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LeggeRifiutiZero: ABBIAMO VINTO CONTRO LO SBLOCCA ITALIA !




COMUNICATO STAMPA del 6 ottobre 2020

ABBIAMO VINTO CONTRO LO SBLOCCA ITALIA!

LA SENTENZA FINALE DEL TAR LAZIO ANNULLA IL DECRETO ATTUATIVO PER POTENZIARE O COSTRUIRE INCENERITORI.

Oggi è stata pubblicata la sentenza definitiva del TAR Lazio rispetto al ricorso contro l’articolo 35 dello Sblocca Italia da noi presentato nel dicembre 2016, che ANNULLA per mancata VAS (valutazione ambientale strategica) il decreto attuativo del 10/8/2016 e le sue nefaste previsioni!

Nonostante sia stato ribadito che resta confermato un margine di discrezionalità al governo sulla qualificazione degli inceneritori come “infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale” è stato ribadito oggi anche che la stessa qualificazione deve comunque “garantire che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana e senza recare pregiudizio all’ambiente, in particolare senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, la flora e la fauna”.

Dopo quattro anni, l’ 8 maggio 2019 abbiamo ottenuto la sentenza della Corte di giustizia europea http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=213860&pageIndex=0&doclang=FR&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=2124633 , e dopo una serie di ripetuti rinvii da parte del TAR Lazio, oggi si è finalmente concluso il dibattimento con una sentenza che di fatto AZZERA LE PREVISIONI DI POTENZIAMENTO O DI COSTRUZIONE DI NUOVI INCENERITORI per inadempienza palese alla direttiva 2001/42/CE non avendolo sottoposto preventivamente alla obbligatoria VAS – Valutazione ambientale strategica. (il testo della sentenza: http://www.leggerifiutizero.org/wp-content/uploads/2020/10/Sentenza_tar_Lazio.pdf)

Contiamo ora che il ministro dell’ambiente ed il governo tutto dia un segnale chiaro azzerando e riscrivendo daccapo la formulazione dello stesso articolo 35 della Legge 164/2014 in quanto lo SBLOCCA ITALIA è oramai da considerarsi ILLEGITTIMO sia per l’azione popolare che ha fermato la sua attuazione che per il recentissimo recepimento della Direttiva europea 851/2008 che esclude il “recupero di energia” dai nuovi obiettivi di riciclaggio del programma di economia circolare. Aspettiamo ora di vedere rimosso per via giudiziaria il principale ostacolo al dispiegarsi sia in Italia che in Europa di una vera “economia circolare” basata sul “riuso-riciclo-recupero di materia”, dato che l’incenerimento distrugge materia per recuperare una bassa quantità di energia, pagata salatissima tuttora dagli incentivi pubblici del GSE a fondo perduto

Secondo importantissimo risultato di questa sentenza del TAR Lazio n. 10088/2020 è che il nostro Movimento ha ottenuto di fatto la LEGITTIMAZIONE ad agire contro atti e normative statali al pari di altre associazioni nazionali, che spesso non esercitano affatto le proprie prerogative in merito.

Roma 06-10-2020

il presidente del Movimento Legge Rifiuti Zero per l’Economia Circolare








Massimo Piras

fonte: http://www.leggerifiutizero.org


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Rifiuti, Tar boccia Sblocca Italia e inceneritori ‘facili’. La politica non ha alternative. E l’Italia soffoca tra roghi e discariche

Solo negli ultimi 11 mesi sono stati contati 149 roghi negli impianti di gestione. Uno ogni due giorni. Ma l'Italia non si è data una alternativa agli otto termovalorizzatori figli del decreto dell'ex premier Renzi che ora aspetta il vaglio della giustizia europea. E mentre gli altri paesi (a cominciare dalla Cina) chiudono le frontiere alla monnezza altrui, il nostro ministero dell'Ambiente non ha un piano per la riduzione dei rifiuti e si limita alle circolari con le "linee guida per lo stoccaggio". Chi si arricchisce invece è la criminalità














