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Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici


ISPRA presenta i nuovi dati sul consumo di suolo in Italia e l’edizione 2020 del Rapporto del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente. Il Rapporto, insieme all’aggiornamento della cartografia e delle banche dati, saranno diffusi il 22 luglio per fornire il quadro aggiornato dei processi di trasformazione del territorio, dello stato di degrado e dell’impatto del consumo di suolo sul paesaggio e sui servizi ecosistemici. Aumentano, infatti, gli effetti negativi delle coperture artificiali e dell’espansione delle superfici costruite, che non mostra segnali di rallentamento.
Il contributo della ricerca, oltre al monitoraggio sull’andamento del fenomeno e sui relativi danni ambientali, è rilevante per l’indicazione di nuove prospettive di pianificazione territoriale e per fornire strumenti e criteri utili per la rigenerazione del territorio e per una progettazione sostenibile delle aree urbane.
fonte: https://www.snpambiente.it


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L’Europa vive entro i limiti del nostro pianeta?

L'impronta ecologica europea in un nuovo rapporto della Agenzia europea per l'ambiente (EEA)





È stato pubblicato un nuovo rapporto congiunto dell’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) e del Swiss Federal Office for the Environment (FOEN): “L’Europa vive entro i limiti del nostro pianeta?”.



Nel rapporto si individuano nove processi che regolano la stabilità e la resilienza del sistema terrestre: i “sistemi di supporto vitale della Terra”. Il quadro propone limiti planetari quantitativi precauzionali entro i quali l’umanità può continuare a svilupparsi e prosperare, definendolo come uno “spazio operativo sicuro”.






Oltrepassare questi confini incrementa il rischio di generare cambiamenti ambientali improvvisi o irreversibili su larga scala che potrebbero trasformare il sistema Terra in modo dannoso per lo sviluppo umano. La stima più recente suggerisce che quattro processi del sistema terrestre – cambiamento climatico, integrità della biosfera, cambiamento del sistema terrestre e cicli biogeochimici – si trovano in una zona di rischio crescente che potrebbe innescare cambiamenti fondamentali e indesiderabili del sistema terrestre.





Il rapporto, quindi, cerca di rispondere a due domande chiave relative alle ambizioni di sostenibilità a lungo termine dell’Europa:
come definire uno “spazio operativo sicuro” per l’Europa dove tutta l’umanità può continuare a svilupparsi e prosperare
se l’impronta ambientale dell’Europa sia attualmente più piccola o più grande del suo “spazio operativo sicuro” stimato.





Il rapporto riconosce che esistono diversi modi per allocare lo spazio operativo dell’Europa nel contesto globale, che comportano inevitabilmente scelte in materia di equità, condivisione degli oneri internazionali, sovranità e diritto allo sviluppo. Sulla base di questi diversi principi di allocazione, lo studio raggiunge una quota minima europea del 2,7%, una quota massima del 21% e una quota mediana del 7,3% dei limiti globali.


Utilizzando un’analisi basata sul consumo per quattro dei sistemi di supporto vitale della Terra, il rapporto mostra che l’Europa attualmente supera il suo spazio operativo sicuro per il ciclo dell’azoto di un fattore 3,3; per il ciclo del fosforo di un fattore 2,0 e cambiamento del sistema terrestre di un fattore 1,8. Al contrario, l’Europa vive entro i suoi limiti quando si tratta di uso di acqua dolce, sebbene i problemi con il consumo eccessivo e la scarsità d’acqua rimangano a livello locale e regionale.

Per approfondimenti leggi il rapporto Is Europe living within the limits of our planet?

fonte: https://www.snpambiente.it




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Nel 2019 abbiamo perso un’area di foreste primarie grande come la Svizzera

Il rapporto annuale di Global forest watch illustra le gravi perdite patite nel 2019 dalle foreste di tutto il mondo. A partire da quelle del Brasile.





