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La mobilità elettrica cresce, ma la circolarità delle batterie è ancora a zero

Tra gli indicatori utilizzati per il monitoraggio dell’economia circolare in Europa c’è l’End-of-life recycling input rates (EOL-RIR), che non dà notizie confortanti per quanto riguarda una materia prima rara come il cobalto. Ma con il boom della mobilità elettrica, lo scenario deve cambiare il prima possibile











Metà delle emissioni totali di gas serra nel mondo derivano da attività di estrazione e trasformazione di risorse. Un dato da tenere in debito conto se si vuole raggiungere, confermato pochi giorni fa dal Consiglio Europeo, di ridurre del 55% le emissioni di gas serra entro dieci anni, per poi arrivare alla neutralità climatica nel 2050.

Riuso di pile e accumulatori, questo sconosciuto

È rivolto a questi obiettivi anche il Piano d’azione strategico per l’economia circolare, orientato a ridurre la produzione di rifiuti ma riconfigurare il mercato interno europeo delle materie prime seconde (mps) di alta qualità. La Commissione Europea, però, ha ritenuto necessario affiancare a strategie e piani d’azione anche un sistema di monitoraggio finalizzato a accelerare in maniera efficiente la transizione circolare. Tra questi ci sono gli End-of-life recycling input rates (in sigla EOL-RIR, Tassi di riciclaggio di input a fine vita), legati proprio alla misurazione dell’uso delle risorse. Questi indicatori promettono di monitorare accuratamente i progressi compiuti in termini di riutilizzo di materia nei processi produttivi. Dalle statistiche fornite da Eurostat su EOL-RIR, emerge che importanti materiali come cobalto e litio, principali elementi utilizzati nelle pile e accumulatori, riportano un tasso di riutilizzo pari a zero. Insomma, mentre la mobilità elettrica e l’industria degli accumulatori si fanno largo sullo scenario globale, anche a suon di incentivi di varia natura, non c’è praticamente traccia di circolarità nella filiera costruttiva delle batterie e dei suoi elementi costitutivi. Siamo ancora in alto mare nel riuso di queste materie prime così preziose e rare e al tempo stesso così intensamente utilizzate e presenti negli oggetti della nostra quotidianità.

L’iniziativa della Commissione Ue

Non a caso la Commissione Europea ha in programma una radicale revisione del quadro normativo in materia, che congiuntamente a una spinta verso il diritto alla riparazione potrebbe contribuire ad arginare il problema e le emissioni climalteranti che ne derivano. Qualche giorno fa la Commissione ha presentato la prima delle iniziativa annunciate nel nuovo Piano d’azione per l’economia circolare: un nuovo quadro normativo per le batterie che punta a rafforzare la sostenibilità dell’intera catena del valore degli accumulatori per la mobilità e incentivare la circolarità di tutte le batterie. Si intende infatti introdurre delle regole sul contenuto riciclato e su i tassi di raccolta e riciclaggio di tutte le batterie. Questo punto vuole incentivare il recupero di materiali ad alto valore aggiunto da poter reinserire nel mercato. Inoltre, il regolamento definisce dei requisiti di sostenibilità per quanto riguarda il processo di produzione, l’approvvigionamento etico delle materie prima e la sicurezza dell’approvvigionamento, tramite il riutilizzo, il riciclaggio e il cambio di destinazione. “Con questa proposta UE innovativa sulle pile e batterie sostenibili stiamo dando il primo grande impulso all’economia circolare nell’ambito del nostro nuovo piano d’azione per l’economia circolare – ha dichiarato Virginijus Sinkevičius, Commissario responsabile per l’Ambiente, gli oceani e la pesca – Questi prodotti sono pieni di materiali preziosi e vogliamo garantire che nulla vada sprecato: la sostenibilità delle pile e batterie deve crescere di pari passo con il loro numero sul mercato dell’UE.”

Il cobalto si ricicla, ma l’Europa non se n’è accorta

L’indicatore EOL-RIR misura per una data materia quanto del suo input nel sistema produttivo derivi dal riciclaggio di “rottami vecchi”, vale a dire rottami da prodotti a fine vita. Questo indicatore quindi raccoglie non solo l’aspetto del riciclo, ma anche le altre strategie attuabili per portare il sistema alla circolarità, come il riuso o la riduzione (in base al cosiddetto Paradigma delle R).

