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Gestione rifiuti: la Toscana fa la rivoluzione

 










Rivoluzione in vista nella gestione dei rifiuti in Toscana: porte aperte ai privati, addio alla termovalorizzazione e potenziamento del recupero di materia.

Si parte con un bando per raccogliere le manifestazioni d’interesse degli

IL C.S.S. È UNA SCORCIATOIA PERICOLOSA CHE NON RISOLVE I PROBLEMI DELLE DISCARICHE

 














SÌ – ALLA PREVENZIONE DEI RIFIUTI.
SÌ AD ORGANIZZARE UNA RACCOLTA DIFFERENZIATA “VERA”: OGGI TROPPI SCARTI FINISCONO IN DISCARICA.
SÌ – ALLE “FABBRICHE DI MATERIALI”: OGGI NON SI RECUPERA QUASI NULLA NEGLI IMPIANTI DI SELEZIONE DEI RIFIUTI RESIDUI.
SÌ – AL COMPOSTAGGIO PER RIDARE FERTILITÀ ALLE NOSTRE TERRE: OGGI I RIFIUTI ORGANICI-UMIDI ALIMENTANO IL BUSINESS DELL’ ENERGIA GARANTITO DAGLI INCENTIVI STATALI.
SI – ALL’AVVIO DI ECODISTRETTI, SECONDO I PRINCIPI DELL’ECONOMIA CIRCOLARE E DELLA GIUSTIZIA AMBIENTALE.

FUORI I FURBETTI DALLA GESTIONE DEL CICLO DEI RIFIUTI!

LA GIUNTA TESEI SI RIMANGIA LE PROMESSE ELETTORALI IN MATERIA AMBIENTALE!

L’assessore regionale Morroni per preservare le discariche ormai esauste rilancia gli impianti (TRE) per la produzione di C.S.S. (= i rifiuti si fanno il lifting e vengono rinominati ‘combustibile’) e ricomincia il giochino della contrapposizione tra territori; è vecchio come il cucco ma evidentemente funziona ancora: DIVIDI E GOVERNA! “È oggettivo l’apporto positivo che l’eventuale produzione di CSS combustibile può determinare nell’abbattimento delle quantità di rifiuti da smaltire in discarica”.

Caro Assessore, dalla discarica di Borgogiglione ringraziamo del gentile pensiero ma non siamo d’accordo. E vogliamo illustrarle le nostre ragioni.

Ai cittadini conviene far valere il principio, riconosciuto ormai in tutta Europa: – RIFIUTO, – PAGO;

ma per i nostri Gestori prevale “la logica dell’impresa”: + RIFIUTI, + GUADAGNO!

Regione e Comuni da che parte stanno? Preferiscono buttare milioni di euro in impianti di dubbia utilità ed efficienza piuttosto che sostenere piani economici e salutari per la prevenzione e per la riduzione dei rifiuti.

-Quanto è costato il famigerato “bioreattore” a Borgogiglione e quanto poi hanno dovuto pagare i cittadini per i lavori di messa in sicurezza della discarica? – Quanto è costata la ristrutturazione dell’impianto di compostaggio di Pietramelina, che adesso si è deciso di chiudere e riconvertire ad impianto di stabilizzazione dell’organico-umido da ributtare in discarica? – E quanto sono costati alle casse regionali i biodigestori di Casone (Foligno) e di Belladanza (Città di Castello) e chi ne verifica la funzionalità anno per anno?

Le cifre pubblicate dall’Autorità d’ambito (AURI, Delibera Consiliare n.23, 21/12/2020) sono impietose: quest’anno è previsto l’arrivo nelle discariche di 219.200 t. rispetto alle 195.500 del 2020. I Rifiuti Urbani Residui (non differenziati) però saranno solo 140 mila!

Non funzionano le politiche di prevenzione dei rifiuti all’origine, la RD non ha ancora raggiunto gli obiettivi fissati, non si recupera quasi nulla negli impianti di selezione dei rifiuti residui e, beffa insopportabile, METÀ DEI RIFIUTI che finiscono in discarica sono SCARTI delle raccolte differenziate (vetro, plastica, ingombranti…), degli impianti di biodigestione/compostaggio e/o i rifiuti speciali scartati dalle aziende che lavorano i recuperi.

Solo a Borgogiglione si prevedono 25mila tonnellate di scarti!

Danni enormi all’ambiente e al portafoglio dei cittadini ma le discariche sono la classica “gallina dalle uova d’oro“, a cui nessuno degli amministratori interessati vuole tirare il collo!

Caro Assessore, è davvero convinto che con la produzione del CSS si determinerà una sensibile riduzione dei rifiuti in discarica? Nei documenti regionali si calcola una riduzione limitata a 58 mila t. annue circa; il resto finirà nelle discariche all’infinito! Chi e dove brucerà questo cosiddetto combustibile? E dove troverà i 20 milioni previsti per gli impianti? E le tonnellate aggiuntive di ceneri e polveri? Con le altre associazioni/comitati umbri le avevamo inviato un documento propositivo per un nuovo Piano dei rifiuti… L’ha letto?

In conclusione: perché Regione e Comuni non provano (1) ad avviare una buona raccolta “porta a porta”, riducendo la quantità di scarti; (2) a trattare i rifiuti residui in impianti virtuosi (le cosiddette “fabbriche dei materiali”) tecnologicamente in grado di chiudere il ciclo dei rifiuti sul serio e a freddo;

(3) ad avviare percorsi concreti di economia circolare nei territori?

Questa sarebbe una politica innovativa e nell’interesse dei cittadini… Ma richiede coraggio!

fonte: http://osservatorioborgogiglione.it/


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Economia circolare, da Scapigliato 4 milioni di euro per il via alla “Fabbrica dei materiali”

Giari: «Quattro anni fa abbiamo presentato un ambizioso progetto strategico che traghettasse Scapigliato da discarica a innovativo polo industriale, per garantire la trasformazione del rifiuto in risorsa. Oggi passiamo dalle parole ai fatti»











Con un investimento da quasi 4 milioni di euro inizia la messa a terra della “Fabbrica dei materiali” di Scapigliato, un tassello cardine del progetto avanzato dalla società – al 100% del Comune di Rosignano Marittimo – per rendere marginali i conferimenti di rifiuti in discarica favorendo il recupero di materia e di energia. Sarà la società Tonello energie (un player di riferimento nel settore ambientale, con sede nella provincia di Vicenza) ad occuparsi del completo revamping dell’impianto di trattamento meccanico-biologico (Tmb) già presente nel polo di Scapigliato, al cuore del primo lotto della “Fabbrica dei materiali”.

«Quattro anni fa abbiamo presentato un grande e ambizioso progetto strategico che traghettasse Scapigliato da discarica a moderno e innovativo polo industriale, per garantire la trasformazione del rifiuto in risorsa, creando sviluppo, occupazione e un forte alleggerimento dell’impatto ambientale. Oggi – commenta Alessandro Giari, presidente e ad di Scapigliato (nella foto durante la firma del contratto con Tonello energie, ndr) – passiamo dalle parole ai fatti. Questa è la prima colonna della Fabbrica del futuro, a cui seguiranno nei prossimi mesi ed anni opere ben più importanti».