Per molte associazioni ambientaliste è una buona notizia, ma lo stop al piano per otto nuovi inceneritori, su cui ora dovrà esprimersi la Corte di giustizia europea, non risolverà i problemi dell’Italia. L’ordinanza del Tar del Lazio che chiede ai giudici europei di dire la loro sul provvedimento dello Sblocca Italia e congela momentaneamente il piano, infatti, arriva in un momento di emergenza rifiutisu tutto il territorio nazionale, in cui il nostro Paese ha ben poco da festeggiare. Un quadro compromesso, dove l’aumento della raccolta differenziata e quindi dei rifiuti da gestire, la carenza di impianti, la chiusura delle frontiere cinesi alla spazzatura del resto del mondo e il moltiplicarsi dei roghi negli stabilimenti che trattano e stoccano monnezza sono elementi solo in apparenza scollegati tra loro. Basta unire i punti per ottenere un’immagine sconcertante, dove in mancanza di risposte efficaci da parte di chi governa, le soluzioni arrivano sempre più spesso dal malaffare, sotto forma di traffici illeciti e incendi: “Il rifiuto meno lo tocchi e più guadagni. E una volta bruciato, il rifiuto non lo tocchi più”, continua a ripetere chi in questi anni sta indagando sui fuochi.

 

Tanti rifiuti, pochi impianti
Che succede nel mondo dei rifiuti? Da una parte cresce la monnezza da gestire, dall’altra diminuiscono gli sbocchi. In Italia, infatti, dopo un lieve calo registrato nel 2015, la spazzatura urbana ha ripreso a crescere nel 2016, superando i 30 milioni di tonnellate come non succedeva dal 2011. Volumi a cui vanno sommati quelli molto più alti degli scarti speciali dell’industria, che in confronto sono quattro volte tanto: tra il 2013e il 2015 sono passati da 124 a 132 milioni di tonnellate. A questi numeri si aggiunge la forte crescita della raccolta differenziata. In soli quattro anni, tra il 2013 e il 2016, è lievitata di 10 punti, passando dal 42% al 52%: numeri che in parte si sono tradotti in maggiori rifiuti rigenerati ma dall’altra hanno inevitabilmente prodotto anche scarti da smaltire. Non tutto quello che viene differenziato dai cittadini, infatti, può essere riciclato e nel frattempo sono in aumento gli imballaggi in plastica impossibili da avviare a seconda vita. Piccole confezioni, contenitori monouso, vaschette, bottiglie opache, imballi multistrato sono tutti rifiuti che oggi possono essere solo bruciati o sepolti in discarica. Una parte di questa montagna di polimeri misti, quello che tecnicamente si chiama plasmix, può essere trasformato in arredi da esterno o componenti per il settore auto, ma gli impianti che oggi li riciclano si contano sulle dita di una mano: economicamente non conviene. Una misura dell’ultima legge di stabilità introduce incentivi per chi acquista prodotti in plastiche miste riciclate. I risultati andranno valutati nel lungo periodo, mentre intanto la legge che impone alle pubbliche amministrazioni di acquistare prodotti rigenerati si taglia le gambe da sola: poteva essere un’occasione per promuovere indirettamente il riciclo, e invece non prevede sanzioni per gli inadempienti.

Nessuna politica di riduzione
Il nodo principale ancora da sciogliere rimane però la prima regola che l’Europa ci ha dato in termini di rifiuti: ridurli il più possibile. Su questo fronte non c’è al momento in Italia una strategia efficace, visto che anche possibili sistemi di vuoto a rendere sono stati ammessi dal ministero dell’Ambiente solo in sperimentazione. Così, la monnezza si moltiplica e l’Italia da sola non riesce a gestirla. Negli ultimi anni, la carta è stata per un terzo riciclata all’estero e molta plastica, soprattutto quella più sporca e di bassa qualità, è finita nel sud Est asiatico, Cina in testa. I rifiuti indifferenziati urbani, quelli speciali e gli scarti delle raccolte differenziate che vanno smaltiti hanno poche scelte. Gli inceneritori italiani, che grazie allo Sblocca Italia possono ora bruciare il massimo consentito dei rifiuti, sono da tempo pieni e hanno portato i prezzi alle stelle. Non resta che rivolgersi ai forni di mezza Europa: lo sbocco si trova sempre con fatica e si paga caro, i tempi di stoccaggio dei rifiuti si allungano e aumentano così i rischi di incendi.