Per l’Europa, dove aumenta costantemente il numero degli accumulatori al litio in circolazione per la mobilità elettrica, avere un tasso di EOL-RIR pari a zero per il cobalto equivale a bloccare del tutto l’economia circolare nel settore. Ad oggi, in pratica, una batteria a fine vita non ha più niente da offrire al sistema economico, evidentemente perché quest’ultimo non ha messo in campo sistemi di recupero e riutilizzo dei materiali, tutt’altro che impossibili da realizzare. Ad oggi, dunque, nel Vecchio Continente una risorsa rara quanto strategica come il cobalto viene gettata via come se non avesse più alcun valore, mentre in altre parti del mondo questa preziosa materia prima continua ad essere estratta per ricoprire la stessa funzione. Un circolo vizioso in totale contrasto con il Piano d’azione europeo per l’economia circolare, per cui i materiali che si possono riciclare dovrebbe essere reinseriti nell’economia come nuove materie prime.

Verso un boom della domanda

Trovare una soluzione al recupero di cobalto, la cui estrazione quasi sempre coincide con casi estremi di sfruttamenti di lavoratrici e lavoratori, anche minori, è un tema sempre più attuale, proprio perché è ormai presente in quasi tutti gli oggetti tecnologici che utilizziamo quotidianamente. La batteria di uno smartphone contiene dai 5 ai 10 grammi di cobalto, mentre ne servono diversi chilogrammi per un’auto elettrica, che deve a questo metallo raro la capacità di estendere la durata della sua batteria agli ioni di litio e quindi la sua autonomia. Se ancora non è chiara quanto sia alta la domanda di cobalto nel mondo, gli analisti del Swisse Resource Capital AG (SRC), società svizzera di consulenza e analisi nel settore minerario, rendono noto come ci sarà un boom di domanda di cobalto nei prossimi anni che si attende salire oltre le 300mila tonnellate all’anno entro il 2025. Un segnale d’allarme che, anche grazie alle norme a cui sta lavorando l’Esecutivo comunitario, l’Europa potrebbe trasformare in opportunità. Per farlo però, dovrebbe immediatamente rendere operativa la possibilità di tramutare i cumuli di rifiuti elettrici ed elettronici in una vera e propria miniera di cobalto, creando quindi un mercato alternativo in grado di coprire la richiesta sempre maggiore dei grandi produttori asiatici di batterie per vetture elettriche e prodotti elettronici.

L’Italia alla guida del nuovo corso?

La tecnologia attualmente disponibile in Europa per il trattamento delle batterie di auto elettriche a fine vita prevede costi ancora molto alti, soprattutto di tipo energetico, ed è orientata al solo recupero di materie rare e ad alto valore aggiunto, come il cobalto e nichel. Al contrario, le alte temperature del processo danneggiano litio (anch’esso con EOL-RIR uguale a zero) e manganese, che quindi non si possono riutilizzare. Il processo quindi sembra adatto al recupero soltanto di alcune materie, ma non permette di “salvare” tutti gli elementi della cosiddetta black mass, la componente attiva delle batterie. Sul tema della gestione degli accumulatori al litio a fine vita Cobat, consorzio che si occupa anche della gestione dei rifiuti di pile e accumulatore, ha investito in ricerca e sviluppo per individuare insieme al CNR-ICCOM (Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Chimica dei Composti Organo Metallici) di Firenze una tecnologia innovativa che non solo permetta un trattamento e riciclo a costi sostenibili ma che massimizzi il recupero di quei materiali, in modo da poterli nuovamente inserire nel mercato come materia prima seconda. Dai risultati incoraggianti dello studio, Cobat è attualmente in attesa di ottenere un brevetto per la realizzazione di un impianto di macinazione da cui recuperare la black mass degli accumulatori. Ma prendere un accumulatore a fine vita e scomporlo in tutte le sue componenti non è l’unica soluzione. Sempre Cobat sta analizzando la possibilità di dare seconda vita agli accumulatori nel settore delle rinnovabili. Le batterie dei veicoli elettrici dopo circa 8 anni hanno una capacità di carica insufficiente ad alimentare una macchina, ma conservano comunque una capacità di carica, sia pur ridotta. Da questa constatazione nasce l’idea di riutilizzare le batterie non più in grado di alimentare veicoli per riassemblarle e renderle adatte a stoccare energia da fonti rinnovabili. Luigi De Rocchi, responsabile ricerca e sviluppo di Cobat spiega come “le case automobilistiche sono fortemente interessate alla second life degli accumulatori utilizzati sulle proprie auto, dal momento che l’allungamento del loro ciclo di vita e la nascita di un business secondario può avere effetti positivi sui costi di gestione degli accumulatori, in questo modo agevolando l’affermazione del mercato dell’elettrico”.