La Fabbrica del futuro rappresenta il percorso di risalita della gerarchia Ue per la gestione dei rifiuti intrapreso da Scapigliato, approvato con Autorizzazione integrata ambientale da parte della Regione nel 2019: all’interno di questo percorso entro il 2030 termineranno i conferimenti nella discarica più grande della Toscana, per dare spazio a forme di recupero dei rifiuti.

È in questo contesto che il nuovo Tmb verrà realizzato con le migliori tecnologie disponibili (Bat), che miglioreranno notevolmente gli aspetti ambientali – con la lavorazione in totale aspirazione dell’aria si elimineranno le potenziali maleodoranze – mentre al contempo la potenziata capacità di separazione e selezione del rifiuto garantirà una più elevata capacità di avvio a riciclo. Con le soluzioni robotiche che saranno sviluppate in corso d’opera, il Tmb diviene di fatto il primo lotto della “Fabbrica dei materiali”.

Ad oggi il Tmb di Scapigliato gestisce circa 45mila ton/anno di rifiuti urbani indifferenziati provenienti dalle nostre case, che qui vengono sottoposti a vagliatura meccanica per ottenere la separazione in sopravaglio (frazione secca) e sottovaglio (frazione organica). Grazie all’investimento stanziato per la Fabbrica del futuro il Tmb, una volta concluso il revamping, potrà trattare oltre 80mila ton/anno di rifiuti aumentando il rendimento di recupero dell’impianto – ovvero il rapporto tra la quantità complessiva di materiali selezionati avviati ad impianti di recupero e la quantità totale di rifiuti in ingresso – e anche l’efficienza con cui vengono selezionati meccanicamente i diversi materiali di cui sono composti gli scarti.

«Finalmente, dopo molte tribolazioni dovute alla situazione sanitaria che stiamo vivendo – sottolinea l’ing. Stefano Soncini, manager di esperienza internazionale nel settore delle costruzioni che per tre anni accompagnerà lo sviluppo degli investimenti di Scapigliato – siamo riusciti a dare avvio ad uno degli importanti progetti previsti nel programma di sviluppo della società che consentiranno di collocare il sito di Scapigliato fra i più moderni e tecnologicamente avanzati siti di trasformazione dei rifiuti a livello nazionale. Entro la prossima primavera confidiamo di dare inizio anche agli altri importanti progetti impiantistici e subito dopo daremo avvio agli interventi di natura paesaggistica finalizzati alla modellazione dell’area e alle piantumazioni, opere che costituiscono il naturale completamento di un grande progetto di trasformazione dell’intero sito di Scapigliato confermando che la società, oltre alla tecnologia, riserva grande attenzione alla sostenibilità ambientale e all’inserimento paesaggistico nel territorio».

fonte: www.greenreport.it


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L’inceneritore non si farà più, al suo posto un impianto di riciclo

Case Passerini, addio al progetto


Il rendering di come sarebbe stato l'inceneritore

Firenze. Inceneritore addio. Dopo anni di tira e molla, guerre a suon di carte bollate, tensioni fra enti locali, proteste di piazza, comitati, ricorsi e controricorsi, ora l’addio all’impianto di Case Passerini, a Sesto Fiorentino, è stato messo nero su bianco. Lo sancisce un protocollo d’intesa fra Regione Toscana, Ato Toscana Centro e Alia Servizi Ambientali firmato nelle scorse settimane e recepito anche in una delibera regionale. Un atto cruciale, ma passato sotto silenzio in questi giorni di attenzione totale all’emergenza Coronavirus. Nel documento, le parti dichiarano di aver "preso atto che l’impianto di Case Passerini non è stato realizzato nella tempistica prevista dal Piano regionale rifiuti e bonifiche, lasciando insoddisfatte le esigenze di interesse pubblico sottese alla pianificazione e localizzazione dell’impianto, quali la realizzazione di un sistema impiantistico d’ambito efficiente e adeguato all’autosufficienza dell’Ato nella gestione dei rifiuti urbani non pericolosi; l’efficienza economica; il rispetto delle condizioni del conferimento in discarica". Alla luce di questi presupposti, prosegue la delibera "Regione, Ato Centro ed Alia Spa, sono tutti chiamati a soluzioni industriali e tecnologiche alternative allo smaltimento in termovalorizzazione, riducendo i quantitativi di Rsu da trattare tali e quali".

Cosa significa in concreto? In parole più semplici, al posto dell’inceneritore dovrebbe nascere un impianto di trattamento e recupero dei rifiuti, i cui dettagli sono in via di definizione, ma che si inserirebbe nell’ottica dell’economia circolare, recentemente sancita anche da una legge ad hoc approvata dal consiglio regionale toscano. L’obbiettivo è fare in modo che un numero sempre maggiore di scarti torni a essere materia prima inseribile all’interno delle filiere produttive. Non a caso, il progetto sottoscritto tra Regione, Ato Centro ed Alia Spa parla di "sviluppo di progetti di economia circolare per la valorizzazione e il recupero/riciclo dei rifiuti". Insomma si passerebbe da un inceneritore che doveva bruciare gli scarti per creare energia, a una "fabbrica di materiali", in grado di ricavarli dagli scarti. Le conseguenze pratiche sul futuro dell’area, ma anche sugli assetti di Q.Thermo (la società nata per costruire il termovalorizzatore) sono importanti.

«La Regione – si legge nel documento - si impegna a adottare tutti i provvedimenti necessari a portare a compimento le procedure di modifica degli atti di pianificazione di settore o territoriali, per individuare le alternative industriali e di filiera alla realizzazione del termovalorizzatore" ma anche a "individuare interventi di sostegno finanziario ed economico da riconoscere ad Ato, finalizzati a investimenti pubblici". Ato, da parte sua, deve "effettuare un’analisi dei costi/benefici conseguenti alle strategie alternative allo scopo di assicurare che queste non determinino costi aggiuntivi" ma dovrà anche "indicare la possibilità di procedere al superamento della convenzione 17 ottobre 2016 per la realizzazione del termovalorizzatore, destinando ad Alia i contributi finalizzati a investimenti pubblici". Alia infine dovrà "rilevare con oneri a proprio carico la partecipazione societaria del privato Q.Thermo e valutarne la riconversione produttiva". Q.Thermo, società pubblico-privata creata per costruire e gestire l’inceneritore, è infatti partecipata al 60% da Alia e al 40% dal Gruppo Hera, società a partecipazione pubblica quotata in borsa, che gestisce impianti di termovalorizzazione in tutta Italia.

fonte: https://www.lanazione.it


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Smart-plant: quando i depuratori diventano fabbriche di nuovi materiali








Trasformare gli impianti di depurazione in autentiche fabbriche dei materiali, capaci di recuperare dalle acque fognarie elementi preziosi come cellulosa, fosforo e biopolimeri. Questo l'obiettivo del progetto Smart-Plant, finanziato dalla Commissione europea nell'ambito del programma Horizon 2020, e promosso dall'Università Politecnica delle Marche, dall'Università di Verona e da Alto Trevigiano Servizi, che insieme hanno trasformato il depuratore di Carbonera, a due passi da Treviso, in un laboratorio dove il trattamento delle acque reflue sposa i principi dell'economia circolare.