Il fattore Cina
Una filiera traballante e in sofferenza già questa estate, quando il presidente Anci Antonio Decaro e il delegato ai rifiuti Ivan Stomeo avevano scritto al ministero dell’Ambiente per segnalare le difficoltà del sistema e chiedere soluzioni, pena il rischio di un blocco totale della raccolta dei rifiuti dei cittadini. Ma mentre il ministero si limitava a convocare qualche riunione e continuavano i roghi negli impianti pieni di rifiuti stoccati, dalla Cina è arrivato l’elemento che ha messo definitivamente in crisi il settore. A luglio 2017, infatti, il governo di Pechino ha comunicato all’Organizzazione mondiale del commercio la sua decisione di chiudere dal primo gennaio 2018 le frontiere a oltre 20 tipi diversi di rifiuti, mandando nel panico il resto del mondo. Di fronte a questa guerra della monnezza, Bruxelles ha messo in atto un piano per ridurre i rifiuti plastici e rendere tutti riciclabili gli imballaggi in commercio entro il 2030. L’Italia, invece, è stata a guardare. Nessun impianto della filiera del riciclo è stato considerato “strategico” e “di preminente interesse nazionale” come invece sono stati dichiarati nel 2014 gli inceneritori, nessun piano efficace di riduzione dei rifiuti è stato messo in atto, nessuna regola è stata introdotta per imporre alle aziende di usare imballaggi davvero riciclabili. Dal primo gennaio si è assistito solo al pasticcio dei sacchetti biodegradabili diventati obbligatori anche per frutta e verdura.

Il fuoco sgombra i piazzali
“Il rifiuto meno lo tocchi più guadagni. Per questo tante volte arriva il benedetto fuoco. Quello che brucia va in fumo e il fumo non si tocca più”, aveva detto nel 2016 a ilfattoquotidiano.it il magistrato della Dna Roberto Pennisi parlando del fenomeno degli incendi negli impianti che trattano monnezza. Le fiamme servono a sgombrare i piazzali dai rifiuti, tagliando costi ed eliminando il problema alla radice con il malaffare: secondo chi sta conducendo le indagini, quelli frutto del caso sono pochissimi, quasi sempre all’origine delle fiamme c’è il dolo. A due anni di distanza, l’analisi è oggi condivisa e il quadro si è ulteriormente aggravato: dove la legalità non è capace di dare una risposta, il terremo diventa pericolosamente fertile per il malaffare. La relazione della commissione bicamerale Ecomafie sugli incendi, pubblicata a gennaio scorso, ha censito 261 roghi in impianti di gestione dei rifiuti tra il 2014 e l’estate 2017. Negli ultimi 11 mesi, secondo la deputata dei Verdi Claudia Mannino che da tempo monitora il fenomeno, ce ne sono stati 149, uno ogni due giorni.

Dal ministero solo una circolare

Di fronte a un fenomeno così complesso, il ministero dell’Ambiente per ora si è limitato a inviare a Vigili del fuoco, Ispra e forze dell’ordine una circolare di una decina di pagine, con “linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi”. Ma se, come confermano gli investigatori, quasi sempre il fuoco viene appiccato volontariamente, a che serve un provvedimento di questo tipo? Dopo i decreti per facilitare il riciclo di materiali specifici, attesi da anni e ancora mancanti, lo Sblocca Italia che prevede la costruzione di otto nuovi inceneritori senza fare niente sul fronte del recupero dei materiali, sembra solo l’ennesimo pasticcio. Mentre l’Italia, povera di impianti per gestire i rifiuti (da quelli di trattamento a quelli dedicati all’organico, fino a quelli ahimè ancora necessari di smaltimento), continua ad affogare nella monnezza, e a bruciare.

