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Recupero di materia, ricerca e formazione, i pilastri dell’economia circolare

Il convegno on-line organizzato da Greentire. L’obiettivo è riuscire a dare visibilità alle competenze e all’innovazione








Recupero di materia, ricerca e sviluppo, e formazione. Sono questi i tre capisaldi su cui fondare l’economia circolare secondo il presidente di Greentire (la società che opera nel settore della gestione Pfu, i pneumatici fuori uso) Roberto Bianco, che ha aperto il convegno on-line ‘Il recupero di materia come pilastro del Green deal’. “Il settore Pfu in Italia è senz’altro un’eccellenza – dice Bianco – ma preferisco non focalizzare l’attenzione sulle filiere di riferimento quanto piuttosto far presente come questo comparto abbia ancora delle potenzialità inespresse”.

Obiettivo è riuscire a dare visibilità alle competenze e all’innovazione: anima dell’economia circolare e del riciclo pensando anche alla transizione ecologica e agli strumenti in atto per incentivare l’utilizzo della materia prima secondaria.

“Regolamentazione e progettazione sono fondamentali per passare da un modello di società lineare a un modello circolare – osserva l’ex sottosegretario a Palazzo Chigi Riccardo Fraccaro – serve un intervento importante dello Stato per orientare l’economia italiana”.

Secondo Rossella Muroni, vicepresidente della commissione Ambiente alla Camera, “a partire dal tema della scarsità di materie prime, l’economia circolare è la strada che società e imprese devono seguire per restare innovative e competitive, perseguendo la #sostenibilità. L’Italia ha tutte le carte in regola per farlo”. Anche perché – prosegue Muroni – il nostro Paese ha “una grande tradizione di recupero di materiali che ci permette di risparmiare e di tagliare le emissioni”. Però alle “imprese virtuose” della filiera dell’economia circolare bisogna dare una mano: “vanno sostenute, eliminando gli ostacoli burocratici, che fanno parte di quei blocchi non tecnologici”. E’ per questo che per esempio “i decreti ‘end of waste’ sono fondamentali; ma servono circa cinque anni per ottenerne uno. Troppo tempo”. Ora con l’esame del decreto Semplificazioni e governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) – rileva ancora Muroni – “provo con due emendamenti a snellire queste procedure, e insieme a rafforzare il sistema dei controlli ambientali”.

E proprio quello legislativo è un elemento che per Bianco è essenziale: “Il contesto normativo dovrebbe premiare le condotte virtuose e penalizzare quelle fraudolente”. I pilastri dell’economia circolare, da sostenere, sono tre: “recupero di materia, che è anche la mission di Greentire, insieme con un necessario cambio di mentalità, fondamentale per vincere la scommessa, e ripensare il prodotto fin dalla progettazione; mentre i gestori dei rifiuti invece dovrebbero allontanarsi da una concezione aziendalista, così come i consumatori dovrebbero privilegiare i prodotti riciclati, senza pregiudizi. Altro punto fondante è la ricerca e sviluppo. Terzo: la formazione, sempre in un’ottica di miglioramento”.



fonte: www.rinnovabili.it


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Rifiuti:nasce Interseroh Tsr, sarà tra grandi realtà riciclo

 










Dalla fusione tra Interseroh Service Italia e Remedia Tsr nasce Interseroh Tsr Italia, che con suoi 150 milioni di euro di fatturato previsti per il 2021 e oltre 330 mila tonnellate di rifiuti trattati diventa una delle più grandi realtà italiane nella gestione delle materie prime-seconde e nel riciclo dei rifiuti secondo i principi dell'economia circolare.

La fusione, efficace dall'1 giugno, è frutto dell'alleanza strategica tra le due aziende, avviata nel 2018 con l'ingresso di Interseroh Austria Gmbh in Remedia Tsr. La nuova società, parte del Gruppo Alba mette a fattor comune le esperienze nei servizi di riciclo dei Raee (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), la consulenza ambientale, il packaging e la gestione dei rifiuti.

Interseroh Tsr Italia dispone di un network presente su tutto il territorio italiano: circa 150 impianti di stoccaggio e trattamento specializzati nel riciclo; oltre 300 operatori logistici e un parco mezzi di 8 mila unità a disposizione per l'erogazione dei servizi.

fonte: www.ansa.it


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Carta riciclata, materia prima seconda di qualità

La carta è un prodotto naturale, biodegradabile, compostabile, riciclabile e rinnovabile. Può essere reimmessa nel processo produttivo fino a sette volte, ma attenzione a fare bene la raccolta differenziata











La carta è come i gatti, ha sette vite. Ma se nel caso dei gatti è un modo di dire, nel caso della carta è una realtà perché può essere reimmessa nel processo produttivo fino a sette volte. Sbaglia chi pensa che produrre la carta equivalga a distruggere le foreste: la maggior parte del legno impiegato nella produzione della carta proviene da foreste gestite in modo sostenibile. In Europa quando si taglia un albero se ne piantano tre. La carta, essendo un materiale naturale, non produce emissioni di CO2, al contrario contribuisce a contenerle. Bisogna sfatare anche il mito del ciclo produttivo inquinante: di norma, il 90% dell’acqua impiegata è riciclata.

Quello che invece è importante è fare bene la raccolta differenziata affinché la carta possa essere riutilizzata ed entrare a pieno titolo nell’economia circolare: il grande risparmio di materia prima viene da lì. Il macero è la nostra “foresta urbana”, come l’ha definita Amelio Cecchini, presidente di Comieco, il Consorzio nazionale che garantisce il recupero e il riciclo degli imballaggi a base cellulosica provenienti dalla raccolta differenziata comunale.

La filiera della carta vale 25 miliardi di fatturato, ovvero l’1,5% del Pil; in più è un prodotto naturale, biodegradabile, compostabile, riciclabile e rinnovabile. Il tasso di circolarità della carta è del 57%, quello degli imballaggi raggiunge l’81%. A tale proposito, è interessante sapere che abbiamo superato la direttiva UE che indica il 75% come obiettivo da raggiungere entro il 2025; l’obiettivo al 2030 è dell’85%, quindi per l’Italia il passo è breve.