Etica e profitto, una sfida

Recuperare materiali rari come il cobalto da li accumulatori non sarebbe solo un’opportunità economica ma avrebbe anche un valore etico. Da una parte abbiamo l’avvento della mobilità a bassissime emissioni con auto e moto elettriche, dall’altro però si deve fare i conti con una disponibilità limitata di materie prime e condizioni economiche e sociali sfavorevoli nei territori in cui queste materie prime critiche vengono estratte. Il caso del cobalto ne è un esempio, dal momento che le aree di estrazione sono poche e spesso instabili. La maggior parte delle riserve sono concentrate in regioni politicamente fragili, come la Repubblica democratica del Congo, fornitore del 55% del cobalto totale a livello globale. Questo mercato diventa così emblema dei danni dell’economia lineare: per fornire un materiale utile prevalentemente al mondo globalizzato si sottraggono risorse e diritti a popolazioni che vivono in estrema povertà, limitando i vantaggi a una élite spesso corrotta. Incentivare il recupero di materiali come il cobalto dalle batterie dismesse potrebbe portare ad allentare la presa nei confronti delle risorse “altrui”, creando una filiera domestica – la cosiddetta “miniera urbana” – in grado di dare valore ai cumuli di apparecchiature elettroniche e accumulatori esausti che invadono i punti di raccolta e le discariche di tutta Europa, Italia compresa. In questo modo ci si potrebbe aspettare un’impennata dell’indicatore EOL-RIR per cobalto, litio e molti altri materiali che costituiscono una batteria.

Potenzialità delle materie prime seconde

La Commissione Europea è al lavoro anche per aggiornare il quadro di monitoraggio dell’economia circolare, che fa già riferimento a numerosi indicatori basati su diversi aspetti del sistema economico, tra cui EOL-RIR per le materie prime seconde. C’è anche l’ulteriore obiettivo di creare nuovi indicatori che terranno conto di aspetti del Piano d’azione per l’economia circolare e delle relazioni tra circolarità, neutralità climatica e obiettivo “inquinamento zero”. Per quanto riguarda le materie prime seconde , il Piano d’azione per l’economia circolare prevede diverse misure a sostegno di una loro maggiore competitività in termini di costo e disponibilità, così da portare equilibrio tra domanda e offerta e permettere l’espansione del settore, per esempio con l’introduzione dell’obbligo di contenuto riciclato minimo nei prodotti. Spingere in questa direzione rafforzerebbe la crescita del mercato delle materie prime seconde e aumenterebbe la responsabilità nei produttori. Questi ultimi potrebbero così vedere rivalutati i loro magazzini, che in un’ottica circolare costituiscono un patrimonio non indifferente di materie utili e preziose.

L’Italia ha di fronte a sé una grande sfida, quella di sfruttare le sue grandi potenzialità nella raccolta e riciclo di rifiuti di pile e accumulatori per divenire un importante fornitore di materia prima seconda, valorizzando così ancora una volta la sua capacità di aggirare l’ostacolo della mancanza di materie prime puntando su recupero, riutilizzo e riciclo.

fonte: economiacircolare.com

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16 indicatori per illustrare l’ambiente nel nostro Paese













Fra i documenti presentati il 3 giugno con la partecipazione del Presidente del Parlamento Europeo, del Presidente del Consiglio, del Ministro dell’Ambiente di altre autorità, vi l’edizione 2019 del “Rapporto Ambiente SNPA“.