fonte: https://www.ricicla.tv

Rifiuti di Roma, approvate le linee guida del piano industriale Ama: previsti 13 nuovi impianti

L'azienda prevede 3 impianti per il trattamento degli scarti organici, 3 per il trattamento di plastica e metalli, 2 fabbriche dei materiali in sostituzione dei TMB, 4 per materiali specifici (RAEE, terre di spazzamento, materassi, pannolini) e 1 per la vetrificazione degli scarti di trattamento


















E’ l’autosufficienza impiantistica dell’azienda pubblica e di Roma Capitale, come fattore centrale per il miglioramento dei servizi e la creazione di valore a beneficio dei cittadini, il principale cardine del nuovo Piano Industriale di Ama le cui Linee Guida sono state approvate oggi dal Cda dell’Azienda, che lo annuncia in una nota. "Per 'servire meglio Roma' Ama ripensa a 360 gradi la sua missione - si legge - puntando a posizionarsi come operatore industriale di riferimento nazionale per l’Economia Circolare: da mero 'raccoglitore di rifiuti' a produttore di materie prime seconde”.
"Il primo obiettivo è quello di portare la qualità dei servizi di igiene urbana al livello delle più virtuose capitali europee, non solo con una decisa accelerazione della raccolta differenziata domiciliare, la radicale rimodulazione della raccolta stradale e il potenziamento dei centri di raccolta per i rifiuti ingombranti e 'particolari' - prosegue la nota - ma anche con una profonda riorganizzazione aziendale. Infatti per rispondere alle esigenze dei territori sui servizi di pulizia e spazzamento stradale, il piano industriale include le 'Ama di Municipio': un nuovo assetto organizzativo articolato in specifiche strutture di 'area', con ruolo di interfaccia nella gestione tra azienda, Municipi e utenti".
Punto fondamentale del piano è l’assetto impiantistico che mira all'autosufficienza: "Già prima dell’incendio del TMB Salario gli impianti aziendali coprivano meno del 25% del fabbisogno di trattamento dei rifiuti raccolti nella città di Roma. Il nuovo piano industriale punta ad abbattere la dipendenza da terzi dell’azienda capitolina prevedendo asset fondamentali per il miglioramento dei servizi erogati e la creazione di valore economico con la realizzazione di 13 nuovi impianti: impianti per il trattamento degli scarti organici, 3 per il trattamento di plastica e metalli, 2 fabbriche dei materiali in sostituzione dei TMB, 4 per materiali specifici (RAEE, terre di spazzamento,  materassi, pannolini) e 1 per la vetrificazione degli scarti di trattamento. Complessivamente questo nuovo sistema impiantistico dovrà poter trattare annualmente 880mila tonnellate"
"Attraverso la raccolta differenziata, inoltre, entro i prossimi cinque anni si punta ad intercettare quasi 500mila tonnellate in più di materiali da avviare a riciclo. Nel processo, oltre al “porta a porta”, verrà innestato il programma per circa 1000 “domus ecologiche” (aree ad accesso riservato e controllato al servizio di utenze condominiali o piccoli nuclei abitativi) e la riorganizzazione della raccolta di prossimità su strada, anche attraverso l’introduzione di soluzioni tecnologiche per l’applicazione futura della tariffa puntuale".
“L’autosufficienza impiantistica – afferma il presidente di Ama Lorenzo Bagnacani - è un fattore strategico per l’azienda pubblica e rappresenterà la vera rivoluzione per Roma Capitale. Le leve del ciclo integrato dei rifiuti e una logistica radicalmente mutata costituiranno le basi per il miglioramento dei servizi e per la creazione di valore a beneficio della cittadinanza”.

I rifiuti raccolti vengono riciclati davvero?

Il Regno Unito si è posto la domanda, scoprendo però troppe incertezze legate all’export della spazzatura: la sostenibilità passa per la prossimità, con impianti a servizio del territorio




















Secondo le stime del Governo, nel Regno Unito vengono prodotti ogni anno 11 milioni di tonnellate di imballaggi, che vanno poi a comporre circa il 17% di tutti i rifiuti domestici e commerciali. Un ammontare significativo, che il Paese tenta di gestire dal 1997 attraverso un sistema di mercato (adottato a seguito della relativa direttiva Ue su imballaggi e rifiuti da imballaggio) che sembra funzionare molto bene: secondo i dati ufficiali forniti dal department for Environment food and rural affairs, nel 2017 risulta infatti riciclato il 64% degli imballaggi, a fronte di un obiettivo fissato al 55%.
Il problema è che, secondo un’indagine condotta dal National audit office (Nao) direttamente su richiesta dell’Environmental audit committee, il rischio che si tratti di dati gonfiati è molto concreto.
Ad oggi le principali aziende d’Oltremanica che gestiscono gli imballaggi – ovvero quelle con un giro d’affari da almeno 50 tonnellate di imballaggi e un fatturato da oltre 2 milioni di sterline – sono obbligate a dimostrare che almeno un certo ammontare dei loro prodotti viene riciclato; per dimostrare di aver assolto l’obbligo bastano i documenti forniti a queste aziende dagli impianti che gestiscono il rifiuto nel Regno Unito, o che lo esportano all’estero per essere riciclato.
Il problema è che la seconda opzione – quella dell’export – è sempre più praticata. La quota di rifiuti da imballaggio esportati è sestuplicata a partire dal 2002, mentre la quantità di materiali avviati a riciclo entro i patri confini è rimasta la stessa. Così, nel 2017 ben la metà dei rifiuti da imballaggio ufficialmente riciclati è stata in realtà spedita all’estero, senza fondate certezze sul destino dei materiali.
«Sembra che il sistema sembra essersi evoluto in un modo comodo per il governo di raggiungere gli obiettivi fissati, senza affrontare i sottostanti problemi di riciclo sottostanti – si legge nelle conclusioni dell’indagine Nao – Il governo non ha prove del fatto che il sistema abbia incoraggiato le aziende a ridurre al minimo gli imballaggi, o a renderli facili da riciclare. E si basa sull’esportazione dei rifiuti in altre parti del mondo senza controlli adeguati per garantire che questi materiali siano effettivamente riciclati, e senza considerare se i Paesi di destinazione continueranno ad accettarli a lungo termine».
Un interrogativo, quest’ultimo, che si è manifestato con improvvisa violenza nell’ultimo anno, quando la Cina ha bandito l’import di molte tipologie di rifiuti, mettendo in crisi non solo il Regno Unito ma anche molti altri Paesi europei – Italia compresaoltre agli Usa. L’approccio utilizzato per tamponare l’emergenza non fa però che riproporre il medesimo modello di business, ovvero spostando altrove i flussi di rifiuti finora inviati in Cina: è la stessa Nao a notare che i dati del primo trimestre 2018 suggeriscono come la lacuna cinese sia stata colmata incrementando l’export di rifiuti in altri Paesi, ma sottolinea che non è chiaro se tale modus operandi possa essere mantenuto nel tempo. Alcuni Stati di destinazione – come Vietnam, Thailandia ma anche Polonia – stanno stringendo i cordoni, dopo la Cina.

