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Nel 2019 abbiamo perso un’area di foreste primarie grande come la Svizzera

Il rapporto annuale di Global forest watch illustra le gravi perdite patite nel 2019 dalle foreste di tutto il mondo. A partire da quelle del Brasile.





Nel corso del 2019 le attività umane e gli incendi hanno provocato la distruzione di 38mila chilometri quadrati di foreste vergini, ovvero considerate incontaminate. Per tradurre le cifre in termini più comprensibili, il rapporto annuale dell’organizzazione non governativa Global forest watch ha spiegato che abbiamo perso l’equivalente di un campo di calcio ogni sei secondi. Ovvero un’area grande come la Svizzera. Il che fa dello scorso anno il terzo più negativo di sempre in termini di perdita di foreste primarie nel corso degli ultimi due decenni.
Le perdite più gravi in Brasile e nella Repubblica Democratica del Congo

Il documento è stato pubblicato il 2 giugno scorso e sottolinea come più di un terzo delle foreste distrutte sia concentrato in un’unica nazione: il Brasile. Al secondo e al terzo posto figurano invece la Repubblica Democratica del Congo e l’Indonesia. Seguono poi Perù, Malesia, Colombia, Laos, Messico e Cambogia.

“Un tasso di perdita così elevato è molto preoccupante e arriva in barba agli sforzi condotti da diversi paesi e aziende al fine di ridurre la deforestazione”, ha spiegato Mikaela Weisse, direttrice di Global forest watch, il cui lavoro è stato condotto per conto del think tank americano World resources institute (Wri).





In termini di peggioramento anno su anno, invece, la nazione che presenta i dati più allarmanti è la Bolivia. Il paese latinoamericano ha infatti visto aumentare il tasso di deforestazione dell’80 per cento rispetto al 2018. Ciò in particolare a causa degli incendi, degli allevamenti e della coltura intensiva di soia. Al contrario, in Indonesia si è registrato un calo del 5 per cento (ma i numeri complessivi restano preoccupanti).
Occorreranno decenni, se non secoli, per rigenerare le foreste

Se si considera tuttavia la superficie totale di foreste distrutte, i dati, rispetto a quelle primarie, vanno triplicati. Raggiungendo i 119mila chilometri quadrati. L’attenzione è tuttavia concentrata proprio sulle foreste vergini, in quanto particolarmente preziose, non soltanto per la quantità di biodiversità che ospitano, ma anche per il contributo che garantiscono in termini di assorbimento della CO2 dispersa nel mondo a causa delle attività antropiche. Ad inquietare inoltre è il fatto che gli effetti della deforestazione peseranno a lungo sul Pianeta: “Occorreranno dei decenni, se non dei secoli, prima che tali aree possano tornare al loro stato di origine”, ha aggiunto Mikaela Weisse.

A causare la distruzione delle foreste sono stati in particolare gli incendi. Quelli che hanno devastato il Brasile hanno riempito le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, per via della loro vastità. Ma a quelle legate ai roghi, è probabile che nel 2020 possano aggiungersi altre minacce.
I rischi legati alla ripresa economica post-coronavirus

Il governo guidato dall’ultra-conservatore Jair Bolsonaro ha deciso infatti di rendere più facili le estrazioni minerarie, petrolifere e di gas in aree protette. Così come la conversione di zone boschive in aree adibite ad agricoltura intensiva. Ciò attraverso un progetto di legge approvato a febbraio e che probabilmente peserà fortemente sull’anno in corso.

Non a caso, l’8 maggio scorso l’Istituto nazionale per le ricerche spaziali (Inpe), aveva indicato che nei primi quattro mesi del 2020 sono stati rasi al suolo 1.202 chilometri quadrati di foresta. Il 55 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2019. Prendendo inoltre in considerazione unicamente l’area disboscata nel mese di aprile di quest’anno, pari a circa 405 chilometri quadrati, l’incremento rispetto allo stesso periodo del 2019 è stato del 64 per cento.