Si tratta della terza edizione di questo documento, dopo quelle del 2018 e del 2017) che fornisce una conoscenza ambientale del nostro Paese basata su informazioni oggettive, affidabili e confrontabili, che gli con- sente di raggiungere gli obiettivi prefissati e di vincere le ulteriori nuove sfide che si presenteranno.

Il Rapporto Ambiente SNPA è lo stadio conclusivo e qualificante di un intero processo conoscitivo, costruito e aggiornato dall’attività ordinaria del Sistema, che parte dal flusso dei dati reperiti tramite il monitoraggio e controllo e termina con un complesso lavoro di reporting al quale hanno partecipato ISPRA e tutte le ARPA/APPA. Il documento fornisce anche una panoramica sulle attività svolte nel Sistema, attraverso l’analisi di studi, ricerche e progetti ritenuti particolarmente rilevanti per il SNPA, la cui descrizione può essere di interesse per la collettività.

Il fine, dunque, di questo documento è certamente quello di essere di supporto alle politiche, ma anche di esortare il confronto tra esperti della materia e cittadinanza, e di stimolare la collettività a modificare i propri comportamenti in grado di produrre effetti sulla quantità e qualità del capitale naturale e in particolare degli ecosistemi.

Il Rapporto è articolato in due parti. La prima descrive le realtà regionali attraverso l’analisi di 16 indicatori, ed è su questa prima parte che ci soffermiamo in questo articolo. La seconda è composta da brevi articoli che riguardano specificità regionali e/o attività SNPA particolarmente rilevanti e di interesse per la collettività, di cui parleremo nelle prossime settimane/mesi su AmbienteInforma.
I 16 indicatori del Rapporto Ambiente SNPA
Controlli SNPA (AIA e Seveso)

Controlli SNPA presso stabilimenti AIA e Seveso. Anni 2017-2018

Nel 2018 il numero dei controlli ambientali presso gli impianti AIA non si discosta molto da quanto effettuato nel 2017. Nello specifico l’attività di controllo del Sistema presso gli impianti AIA è consistita in 2.281 visite ispettive ordinarie e straordinarie AIA regionali e 100 AIA statali (2.407 visite AIA regionali e 76 visite AIA statali nel 2017). Per le verifiche ispettive Seveso di soglia superiore gestite a livello statale si registra una lieve flessione (143 e 187 verifiche ordinarie e straordinarie rispettivamente nel 2018 e 2017).
Emissioni di gas serra

Gas serra: distribuzione delle emissioni per settore. Anno 2017

In Italia, nel 2017, le emissioni totali di gas serra, espresse in CO2 equivalente, sono Le emissioni totali di gas a effetto serra si riducono nel periodo 1990-2017 del 17,4%, passando da 517,7 a 427,7 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Nell’ultimo anno, tra il 2016 e il 2017, si registra una riduzione pari a un punto percentuale. L’andamento complessivo dei gas serra è determinato principalmente dal settore energetico e quindi dalle emissioni di CO2 che rappresentano poco più dei quattro quinti delle emissioni totali lungo l’intero periodo 1990-2017.
Particolato (PM10)
PM10: percentuale delle stazioni di monitoraggio che nel 2018 hanno superato il limite di Legge

L’andamento decrescente dei livelli atmosferici di PM10 prosegue, coerentemente con quanto osservato in Europa nell’ultimo decennio, come risultato della riduzione congiunta delle emissioni di particolato primario e dei principali precursori del secondario (ossidi di azoto, ossidi di zolfo, ammoniaca). Tuttavia, avendo come orizzonte temporale il 2020, in riferimento all’esposizione a breve termine della popolazione, oltre al lontanissimo obiettivo di raggiungere i livelli raccomandati dall’OMS (nel 75% dei casi si registrano oltre tre superamenti della soglia di 50 μg/m3 per la media giornaliera), anche rispettare l’obiettivo previsto dalla normativa (non più di 35 superamenti della soglia di 50 μg/m3 in un anno) su tutto il territorio nazionale sembra piuttosto difficile: nel 2018 non è stato rispettato nel 18% dei casi.
Aree di tutela ambientale
Biodiversità: Aree protette e ReteNatura2000