La carta riciclata rientra nel ciclo produttivo come materia prima seconda. Insomma, la carta sembra fatta apposta per inserirsi tra gli obiettivi sostenibili del PNRR (il Piano nazionale di ripresa e resilienza) per l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund. Per questo le associazioni Federazione Carta e Grafica, Comieco e Unirima si sono unite per presentare insieme le proposte della filiera della carta per il Recovery Fund. La prima proposta è di aumentare la capacità di riciclo della carta delle cartiere in ottica di efficienza energetica, utilizzando i residui organici della cellulosa per produrre biogas; la seconda è promuovere ricerca e sviluppo a livello industriale; la terza è sviluppare la digitalizzazione per migliorare la logistica e la tracciabilità dei rifiuti e degli scarti.

Le tra associazioni richiedono incentivi per l’innovazione degli impianti e per la ricerca in un sistema virtuoso che fa bene all’ambiente e crea occupazione. Il fabbisogno di carta è in crescita sia perché ora si tende a preferire la carta alla plastica per gli imballaggi, sia perché a causa della pandemia c’è stata un’impennata dell’e-commerce che richiede molta più carta e cartone per gli imballaggi da spedire, sia perché si preferisce acquistare prodotti alimentari confezionati ritenuti più protetti dal virus. Anche se sono stati sviluppati nuovi materiali, come le pellicole biodegradabili, la carta è ancora il materiale preferito.

fonte: www.rinnovabili.it


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La mobilità elettrica cresce, ma la circolarità delle batterie è ancora a zero

Tra gli indicatori utilizzati per il monitoraggio dell’economia circolare in Europa c’è l’End-of-life recycling input rates (EOL-RIR), che non dà notizie confortanti per quanto riguarda una materia prima rara come il cobalto. Ma con il boom della mobilità elettrica, lo scenario deve cambiare il prima possibile











Metà delle emissioni totali di gas serra nel mondo derivano da attività di estrazione e trasformazione di risorse. Un dato da tenere in debito conto se si vuole raggiungere, confermato pochi giorni fa dal Consiglio Europeo, di ridurre del 55% le emissioni di gas serra entro dieci anni, per poi arrivare alla neutralità climatica nel 2050.

Riuso di pile e accumulatori, questo sconosciuto

È rivolto a questi obiettivi anche il Piano d’azione strategico per l’economia circolare, orientato a ridurre la produzione di rifiuti ma riconfigurare il mercato interno europeo delle materie prime seconde (mps) di alta qualità. La Commissione Europea, però, ha ritenuto necessario affiancare a strategie e piani d’azione anche un sistema di monitoraggio finalizzato a accelerare in maniera efficiente la transizione circolare. Tra questi ci sono gli End-of-life recycling input rates (in sigla EOL-RIR, Tassi di riciclaggio di input a fine vita), legati proprio alla misurazione dell’uso delle risorse. Questi indicatori promettono di monitorare accuratamente i progressi compiuti in termini di riutilizzo di materia nei processi produttivi. Dalle statistiche fornite da Eurostat su EOL-RIR, emerge che importanti materiali come cobalto e litio, principali elementi utilizzati nelle pile e accumulatori, riportano un tasso di riutilizzo pari a zero. Insomma, mentre la mobilità elettrica e l’industria degli accumulatori si fanno largo sullo scenario globale, anche a suon di incentivi di varia natura, non c’è praticamente traccia di circolarità nella filiera costruttiva delle batterie e dei suoi elementi costitutivi. Siamo ancora in alto mare nel riuso di queste materie prime così preziose e rare e al tempo stesso così intensamente utilizzate e presenti negli oggetti della nostra quotidianità.

L’iniziativa della Commissione Ue

Non a caso la Commissione Europea ha in programma una radicale revisione del quadro normativo in materia, che congiuntamente a una spinta verso il diritto alla riparazione potrebbe contribuire ad arginare il problema e le emissioni climalteranti che ne derivano. Qualche giorno fa la Commissione ha presentato la prima delle iniziativa annunciate nel nuovo Piano d’azione per l’economia circolare: un nuovo quadro normativo per le batterie che punta a rafforzare la sostenibilità dell’intera catena del valore degli accumulatori per la mobilità e incentivare la circolarità di tutte le batterie. Si intende infatti introdurre delle regole sul contenuto riciclato e su i tassi di raccolta e riciclaggio di tutte le batterie. Questo punto vuole incentivare il recupero di materiali ad alto valore aggiunto da poter reinserire nel mercato. Inoltre, il regolamento definisce dei requisiti di sostenibilità per quanto riguarda il processo di produzione, l’approvvigionamento etico delle materie prima e la sicurezza dell’approvvigionamento, tramite il riutilizzo, il riciclaggio e il cambio di destinazione. “Con questa proposta UE innovativa sulle pile e batterie sostenibili stiamo dando il primo grande impulso all’economia circolare nell’ambito del nostro nuovo piano d’azione per l’economia circolare – ha dichiarato Virginijus Sinkevičius, Commissario responsabile per l’Ambiente, gli oceani e la pesca – Questi prodotti sono pieni di materiali preziosi e vogliamo garantire che nulla vada sprecato: la sostenibilità delle pile e batterie deve crescere di pari passo con il loro numero sul mercato dell’UE.”

Il cobalto si ricicla, ma l’Europa non se n’è accorta

L’indicatore EOL-RIR misura per una data materia quanto del suo input nel sistema produttivo derivi dal riciclaggio di “rottami vecchi”, vale a dire rottami da prodotti a fine vita. Questo indicatore quindi raccoglie non solo l’aspetto del riciclo, ma anche le altre strategie attuabili per portare il sistema alla circolarità, come il riuso o la riduzione (in base al cosiddetto Paradigma delle R).

Per l’Europa, dove aumenta costantemente il numero degli accumulatori al litio in circolazione per la mobilità elettrica, avere un tasso di EOL-RIR pari a zero per il cobalto equivale a bloccare del tutto l’economia circolare nel settore. Ad oggi, in pratica, una batteria a fine vita non ha più niente da offrire al sistema economico, evidentemente perché quest’ultimo non ha messo in campo sistemi di recupero e riutilizzo dei materiali, tutt’altro che impossibili da realizzare. Ad oggi, dunque, nel Vecchio Continente una risorsa rara quanto strategica come il cobalto viene gettata via come se non avesse più alcun valore, mentre in altre parti del mondo questa preziosa materia prima continua ad essere estratta per ricoprire la stessa funzione. Un circolo vizioso in totale contrasto con il Piano d’azione europeo per l’economia circolare, per cui i materiali che si possono riciclare dovrebbe essere reinseriti nell’economia come nuove materie prime.