Come se non bastasse, poi, la pandemia di Covid-19 potrebbe aggravare ulteriormente la situazione. “Dal mondo intero ci arriva l’eco di un aumento dello sfruttamento delle aree ricoperte da foreste – spiega Frances Seymour, del Wri -, anche per progetti minerari illegali”. Il rischio è che la necessità di riavviare le economie prevalga anche sulla salvaguardia dei territori. Il che conferma che il mondo è ad un bivio: o scegliere la strada della ripresa ad ogni costo o scegliere una svolta sostenibile. Mai come oggi il destino delle generazioni future è nelle nostre mani.

fonte: www.lifegate.it

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Si puo' stoppare il cambiamento climatico piantando un trilione di alberi? Gli scienziati dicono che e' parecchio piu' complicato.

Al confronto con tagliare i combustibili fossili, piantare alberi 
giocherebbe soltanto un ruolo piccolo nel combattere la crisi climatica.



















In sintesi, in questo articolo scritto da Bob Berwyn, pubblicato su 
InsideClimate News in data 27 maggio 2020 spiegano che l'idea è 
semplice: se piantiamo un numero abbastanza elevato di alberi essi con 
la fotosintesi assorbono tutta la CO2 emessa quando usiamo/bruciamo 
combustibili fossili, quindi potremmo scordarci il problema del 
riscaldamento globale e potremmo continuare come prima. Questa progetto 
era piaciuto anche a trump quindi era diventato una proposta di legge 
per arrivare a PIANTARE UN TRILIONE DI ALBERI, era una proposta anche 
sostenuta da varie organizzazioni ambientaliste ad esempio il WWF. 
Tuttavia gli scienziati esperti di foreste sostengono che se si vuole 
fare la lotta al riscaldamento globale sarebbe molto più importante 
TAGLIARE LE EMISSIONI DEI COMBUSTIBILI FOSSILI   E CHE SAREBBE PIU' 
UTILE CONCENTRARSI NEL PRESERVARE E RINFORZARE LE FORESTE CHE GIA' ABBIAMO.

Nell'articolo raccontano che ogni anno le emissioni di CO2 dovute alle 
combustioni di combustibili fossili, agli incendi boschivi ammontano a 
circa 11 giga tonnellate/ le foreste, i campi, le praterie e gli oceani 
ne assorbono circa 6 giga tonnellate/ quindi in atmosfera ci finiscono 
circa 5 giga tonnellate di CO2/ molti paesi firmatari dell'accordo di 
Parigi del 2015 che hanno promesso di ridurre le loro emissioni del gas 
serra CO2 progettano di farlo mediante l'espansione delle loro foreste/ 
vengono citati vari studi dell'IPCC e fornito il link di uno studio 
svizzero del 2019 secondo cui  sarebbe possibile aumentare le coperture 
forestali globali del 25%. Importante sarebbe proteggere foreste come 
quella amazzonica ecc.

Gli esperti del clima ribadiscono che l'unica vera soluzione per la 
crisi climatica è di azzerare le nostre emissioni di gas serra e solo 
dopo detto azzeramento progettare delle riforestazioni, ma come  parte 
di un piano a lungo termine. L'ecologa Carla Staver afferma che il 
nostro obiettivo primario dev'essere di ridurre la nostra dipendenza dai 
combustibili fossili, aggiungendo che qualunque tentativo plausibile di 
limitare il riscaldamento globale nell'arco delle nostre vite deve anche 
includere la protezione delle foreste e riforestazioni. Però è 
estremamente chiaro non potremo risolvere l'emergenza climatico in atto 
limitandoci soltanto a piantare alberi.

A febbraio una coalizione di 95 gruppi ambientalisti ha inviato una 
lettera  al Congresso per opporsi alla proposta di legge di piantare un 
trilione di alberi,  scrivono che sarebbe il peggior tipo di 
greenwashing e distrarebbe completamente dalle urgentemente necessarie 
riduzioni di combustibili fossili inquinanti. La legge citata 
considererebbe i biocombustibili da foreste come neutre per le emissioni 
di CO2, un'affermazione contestata da scienziati del clima. Tutti 
vorrebbero una soluzione semplice per risolvere la crisi climatica e 
sono pronti ad ascoltare messaggi positivi, una magia! Avverte Scott 
Denning uno scienziato dell'Università dello stato del Colorado che non 
tornano i numeri del progetto un trilione di alberi.