In Italia ad oggi, rispetto all’ultimo Elenco Ufficiale delle Aree protette (EUAP, 2010), si è verificato un incremento del numero di aree protette e superfici tutelate. In ambito terrestre sono state istituite 843 aree protette (alcune delle quali comprendono anche una parte a mare) per una superficie di oltre 3 milioni di ettari, pari a circa il 10,5% della superficie nazionale. L’ambito marino è invece tutelato da 39 aree protette, di cui 29 sono Aree Marine Protette, con una superficie marina tutelata che supera i 307.000 ettari. A queste si aggiungono il Santuario internazionale dei mammiferi marini e i due Parchi Archeologici sommersi di Baia e Gaiola.

La Rete Natura 2000, costituita da Zone di Protezione Speciale (ZPS), Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone Speciali di Conservazione (ZSC), al netto delle sovrapposizioni è costituita da 2.613 siti, per una superficie totale netta a terra di 5.826.777 ettari, pari al 19,3% del territorio nazionale e da una superficie a mare di 587.771 ettari. Sono presenti 613 ZPS (335 delle quali coincidenti con SIC/ZSC) e 2.335 SIC/ZSC (di cui il 95% è designato come ZSC).
Aziende agricole che aderiscono a misure ecocompatibili e che praticano agricoltura biologica
Agricoltura biologica: superficie coltivata e operatori addetti

Nel 2018 la superficie coltivata secondo il metodo biologico o in conversione, in Italia, è pari a circa 1,96 milioni di ettari, con un incremento del 2,6% rispetto al 2017. I principali orientamenti produttivi riguardano le colture foraggere, i pascoli ed i cereali. Gli operatori del settore sono oltre 79.046, con un aumento del 4,2% rispetto al 2017. L’incidenza percentuale del biologico, rispetto ai dati nazionali (Istat, SPA 2016), è pari al 15,5% della SAU nazionale e al 6,1% delle aziende agricole del Paese.
Consumo di suolo
Suolo consumato a livello nazionale. Anno 2018

Il consumo di suolo in Italia continua a crescere. Nel 2018 le nuove coperture artificiali hanno riguardato, in linea con i dati del 2017, circa 5.100 ettari di territorio, ovvero, in media, circa 14 ettari al giorno con una velocità di tra- sformazione di circa 2 m2 di suolo che, nell’ultimo anno, sono stati irreversibilmente persi ogni secondo. Anche se la velocità sembra essersi stabilizzata è ancora molto lontana dagli obiettivi europei che prevedono l’azzera- mento del consumo di suolo netto (cioè il bilancio tra nuovo consumo e aree ripristinate a seguito della dismissione di cantieri e di altre aree che l’anno precedente appartenevano alla classe 12 – consumo di suolo reversibile) è circa pari a 4.800 ettari netti, equivalenti a 1,6 metri quadrati per ogni ettaro di territorio italiano.
Fenomeni franosi in Italia
Fenomeni franosi in Italia. Anno 2017

Le frane censite nell’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia sono 620.808 e interessano un’area di circa 23.700 km , pari al 7,9% del territorio nazionale. Il censimento delle frane nell’Inventario IFFI è stato avviato dall’ISPRA e dalle regioni e province autonome nel 1999; l’intervallo temporale che intercorre tra la data di attivazione della frana più antica e di quella più recente contenute nell’Inventario va dal 1116 al 2017. Le tipologie di movimento più frequenti, classificate in base al tipo di movimento prevalente, sono gli scivolamenti rotazionali/traslativi (31,91%), i colamenti rapidi (14,95%), i colamenti lenti (12,73%), i movimenti di tipo complesso (9,53%) e le aree soggette a crolli/ribaltamenti diffusi (8,94%).
Indice di qualità stato chimico delle acque superficiali
Indice di qualità stato chimico delle acque superficiali