Verso un boom della domanda

Trovare una soluzione al recupero di cobalto, la cui estrazione quasi sempre coincide con casi estremi di sfruttamenti di lavoratrici e lavoratori, anche minori, è un tema sempre più attuale, proprio perché è ormai presente in quasi tutti gli oggetti tecnologici che utilizziamo quotidianamente. La batteria di uno smartphone contiene dai 5 ai 10 grammi di cobalto, mentre ne servono diversi chilogrammi per un’auto elettrica, che deve a questo metallo raro la capacità di estendere la durata della sua batteria agli ioni di litio e quindi la sua autonomia. Se ancora non è chiara quanto sia alta la domanda di cobalto nel mondo, gli analisti del Swisse Resource Capital AG (SRC), società svizzera di consulenza e analisi nel settore minerario, rendono noto come ci sarà un boom di domanda di cobalto nei prossimi anni che si attende salire oltre le 300mila tonnellate all’anno entro il 2025. Un segnale d’allarme che, anche grazie alle norme a cui sta lavorando l’Esecutivo comunitario, l’Europa potrebbe trasformare in opportunità. Per farlo però, dovrebbe immediatamente rendere operativa la possibilità di tramutare i cumuli di rifiuti elettrici ed elettronici in una vera e propria miniera di cobalto, creando quindi un mercato alternativo in grado di coprire la richiesta sempre maggiore dei grandi produttori asiatici di batterie per vetture elettriche e prodotti elettronici.

L’Italia alla guida del nuovo corso?

La tecnologia attualmente disponibile in Europa per il trattamento delle batterie di auto elettriche a fine vita prevede costi ancora molto alti, soprattutto di tipo energetico, ed è orientata al solo recupero di materie rare e ad alto valore aggiunto, come il cobalto e nichel. Al contrario, le alte temperature del processo danneggiano litio (anch’esso con EOL-RIR uguale a zero) e manganese, che quindi non si possono riutilizzare. Il processo quindi sembra adatto al recupero soltanto di alcune materie, ma non permette di “salvare” tutti gli elementi della cosiddetta black mass, la componente attiva delle batterie. Sul tema della gestione degli accumulatori al litio a fine vita Cobat, consorzio che si occupa anche della gestione dei rifiuti di pile e accumulatore, ha investito in ricerca e sviluppo per individuare insieme al CNR-ICCOM (Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Chimica dei Composti Organo Metallici) di Firenze una tecnologia innovativa che non solo permetta un trattamento e riciclo a costi sostenibili ma che massimizzi il recupero di quei materiali, in modo da poterli nuovamente inserire nel mercato come materia prima seconda. Dai risultati incoraggianti dello studio, Cobat è attualmente in attesa di ottenere un brevetto per la realizzazione di un impianto di macinazione da cui recuperare la black mass degli accumulatori. Ma prendere un accumulatore a fine vita e scomporlo in tutte le sue componenti non è l’unica soluzione. Sempre Cobat sta analizzando la possibilità di dare seconda vita agli accumulatori nel settore delle rinnovabili. Le batterie dei veicoli elettrici dopo circa 8 anni hanno una capacità di carica insufficiente ad alimentare una macchina, ma conservano comunque una capacità di carica, sia pur ridotta. Da questa constatazione nasce l’idea di riutilizzare le batterie non più in grado di alimentare veicoli per riassemblarle e renderle adatte a stoccare energia da fonti rinnovabili. Luigi De Rocchi, responsabile ricerca e sviluppo di Cobat spiega come “le case automobilistiche sono fortemente interessate alla second life degli accumulatori utilizzati sulle proprie auto, dal momento che l’allungamento del loro ciclo di vita e la nascita di un business secondario può avere effetti positivi sui costi di gestione degli accumulatori, in questo modo agevolando l’affermazione del mercato dell’elettrico”.

Etica e profitto, una sfida

Recuperare materiali rari come il cobalto da li accumulatori non sarebbe solo un’opportunità economica ma avrebbe anche un valore etico. Da una parte abbiamo l’avvento della mobilità a bassissime emissioni con auto e moto elettriche, dall’altro però si deve fare i conti con una disponibilità limitata di materie prime e condizioni economiche e sociali sfavorevoli nei territori in cui queste materie prime critiche vengono estratte. Il caso del cobalto ne è un esempio, dal momento che le aree di estrazione sono poche e spesso instabili. La maggior parte delle riserve sono concentrate in regioni politicamente fragili, come la Repubblica democratica del Congo, fornitore del 55% del cobalto totale a livello globale. Questo mercato diventa così emblema dei danni dell’economia lineare: per fornire un materiale utile prevalentemente al mondo globalizzato si sottraggono risorse e diritti a popolazioni che vivono in estrema povertà, limitando i vantaggi a una élite spesso corrotta. Incentivare il recupero di materiali come il cobalto dalle batterie dismesse potrebbe portare ad allentare la presa nei confronti delle risorse “altrui”, creando una filiera domestica – la cosiddetta “miniera urbana” – in grado di dare valore ai cumuli di apparecchiature elettroniche e accumulatori esausti che invadono i punti di raccolta e le discariche di tutta Europa, Italia compresa. In questo modo ci si potrebbe aspettare un’impennata dell’indicatore EOL-RIR per cobalto, litio e molti altri materiali che costituiscono una batteria.

Potenzialità delle materie prime seconde

La Commissione Europea è al lavoro anche per aggiornare il quadro di monitoraggio dell’economia circolare, che fa già riferimento a numerosi indicatori basati su diversi aspetti del sistema economico, tra cui EOL-RIR per le materie prime seconde. C’è anche l’ulteriore obiettivo di creare nuovi indicatori che terranno conto di aspetti del Piano d’azione per l’economia circolare e delle relazioni tra circolarità, neutralità climatica e obiettivo “inquinamento zero”. Per quanto riguarda le materie prime seconde , il Piano d’azione per l’economia circolare prevede diverse misure a sostegno di una loro maggiore competitività in termini di costo e disponibilità, così da portare equilibrio tra domanda e offerta e permettere l’espansione del settore, per esempio con l’introduzione dell’obbligo di contenuto riciclato minimo nei prodotti. Spingere in questa direzione rafforzerebbe la crescita del mercato delle materie prime seconde e aumenterebbe la responsabilità nei produttori. Questi ultimi potrebbero così vedere rivalutati i loro magazzini, che in un’ottica circolare costituiscono un patrimonio non indifferente di materie utili e preziose.