Veronica Ulivieri

fonte: www.ilfattoquotidiano.it

DAL TAR STOP A INCENTIVI ESPORTAZIONE VEICOLI: VITTORIA DI AIRA








Incentivare la rottamazione per favorire il rinnovo del parco veicolare del Paese, è un aiuto di Stato lodevole. Una misura a favore dell’ambiente. Lo è meno se esso viene concesso indistintamente a chi il veicolo lo distrugge e a chi il veicolo invece lo esporta all’estero. In quest’ultimo caso infatti, esportare significa spostare oltre confine la fonte di inquinamento, contravvenendo alle norme più semplici di tutela ambientale, valide su scala internazionale.
È sostanzialmente questa la motivazione con la quale la Terza Sezione del Tar Lazio, con sentenza del 7 settembre 2017, accoglie il ricorso di Aira, l’Associazione dei Frantumatori Italiani, contro il Ministero dei Trasporti che, con dm del 7 luglio 2016, aveva stabilito l’ammontare degli incentivi e le modalità di erogazione, a quanti favorissero la rottamazione dei veicoli giunti a fine vita. «Abbiamo vinto una battaglia a favore dell’ambiente» spiega Mauro Grotto, presidente Aira, che si dice tuttavia rammaricato per averla combattuta senza il sostegno dell’intera filiera. «I demolitori – dice - hanno preso le distanze dalla nostra scelta di impugnare il decreto ministeriale, forse perché essi stessi coinvolti nel business delle esportazioni, o forse per non inimicarsi le case costruttrici/concessionari per le quali l’esportazione dei veicoli usati, è un’importante voce di bilancio».
A suffragare l’ipotesi dei frantumatori, il fatto che nella memoria difensiva dell’Avvocatura dello Stato, ci sia un passaggio che fa espresso riferimento al fatto che le principali associazioni delle case costruttrici italiane e straniere, abbiano partecipato ai tavoli ministeriali aperti per stabilire gli importi degli incentivi da elargire per la rottamazione. La battaglia di Aira, è passata attraverso varie interrogazioni parlamentari che sposavano le motivazioni del ricorso. Poi la sentenza grazie alla quale l’Italia dice “stop” all’esportazione di inquinamento.
«Inoltre – dice soddisfatto Grotto – l’industria siderurgica è salva. Se il Paese avesse continuato a prediligere la via dell’esportazione a quella della demolizione, la nostra industria avrebbe dovuto affacciarsi su mercati esteri piuttosto che sfruttare quello interno per approvvigionarsi dei rottami e ricavarne materia prima seconda. Dunque – chiosa il presidente - non è solo la vittoria di Aira, ma è quella di un pezzo di industria, di migliaia di posti di lavoro e dell’ambiente».

fonte: https://www.ricicla.tv

Discariche abusive, Tar: non escludere a priori la responsabilità Stato

Il tribunale del Lazio si pronuncia su alcuni ricorsi presentati dopo la maxi multa europea. E conferma: lo Stato non può rivalersi indiscriminatamente su Regioni e Comuni
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Il problema delle discariche abusive italiane torna nelle aule dei tribunali. O meglio ne esce, con una sentenza emessa solo qualche giorno fa dal Tar del Lazio. Sul tavolo dei giudici amministrativi è finita ancora una volta la questione delle responsabilità e delle competenze in presenza di siti illegali. Nel 2014 l’italia è stata sanzionata dall’Unione Europea per aver violato la normativa comunitaria in materia di gestione dei rifiuti con oltre 200 discariche non a norma: 40 milioni di euro di multa e un’altra penalità extra da 42,8 milioni per ogni semestre di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie.

Lo Stato ha pagato (e sta ancora pagando), rivalendosi su Comuni e Regioni interessati dai siti illegali. La normativa italiana lo prevede ma per quello che sembra a prima vista un atto dovuto, è mancata completamente una verifica a priori delle responsabilità. Come ricorda la sentenza, che ha dato ragione agli enti locali proponenti il ricorso,  se da un lato procedure e interventi (prevenzioni, indagini, bonifica ecc) sono realizzati d’ufficio dal comune territorialmente competente e, qualora questo non provveda, dalla regione, per i Siti di interesse nazionale la competenza è attribuita al Ministero dell’Ambiente. Si legge:

“Emerge con chiara evidenza che il corpus normativo in materia richiede lo svolgimento di una fase propedeutica a quella dell’esercizio dell’azione di rivalsa, vale a dire l’individuazione delle relative responsabilità, che postulano il mancato esercizio del potere di provvedere, e che possono astrattamente sussistere sia in capo allo Stato sia in capo alle Regioni sia in capo agli enti locali. Tuttavia, nel caso di specie, l’Autorità procedente ha automaticamente escluso la responsabilità statale ed ha individuato i Comuni e la Regione come responsabili in solido della violazione, in assenza di qualsivoglia istruttoria volta all’accertamento delle responsabilità attribuite”.

Commenta con soddisfazione la sentenza, Donatella Spano, assessora della Regione Sardegna e coordinatrice della Commissione Ambiente ed Energia della Conferenza delle Regioni “Anche il Tar del Lazio ha confermato che lo Stato non potrà rivalersi su Regioni e Comuni dopo la condanna milionaria della Corte europea all’Italia, per le discariche abusive non in regola con la direttiva europea. Questo ci conforta nel lavoro svolto dalla Commissione Ambiente ed Energia della Conferenza delle Regioni al fine di distinguere caso per caso fra discariche già chiuse e discariche sanate ed evitare confusioni con situazioni di abbandono temporaneo di rifiuti”.


fonte: www.rinnovabili.it