Sulla base dei dati trasmessi nel 2016 in Europa, attraverso il Water Information System for Europe – WISE, negli otto distretti idrografici nazionali, i corpi idrici superficiali interni identificati sono 7.841, di cui 7.494 fiumi e 347 laghi. A livello nazionale, il 75% dei fiumi è in uno stato buono, il 7% non buono e il 18% non è stato classificato. Per i laghi, l’obiettivo di qualità è raggiunto nel 48% dei corpi idrici.
Indice di qualità stato ecologico delle acque superficiali
Indice di qualità stato ecologico delle acque superficiali

Sulla base dei dati trasmessi nel 2016 in Europa, attraverso il Water Information System for Europe – WISE, negli otto distretti idrografici nazionali, i corpi idrici superficiali interni identificati sono 7.841, di cui 7.494 fiumi e 347 laghi. A livello nazionale, il 43% dei fiumi raggiunge l’obiettivo di qualità (38% buono e 5% elevato), il 41% è al disotto mentre il 16% non è stato classificato. Per i laghi, solo il 20% raggiunge l’obiettivo di qualità (17% buono e 3% elevato) mentre il 39% è di qualità inferiore.
Indice di qualità stato chimico delle acque sotterranee (SCAS)
Acque sotterranee: stato chimico. Anno 2016

A livello nazionale sono stati classificati 869 corpi idrici rispetto ai 1.052 totali (copertura del 82,6%); in termini di superficie, i corpi idrici classificati equivalgono a 245.827 km2 che corrisponde a una copertura del 92,1% rispetto al totale (267.017 km2). La dimensione media dei corpi idrici sotterranei è pari a 254 km. Lo stato chimico è buono nel 57,6% dei corpi idrici sotterranei e scarso nel 25,0%; il restante 17,4% non è ancora classificato.
Stato ecologico delle acque marino costiere
Acque marino costiere: stato ecologico. Anno 2016

A livello nazionale più del 50% dei corpi idrici marino costieri (54,5%) è in buono stato ecologico e i distretti delle Alpi orientali, dell’Appennino Centrale e della Sardegna presentano un numero di corpi idrici in stato buono maggiore o uguale all’80%. Tuttavia paragonando i singoli distretti si osserva una certa disomogeneità che si esprime sia a livello di numero di corpi idrici identificati per distretto sia per classificazione ecologica.
Produzione Rifiuti urbani
Produzione rifiuti urbani

Nel 2018, la produzione nazionale dei rifiuti urbani si attesta a quasi 30,2 milioni di tonnellate, con una crescita del 2% rispetto al 2017. Dopo il calo rilevato nel 2017, il dato di produzione supera quindi nuovamente i 30 milioni di tonnellate, riallineandosi al valore del 2016. La crescita è ancora maggiore se si guarda al dato pro capite: +2,2%, che in termini di quantità è pari a poco meno di 500 chilogrammi per abitante. Raffrontando il dato 2018 con quello 2007 si riscontra una sostanziale riduzione della produzione (-7,3%).
Raccolta differenziata
Percentuale di raccolta differenziata sulla produzione nazionale

Si conferma il trend di crescita della raccolta differenziata anche nel 2018 con +2,6 punti percentuali a livello nazionale rispetto all’anno precedente; che raggiunge così il 58,1%. Nell’ultimo decennio la percentuale è aumentata di quasi 25 punti percentuali, passando dal 35,3% al 58,1%. In termini quantitativi da circa 9,9 milioni di tonnellate a 17,5 milioni di tonnellate.

Tra i rifiuti differenziati, l’organico si conferma la frazione più raccolta in Italia. Rappresenta il 40,4% del totale e nel 2018 registra un’ulteriore impennata con un +6,9% rispetto al 2017. Al secondo posto per quantità, carta e cartone (19,5% del totale), con 3,4 milioni di tonnellate e una crescita del 4,3% rispetto al 2017. Segue il vetro con oltre 2,1 milioni di tonnellate.
Superamenti dei valori di riferimento normativo per campi elettromagnetici generati da impianti per radiotelecomunicazione ed elettrodotti

Superamenti dei limiti normativi registrati nel corso delle attività di controllo. Anni 1999-settembre 2019