A medio e lungo termine non si intravede altra soluzione che seguire la gerarchia per una corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti, che inizia con la prevenzione e prosegue con il riuso, il riciclo, il recupero di energia e la discarica. Per poter davvero governare i rifiuti prodotti (e avere un’idea precisa della loro destinazione finale) è però indispensabile seguire il principio di prossimità, oltre a quello di sostenibilità: ovvero aziende e consumatori che producono rifiuti in un territorio non possono al contempo pensare di cedere alla sindrome Nimby, e rifiutare sdegnati gli impianti industriali necessari a gestire i rifiuti all’interno (o il più vicino possibile) del territorio dove questi vengono prodotti, garantendo l’autosufficienza quantomeno a livello nazionale. Al contempo, dopo aver riciclato i rifiuti le materie prime seconde devono poter tornare a essere ri-acquistate sul mercato, e questo a sua volta richiede sensibilità da parte dei consumatori ed incentivi normativi ed economici da parte delle istituzioni pubbliche. Si tratta di un lavoro assai più complesso e faticoso rispetto a intraprendere la via dell’export dei rifiuti, ma è anche l’unico che al momento appaia sostenibile.

fonte: www.greenreport.it

Trattare rifiuti produce altri rifiuti: oltre 37 milioni di tonnellate l’anno in Italia

Altro che rifiuti zero: anche la migliore economia circolare produce scarti, eppure non abbiamo abbastanza impianti per gestirla























I rifiuti che vediamo ogni giorno e con cui tutti abbiamo direttamente a che fare, ovvero quelli urbani, ammontano – secondo i più aggiornati dati Ispra – a 30.116.605 di tonnellate, prodotte dagli italiani in un anno (2016). A questi va sommata la produzione di rifiuti speciali, di cui raramente abbiamo notizia, ma che in realtà rappresenta gli scarti delle imprese che producono i beni che consumiamo, o quelli prodotti negli uffici presso cui ci serviamo o lavoriamo. Sono altre 135,1 milioni di tonnellate (2016), di cui 125,5 milioni di tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi (cioè 2.070,9 kg/abitante per anno, mentre la produzione pro capite dei rifiuti urbani è pari a 497,1 kg/ab*anno). Che fine fa tutta questa spazzatura?
Come conferma anche il nuovo pacchetto normativo europeo sull’economia circolare, approvato da pochi mesi, occorre(rebbe) operare secondo logica di sostenibilità e prossimità, seguendo una precisa gerarchia: i rifiuti che non siamo riusciti a evitare di produrre (prevenzione) devono essere se possibile riusati, o riciclati, o avviati a recupero energetico, o conferiti in discarica. Attività per le quali occorrono impianti dedicati, oltre a quelli relativi ai necessari passaggi intermedi di selezione. Tutti questi anelli sono fondamentali per chiudere il ciclo integrato dei rifiuti, e sia la normativa sia gli incentivi economici dovrebbero seguire i dettami della gerarchia. Questo però in Italia raramente accade e, di fatto, persiste una cronica carenza di impianti per la gestione dei rifiuti che produciamo.
A quanti professano l’efficace slogan “rifiuti zero” potrebbe essere utile sapere, come tiene a sottolineare l’Unirima (Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri) che i rifiuti ricadenti nel capitolo 19 del Catalogo europeo dei rifiuti (Cer) rappresentano proprio i “rifiuti prodotti dal trattamento dei rifiuti”. In Italia «sono pari a 37.683.868 tonnellate e comprendono anche quelli provenienti dal trattamento dei rifiuti urbani. Si tratta quindi di una quantità ben superiore alla produzione dei rifiuti urbani», che come detto arriva a poco più di 30,1 milioni di tonnellate/anno. È un problema di cui però in Italia preferiremmo non vedere, come una volta fatta la raccolta differenziata – quando va bene – tutti i nostri scarti fossero obbligati a sparire dai radar della pubblica opinione. Non è così, naturalmente.
Prendiamo proprio il caso delle imprese associate a Unirima, dove vengono conferiti prevalentemente carta e cartone provenienti dalle raccolte differenziate dei Comuni, nonché da altre raccolte differenziate di attività commerciali e industriali. «Dalle attività di selezione e recupero di questi rifiuti finalizzate alla produzione di materia prima secondaria – spiegano da Unirima – derivano scarti non riciclabili qualificati come rifiuti speciali non pericolosi (CER 19 12 12) e destinati al recupero energetico (inceneritori) o allo smaltimento in discarica». Questo tipo di scarti è in aumento, anche perché fortunatamente in Italia cresce la raccolta differenziata: «I rifiuti  classificati con il CER 19 12 12 rappresentato circa il 29% del totale dei rifiuti del capitolo 19, per un quantitativo complessivo pari a circa 10,8 milioni di tonnellate ed un incremento del +2,2% rispetto al 2015».
Eppure mentre i dati Ispra «evidenziano il costante aumento della produzione di tali rifiuti, le capacità degli impianti di destinazione che devono riceverli si stanno drasticamente riducendo con conseguente esponenziale incremento delle difficoltà da parte delle imprese del nostro settore nell’allocare tali scarti di lavorazione».

Unirima – e non solo – sta ponendo da mesi l’attenzione su tali criticità nei momenti di confronto pubblici, ma i risultati sono scarsi: rifiuti, economia circolare e sviluppo sostenibile sono del resto temi complessi, poco inclini alle semplificazione imperante in un clima di campagna elettorale permanente. Ma senza gli impianti necessari a bloccarsi non sono solo le imprese attive nella gestione dei rifiuti: va in difficoltà anche chi quegli scarti li produce – impresa o cittadino –, perché non sa dove e come conferire la propria spazzatura, o deve farlo a costi crescenti, magari all’estero. «Ribadiamo – afferma dunque l’Unirima – come sia fondamentale intervenire con urgenza al fine di prevenire danni per l’economia di tutta la filiera del riciclo della carta (e non solo, ndr), per i sistemi pubblici di raccolta differenziata e con possibile rischio per l’ambiente».

fonte: www.greenreport.it

Rifiuti elettronici, la via giusta per riciclarli

A Montalto di Castro, a nord di Roma, uno stabilimento industriale distrugge in modo controllato montagne e montagne di frigoriferi vecchi, e altro Raee, i rifiuti elettronici. Recuperando materie prime utili, e senza inquinare


















Conquistano la ribalta solo nei casi come la “Frigo Valley ” di Tivoli, il cimitero di quasi 500 frigoriferi sventrati scoperto un mese fa alle porte di Roma, oppure quando i social si scatenano come nell’ottobre 2016 sul “frigogate” e la Sindaca Raggi, che vedeva frigoriferi abbandonati ovunque, salvo scoprire che era stato proprio il Comune a sospenderne il servizio di ritiro a domicilio. 
  