A lungo termine gli alberi potranno aiutarci dicono gli scienziati, ma 
prima dobbiamo salvarli. Il riscaldamento globale aggrava le siccità, 
gli incendi boschivi e fa aumentare gli insetti dannosi, le foreste 
mondiali sono in crisi.

https://insideclimatenews.org/news/26052020/trillion-trees-climate-change

Nadia Simonini

Rete Nazionale Rifiuti Zero




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WWF: biodiversità e pandemia

L'azione distruttiva dell'uomo nei confronti dei complessi equilibri dinamici della biosfera e l'intervento sugli ecosistemi possono portare a conseguenze che hanno un impatto diretto sul benessere umano, in particolare sulla nostra salute




In molti si chiedono, in questo particolare momento, se esista una corrrelazione tra le malattie, come il COVID-19 (COronaVIrus Disease-2019), che stanno terrorizzando il Pianeta e le dimensioni epocali della perdita di natura.

Al momento non esistono risposte certe ma il WWF offre il suo punto di vista sulla questione nel suo recente report sulla possibile correlazione tra distruzione degli ecosistimi e pandemie.



Si stima, infatti, che l'uomo abbia modificato in modo significativo il 75% dell’ambiente terrestre e circa il 66% di quello marino e messo a rischio di estinzione circa 1 milione di specie animali e vegetali.

L'IPBES (Intergovernamental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services dell’ONU) ha definito questo scenario come “unprecedented”, ovvero senza precedenti.

Le emissioni di gas serra sono raddoppiate, provocando un aumento delle temperature medie globali di un grado °C rispetto all’epoca preindustriale, mentre il livello medio globale del mare è aumentato tra i 16 e i 21 centimetri dal 1900.

Le foreste pluviali che si stima producano, nel loro complesso, oltre il 40% dell’ossigeno terrestre, sono oggetto di deforestazione, una delle principali cause del riscaldamento globale, poiché produce dal 12 al 20% delle emissioni di gas serra. Ad oggi abbiamo perso quasi la metà della superficie forestale che abbracciava e proteggeva il nostro pianeta. Secondo uno studio si stima che all’inizio della rivoluzione agricola vi fossero sulla Terra circa 6.000 miliardi di alberi, mentre oggi ne restano circa 3.000 miliardi.

I cambiamenti di uso del suolo e la distruzione di habitat naturali sono considerati responsabili di circa la metà delle zoonosi emergenti. Infatti le foreste ospitano milioni di specie in gran parte sconosciute alla scienza moderna, tra cui virus, batteri, funghi e molti altri organismi molti dei quali parassiti, nella più parte dei casi benevoli che non riescono a vivere fuori del loro ospite e non fanno troppi danni.

Oggi, però, lo sfruttamento del territorio, con la costruzione di strade di accesso alla foresta, l’espansione di territori di caccia e la raccolta di carne di animali selvatici (bushmeat), lo sviluppo di villaggi in territori prima selvaggi, ha portato la popolazione umana ad un contatto più stretto con l’insorgenza del virus.

Tutti questi cambiamenti hanno provocato, e stanno producendo, impatti diffusi in molti aspetti della biodiversità. Secondo il WWF, alcune delle conseguenze dell'azione umana sul Pianeta e sugli ecosistemi potrebbero essere:
l'aumento dei siti di riproduzione dei vettori delle malattie
la perdita di specie predatrici e la diffusione amplificata degli ospiti serbatoio
i trasferimenti di patogeni tra specie diverse
i cambiamenti genetici indotti dall'uomo di vettori di malattie o agenti patogeni (come la resistenza delle zanzare ai pesticidi)
la contaminazione ambientale con agenti di malattie infettive.

Il report sottolinea come le periferie degradate e senza verde di tante metropoli tropicali siano l'habitat ideale per malattie pericolose come la febbre dengue, il tifo, il colera, la chikungunya. Inoltre i mercati di quelle stesse metropoli, che siano in Africa o in Asia, fanno il resto, vendendo quello che rimane della fauna predata: animali selvatici vivi, parti di scimmie e tigri, carne di serpente, scaglie di pangolini e altro ancora, creando nuove opportunità per vecchie e nuove zoonosi.