Nel corso del 2019 le attività umane e gli incendi hanno provocato la distruzione di 38mila chilometri quadrati di foreste vergini, ovvero considerate incontaminate. Per tradurre le cifre in termini più comprensibili, il rapporto annuale dell’organizzazione non governativa Global forest watch ha spiegato che abbiamo perso l’equivalente di un campo di calcio ogni sei secondi. Ovvero un’area grande come la Svizzera. Il che fa dello scorso anno il terzo più negativo di sempre in termini di perdita di foreste primarie nel corso degli ultimi due decenni.
Le perdite più gravi in Brasile e nella Repubblica Democratica del Congo

Il documento è stato pubblicato il 2 giugno scorso e sottolinea come più di un terzo delle foreste distrutte sia concentrato in un’unica nazione: il Brasile. Al secondo e al terzo posto figurano invece la Repubblica Democratica del Congo e l’Indonesia. Seguono poi Perù, Malesia, Colombia, Laos, Messico e Cambogia.

“Un tasso di perdita così elevato è molto preoccupante e arriva in barba agli sforzi condotti da diversi paesi e aziende al fine di ridurre la deforestazione”, ha spiegato Mikaela Weisse, direttrice di Global forest watch, il cui lavoro è stato condotto per conto del think tank americano World resources institute (Wri).





In termini di peggioramento anno su anno, invece, la nazione che presenta i dati più allarmanti è la Bolivia. Il paese latinoamericano ha infatti visto aumentare il tasso di deforestazione dell’80 per cento rispetto al 2018. Ciò in particolare a causa degli incendi, degli allevamenti e della coltura intensiva di soia. Al contrario, in Indonesia si è registrato un calo del 5 per cento (ma i numeri complessivi restano preoccupanti).
Occorreranno decenni, se non secoli, per rigenerare le foreste

Se si considera tuttavia la superficie totale di foreste distrutte, i dati, rispetto a quelle primarie, vanno triplicati. Raggiungendo i 119mila chilometri quadrati. L’attenzione è tuttavia concentrata proprio sulle foreste vergini, in quanto particolarmente preziose, non soltanto per la quantità di biodiversità che ospitano, ma anche per il contributo che garantiscono in termini di assorbimento della CO2 dispersa nel mondo a causa delle attività antropiche. Ad inquietare inoltre è il fatto che gli effetti della deforestazione peseranno a lungo sul Pianeta: “Occorreranno dei decenni, se non dei secoli, prima che tali aree possano tornare al loro stato di origine”, ha aggiunto Mikaela Weisse.

A causare la distruzione delle foreste sono stati in particolare gli incendi. Quelli che hanno devastato il Brasile hanno riempito le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, per via della loro vastità. Ma a quelle legate ai roghi, è probabile che nel 2020 possano aggiungersi altre minacce.
I rischi legati alla ripresa economica post-coronavirus

Il governo guidato dall’ultra-conservatore Jair Bolsonaro ha deciso infatti di rendere più facili le estrazioni minerarie, petrolifere e di gas in aree protette. Così come la conversione di zone boschive in aree adibite ad agricoltura intensiva. Ciò attraverso un progetto di legge approvato a febbraio e che probabilmente peserà fortemente sull’anno in corso.

Non a caso, l’8 maggio scorso l’Istituto nazionale per le ricerche spaziali (Inpe), aveva indicato che nei primi quattro mesi del 2020 sono stati rasi al suolo 1.202 chilometri quadrati di foresta. Il 55 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2019. Prendendo inoltre in considerazione unicamente l’area disboscata nel mese di aprile di quest’anno, pari a circa 405 chilometri quadrati, l’incremento rispetto allo stesso periodo del 2019 è stato del 64 per cento.





Come se non bastasse, poi, la pandemia di Covid-19 potrebbe aggravare ulteriormente la situazione. “Dal mondo intero ci arriva l’eco di un aumento dello sfruttamento delle aree ricoperte da foreste – spiega Frances Seymour, del Wri -, anche per progetti minerari illegali”. Il rischio è che la necessità di riavviare le economie prevalga anche sulla salvaguardia dei territori. Il che conferma che il mondo è ad un bivio: o scegliere la strada della ripresa ad ogni costo o scegliere una svolta sostenibile. Mai come oggi il destino delle generazioni future è nelle nostre mani.

fonte: www.lifegate.it

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Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche 2020

Pubblicato in occasione della giornata mondiale dell'acqua, il 22 marzo, tratta in dettaglio gli effetti dei cambiamenti climatici su questa risorsa essenziale





In occasione della Giornata mondiale dell'Acqua del 22 marzo, l'ONU ha pubblicato il rapporto sullo risorse idriche.