L’Italia ha di fronte a sé una grande sfida, quella di sfruttare le sue grandi potenzialità nella raccolta e riciclo di rifiuti di pile e accumulatori per divenire un importante fornitore di materia prima seconda, valorizzando così ancora una volta la sua capacità di aggirare l’ostacolo della mancanza di materie prime puntando su recupero, riutilizzo e riciclo.

fonte: economiacircolare.com

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Economia circolare? Istat: solo il 21,3% delle imprese usa materie prime seconde

Marginale anche l’impegno nella produzione di energia da fonte rinnovabile elettrica (7,2%) o termica





















Più sociale, che ambientale. E anche laddove si parla concretamente di riduzione dell’impatto, complessivamente la sostenibilità nelle maggior parte delle imprese italiane non è materia ancora di vitale importanza, ma nemmeno l’ultima ruota del carro. Come invece dovrebbe esserlo. Questo il quadro che emerge da una lettura attenta del report Istat “Sostenibilità nelle imprese: aspetti ambientali e sociali” pubblicato oggi.
Il tema della sostenibilità, sostiene l’Istituito, ha un crescente impatto sull’agenda politica e sui comportamenti di famiglie, imprese, istituzioni. In particolare, all’interno del perimetro organizzativo dell’impresa, questo tema induce nuove pratiche, potenzialmente in grado di coniugare crescita e performance economica, sostenibilità sociale e ambientale.
I dati del censimento permanente delle imprese – dichiara Istat – permettono ora di misurare compiutamente il tema della sostenibilità nelle imprese e integrarlo in un quadro informativo estremamente ricco e articolato. Il campione effettivamente è importante: 280mila imprese con 3 e più addetti, rappresentative di un universo di poco più di un milione di unità, corrispondenti al 24,0% delle imprese italiane che producono però l’84,4% del valore aggiunto nazionale, impiegano il 76,7% degli addetti (12,7 milioni) e il 91,3% dei dipendenti: si tratta quindi di un segmento fondamentale del nostro sistema produttivo. La rilevazione diretta è stata svolta tra maggio e ottobre del 2019, l’anno di riferimento dei dati acquisiti dalle imprese è il 2018.
Dal punto di vista strettamente ambientale – perché quello sociale riguarda praticamente solo la salute dei lavoratori in relazione alla disponibilità delle aziende rispetto alla flessibilità dell’orario – i macrotemi sono quelli dell’energia, dell’acqua, dei rifiuti e dell’aria.
Energia
Secondo le statistiche contenute nel rapporto, “uno degli ambiti di intervento delle imprese per la riduzione degli impatti sull’ambiente attiene alla gestione efficiente e sostenibile dell’energia e dei trasporti, in forte sviluppo grazie anche alle politiche di incentivazione delle fonti energetiche e rinnovabili (Fer) e dell’efficienza energetica portate avanti dal nostro Paese negli ultimi anni”.
Ma in che modo? Per ridurre i consumi energetici il 40,1% delle imprese ha provveduto a installare macchinari, impianti e/o apparecchi efficienti, quindi il 60% non ha fatto nulla. Di quel 40%, il 32,2% lo ha fatto senza usufruire di incentivi.
Tra gli investimenti finalizzati al risparmio di energia, solo 13 imprese su 100 hanno scelto l’isolamento termico degli edifici e/o la realizzazione di edifici a basso consumo energetico e di queste 10 su 100 hanno sostenuto la spesa in assenza di incentivi.
Più marginale l’impegno delle imprese nella produzione di energia da fonte rinnovabile elettrica (7,2%) o termica (4,4%) e nella realizzazione di impianti di cogenerazione, trigenerazione e/o per il recupero di calore7 (2,8%). Per queste iniziative, circa la metà degli investimenti è stata effettuata grazie all’erogazione di incentivi.
Ancora poco diffuse risultano anche le azioni a supporto della mobilità sostenibile, in media solo 4,8 imprese su 100 hanno acquistato automezzi elettrici o ibridi.
Da sottolineare che la varietà delle misure adottate dalle imprese dipende inoltre dalle caratteristiche proprie dei processi di produzione, in particolare dall’intensità di utilizzo delle risorse energetiche (così come delle risorse idriche e materiali) e dalla produzione di scarti e residui della lavorazione. Tra le iniziative più scelte dalle imprese, quelle finalizzate a un utilizzo più sostenibile dell’energia e dei trasporti prevalgono, come prevedibile, nei contesti che hanno come attività principale la gestione delle risorse energetiche.
Il settore della fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata registra dunque un’elevata incidenza di investimenti (con o senza incentivi) per l’efficientamento energetico: il 43,8% delle imprese del settore ha installato macchinari, impianti e/o apparecchi che riducono il consumo energetico e il 18,5% ha provveduto all’isolamento termico degli edifici e/o realizzato edifici a basso consumo energetico e per lo sfruttamento di fonti energetiche “pulite”. A fronte di una variabilità territoriale complessivamente contenuta, gli investimenti per energia e trasporti sostenibili tendono a essere meno diffusi nella ripartizione centrale e più frequenti nel Mezzogiorno e nel Nord-est, con differenze più marcate, in termini relativi, negli interventi finalizzati alla produzione di energia da rinnovabile: installano impianti per la produzione da Fer elettriche l’8,8% delle imprese del Mezzogiorno e il 7,6% di quelle del Nord-est contro il 5,7% delle imprese del Centro. La dimensione d’impresa si conferma fattore fortemente discriminante anche per l’impegno nella tutela dell’ambiente. La quota di imprese che effettuano investimenti per la gestione sostenibile di energia e trasporti varia positivamente con il numero di addetti. I differenziali sono particolarmente elevati nell’ambito della co/trigenerazione e recupero di calore (si passa dal 2,4% delle microimprese al 17,9% delle imprese con 500 e più addetti), per l’acquisto di automezzi elettrici o ibridi (da 3,9% a 28,3%) e la produzione elettrica da fonte rinnovabile (da 5,9% a 26,3%).
Acqua
La gestione delle risorse idriche presenta diverse criticità, specie in alcune zone più vulnerabili, in larga parte legate alle crescenti pressioni della domanda rispetto alla disponibilità naturale, alle inefficienze delle reti di distribuzione dell’acqua e alla rilevanza dei carichi inquinanti derivanti dalle attività antropiche.
Gli interventi di trattamento delle acque reflue per il recupero e il riutilizzo e per il contenimento degli inquinanti sono più diffusi nei settori a maggiore intensità di utilizzo di risorse idriche: nell’industria in senso stretto (rispettivamente 13,7% e 29,1%) e, al suo interno, nell’estrazione di minerali da cave e miniere (41,7% e 43,9%), nella fornitura di acqua, reti fognarie e attività di gestione dei rifiuti e risanamento (22,4% e 51,5%) e nell’industria manifatturiera (13,2% e 28,2%).
Le azioni volte al contenimento di consumi e prelievi di acqua vengono intraprese più frequentemente della media dalle imprese dei servizi (61,4%) e da quelle di minori dimensioni (61,5% per le imprese con 3-9 addetti 4).
Le imprese del Mezzogiorno si dimostrano più attente nell’utilizzo dell’acqua anche per la minore disponibilità della risorsa idrica in questa porzione del territorio, con il 64,5% di unità che applicano misure per la riduzione dei prelievi, il 25,7% per il controllo degli inquinanti, il 10,3% per il recupero e riutilizzo delle acque di scarico.
Rifiuti
La sostenibilità nella produzione si manifesta anche con il risparmio del materiale utilizzato nei processi produttivi, che riguarda il 52,8% delle imprese, e con l’utilizzo di materie prime seconde (ossia scarti recuperati e reimmessi nella produzione) a cui ricorre il 21,3%. Questo tipo di impegno – risparmio di materiale e riutilizzo di materie prime – è superiore alla media nel settore estrattivo (56,1% e 40,6% delle imprese) e, con riferimento al solo contenimento dei materiali di produzione, nel settore della fornitura acque, gestione rifiuti e risanamento (45,9%). Anche le imprese manifatturiere si distinguono per livelli superiori alla media: il 35,6% ha utilizzato materie prime seconde, il 67,3% ha adottato misure per contenere l’utilizzo del materiale di produzione, con limitate differenze legate al territorio e alla dimensione d’impresa.
Anche per effetto dei vincoli normativi sempre più stringenti, la raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti rappresentano le principali attività per ridurre l’impatto ambientale. L’86,8% delle imprese ha intrapreso azioni in questa direzione e il 58,2% ha implementato misure di gestione dei rifiuti per il controllo degli inquinanti.
A risultare più virtuose, rispetto a entrambe le sfere di azione, sono le imprese del Nord-est (89,0% per la differenziazione/riciclo e 59,3% per il controllo degli inquinanti) e dei settori manifatturiero (88,2% e 67,6%) e sanità e assistenza sociale (90,0% e 73,6), oltre alle imprese che operano proprio nella gestione dei rifiuti (il 70,5% pratica attività finalizzate al controllo degli inquinanti).
Aria
Le azioni di controllo dei contaminanti ambientali si estendono al contenimento delle emissioni atmosferiche, che interessa il 34,3% delle imprese, e dell’inquinamento acustico e/o luminoso (44,5%), con un coinvolgimento crescente all’aumentare della dimensione d’impresa soprattutto per la prima tipologia di intervento (la quota di imprese di 500 e più addetti è quasi doppia rispetto a quella delle microimprese). Le imprese più attive nel contenimento dell’inquinamento acustico e luminoso operano per lo più nei settori dell’estrazione (56,9%) e della fornitura di acqua, gestione dei rifiuti e risanamento (53,0%); lo stesso accade per le azioni di controllo delle emissioni atmosferiche (57,7% e 53,3%), ampiamente praticate anche nella fornitura di energia (42,2% delle imprese) che d’altra parte è uno dei settori a maggiore intensità di emissioni di CO2 sul valore aggiunto.
fonte: www.greenreport.it