Il riscaldamento globale, infine, contribuisce a creare un habitat ideale per virus e batteri, che prediligono il caldo umido favorito dalle nuove condizioni climatiche.

Questo scenario aiuterebbe i patogeni a passare da una specie ospite ad un’altra, realizzando il cd spillover. Secondo il report, tra tutte le malattie emergenti, le zoonosi di origine selvatica potrebbero rappresentare, in futuro, la più consistente minaccia per la salute della popolazione mondiale. Il 75% delle malattie umane fino ad oggi conosciute derivano da animali e il 60% delle malattie emergenti sono state trasmesse da animali selvatici.



Tutto questo non ha solo conseguenze di tipo sanitario ma anche un chiaro impatto socio-economico.



Per fronteggiare questa situazione, il WWF propone, nel suo report, di adottare l'approccio "One Health”, che riconosce come la salute degli esseri umani sia strettamente legata alla salute degli animali e dell’ambiente.

Un concetto strategico, formalmente riconosciuto da tanti organismi delle Nazioni Unite dall’UNEP, all’UNDP, dalla OMS alla FAO, all’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale (OIE), alla Commissione Europea sino a Istituti di ricerca di tutto il mondo, ONG e altri enti.

One Health si basa su un concetto olistico di salute delle persone, degli animali, delle piante, degli ambienti di vita e lavoro e degli ecosistemi, promuovendo l’applicazione di un approccio multidisciplinare e collaborativo per affrontare i rischi potenziali o reali che hanno origine dall’interfaccia tra ambiente di vita e lavoro, popolazioni animali ed ecosistemi.

Leggi il report WWF Italia: "Pandemie, l'effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi. Tutelare la salute umana conservando la biodiversità"

fonte: http://www.arpat.toscana.it


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Le Foreste Possono Salvarci Tuteliamole



















Ormai abbiamo stabilmente superato le 400 ppm di concentrazione di CO2 in atmosfera, il limite di sicurezza era di 350 ppm. Gli esperti  (Il fardello dei giovani: necessità di emissioni di CO2 negative
https://www.earth-syst-dynam.net/8/577/2017/esd-8-577-2017..pdf ) ci informano che diventano necessarie quelle che vengono chiamate “emissioni negative di CO2” cioè ci dicono:  non solo dobbiamo ridurre quanto più possibile le nostre emissioni di CO2,  ma dovremo  - per limitare il cambiamento climatico e le sue conseguenze - persino ESTRARRE LA CO2  DALL’ATMOSFERA. Scrivono che le  tecnologie umane per fare questo,  tipo BECCS (bioenergia con cattura del carbonio e suo immagazzinamento) o cattura della CO2 dall’aria - oltre a presentare grossi rischi e avere fattibilità incerta - avrebbero costi stimati di US dollari  tra 89 e 535 trilioni in questo secolo.  Per  rimuovere la CO2 dall’aria loro  propongono “…. miglioramenti nelle pratiche agricole e forestali, incluse RIFORESTAZIONI e passi per MIGLIORARE LA FERTILITA’ DEI SUOLI ED IL CONTENUTO DI CARBONIO DEI SUOLI.”

Quindi le FORESTE vanno tutelate: per la biodiversità ma anche perché con la fotosintesi rimuovono  la troppa CO2 che abbiamo immesso in aria.