Secondo il rapporto, i cambiamenti climatici influenzeranno la disponibilità , la qualità e la quantità di acqua per le necessità essenziali dell'essere umano, minacciando così l'effettivo godimento dei diritti umani all'acqua e ai servizi igienico-sanitari potenzialmente per miliardi di persone.

Le alterazioni idrologiche causate dai cambiamenti climatici costituiranno una sfida che andrà ad aggiungersi alla gestione sostenibile delle risorse idriche, già oggetto di notevoli pressioni in numerose aree del mondo.

Sicurezza alimentare, salute, insediamenti urbani e rurali, produzione di energia, sviluppo industriale, crescita economica ed ecosistemi dipendono tutti dalle risorse idriche, risultano quindi vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici.

L'adattamento ai cambiamenti climatici e la relativa mitigazione attraverso la gestione delle risorse idriche risultano quindi decisivi per lo sviluppo sostenibile ed essenziali per conseguire gli obiettivi fissati dall'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, nell'Accordo sui cambiamenti climatici e nel Quadro di riferimento di Sendai per la riduzione del rischio di disastri.

Il rapporto quindi tratta dettagliatamente tutti questi aspetti. Di seguito alcuni accenni molto sintetici.

Nel corso degli ultimi cento anni l'utilizzo globale di acqua è cresciuto di sei volte - una crescita che proseguirà costantemente ad un tasso pari all'1% annuo in conseguenza dell'incremento della popolazione, dello sviluppo economico e del cambiamento dei modelli di consumo.

Congiuntamente ad approvvigionamenti idrici sempre più incerti e irregolari, i cambiamenti climatici aggraveranno la situazione nelle regioni già sottoposte a stress idrico, generando inoltre stress idrico anche in quelle regioni in cui le risorse sono attualmente abbondanti.


I cambiamenti climatici generano ulteriori rischi a carico delle infrastrutture idriche, con una crescente necessità di misure di adattamento.

Gli impatti dei cambiamenti climatici previsti sulla salute umana correlati con l'acqua riguardano principalmente le patologie veicolate dagli alimenti, dall'acqua stessa e dai vettori, i decessi e le lesioni associate agli eventi meteorologici estremi, come pure la sottonutrizione quale conseguenza delle carenze alimentari causate da siccità e inondazioni.


Le proiezioni relative al clima indicano un incremento delle precipitazioni in Europa settentrionale e una riduzione in Europa meridionale. Il Gruppo Intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) ha sottolineato le crescenti sfide per irrigazione, energia idroelettrica, ecosistemi e insediamenti umani nella regione.

fonte: http://www.arpat.toscana.it



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PFAS: presentazione del rapporto di Isde alla Camera dei Deputati
















In Veneto, ormai da anni, è in atto una delle emergenze sanitarie ed ambientali più gravi che il nostro Paese abbia mai dovuto affrontare: la contaminazione da PFAS.
Il 16 gennaio si presenta a Roma il rapporto dell’Associazione Medici per l’Ambiente.
«In Veneto, ormai da anni, è in atto una delle emergenze sanitarie ed ambientali più gravi che il nostro Paese abbia mai dovuto affrontare. La contaminazione da PFAS venuto alla luce nell’estate del 2013, a seguito del perpetrato sversamento in falda degli scarti di produzione dell’azienda Miteni di Trissino, oggi a processo, non riguarda “solo” la seconda falda acquifera più grande d’Europa e l’insieme delle acque potabili delle tre province coinvolte (Vicenza, Padova e Verona) ma anche e soprattutto la salute di oltre 500mila cittadini, in primis, bambini e future generazioni»: così Sara Cunial, deputata del Gruppo Misto, che annuncia un incontro a Roma proprio sul tema per giovedì 16 gennaio.
«La Regione Veneto continua a prorogare gli interventi necessari e a rimandare la realizzazione di quegli studi essenziali per capire di che portata è il danno alla popolazione – spiega Cunial – Non solo i lavori per la costruzione di nuovi acquedotti procedono con enorme ritardo tanto da dover richiedere una proroga, ma anche gli studi epidemiologici adeguati per poter stabilire la portata del danno alla salute dei cittadini, non sono ancora stati avviati».
L’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente- ISDE ha pubblicato un position paper scientifico che spiega cosa sono i PFAS, quali danni alla salute causa e, nello specifico, quali azioni le Istituzioni del Veneto dovrebbero attuare. Per tali sostanze, come per molte altre sostanze tossiche e cancerogene, non è ancora stato identificato un livello minimo di concentrazione, nelle acque a uso umano come nelle altre matrici fondamentali per la vita, che possa essere considerato innocuo in termini sanitari.
Tale evidenza scientifica assume particolare rilievo per le fasce di popolazione maggiormente a rischio (età pediatrica e gravidanza) ed esposte cronicamente, anche considerando le conseguenze del bioaccumulo e le inevitabili interazioni con altre sostanze inquinanti presenti nelle matrici ambientali. Pertanto, nel rispetto dei principi di precauzione e di prevenzione e indipendentemente dai limiti imposti dalla legge, la concentrazione di PFAS nelle acque dovrebbe tendere a zero.
Di tutto questo si parlerà giovedì 16 gennaio dalle 13.00 alle 14.00 presso la Sala stampa della Camera dei Deputati (in Via della Missione n. 4, Roma), durante la conferenza stampa in cui il Dottor Roberto Romizi, presidente di Isde Italia e il Dottor Vincenzo Cordiano, Presidente di Isde Veneto e tra i promotori dello studio su Pfas in Veneto presenteranno il position paper e il Dottor Ing. Pietro Paris (ISPRA) tratterà della pericolosità delle sostanze perfluoro alchiliche e del relativo rischio ambientale, soffermandosi sulle azioni in atto a livello Europeo per la gestione dei rischi e le restrizioni già definite e previste.  Modera Giorgio Galleano, giornalista Rai.
fonte: https://www.isde.it