Parliamo dei nostri frigoriferi vecchi, ma non solo: condizionatori, lavatrici, lavastoviglie, cappe, forni, scaldabagni, tv, monitor, piccoli elettrodomestici, elettronica di consumo, cellulari e anche lampadine, che una volta dismessi costituiscono una miniera di materie prime; miniera al momento appannaggio, in prevalenza, di un mercato illecito, fatto di discariche abusive e che, sfruttando il lavoro nero, inquina terreni e minaccia la salute pubblica. In Italia la percentuale di Raee, i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, che sfugge al sistema legale arriva al 70%: ogni anno, su una produzione di 800 mila tonnellate di Raee, circa 600 mila tonnellate non si sa che fine fanno. 














L’Italia è maglia nera d’Europa nella raccolta di rifiuti elettronici. Ogni anno in Italia ne vengono raccolti 5 chili per abitante, molto meno di Francia, Regno Unito, Irlanda, Austria e Belgio, che vanno oltre gli 8 chili, e Svizzera e Norvegia che arrivano addirittura a 15 kg. Sono i dati emersi durante l’evento per il decennale di Ecodom, il principale consorzio di gestione dei RAEE operante in Italia e che ad oggi ha smaltito 765 mila tonnellate di vecchi elettrodomestici, recuperando quasi il 90% di materie prime.                                                               
  
“C’è un buco normativo e anche di controlli non sufficienti. È importante che lo Stato italiano inizi a cercare attivamente i flussi di Raee nascosti, gestiti al di fuori dei sistemi collettivi, anche in vista del raggiungimento degli alti obiettivi di riciclo del pacchetto europeo sull’economia circolare – spiega Giorgio Arienti, direttore generale di Ecodom - . Chiediamo che ci siano controlli di processo e inoltre che sia al più presto approvato il Decreto sulla qualità del trattamento dei Raee con disposizioni tecniche uniformi e vincolanti per i vari operatori del settore”. 
   
Siamo andati nel centro di trattamento RAEE di Montalto di Castro, in provincia di Viterbo: qui sono impiegati 40 lavoratori che hanno il compito di recuperare nella maniera corretta i rifiuti elettronici raccolti in Toscana, Umbria e soprattutto Lazio, senza alcuna dispersione di sostanze inquinanti, come per esempio i gas lesivi per l’ozono contenuti nei circuiti refrigeranti e nelle schiume isolanti. Da questa montagna di frigoriferi rotti, di televisori con il tubo catodico che fino a poco tempo fa affollavano le nostre case, si ricava plastica, rame, ferro e alluminio, si riduce la Co2 immessa in atmosfera e si risparmia energia elettrica. 

  














Al momento non esiste un obbligo di conferire la spazzatura elettronica a impianti come questo di Montalto di Castro con alti standard ambientali certificati: l’autorizzazione al trattamento non è infatti un’esclusiva dei 15 consorzi del sistema gestito dal Centro di Coordinamento Raee.  
  
In virtù della libertà di mercato, i Raee possono essere venduti al miglior offerente a patto che si possieda un'autorizzazione, fosse anche per il semplice stoccaggio. Bisognerebbe imporre disposizioni di legge che definiscano standard di qualità obbligatori relativi a tutti i processi di riciclo: dagli impianti che fanno un trattamento non ottimale dei rifiuti elettrici ed elettronici fino all’ultimo “svuotacantine”, che viene direttamente a casa a prendersi il vecchio frigo e lo smonta, prendendosi le parti che gli servono e il resto lo butta chissà dove.  
  
E infine c’è il ruolo giocato dal singolo cittadino: secondo una ricerca realizzata da Ipsos Italia, solo 18 italiani su 100 sanno che è possibile conferire gratuitamente i piccoli apparecchi elettrici ed elettronici dismessi, dai vecchi cellulari ai phon da viaggio, presso i grandi negozi di elettronica. Si tratta del decreto “Uno contro Zero”, secondo cui i negozi con una superficie superiore ai 400 metri quadrati hanno l’obbligo di ritirare i piccoli apparecchi elettronici gratuitamente senza chiedere nulla in cambio, a differenza di quello che accade per il resto dei rifiuti RAEE, per cui esiste da tempo il decreto “Uno contro Uno”, che permette di affidare il vecchio elettrodomestico a un negozio solo a patto che se ne acquisti un altro. 
  
Nel libro “L’era dei RAEE – 10 anni di Ecodom”, a proposito dell’invasione degli apparecchi elettrici nella nostra vita quotidiana, Marco Gisotti scrive: “Ciò che ignoravamo è che a tanto benessere corrispondeva la creazione di una quantità di scarti che mai avevamo prodotto in maniera così copiosa”; ora ne siamo pienamente coscienti. 

fonte: http://www.lastampa.it

Cosa vuol dire plastica riciclabile?

Una definizione precisa è stata elaborata dalle due principali associazioni internazionali di riciclatori.


















Per aiutare le autorità nella messa a punto di normative e misure di sostegno per lo sviluppo dell’economia circolare, due associazioni internazionali di riciclatori di materie plastiche, l’europea Plastics Recycling Europe (PRE) e l’americana The Association of Plastic Recyclers hanno lavorato insieme ad una definizione globale di “Plastics Recyclability”, ovvero di cosa si debba intendere per plastica riciclabile.
“Il termine ‘riciclabile’ viene costantemente utilizzato per definire materiali e prodotti senza che vi sia un riferimento definito e condiviso”, nota Steve Alexander, Presidente di The Association of Plastic Recyclers. “La riciclabilità di un prodotto va oltre l’essere tecnicamente riciclabile: i consumatori devono poter accedere a un sistema di raccolta e riciclo, un riciclatore deve essere in grado di trattare il materiale e occorre un mercato finale per i materiali rigenerati”.
Secondo le due associazioni, per essere considerato riciclabile, un prodotto in plastica deve soddisfare quattro condizioni:
  1. Deve essere realizzato con una plastica che viene raccolta a fini di riciclo, avere un valore di mercato e/o essere supportata da un programma di recupero obbligatorio.
  2. Deve essere selezionato e aggregato in flussi idonei ai processi di riciclo.
  3. Deve poter essere essere trasformato e rigenerato o riciclato utilizzando processi commerciali.
  4. La plastica riciclata deve diventare una materia prima nella produzione di nuovi prodotti.
Inoltre, per i materiali innovativi introdotti sul mercato si dovrebbe dimostrare la possibilità di raccoglierli e selezionarli in volumi sufficienti per il riciclo, la loro compatibilità con i processi di riciclo industriale esistenti, oppure essere disponibili in quantità sufficienti per giustificare l’avvio di nuovi processi di rigenerazione.
Plastics Recycling Europe e The Association of Plastic Recyclers stanno raccogliendo pareri, indicazioni e adesioni da altri soggetti della filiera. La prima ad aver fornito il suo appoggio alla definizione di riciclo è Petcore, associazione della filiera europea degli imballaggi in PET.

fonte: www.polimerica.it

Rifiuti di Roma, Montanari: 'Avanti senza discarica, ad ottobre si sblocca la nuova impiantistica'

L'assessora all'Ambiente di Roma: "Continuiamo a lavorare per le fabbriche dei materiali quale soluzione per raggiungere gli obiettivi al 2021: estensione del porta a porta in tutti i municipi, il 70% di differenziata e la diminuzione della la spazzatura complessiva di Roma di 200mila tonnellate"






Nella difficile situazione che Roma sta vivendo sul fronte dei rifiuti, l'amministrazione Raggi decide di andare avanti per la sua strada e proseguire con la strategia Rifiuti Zero, rinunciando a qualsiasi ipotesi di nuova discarica – neppure una momentanea discarica di servizio come auspicato dalla Regione Lazio – e puntando sulla massimizzazione della raccolta differenziata attraverso la diffusione del porta a porta e sulla nuova impiantistica, che a breve dovrebbe ricevere il via libera. Abbiamo raggiunto per telefono l'assessora all'Ambiente Pinuccia Montanari.