Ahimè, come è noto in molti luoghi  le foreste del pianeta vengono bruciate (con immense emissioni di CO2 e perdite di biodiversità) per fare spazio alle coltivazioni intensive per alimentare la specie umana ed il  suo bestiame/per legna da ardere/per produrre carta/ per fare spazio alle cementificazioni ecc ecc.
Non basta.
Nel 2019 in Europa si è deciso di INCENTIVARE L’ELETTRICITA’ PRODOTTA BRUCIANDO BIOMASSE LEGNOSE sostenendo che bruciare legname sia ‘ad emissioni zero’ per la CO2. Qui c’è la lettera indirizzata al Parlamento europeo firmata da 784 esperti per “chiedere con forza ai membri del parlamento di corregger la presente direttiva PER EVITARE DANNI ESPANSIVI ALLE FORESTE DEL PIANETA E L’ACCELERAZIONE DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO. Il difetto nella direttiva sta nelle disposizioni che consentirebbero a nazioni, centrali elettriche e fabbriche di OTTENERE CREDITI relativi ad obiettivi di energie rinnovabili quando DELIBERATAMENTE TAGLIANO ALBERI PER BRUCIARLI PER (OTTENERE) ENERGIA.”
Più avanti nella lettera gli esperti scrivono: “Le implicazioni avverse non solo per il carbonio ma per le foreste global e per la biodiversità sono ampie. PIU’ DEL 100% DEL LEGNAME TAGLIATO IN EUROPA IN UN ANNO PIU’ DEL 100% DEL LEGNAME TAGLIATO IN EUROPA IN UN ANNO sarebbe necessario per fornire SOLTANTO UN TERZO DELLA DIRETTIVA  sulle energie rinnovabili ampliata.”

Nadia Simonini

Rete Nazionale dei Comitati Rifiuti Zero       

Foreste 4.0, l’innovazione green parte dall’Umbria


















L’innovazione al servizio della natura,  per monitorare lo stato di salute di boschi e foreste e permetterci di conoscere più da vicino il loro ruolo: è questo l’obiettivo del progetto TRACE, partito nel Bosco di Piegaro (PG) grazie alla collaborazione tra PEFC Italia (Programme for endorsement of forest certification schemes) e il Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC).
Il progetto, realizzato per la prima volta in Italia, darà “voce” a ben 36 alberi del bosco di proprietà della famiglia Margaritelli (nota tra le altre cose per il marchio di pavimenti in legno “Listone Giordano”), grazie al finanziamento del PEFC internazionale, ente normatore della certificazione di gestione del patrimonio forestale. Ma in cosa consiste la certificazione? Per i non addetti ai lavori potrebbe rappresentare semplicemente un valore aggiunto ma, in realtà, si tratta ad oggi di uno dei pochi strumenti normativi che consentono di garantire un utilizzo corretto delle risorse forestali. Strumento tuttavia facoltativo, in quanto non vi è alcun obbligo da parte di chi si occupa di  selvicoltura di aderire a tale certificazione e di garantire quindi un utilizzo sostenibile dei boschi da loro gestiti.
Proprio a questo scopo il PEFC Italia ha deciso di investire nel progetto Tree monitoring to support climate Adaptation and mitigation through PEFC Certification (TRACE appunto) per evidenziare l’utilità, sia dal punto di vista ecologico che economico, di una corretta gestione del patrimonio forestale, garantita appunto dai principi della  certificazione PEFC. Il progetto intende migliorare gli attuali sistemi di certificazione di foreste e boschi, attraverso l’applicazione dei cosiddetti “Tree talker”, sistemi di ultima generazione basati sull’IoT (Internet of things), in grado di fornire in tempo reale un insieme di informazioni su ogni singolo albero monitorato.
Al momento si tratta di una sperimentazione su piccola scala all’interno di una foresta di 146 ettari, certificata PEFC, costituita da un insieme di ecosistemi che comprendono boschi cedui di latifoglie, foreste di conifere ed un impianto di arboricoltura da legno. Ogni albero monitorato è stato dotato di un pacchetto di sensori in grado di misurare dei parametri eco-fisiologici (flussi d’acqua, accrescimento del fusto, quantità e colore delle foglie, stabilità strutturale dell’albero, stoccaggio di carbonio) e la salute dell’albero in risposta a fattori umani e climatici. Il tutto fornendo dati “in tempo reale e a costi estremamente bassi” come sostiene Antonio Brunori, Segretario generale del PEFC Italia. Novità del progetto saranno infatti la possibilità di inviare, attraverso onde radio,  tutte le informazioni raccolte ad un server Cloud e la creazione, con l’ausilio di questi dati, di un grande database internazionale.