Rifiuti: Istat, costi raccolta troppo alti per 7 famiglie su 10

Nelle Isole più insoddisfatte, Bolzano al top per gradimento del servizio


















Costo della raccolta dei rifiuti troppo alto per 7 famiglie su 10.
Lo scrive l'Istat nel rapporto 'Raccolta differenziata dei rifiuti: comportamenti e soddisfazione dei cittadini e politiche nelle città 2017-2018'.
In particolare, resta elevata e in linea con l'anno precedente la quota di famiglie che reputano elevato il costo dei rifiuti (68,2%) mentre il 28,2% lo definisce adeguato e solo lo 0,7% lo valuta basso. Il costo del servizio è giudicato meno soddisfacente nelle aree dove non c'è ancora una diffusione ottimale dei vari servizi di raccolta differenziata dei rifiuti.
Le famiglie residenti nelle Isole sono le più insoddisfatte (il 79,4% reputa il costo elevato), quelle del Nord-ovest le meno critiche (costo elevato per il 58,9%).
La valutazione del costo cambia a seconda della dimensione dei comuni: nei piccoli (sotto i 2mila abitanti), le famiglie percepiscono adeguato il costo del servizio di raccolta nel 40,7% dei casi (36,3% nel 2017) mentre nei centri di grandi dimensioni tale percentuale è inferiore di circa 20 punti, rivelando un maggior grado di insoddisfazione rispetto a questo aspetto.
La classifica delle regioni con le famiglie più soddisfatte è guidata da Bolzano (66,4%), seguono Trento (48,4%), Lombardia (43,3%) e Veneto (37,6%). Per il Sud la prima regione è il Molise che si posiziona al settimo posto a livello nazionale (31,8%) mentre la Sicilia chiude la graduatoria (14,4% contro 28,2% della media nazionale).

fonte: www.ansa.it

Presentazione del Rapporto nazionale “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici Edizione 2019”

Roma, 21 settembre 2019 - Museo MAXXI, Sala Graziella Lonardi Buontempo, Via Guido Reni, 4A



















ISPRA presenta i nuovi dati sul consumo di suolo in Italia e l’edizione 2019 del Rapporto del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente. Con un aumento del 180% di consumo di suolo dagli anni ’50 ad oggi, la superficie naturale in Italia si riduce ogni anno, aumentando gli effetti negativi sul territorio, sull’ambiente e sul paesaggio. Il contributo della ricerca, oltre al monitoraggio sull’andamento del fenomeno e sui relativi danni ambientali, è rilevante per l’indicazione di nuove prospettive di pianificazione e per fornire strumenti e criteri utili per una progettazione sostenibile delle aree urbane. Una nuova progettazione che dovrà essere il necessario punto di arrivo della nuova città e che sarà disegnata dalle politiche per l’azzeramento del consumo di suolo e per la rigenerazione urbana. In collaborazione con Scienza Insieme e nell’ambito dell’evento del MAXXI “Abitare la scienza. Per un futuro più sostenibile”, l’evento sarà arricchito da due esposizioni fotografiche: “l’Italia perde terreno” reportage di Angelo Antolino con immagini del consumo di suolo a cura di ISPRA e “Il verde in città per un futuro più sostenibile e resiliente”.
fonte: http://www.snpambiente.it