Assessora conferma che l'ipotesi di una discarica è esclusa?
Per la discarica a Roma non ci sono siti disponibili. E poi la città ha già dato su questo fronte, per cui continuiamo a lavorare per le fabbriche dei materiali quale soluzione per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissi al 2021, che sono l'estensione del nuovo modello di raccolta porta a porta in tutti i municipi, il 70% di differenziata e la diminuzione della la spazzatura complessiva di Roma di 200mila tonnellate.

Un impianto di recupero di materia dal rifiuto residuo (RUR), detto volgarmente Fabbrica dei Materiali, costituisce il mezzo migliore per evitare di ricorrere a discariche, gassificatori e inceneritori. Come ci spiegava qualche anno fa Enzo Favoino proprio a proposito di Roma e del Lazio, questo impianto è costituito da due sezioni parallele di trattamento: in una viene lavorata la frazione residua (sottovaglio) che contiene ancora componenti fermentescibili. Questa viene resa “inerte” attraverso un processo di “stabilizzazione” (del tutto analogo al compostaggio) in modo da minimizzarne gli impatti relativi alla collocazione a discarica. Nell’altra sezione (che tratta il sopravvallo) viene fatto invece il recupero dei materiali, attraverso una combinazione di varie separazioni sequenziali (ad esempio separatori balistici, magnetici, lettori ottici) analogamente a quanto avviene nelle piattaforme di selezione dei materiali da raccolta differenziata.

A proposito delle fabbriche dei materiali, lei ha detto che per i primi impianti state per depositare gli atti in giunta. Che tempi ci sono?
Guardi si tratta del piano industriale di Ama che è pronto ed è già stato discusso con la commissione ambiente. Lo presenteremo prima alla sindaca e poi alla maggiornza e poi si potrà partire. Io credo che ottobre al'incirca sarà il mese decisivo.

Da quali impianti si partirà?
In sostanza faremo così. Abbiamo i due impianti per l'organico che sono già stati depositati in Regione e sono in attesa di VIA. Contemporanemante Ama sta lavorando al piano industriale suddetto che partirà dall'intercettazione di frazioni importanti come ingombranti, materassi, raee e altri, che possono creare un mercato interessante. Stiamo cercando di dedicarci a tutte le filiere.

Per quanto riguarda i due impianti di tmb, Salario e Rocca Cencia, quale sarà il loro futuro?
Sempre secondo il piano Ama l'obiettivo è quello di renderli più efficienti e trasformarne almeno uno dei due in fabbrica di materiali e sarà Rocca Cencia quasi sicuramente, mentre per il Salario è prevista la chiusura delle attività nel 2019. Ma anche a questo proposito io ribadisco che il nostro obiettivo fondmentale è quello del 2021. Gli obiettivi intermedi sono più obiettivi da cronoprogramma, quello su cui dobbiamo misurarci è l'obiettivo ultimo e fino ad ora devo dire che Ama è in linea con la tabella di marcia.

A proposito del decentramento dell'azienda, può spiegare meglio in cosa consisterà?
Si tratta proprio di un nuovo modello gestionale, che è stato già testato, e che consiste nel collocare una struttura di Ama in ogni municipio, che effettuerà tutte le attività di gestione della raccolta rifiuti e dello spazzamento stradale relative a quel territorio in maniera più controllata. Questo consentirà anche ai lavoratori di svolgere le proprie mansioni facendo riferimento unicamente alla struttura del loro municipio.


fonte: www.ecodallecitta.it

Rifiuti di Roma, Montanari: 'Dal 2019 tutti i Municipi avranno la propria Ama'

Lo annuncia l'assessora all'Ambiente del Comune di Roma, Pinuccia Montanari, in un'intervista al Corriere della Sera, in cui conferma che l'amministrazione sta lavorando con Ama per realizzare quel decentramento nella gestione rifiuti che riconosce il Municipio quale ambito territoriale di riferimento
















“Dal 2019 tutti i quindici Municipi avranno un dirigente di riferimento che gestirà la raccolta rifiuti e le segnalazioni dei cittadini. Entro la fine dell’anno avremo le prime tre Ama di Municipio”. Lo annuncia l'assessora all'Ambiente del Comune di Roma, Pinuccia Montanari, in un'intervista al Corriere della Sera, in cui conferma che l'amministrazione sta lavorando con Ama per realizzare quel decentramento nella gestione rifiuti che riconosce il Municipio quale ambito territoriale di riferimento. “I responsabili di Municipio saranno prevalentemente scelti tra le risorse interne di Ama” dice l'assessora, che sulla faccenda non aggiunge altro.

Ribadisce invece che il lavoro sui nuovi impianti preosegue, anche se com'è il percorso soffre ritardi e rallentamenti dovuti al costante rimpallo di responsabilità con la Regione Lazio: “Oltre ai due di compostaggio per i quali attendiamo in via libera della Regione – dice Montanari -, stiamo lavorando per sviluppare fabbriche di materiali e impianti di riciclo, ad esempio per materassi e pannolini”.

A questo proposito l'assessora conferma che l'impianto di trattamento meccanico biologico del Salario sarà chiuso nel 2019 e non prima come speravano i residenti e il presidente del III Municipio, Giovanni Caudo, che ieri ha visitato la struttura: “Il Tmb Salario per quello che fa è incompatibile con l’area urbana che gli sta attorno – ha detto Caudo - Bisogna accelerare la dismissione anche se, purtroppo, nel 2019, secondo quello che prescrive il piano industriale, non sarà affatto possibile perché la sua chiusura è collegata al raggiungimento del 70% di differenziata. Oggi siamo al 43% e salvo miracoli non credo ci si riuscirà. Questa è responsabilità dell’amministrazione Raggi e dell’Ama, per aver avallato un piano industriale che non regge”.