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End of waste, tra luci e ombre


















I decreti end of waste servono a stabilire quando, al termine di un processo di trasformazione, i rifiuti diventano nuova materia prima, o meglio materia prima secondaria, pronta per essere reimmessa nei cicli produttivi in sostituzione dei materiali vergini. Sono in sostanza la veste giuridica del riciclo, un’attestazione della qualità dei processi di recupero. Ma a che punto è la disciplina italiana sulla cessazione della qualifica di rifiuto? E basta il solo end of waste a tenere in piedi le filiere italiane del riciclo?






fonte: https://www.ricicla.tv/

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Ecodom: lasciare a casa i RAEE durante l'emergenza Coronavirus




















Anche per i RAEE c'è l'invito a restare a casa. Ecodom, il principale Consorzio italiano per la gestione dei RAEE, si unisce agli attori della filiera per rispondere all'emergenza Coronavirus garantendo il funzionamento del sistema ma a un ritmo ridotto, così da poter salvaguardare la salute di tutti gli operatori della filiera, in particolare di quelli coinvolti nel trasporto e nel trattamento di tali rifiuti. Un cambiamento necessario, rilevato anche dai dati di raccolta del mese di marzo, che segnalano un netto calo dei ritiri in tutta Italia, passati da oltre 300 a meno di 50 al giorno.  Il sistema dei RAEE è incluso tra le attività produttive industriali e commerciali che il governo, attraverso il DPCM del 22 marzo 2020, ha lasciato operative.
L'appello lanciato a tutti i consumatori arriva da una parte dalla volontà di evitare occasioni di contagio e dall'altra a seguito della momentanea interruzione della raccolta e della chiusura di numerose isole ecologiche decisa da molti enti locali sull'intero territorio nazionale. 
 "Conservare un RAEE nella propria abitazione durante il periodo di emergenza non presenta controindicazioni e può aiutare a ridurre le possibilità che gli operatori della filiera subiscano il contagio. È dunque opportuno che chiunque non abbia un'esigenza immediata e improrogabile di disfarsi dei propri rifiuti elettronici, eviti di farlo", è quanto afferma il direttore generale di Ecodom, Giorgio Arienti. Numerose sono anche le difficoltà che il settore dei RAEE sta incontrando per via del blocco di molte attività industriali, quali ad esempio acciaierie e fonderie, a cui normalmente vengono destinate le materie prime seconde, con un conseguente rischio di saturazione degli stoccaggi in entrata e in uscita dagli impianti di trattamento. Da qui, la decisione del Ministero dell'Ambiente di aumentare i limiti normativi di stoccaggio, per permettere così a tali impianti di immagazzinare RAEE oltre i quantitativi fissati dalle singole autorizzazioni.


fonte: www.greencity.it

Economia circolare: End of Waste, il cerchio è chiuso?



