Materie prime critiche: recupero da depositi di scorie minerarie e discariche




Un Rapporto redatto dal Centro Comune di Ricerca della Commissione UE fornisce informazioni utili e esempi di buone pratiche per il recupero dai rifiuti minerari e dalle discariche di materie prime critiche e essenziali per l’economia dell’UE

Secondo un nuovo Rapporto del Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione UE, nelle discariche e nei depositi di scorie minerarie d’Europa c’è un potenziale inutilizzato da cui estrarre le materie prime critiche, utilizzate in oggetti di uso quotidiano come telefoni cellulari o batterie per auto e giacenti nei depositi di rifiuti minerari.
Per migliorare lo sviluppo di queste pratiche, il Rapporto “Recovery of critical and other raw materials from mining waste and landfills” offre importanti informazioni sul contesto politico e sulle ultime conoscenze e tecnologie utilizzate, indicando le buone pratiche e le sfide da superare.
Alla recente Assemblea del Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEA-4), è stato presentato il Rapporto dell’International Resource Panel (IRP) sulle previsioni di disponibilità delle risorse naturali al 2060 alle luce delle attuali tendenze di consumo, da cui emerge che l’uso di minerali metalliferi è aumentato del 2,7% e che di questo passo è elevato il rischio di trovarsi senza disponibilità di materie prime essenziali per l’economia globale e lo sviluppo tecnologico. Non basta l’efficienza delle risorse, osserva il Gruppo di 34 scienziati di fama mondiale di 30 diversi Paesi, istituito dall’UNEP nel 2007, “ciò che serve è un passaggio dai flussi lineari a quelli circolari, attraverso una combinazione di cicli di vita prolungati del prodotto, una progettazione intelligente e una standardizzazione di riutilizzo, riciclaggio e rigenerazione”.
Oltre ad essere essenziali per l’industria, le materie prime critiche (Critical Raw Materials) hanno un’importanza crescente nell’economia, permeando la nostra vita quotidiana e i mezzi di sussistenza: dalle dozzine di metalli, minerali e composti negli ultimi smartphone agli elementi di terre rare utilizzati nei veicoli elettrici, dispositivi medici, pannelli solari e tecnologie aerospaziali.
Tuttavia, molte materie prime critiche sono caratterizzate da elevati rischi di interruzione dell’approvvigionamento da Paesi su cui l’UE fa affidamento per le importazioni e per questo classificate come “critiche”.
La Commissione UE ha promosso nel 2008 la Raw Materials Initiative per assicurare un approvvigionamento sicuro e sostenibile delle stesse.
L’iniziativa sulle materie prime prevede una strategia basata su 3 pilastri:
– fornitura equa e sostenibile di materie prime dai mercati globali;
– fornitura sostenibile di materie prime all’interno dell’UE;
– efficienza delle risorse e fornitura di “materie prime secondarie” attraverso il riciclaggio.
Un apposito gruppo di lavoro periodicamente rilascia un report sulle materie prime più critiche. I criteri adottati per definire una materia prima critica sono due: l’importanza economica e il rischio di approvvigionamento.
Inizialmente 14 materie primenon energetiche e non alimentari, sono state indicate come strategiche in un elenco che è stato successivamente aggiornato, includendo una gamma più ampia di materiali, tenendo conto di due criteri essenziali: la rilevanza economica e i rischi legati all’approvvigionamento.
Produzione in UE di materie prime critiche in tonnellate e percentuale di fornitura rispetto al fabbisogno nel periodo 2010-2014 (Fonte: JRC)
Le materie prime essenziali sono, inoltre, un settore prioritario del Piano d’azione per l’economia circolare, che mira a favorire il loro uso efficiente e il riciclo, e dove l’azione n. 39 prevede la “Condivisione delle migliori pratiche per il recupero di materie prime critiche dai rifiuti minerari e dalle discariche“.
Proprio su questo aspetto si concentra il Rapporto del JRC, che rileva come, oltre agli evidenti benefici di sostenibilità, il recupero di materiali preziosi dai rifiuti possa anche aiutare a ripristinare l’ambiente e al riutilizzo di suolo nelle aree minerarie abbandonate, con potenziali benefici per le comunità locali.
Un esempio di queste opportunità è la miniera di Penouta, situata vicino a un piccolo villaggio rurale in Spagna, dove le operazioni di estrazione dello stagno cessarono nel 1985 e l’area fu abbandonata. Un nuovo progetto per recuperare quantità significative di materie prime dalla vecchia miniera, come il tantalio, un metallo raro utilizzato nella produzione di apparecchiature di laboratorio, sta avendo un impatto positivo sull’economia e sull’ambiente della regione:
– Il progetto sta generando occupazione diretta e indiretta in un’area rurale, dopo decenni di declino economico e spopolamento. Attualmente sono stati creati oltre 70 posti di lavoro diretti, l’80% dei quali è occupato da residenti locali.
– Si prevede che il progetto della miniera di Penouta migliorerà la formazione dei lavoratori nell’area.
– Il progetto mira a ridurre l’impatto ambientale della miniera e i leader del progetto sperano di raggiungere un livello di qualità che consenta di designare l’area come spazio protetto della rete Natura 2000, essendo la  miniera adiacente ad un’area naturale protetta chiamata Red Natura 2000 “Peña Trevinca”.
Il Rapporto sottolinea che il recupero delle materie prime dai rifiuti non è ancora una pratica comune nell’UE e non è sempre economicamente sostenibile. Dati, informazioni e conoscenze consolidate su questi materiali secondari, nonché un quadro legislativo armonizzato all’interno dell’UE sembrano essere cruciali per lo spiegamento su larga scala delle pratiche di recupero. Al riguardo, vi sono alcuni esempi notevoli che non solo dimostrano le potenzialità dell’estrazione di materie prime da discariche e scorie minerarie, ma anche la a disponibilità di tecnologie e l’esistenza di un settore altamente innovativo.
Contributi importanti alla base di conoscenze sono:
– il progetto CHROMIC che mira a sviluppare nuovi processi per il recupero di cromo, vanadio, molibdeno e nibio dai rifiuti industriali attraverso combinazioni intelligenti e innovazioni tecnologiche;
– il progetto SMART GROUND, al cui consorzio fa parte la Regione Piemonte, che ha sviluppato una serie di strumenti avanzati per migliorare i dati e le informazioni sulle materie prime secondarie nei depositi di rifiuti dell’UE.
Attualmente, secondo il Rapporto, il recupero di materie prime critiche dai rifiuti minerari e industriali è più promettente rispetto al recupero dalle discariche, sulla base dei diversi casi studio analizzati che hanno evidenziato come le tecnologie per i siti minerari e industriali siano più avanzate rispetto a quelle per il recupero dalle discariche.
Un altro limite è la probabilità di trovare quantità significative di materie prime critiche e di altre materie prime nelle vecchie discariche, poiché queste sono utilizzate solo da pochi anni in prodotti ampiamente utilizzati, che non avrebbero potuto raggiungere la fine del loro ciclo di vita prima degli anni ’90.
fonte: https://www.regionieambiente.it