A livello nazionale, i casi di superamento dei limiti normativi registrati nel corso dell’attività di controllo effettuata dalle Agenzie, tra il 1999 e settembre 2019, sono stati: 672 per gli impianti RTV, 136 per le stazioni SRB e 65 per gli elettrodotti ELF. Tra luglio 2018 e settembre 2019, i casi di superamento dei limiti di legge sono aumentati sia per gli impianti RTV (+6%), sia per le SRB (+4%), mentre per le sorgenti ELF risultano sostanzialmente invariati (tale valutazione è riferita a 16 regioni che hanno fornito il dato sia per il 2018 sia per il 2019).
Sorgenti di rumore controllate e percentuale per cui si è riscontrato almeno un superamento dei limiti

Le sorgenti maggiormente controllate risultano, anche per il 2018, le attività di servizio e/o commerciali (60,4% sul totale delle sorgenti controllate), seguite dalle attività produttive (26,1%). Tra le infrastrutture di trasporto, che rappresentano il 9,4% delle sorgenti controllate, le strade sono quelle più controllate (6,5%).
Sorgenti di rumore maggiormente controllate. Anno 2018


fonte: https://www.snpambiente.it/


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Economia circolare: al via consultazione pubblica sugli indicatori

Fino al 1° ottobre 2018 imprese, associazioni di categoria, consorzi e rappresentanti delle pubbliche amministrazioni sono invitati a inviare il proprio contributo compilando il questionario sul sito del Ministero dell’Ambiente





Al via la consultazione pubblica sul documento “Economia circolare e uso efficiente delle risorse -Indicatori per la misurazione dell’economia circolare”, realizzato dai Ministeri dell’Ambiente (MATTM) e dello Sviluppo Economico (MISE) con il supporto tecnico-scientifico dell’ENEA e il contributo di esperti del settore.

Fino al 1° ottobre 2018 imprese, associazioni di categoria, consorzi e rappresentanti delle pubbliche amministrazioni sono invitati a inviare il proprio contributo compilando il questionario al link consultazione.minambiente.it

Il documento rappresenta una prima proposta operativa di schema di monitoraggio della “circolarità” dal livello “macro” del sistema paese al “micro” della singola impresa e amministrazione. “Gli indicatori contenuti nel documento non sono da considerarsi esaustivi ma rappresentano la base di partenza per arrivare all’individuazione delle soluzioni migliori per il nostro paese in termini di massimizzazione dei benefici economici e di salvaguardia delle risorse”, sottolinea la ricercatrice ENEA Laura Cutaia del dipartimento “Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali” che ha coordinato il contributo dell’Agenzia al documento.

fonte: www.enea.it

AmbienteInforma: Indicatori – Raccolta differenziata

















Nel 2016, la percentuale di raccolta differenziata si attesta al 52,5% circa della produzione nazionale, con una crescita di 5 punti rispetto al 2015. Tale incremento è in parte attribuibile a un cambiamento della metodologia di calcolo. Nonostante l’incremento, registrato, nel 2016 ancora non è raggiunto l’obiettivo del 60%, fissato dalla normativa nazionale per il 2011.
Dal Rapporto Ambiente Snpa 2018, volume Ambiente in primo piano: indicatori e specificità regionali
Nel 2016, la percentuale di raccolta differenziata si attesta al 52,5% circa della produzione nazionale, con una crescita di 5 punti rispetto al 2015. Tale incremento è in parte attribuibile a un cambiamento della metodologia di calcolo, che a partire dai dati 2016 include alcune frazioni precedentemente non contabilizzate, quali gli scarti della selezione della multimateriale, i rifiuti da spazzamento stradale destinati a recupero e i rifiuti da costruzione e demolizione provenienti da piccoli interventi di rimozione (DM 26 maggio 2016).
Nonostante l’incremento, registrato a livello nazionale, nel 2016 ancora non è raggiunto l’obiettivo del 60%, fissato dalla normativa nazionale per il 2011.





Percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani (2016)
Percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani (2016)
 
fonte: http://ambienteinforma-snpa.it