Economia circolare: End of Waste, il cerchio è chiuso?


L’economia circolare è definizione “elastica” di un modello economico basato sul recupero, riciclo e riutilizzo del rifiuto, che viene, appunto, rimesso in circolazione in un (quasi) circuito chiuso.
Secondo l’accreditata definizione della Ellen MacArthur Foundation di Chicago, l’economia circolare «è un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera».
Nell’ottica di favorire la “circolarità” dei rifiuti, è stato previsto il trattamento degli stessi, attraverso la c.d. “cessazione della qualifica di rifiuto” (End of Waste). Il rifiuto viene preventivamente sottoposto ad un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, che, sebbene le stesse possano consistere anche in operazioni di cernita e di selezione di beni (così, di recente, Cassazione Penale, sez. III, 26 febbraio 2020 n.7589; Cassazione Penale, Sezione III, 2 luglio 2018 n. 29652), fin tanto che non si sono esaurite non comportano né la cessazione della attribuzione della qualifica di rifiuto né, tantomeno, la estraneità di essi alla disciplina in materia di rifiuti. Quindi, solo al termine di dette operazioni, il rifiuto cessa di essere formalmente tale e può essere riutilizzato e rimesso in circolazione.
L’End of Waste è disciplinata, a livello sovranazionale, dunque da normativa gerarchicamente superiore alla legislazione nazionale, all’art. 6 della Direttiva Rifiuti 2008/98//CE (come modificata dalla direttiva 2018/851/UE)[1].

La norma comunitaria, sopra trascritta, è stata recepita dal legislatore nazionale all’articolo 184 ter del D.lgs. 152/2006 (Testo Unico dell’Ambiente).
Tale articolo è stato modificato, da ultimo, nell’ottica di incentivare la cessazione della qualifica di rifiuto, dalla legge di conversione del D.L. 3 settembre 2019 n. 101 (“recante disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali”), entrata in vigore il 3 novembre 2019 [2].

Da quanto si legge, la norma, così come oggi vigente, al comma 3, riconosce alle autorità locali (in particolare alle Regioni), competenti al rilascio e al rinnovo delle autorizzazioni ambientali, di autorizzare l’“End of waste”, per quelle tipologie di rifiuto, che mancano di Regolamenti UE o Decreti nazionali di specie. Seppure, nel rispetto delle condizioni generali previste dal comma 1 e dei criteri a protezione dell’ambiente dei cinque punti elencati dalla lett. a) a e), si riconosce alla Regione, non anche allo Stato, la competenza di determinare, per le suddette tipologie di rifiuti, la cessazione della loro qualifica, rimettendoli, di fatto, in circolazione, come, a titolo esemplificativo non esaustivo, sotto forma di ammendanti (si pensi ai fanghi), combustibili solidi secondari (da rifiuti plastici ecc. ...).
L’intento del legislatore dovrebbe essere, prima di tutto, quello di evitare o, quantomeno, ridurre la produzione e, quindi, anche le operazioni di recupero dei rifiuti, altrimenti destinati in discarica o negli impianti d’incenerimento.
Il rischio, nelle operazioni End of Waste, è infatti che la mancanza di una normativa esclusivamente statale, che garantisca controllo e tutela in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, possa arrecare un vulnus alla protezione dell’ambiente e, dunque, della salute.
Eppure, proprio in riguardo alla cessazione della qualifica di rifiuto da parte dell'autorità competente dello Stato membro, era già intervenuta la Corte Giustizia UE, con la sentenza, sez. II, 28/03/2019 n.60, fornendo un’interpretazione autentica del citato articolo 6 della Direttiva 2008/98/CE, “stella polare” per il Legislatore Nazionale: “L'art. 6, par. 4, della direttiva 2008/98/Ce del parlamento europeo e del consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, deve essere interpretato nel senso che esso: - non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, qualora non sia stato definito alcun criterio a livello dell'Unione europea per la determinazione della cessazione della qualifica di rifiuto per quanto riguarda un tipo di rifiuti determinato, la cessazione di tale qualifica dipende dalla sussistenza per tale tipo di rifiuti di criteri di portata generale stabiliti mediante un atto giuridico nazionale, e non consente a un detentore di rifiuti, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, di esigere l'accertamento della cessazione della qualifica di rifiuto da parte dell'autorità competente dello Stato membro o da parte di un giudice di tale Stato membro” (in Foro it. 2019, 6, IV, 325).
Ciò a sottolineare, ulteriormente, la competenza legislativa esclusiva dello Stato (ad esempio attraverso la potestà regolamentare statale) ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lett. s), della Costituzione, non anche delle autorità locali, in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza caposaldo del 28 febbraio 2018 n. 1229, aveva dichiarato che: “…può, dunque, affermarsi che se, in linea generale, la disciplina della cessazione della qualifica di “rifiuto” è riservata alla normativa comunitaria, nondimeno questa ha consentito che, in assenza di proprie previsioni, gli Stati membri possano valutare caso per caso tale possibile cessazione – si ripete, solo in assenza di indicazioni comunitarie e, dunque, non in contrasto con le stesse – dandone informazione alla Commissione.
Il destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto è, per la Direttiva, lo “Stato”, che assume anche obbligo di interlocuzione con la Commissione.
La stessa Direttiva UE, quindi, non riconosce il potere di valutazione “caso per caso” ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato, ma solo allo Stato medesimo, posto che la predetta valutazione non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro.
Ciò è quanto ha fatto il legislatore statale, attribuendo tale potere al Ministero dell’Ambiente, ed anzi fornendo una lettura del “caso per caso”, non già riferito al singolo materiale da esaminare ed (eventualmente) declassificare con specifico provvedimento amministrativo, bensì inteso come “tipologia” di materiale da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare, a monte dell’esercizio della potestà provvedimentale autorizzatoria.
D’altra parte, la previsione della competenza statale in materia di declassificazione “caso per caso” del rifiuto appare del tutto coerente, oltre che con la citata Direttiva UE, anche con l’art. 117, comma secondo, lett. s) della Costituzione che, come è noto, attribuisce alla potestà legislativa esclusiva (e, dunque, anche alla potestà regolamentare statale), la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
E’ del tutto evidente che, laddove si consentisse ad ogni singola Regione, di definire, in assenza di normativa UE, cosa è da intendersi o meno come rifiuto, ne risulterebbe vulnerata la ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni”.
La delega alle Regioni non trova adeguata risposta neppure nei controlli. Il comma 3-ter dell’art. 184 ter prevede che l'ISPRA o l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente territorialmente competente effettuino controlli a campione, non controlli estesi a tutti i gestori degli impianti. A fronte di una deroga, di dubbia legittimità costituzionale, alla competenza esclusiva dello Stato, si sarebbe, quanto meno, auspicato un rafforzamento dei controlli sulla tracciabilità e trasparenza nella gestione dei rifiuti con l’End of Waste, al fine di prevenire violazioni autorizzative e la commissione di reati, purtroppo frequenti in questo settore.
Con il DM 14 febbraio 2013 n. 22, è stata disciplianta la cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), in assenza di criteri comunitari riguardanti l’End of Waste dei Combustibili Solidi Secondari (CSS).
Il D.lgs. n. 152 del 2006, sempre al fine di recepire la direttiva quadro sui rifiuti (direttiva 2008/98/CE), all’articolo 183, comma 1, lettera cc), contiene la seguente definizione di “combustibile solido secondario (CSS)": il combustibile solido prodotto da rifiuti che rispetta le caratteristiche di classificazione e di specificazione individuate delle norme tecniche UNI CEN/TS 15359 e successive modifiche ed integrazioni; fatta salva l'applicazione dell'articolo 184-ter, il combustibile solido secondario, è classificato come rifiuto speciale”.
Tra i materiali ammessi per la produzione di CSS vi sono rifiuti urbani e speciali non pericolosi, materiali non classificati come rifiuti, purché non pericolosi in forza del Regolamento (CE) n. 1272/2008 CLP (Classification, Labelling and Packaging).
Con il DM 20 marzo 2013, è stato modificato l’allegato X “Disciplina dei combustibili” della Parte Quinta del D.lgs.152/2006 ed è stato inserito il CSS–Combustibile nell’elenco dei combustibili, di cui è consentito l’utilizzo negli impianti indicati al Titolo I della medesima Parte Quinta.
Si arriva al primo aprile 2020, quando, in piena emergenza Covid 19, il Ministro dell’Ambiente comunica di aver firmato il decreto End of Waste sugli pneumatici fuoriuso (PFU) e prodotti assorbenti per la persona.
La ratio legis è di per sé ineccepibile, se suffragata da estesi effettivi controlli su tutto il territorio e diretta all’utilizzo del CSS, ad esempio, come granulo negli asfalti stradali, nell’impiantistica sportiva, nell’edilizia, nell’arredo urbano. In questi casi, il cerchio dell’economia, fondata sul rifiuto, può effettivamente ritenersi chiuso, perché il rifiuto cessa nella sostanza di essere tale. Timori permangono, invece, per la pubblica salute, laddove il CSS, solo formalmente non più rifiuto per aver cambiato nomen iuris, venga usato come CSS-combustibile negli impianti di produzione e impiego del CSS-combustibile (termovalorizzatori, cementifici) e, per l’effetto, disperso nell’ambiente. L’uso come combustibile, nei cementifici e nelle centrali termoelettriche del CSS-Combustibile End of Waste, non elimina, infatti, la produzione di altri rifiuti, tra l’altro tossico-nocivi (si pensi ai composti organici volatili -COV, metalli pesanti, ceneri ecc. …).
Non è la forma che tutela l’ambiente, ma la sostanza nei contenuti e nei controlli, ancora una volta obliterati. 