Rapporto Ispra su produzione eco-compatibile di fibra, filati e tessuti

















In Italia, buona parte della lana tosata – fibra tessile per eccellenza – finisce in discarica (o sotterrata); sette milioni di pecore, il patrimonio ovino italiano secondo i dati ISTAT 2015, sono destinate alla produzione di latte per formaggi e la loro lana non trova uso perché considerata di bassa qualità.
Secondo l’ISTAT, la produzione di lana cosiddetta “sucida”, cioè appena tosata, si aggira intorno a 8.700 tonnellate ma è probabilmente un valore sottostimato perché diversi operatori, per non sopportare i costi di smaltimento, la distruggono in vario modo.
L’ISPRA, insieme a Donne in Campo della Confederazione Italiana Agricoltori, ha condotto un’indagine sulla produzione eco-compatibile di fibra da fonti naturali e/o di recupero, filati da tessitura artigianale, tintura naturale e confezioni con materiali e metodi compatibili con l’ambiente.
I frutti dello studio sono contenuti nel volume “Filare, tessere, colorare, creare. Storie di sostenibilità, passione ed eccellenza” pubblicato da ISPRA. Nello studio ISPRA-Donne in Campo si riferiscono, invece, casi di recupero di questo materiale naturale prezioso che dimostrano la possibilità di impiego della lana sucida.
http://www.isprambiente.gov.it/files2018/pubblicazioni/quaderni/Quad_AS_18_18.pdf
http://www.isprambiente.gov.it/files2018/pubblicazioni/quaderni/Quad_AS_18_18.pdf