“Bisogna avere spirito di collaborazione da parte di tutti e raggiungere l’obiettivo ‘no puzza’ subito perché sulla salute pubblica non si discute – ha ribadito Caudo – Questo vuol dire che servono interventi immediati di contenimento delle esalazioni, ovvero non stressare più gli impianti e evitare lo scambio di calore termico interno-esterno. Oggi invece c’è un collegamento diretto tra la fossa dove vengono scaricati i materiali e l’esterno”. E ha ammonito: “Se gli obiettivi che ci siamo dati non saranno raggiunti, il III Municipio, con i cittadini, si convocherà qui davanti fino a quando non riusciremo ad ottenere i risultati di rispetto della salute pubblica”.

fonte: www.ecodallecitta.it

L’economia dei rifiuti, ancora poco circolare: intervento di Agata Fortunato

Dal turismo dei rifiuti, a politiche di prevenzione assenti o poco efficienti, sono diversi gli aspetti che rendono l’economia dei rifiuti ancora poco circolare. Cosa fare evitando di “buttare via il bambino insieme all'acqua sporca”?





Dal turismo dei rifiuti, a politiche di prevenzione assenti o poco efficienti, sono diversi gli aspetti che rendono l’economia dei rifiuti ancora poco circolare. Cosa fare evitando di “buttare via il bambino insieme all'acqua sporca”? Di seguito il punto di vista di Agata Fortunato, responsabile Ufficio Ciclo Integrato dei Rifiuti della Città Metropolitana di Torino:

La carenza di impianti in Italia è un problema annosissimo, strettamente correlato alla non sempre diffusa conoscenza da parte delle comunità locali delle tecnologie disponibili e degli effettivi impatti, ma anche dei casi di cattiva gestione, che portano troppo spesso all’opposizione alla realizzazione di nuovi impianti senza entrare nel merito dei singoli interventi; questo ha come conseguenza cercare soluzioni semplici a problemi complessi.
Normalmente la soluzione più semplice è non scegliere, non decidere e spostare il problema da qualche altra parte. Lo dimostra plasticamente l’indagine riportata da ilfattoquotidiano.it, che documenta, in completo spregio ai tanto decantati criteri di prossimità, i “tour dei rifiuti” in lungo e in largo nella nostra penisola. Questa analisi dovrebbe far riflettere su due aspetti altrettanto importanti: la quantità e la tipologia dei rifiuti prodotti ogni anno e la necessità di trattamento che ne deriva.
Senza dimenticare la quantità, su cui ce lo diciamo da anni è necessario mettere in campo sforzi, che devo dire al momento appaiono molto limitati e soprattutto disorganici, non è più procrastinabile riprogettare beni e imballaggi, affinché una volta diventati rifiuti possano effettivamente essere riciclati, invece che essere inceneriti o smaltiti in discarica.
Al tempo stesso però i territori che oggi più “esportano” rifiuti non possono continuare a far finta di nulla. Certo, la pianificazione e localizzazione di impianti per la gestione dei rifiuti è spesso impopolare e difficile, ma evidentemente necessaria.
Ritornando al concetto di prevenzione dei rifiuti, che in modo estensivo possiamo sia interpretare come mera riduzione della quantità assoluta, ma anche come riduzione della quantità avviata a recupero energetico o smaltimento, spiace notare che negli scorsi anni, a fronte di pur interessanti elenchi di iniziative proponibili (e in parte anche attuate dalle comunità locali), non sia stata attivata una politica organica. Per i rifiuti di imballaggio, che costituiscono la gran parte dei rifiuti prodotti quotidianamente dalle famiglie italiane, i piani di prevenzione sono demandati direttamente ai consorzi di produttori e forse, questo potrebbe non essere la scelta migliore quanto ad incisività.
Certo quando si acquista qualcosa ci si aspetta che l’imballaggio “faccia il suo mestiere”, ma negli ultimi anni la progettazione degli imballaggi ha quasi esclusivamente guardato alla performance tecnica e all’appeal nei confronti del consumatore. Inoltre sono cresciuti a dismisura i prodotti venduti con uno o più imballi, anche quelli non “lavorati” come la verdura fresca. Una recente rilevazione di ISMEA, riportata da IlSole24ore, afferma una sostanziale sostituzione dell’ortofrutta imballata a scapito dello sfuso e collega il fenomeno con l’introduzione dei sacchetti ultraleggeri in bioplastica e a pagamento. Non so se questa lettura sia corretta (nel qual caso l’obiettivo della legge sarebbe stato profondamente disatteso), ma è un fatto che nei supermercati gli spazi per i prodotti freschi e sfusi (ortofrutta, salumeria, macelleria, pescheria) si sono drasticamente ridotti nell’ultimo decennio a favore di una maggiore offerta di analoghi referenze preconfezionate.
Questo sembrerebbe accadere (lo dico da consumatrice non avendo a riguardo dati a supporto di questa tesi) soprattutto nelle grandi città, proprio laddove l’estensione degli orari di apertura (ormai è diffusa la presenza di supermercati 7/24) dovrebbe indurre i consumi in una direzione opposta, ovvero comprare solo quello e nel momento in cui è necessario. E questo è solo un esempio.
Manca una risposta organica ai tanti appelli sulla riduzione degli imballaggi e più in generale dell’usa e getta che, diciamocelo in tranquillità, non sempre è necessario (il caso emblematico sono le cannucce in plastica).
Il grosso rischio a mio avviso è quello non solo di non veder ridurre la produzione di rifiuti, ma addirittura di assistere ad una contrazione del riciclo visto il proliferare di imballaggi e prodotti usa e getta realizzati in materiali oggi non riciclabili.


fonte: www.ecodallecitta.it

Rifiuti, Tar boccia Sblocca Italia e inceneritori ‘facili’. La politica non ha alternative. E l’Italia soffoca tra roghi e discariche

Solo negli ultimi 11 mesi sono stati contati 149 roghi negli impianti di gestione. Uno ogni due giorni. Ma l'Italia non si è data una alternativa agli otto termovalorizzatori figli del decreto dell'ex premier Renzi che ora aspetta il vaglio della giustizia europea. E mentre gli altri paesi (a cominciare dalla Cina) chiudono le frontiere alla monnezza altrui, il nostro ministero dell'Ambiente non ha un piano per la riduzione dei rifiuti e si limita alle circolari con le "linee guida per lo stoccaggio". Chi si arricchisce invece è la criminalità














Per molte associazioni ambientaliste è una buona notizia, ma lo stop al piano per otto nuovi inceneritori, su cui ora dovrà esprimersi la Corte di giustizia europea, non risolverà i problemi dell’Italia. L’ordinanza del Tar del Lazio che chiede ai giudici europei di dire la loro sul provvedimento dello Sblocca Italia e congela momentaneamente il piano, infatti, arriva in un momento di emergenza rifiutisu tutto il territorio nazionale, in cui il nostro Paese ha ben poco da festeggiare. Un quadro compromesso, dove l’aumento della raccolta differenziata e quindi dei rifiuti da gestire, la carenza di impianti, la chiusura delle frontiere cinesi alla spazzatura del resto del mondo e il moltiplicarsi dei roghi negli stabilimenti che trattano e stoccano monnezza sono elementi solo in apparenza scollegati tra loro. Basta unire i punti per ottenere un’immagine sconcertante, dove in mancanza di risposte efficaci da parte di chi governa, le soluzioni arrivano sempre più spesso dal malaffare, sotto forma di traffici illeciti e incendi: “Il rifiuto meno lo tocchi e più guadagni. E una volta bruciato, il rifiuto non lo tocchi più”, continua a ripetere chi in questi anni sta indagando sui fuochi.