Avv. Valeria Passeri
#WWFPerugia #RifiutiZeroUmbria @Cru_rz


[1] “1. Gli Stati membri adottano misure appropriate per garantire che i rifiuti sottoposti a un'operazione di riciclaggio o di recupero di altro tipo cessino di essere considerati tali se soddisfano le seguenti condizioni:
a) la sostanza o l'oggetto è destinata/o a essere utilizzata/o per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; e
d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. [I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto].
2. La Commissione monitora l'evoluzione dei criteri nazionali per la cessazione della qualifica di rifiuto negli Stati membri e valuta la necessità di sviluppare a livello di Unione criteri su tale base. A tale fine e ove appropriato, la Commissione adotta atti di esecuzione per stabilire i criteri dettagliati sull'applicazione uniforme delle condizioni di cui al paragrafo 1 a determinati tipi di rifiuti.
Tali criteri dettagliati garantiscono un elevato livello di protezione dell'ambiente e della salute umana e agevolano l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali. Essi includono:
a) materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell'operazione di recupero;
b) processi e tecniche di trattamento consentiti;
c) criteri di qualità per i materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall'operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario;
d) requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo della qualità, l'automonitoraggio e l'accreditamento, se del caso; e
e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformità.
Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura di esame di cui all'articolo 39, paragrafo 2.
In sede di adozione di tali atti di esecuzione, la Commissione tiene conto dei criteri pertinenti stabiliti dagli Stati membri a norma del paragrafo 3 e adotta come punto di partenza quelli più rigorosi e più protettivi dal punto di vista ambientale.
3. Laddove non siano stati stabiliti criteri a livello di Unione ai sensi del paragrafo 2, gli Stati membri possono stabilire criteri dettagliati sull'applicazione delle condizioni di cui al paragrafo 1 a determinati tipi di rifiuti. Tali criteri dettagliati tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente e sulla salute umana della sostanza o dell'oggetto e soddisfano i requisiti di cui al paragrafo 2, lettere da a) a e).
Gli Stati membri notificano alla Commissione tali criteri in applicazione della direttiva (UE) 2015/1535 ove quest'ultima lo imponga.
4. Laddove non siano stati stabiliti criteri a livello di Unione o a livello nazionale ai sensi, rispettivamente, del paragrafo 2 o del paragrafo 3, gli Stati membri possono decidere caso per caso o adottare misure appropriate al fine di verificare che determinati rifiuti abbiano cessato di essere tali in base alle condizioni di cui al paragrafo 1, rispecchiando, ove necessario, i requisiti di cui al paragrafo 2, lettere da a) a e), e tenendo conto dei valori limite per le sostanze inquinanti e di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente e sulla salute umana. Tali decisioni adottate caso per caso non devono essere notificate alla Commissione in conformità della direttiva (UE) 2015/1535.
Gli Stati membri possono rendere pubbliche tramite strumenti elettronici le informazioni sulle decisioni adottate caso per caso e sui risultati della verifica eseguita dalle autorità competenti.
5. La persona fisica o giuridica che:
a) utilizza, per la prima volta, un materiale che ha cessato di essere considerato rifiuto e che non è stato immesso sul mercato; o
b) immette un materiale sul mercato per la prima volta dopo che cessa di essere considerato un rifiuto, provvede affinché il materiale soddisfi i pertinenti requisiti ai sensi della normativa applicabile in materia di sostanze chimiche e prodotti collegati. Le condizioni di cui al paragrafo 1 devono essere soddisfatte prima che la normativa sulle sostanze chimiche e sui prodotti si applichi al materiale che ha cessato di essere considerato un rifiuto”.