Al fine di implementare con azioni concrete i propri obiettivi, Donne in Campo ha creato una rete attiva di donne sul territorio rurale che hanno contribuito a questo studio sulla sostenibilità della filiera. Va sottolineato che tali processi produttivi, generalmente, implicano la conservazione di piante tintorie – vegetali che forniscono pigmenti naturali – e di antiche varietà fornitrici di fibre tessile e comportano la valorizzazione di un‘importante eredità culturale e sociale tramandata, in molti casi, dalle donne.
In questo contesto, va sottolineata l’importanza della conservazione di antiche varietà di lino perfettamente adattate localmente, come descritto in una delle storie del volume, poiché nel corso del XX secolo, con l’avvento delle fibre sintetiche, la coltivazione del lino ha subito un forte declino con conseguente perdita di varietà di pregio.
Studi condotti dal CNR, brevemente descritti nel volume, stimano che dal totale della lana “sucida” (nell’accezione latina “unto, grasso”) italiana, proveniente dalla tosa non utilizzata delle pecore, si potrebbero ricavare oltre 5.000 tonnellate di fibra e 15 milioni di metri quadri di tessuto, creando una filiera sostenibile del tessile.
Lo studio ha fornito un panorama di attività e prodotti di eccellenza talmente variegato da risultare difficilmente inquadrabili in settori; si è deciso quindi di descrivere alcune di queste realtà, poco note al pubblico, che sono esempi di sostenibilità, biodiversità ed economia circolare. Le attività che si descrivono nello studio, dimostrano che la sostenibilità in questa filiera esiste e che può essere un mezzo di tutela ambientale e valorizzazione del territorio attraverso l’impiego intelligente delle risorse locali.
All’interno, vi sono infatti aziende che rappresentano un elevato valore sociale, quali le fattorie didattiche e gli agriturismi, perchè provvedono in alcuni casi all’inserimento
lavorativo di persone con disabilità.
Sempre nel campo della produzione sostenibile di fibre, tessuti e tinture naturali, nel 2017 l’ISPRA e l’Universidad Nacional de Córdoba (Argentina), hanno siglato un Protocollo d’intesa da cui è nata un’informativa dettagliata sulla multifunzionalità del bosco e la produzione e colorazione sostenibile di fibre e tessuti in Argentina, che ISPRA ha pubblicato nella collana “Manuali e linee guida” (Manuali e linee guida 171/2018).
fonte: https://www.snpambiente.it/

AmbienteInforma: Indicatori – Raccolta differenziata

















Nel 2016, la percentuale di raccolta differenziata si attesta al 52,5% circa della produzione nazionale, con una crescita di 5 punti rispetto al 2015. Tale incremento è in parte attribuibile a un cambiamento della metodologia di calcolo. Nonostante l’incremento, registrato, nel 2016 ancora non è raggiunto l’obiettivo del 60%, fissato dalla normativa nazionale per il 2011.
Dal Rapporto Ambiente Snpa 2018, volume Ambiente in primo piano: indicatori e specificità regionali
Nel 2016, la percentuale di raccolta differenziata si attesta al 52,5% circa della produzione nazionale, con una crescita di 5 punti rispetto al 2015. Tale incremento è in parte attribuibile a un cambiamento della metodologia di calcolo, che a partire dai dati 2016 include alcune frazioni precedentemente non contabilizzate, quali gli scarti della selezione della multimateriale, i rifiuti da spazzamento stradale destinati a recupero e i rifiuti da costruzione e demolizione provenienti da piccoli interventi di rimozione (DM 26 maggio 2016).
Nonostante l’incremento, registrato a livello nazionale, nel 2016 ancora non è raggiunto l’obiettivo del 60%, fissato dalla normativa nazionale per il 2011.





Percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani (2016)
Percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani (2016)
 
fonte: http://ambienteinforma-snpa.it