trace

“Misurare con strumenti innovativi la capacità degli ecosistemi di stoccare carbonio o di essere resilienti ai cambiamenti climatici è fondamentale per il miglioramento di qualità e redditività della gestione forestale” sostiene Riccardo Valentini, membro del CMCC. Tutto questo non potrá che contribuire quindi alla coscienza del valore della certificazione forestale da parte di chi si occupa di selvicoltura, fornendo un mezzo oggettivo per valutare e migliorare in tempi brevi l’economia della propria attività, dimostrando di fatto la convenienza, soprattutto nel lungo periodo, di una gestione attiva e sostenibile volta ad ottenere risultati che saranno visibili anche alle prossime generazioni.
fonte: www.greenstyle.it

La nuova direttiva europea su energie rinnovabili

















Questa nuova direttiva europea sulle energie rinnovabili  non ha ancora completato il suo iter, ho visto che deve essere votata dal parlamento europeo ad ottobre 2018 per poi essere recepita nelle normative nazionali
http://www.consilium.europa..eu/it/press/press-releases/2018/06/27/renewable-energy-council-confirms-deal-reached-with-the-european-parliament/ non so se in teoria ci sarebbe ancora la possibilità di intervenire, magari facendone richiesta al nostro governo
Ormai si incominciano a sentire i danni del cambiamento climatico ad es.  troppa acqua = alluvioni/ ma anche troppa poca acqua = siccità con relativi incendi boschivi/eventi climatici estremi come le tempeste; “Ma l’era delle tempeste comincerà molto prima che il pianeta arrivi a un effetto serra fuori controllo. Persino senza il caos provocato dalla disintegrazione delle calotte polari, in questo secolo le tempeste più forti diventeranno sempre più potenti” p.287 del libro ‘Tempeste’ del climatologo James Hansen, per molti anni Direttore dell’Istituto Godard della NASA che nel suo libro scrive anche che noi non sentiamo ancora gli impatti pieni dei gas serra già emessi in atmosfera. Se non si riesce nemmeno adesso a fare le scelte politiche necessarie per tutti quanti siamo! Almeno non dare incentivi proprio sbagliati, tagliare alberi per bruciarli per produrre elettricità aumenterà il gas serra anidride carbonica in atmosfera: in questo link  https://phys.org/news/2018-09-europe-renewable-energy-poised-global.html#nRlv scrivono: “Anche se il legname è rinnovabile, tagliare e bruciare la legna per avere energia aumenta il carbonio in atmosfera per tempi che vanno da decenni alle centinaia di anni a seconda di un certo numero di fattori, spiegano i ricercatori. L’uso di bioenergia in questa forma prende del carbonio che altrimenti rimaneva immagazzinato in una foresta e lo mette in atmosfera.. A causa di varie inefficienze sia nel metodo di taglio che in quello di combustione il risultato è che di gran lunga più carbonio viene emesso dalle ciminiere in aria per kilowatt ora di elettricità o calore rispetto alla combustione di combustibili fossili  spiegano gli autori ”
Poi le foreste con la fotosintesi ci tolgono della CO2 dall’atmosfera, deforestare di questi tempi non è davvero gran che, noi non abbiamo tecnologie in grado di rimuovere la CO2 dall’atmosfera. Con le nostre emissioni abbiamo cambiato la composizione dell’atmosfera, dell’aria che respiriamo. Dati dell’Osservatorio Mauna Loa più recenti: siamo arrivato a 406,99 parti per milione di CO2, negli anni ’50 (1950) erano meno di 330 ppm di CO2 in atmosfera.