[2] “Art. 184 ter - (Cessazione della qualifica di rifiuto)
1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:
a) la sostanza o l'oggetto sono destinati a essere utilizzati per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana.
2. L'operazione di recupero puo' consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformita' a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o piu' decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto.
3. In mancanza di criteri specifici adottati ai sensi del comma 2, le autorizzazioni di cui agli articoli 208, 209 e 211 e di cui al titolo III-bis della parte seconda del presente decreto, per lo svolgimento di operazioni di recupero ai sensi del presente articolo, sono rilasciate o rinnovate nel rispetto delle condizioni di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, e sulla base di criteri dettagliati, definiti nell'ambito dei medesimi procedimenti autorizzatori, che includono:
a) materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell'operazione di recupero;
b) processi e tecniche di trattamento consentiti;
c) criteri di qualita' per i materiali di cui e' cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall'operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario;
d) requisiti affinche' i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo della qualita', l'automonitoraggio e l'accreditamento, se del caso;
e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformita'.
In mancanza di criteri specifici adottati ai sensi del comma 2, continuano ad applicarsi, quanto alle procedure semplificate per il recupero dei rifiuti, le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, e ai regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269.
3-bis. Le autorita' competenti al rilascio delle autorizzazioni di cui al comma 3 comunicano all'ISPRA i nuovi provvedimenti autorizzatori adottati, riesaminati o rinnovati, entro dieci giorni dalla notifica degli stessi al soggetto istante.
3-ter. L'ISPRA, o l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente territorialmente competente delegata dal predetto Istituto, controlla a campione, sentita l'autorita' competente di cui al comma 3-bis, in contraddittorio con il soggetto interessato, la conformita' delle modalita' operative e gestionali degli impianti, ivi compresi i rifiuti in ingresso, i processi di recupero e le sostanze o oggetti in uscita, agli atti autorizzatori rilasciati nonche' alle condizioni di cui al comma 1, redigendo, in caso di non conformita', apposita relazione. Il procedimento di controllo si conclude entro sessanta giorni dall'inizio della verifica. L'ISPRA o l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente delegata comunica entro quindici giorni gli esiti della verifica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Al fine di assicurare l'armonizzazione, l'efficacia e l'omogeneita' dei controlli di cui al presente comma sul territorio nazionale, si applicano gli articoli 4, comma 4, e 6 della legge 28 giugno 2016, n. 132.
3-quater. Ricevuta la comunicazione di cui al comma 3-ter, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nei sessanta giorni successivi, adotta proprie conclusioni, motivando l'eventuale mancato recepimento degli esiti dell'istruttoria contenuti nella relazione di cui al comma 3-ter, e le trasmette all'autorita' competente. L'autorita' competente avvia un procedimento finalizzato all'adeguamento degli impianti, da parte del soggetto interessato, alle conclusioni di cui al presente comma, disponendo, in caso di mancato adeguamento, la revoca dell'autorizzazione e dando tempestiva comunicazione della conclusione del procedimento al Ministero medesimo. Resta salva la possibilita' per l'autorita' competente di adottare provvedimenti di natura cautelare.
3-quinquies. Decorsi centottanta giorni dalla comunicazione all'autorita' competente, ove il procedimento di cui al comma 3-quater non risulti avviato o concluso, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare puo' provvedere, in via sostitutiva e previa diffida, anche mediante un commissario ad acta, all'adozione dei provvedimenti di cui al comma 3-quater. Al commissario non e' dovuto alcun compenso per lo svolgimento delle funzioni attribuite ai sensi del presente comma e il medesimo commissario non ha diritto a gettoni, rimborsi di spese o altri emolumenti, comunque denominati.
3-sexies. Con cadenza annuale, l'ISPRA redige una relazione sulle verifiche e i controlli effettuati nel corso dell'anno ai sensi del comma 3-ter e la comunica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare entro il 31 dicembre.
3-septies. Al fine del rispetto dei principi di trasparenza e di pubblicita', e' istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il registro nazionale per la raccolta delle autorizzazioni rilasciate e delle procedure semplificate concluse ai sensi del presente articolo. Le autorita' competenti, al momento del rilascio, comunicano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i nuovi provvedimenti autorizzatori emessi, riesaminati e rinnovati nonche' gli esiti delle procedure semplificate avviate per l'inizio di operazioni di recupero di rifiuti ai fini del presente articolo. Con decreto non avente natura regolamentare del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono definite le modalita' di funzionamento e di organizzazione del registro di cui al presente comma. A far data dall'effettiva operativita' del registro di cui al presente comma, la comunicazione di cui al comma 3-bis si intende assolta con la sola comunicazione al registro. Alle attivita' di cui al presente comma le amministrazioni provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
4. Un rifiuto che cessa di essere tale ai sensi e per gli effetti del presente articolo e' da computarsi ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dal presente decreto, dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n 209, dal decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, e dal decreto legislativo 120 novembre 2008, n. 188, ovvero dagli atti di recepimento di ulteriori normative comunitarie, qualora e a condizione che siano soddisfatti i requisiti in materia di riciclaggio o recupero in essi stabiliti.
5. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto”.