 

Tanti rifiuti, pochi impianti
Che succede nel mondo dei rifiuti? Da una parte cresce la monnezza da gestire, dall’altra diminuiscono gli sbocchi. In Italia, infatti, dopo un lieve calo registrato nel 2015, la spazzatura urbana ha ripreso a crescere nel 2016, superando i 30 milioni di tonnellate come non succedeva dal 2011. Volumi a cui vanno sommati quelli molto più alti degli scarti speciali dell’industria, che in confronto sono quattro volte tanto: tra il 2013e il 2015 sono passati da 124 a 132 milioni di tonnellate. A questi numeri si aggiunge la forte crescita della raccolta differenziata. In soli quattro anni, tra il 2013 e il 2016, è lievitata di 10 punti, passando dal 42% al 52%: numeri che in parte si sono tradotti in maggiori rifiuti rigenerati ma dall’altra hanno inevitabilmente prodotto anche scarti da smaltire. Non tutto quello che viene differenziato dai cittadini, infatti, può essere riciclato e nel frattempo sono in aumento gli imballaggi in plastica impossibili da avviare a seconda vita. Piccole confezioni, contenitori monouso, vaschette, bottiglie opache, imballi multistrato sono tutti rifiuti che oggi possono essere solo bruciati o sepolti in discarica. Una parte di questa montagna di polimeri misti, quello che tecnicamente si chiama plasmix, può essere trasformato in arredi da esterno o componenti per il settore auto, ma gli impianti che oggi li riciclano si contano sulle dita di una mano: economicamente non conviene. Una misura dell’ultima legge di stabilità introduce incentivi per chi acquista prodotti in plastiche miste riciclate. I risultati andranno valutati nel lungo periodo, mentre intanto la legge che impone alle pubbliche amministrazioni di acquistare prodotti rigenerati si taglia le gambe da sola: poteva essere un’occasione per promuovere indirettamente il riciclo, e invece non prevede sanzioni per gli inadempienti.

Nessuna politica di riduzione
Il nodo principale ancora da sciogliere rimane però la prima regola che l’Europa ci ha dato in termini di rifiuti: ridurli il più possibile. Su questo fronte non c’è al momento in Italia una strategia efficace, visto che anche possibili sistemi di vuoto a rendere sono stati ammessi dal ministero dell’Ambiente solo in sperimentazione. Così, la monnezza si moltiplica e l’Italia da sola non riesce a gestirla. Negli ultimi anni, la carta è stata per un terzo riciclata all’estero e molta plastica, soprattutto quella più sporca e di bassa qualità, è finita nel sud Est asiatico, Cina in testa. I rifiuti indifferenziati urbani, quelli speciali e gli scarti delle raccolte differenziate che vanno smaltiti hanno poche scelte. Gli inceneritori italiani, che grazie allo Sblocca Italia possono ora bruciare il massimo consentito dei rifiuti, sono da tempo pieni e hanno portato i prezzi alle stelle. Non resta che rivolgersi ai forni di mezza Europa: lo sbocco si trova sempre con fatica e si paga caro, i tempi di stoccaggio dei rifiuti si allungano e aumentano così i rischi di incendi.

Il fattore Cina
Una filiera traballante e in sofferenza già questa estate, quando il presidente Anci Antonio Decaro e il delegato ai rifiuti Ivan Stomeo avevano scritto al ministero dell’Ambiente per segnalare le difficoltà del sistema e chiedere soluzioni, pena il rischio di un blocco totale della raccolta dei rifiuti dei cittadini. Ma mentre il ministero si limitava a convocare qualche riunione e continuavano i roghi negli impianti pieni di rifiuti stoccati, dalla Cina è arrivato l’elemento che ha messo definitivamente in crisi il settore. A luglio 2017, infatti, il governo di Pechino ha comunicato all’Organizzazione mondiale del commercio la sua decisione di chiudere dal primo gennaio 2018 le frontiere a oltre 20 tipi diversi di rifiuti, mandando nel panico il resto del mondo. Di fronte a questa guerra della monnezza, Bruxelles ha messo in atto un piano per ridurre i rifiuti plastici e rendere tutti riciclabili gli imballaggi in commercio entro il 2030. L’Italia, invece, è stata a guardare. Nessun impianto della filiera del riciclo è stato considerato “strategico” e “di preminente interesse nazionale” come invece sono stati dichiarati nel 2014 gli inceneritori, nessun piano efficace di riduzione dei rifiuti è stato messo in atto, nessuna regola è stata introdotta per imporre alle aziende di usare imballaggi davvero riciclabili. Dal primo gennaio si è assistito solo al pasticcio dei sacchetti biodegradabili diventati obbligatori anche per frutta e verdura.

Il fuoco sgombra i piazzali
“Il rifiuto meno lo tocchi più guadagni. Per questo tante volte arriva il benedetto fuoco. Quello che brucia va in fumo e il fumo non si tocca più”, aveva detto nel 2016 a ilfattoquotidiano.it il magistrato della Dna Roberto Pennisi parlando del fenomeno degli incendi negli impianti che trattano monnezza. Le fiamme servono a sgombrare i piazzali dai rifiuti, tagliando costi ed eliminando il problema alla radice con il malaffare: secondo chi sta conducendo le indagini, quelli frutto del caso sono pochissimi, quasi sempre all’origine delle fiamme c’è il dolo. A due anni di distanza, l’analisi è oggi condivisa e il quadro si è ulteriormente aggravato: dove la legalità non è capace di dare una risposta, il terremo diventa pericolosamente fertile per il malaffare. La relazione della commissione bicamerale Ecomafie sugli incendi, pubblicata a gennaio scorso, ha censito 261 roghi in impianti di gestione dei rifiuti tra il 2014 e l’estate 2017. Negli ultimi 11 mesi, secondo la deputata dei Verdi Claudia Mannino che da tempo monitora il fenomeno, ce ne sono stati 149, uno ogni due giorni.

Dal ministero solo una circolare

Di fronte a un fenomeno così complesso, il ministero dell’Ambiente per ora si è limitato a inviare a Vigili del fuoco, Ispra e forze dell’ordine una circolare di una decina di pagine, con “linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi”. Ma se, come confermano gli investigatori, quasi sempre il fuoco viene appiccato volontariamente, a che serve un provvedimento di questo tipo? Dopo i decreti per facilitare il riciclo di materiali specifici, attesi da anni e ancora mancanti, lo Sblocca Italia che prevede la costruzione di otto nuovi inceneritori senza fare niente sul fronte del recupero dei materiali, sembra solo l’ennesimo pasticcio. Mentre l’Italia, povera di impianti per gestire i rifiuti (da quelli di trattamento a quelli dedicati all’organico, fino a quelli ahimè ancora necessari di smaltimento), continua ad affogare nella monnezza, e a bruciare.

Veronica Ulivieri

fonte: www.ilfattoquotidiano.it