Nadia Simonini
Rete Nazionale dei Comitati Rifiuti Zero       

La combustione di biomasse forestali non è sempre neutra per gas serra





















L’UE ed i suoi stati membri continuano a classificare tutta la biomassa di origine forestale come energia rinnovabile e a zero emissioni per la CO2.  In un Rapporto pubblicato nell’aprile del 2017  EASAC (European Academies Science Advisory Council) il Comitato consultivo per la Scienza delle Accademie europee sostiene che è’ semplicistico e fuorviante classificare tutta la biomassa di origine forestale appunto come energia rinnovabile  e a zero emissioni di CO2.  Nel giugno 2018 EASAC ha anche pubblicato un commento (link disponibile all’interno del comunicato)  per ribadire i punti del suo Rapporto per incoraggiare i decisori politici a riconsiderare il loro approccio all’utilizzo di biomasse forestali come energia rinnovabile.. “Spesso si sostiene che il carbonio rilasciato dalla combustione della legna e da altre biomasse forestale viene rimosso dall’atmosfera con la ricrescita della vegetazione. Questo può essere vero a lungo termine, ma i decisori politici potrebbero non rendersi conto di quanto tempo ci vuole perché questo accada. Come minimo ci vogliono molti decenni ed in alcuni casi ci vorranno centinaia di anni per far assorbire la CO2 da nuova vegetazione. Nel frattempo il carbonio emesso contribuirà al cambiamento climatico così come la combustione di carbone o petrolio.” Più avanti,  aggiungono in effetti, che per unità di elettricità prodotta le emissioni di carbonio dalla combustione di biomassa forestale  sono maggiori di quelle prodotte dalla combustione di carbone

Nadia Simonini

Rete Nazionale dei Comitati Rifiuti Zero       

Satelliti a servizio delle foreste




















Workshop del Tavolo Copernicus “Agricoltura e Foreste” a Roma per fare il punto sui servizi di monitoraggio offerti dal Programma UE di osservazione della terra.
Sono ormai note le potenzialità offerte dal Programma Copernicus, user driven per Regolamento, al monitoraggio dell’ambiente. Il workshop organizzato a Roma il 28 febbraio, presso la Sala polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha visto la partecipazione attiva di attori che in Italia già beneficiano delle potenzialità offerte dal Programma per sviluppare e utilizzare servizi a tutela e valorizzazione delle risorse forestali, nonché di utenti potenziali istituzionali e commerciali.
Ministeri, enti di ricerca, università, agenzie regionali per l’ambiente e imprese private si sono confrontati su quelle che oggi sono le principali questioni legate alla tutela delle foreste italiane: a partire dai danni provocati dagli incendi, da eventi estremi o da organismi patogeni, si è discusso tra l’altro di come monitorare il cambiamento delle coperture boschive, come integrare i dati cartografici disponibili, rilevare i tagli boschivi, misurare le biomasse.
Gli interventi della giornata hanno mostrato il panorama diversificato degli attori che afferiscono all’”ecosistema” di Copernicus. Oltre agli sviluppi in tema di ricerca presentati congiuntamente da diversi enti e associazioni (Sisef, Crea, Aisf, Ispra e Cnr), Arpa Valle d’Aosta e Arpa Lombardia hanno condiviso esperienze operative di monitoraggio sul territorio attraverso l’uso combinato dei satelliti Sentinel e dei droni. Ispra, presente anche con il presidente Laporta, ha mostrato come i dati di Copernicus contribuiscono alla realizzazione del Rapporto annuale sul consumo di suolo e di come esso contribuisca al monitoraggio delle dinamiche territoriali. Di grande interesse è quello che le imprese stanno sviluppando per monitorare gli incendi boschivi, individuare parassiti nelle foreste o il taglio illegale del legname.
Quanto mai necessario, ha sottolineato il coordinatore del Forum nazionale degli utenti Copernicus Bernardo De Bernardinis a conclusione dell’evento, che si avvii una fase di contaminazione tra tutte le diverse comunità di “utenti”. Se l’Italia vuole avere un peso maggiore in Europa, questo passa dalla capacità delle istituzioni (Enti Pubblici e Istituti di Ricerca e Università) di fare squadra tra loro e di raccordarsi strategicamente con il settore commerciale dell’impresa e dell’industria nazionale, mettendo a disposizione infrastrutture esistenti e promuovendone di nuove e innovative.
L’appuntamento del tavolo Copernicus Agricoltura e Foreste fa parte di un percorso avviato nel 2014 dal Forum Nazionale degli Utenti del Programma Copernicus. Il Forum è un elemento di raccordo istituzionale fra tutti coloro che in Italia operano a diverso titolo nel quadro del Programma e svolge il ruolo di collettore e coordinatore del requisito delle diverse comunità di utenza nazionali al fine di influenzare le politiche spaziali europee, a cui Copernicus appartiene, a vantaggio del Sistema Paese.
fonte: http://ambienteinforma-snpa.it