversi turni». 

Rete Nazionale dei Comitati Rifiuti Zero

Torre Annunziata, una eco-nuotata per salvare il mare dalle plastiche

Sulla spiaggia di Torre Annunziata gli studenti delle scuole "G. Siani, Pitagora e De Chirico" hanno accolto gli eco-nuotatori E. Favoino, partito da Rovigliano, e S. Cimmino partito da Portici.




Qualche bracciata per salvare il mondo. Perché nuotando si può lanciare un messaggio, fortissimo, per la salvaguardia dell’ambiente e, in particolare, del mare. Il teatro è il golfo di Napoli, la regia di "Zero Waste", l'associazione che spinge verso il paradigma dei "rifiuti zero": il nemico giurato è l’inquinamento marino, in particolare quello delle plastiche. Così, sulla spiaggia di Torre Annunziata si incontrano Enzo Favoino di "Zero Waste Europa" e Salvatore Cimmino, campione di nuoto torrese, classe 1964, costretto all’amputazione della gamba a soli 15 anni per via di un osteosarcoma. Il primo era partito da Rovigliano, il secondo da Portici: ad attenderli festosi oltre mille studenti delle scuole superiori ed elementari. Il messaggio era rivolto principalmente a loro: “La nostra – ha sottolineato Franco Matrone di Zero Waste – è stata una festa per la sostenibilità ambientale e contro il littering marino”. “Un momento molto partecipato – ha chiosato Vincenzo Capasso, coordinatore di Let’s do it, partner della manifestazione - in attesa di un appuntamento di pulizia globale in programma in contemporanea in centocinquanta paesi l’8 settembre 2018”. Gli ultimi report parlano del resto di circa trecento milioni di tonnellate di plastica prodotti ogni anni, otto dei quali finiscono in mare finendo col compromettere gli ecosistemi, minacciando in particolare i cetacei 3 producendo ricadute negative sulla salute dell’uomo. Ecco perché un’eco-nuotata simbolica può aiutare ad accendere le luci dei riflettori su un fenomeno dai contorni sempre più inquietanti. (pasquale raicaldo)



fonte: http://napoli.repubblica.it