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Si puo' stoppare il cambiamento climatico piantando un trilione di alberi? Gli scienziati dicono che e' parecchio piu' complicato.

Al confronto con tagliare i combustibili fossili, piantare alberi 
giocherebbe soltanto un ruolo piccolo nel combattere la crisi climatica.



















In sintesi, in questo articolo scritto da Bob Berwyn, pubblicato su 
InsideClimate News in data 27 maggio 2020 spiegano che l'idea è 
semplice: se piantiamo un numero abbastanza elevato di alberi essi con 
la fotosintesi assorbono tutta la CO2 emessa quando usiamo/bruciamo 
combustibili fossili, quindi potremmo scordarci il problema del 
riscaldamento globale e potremmo continuare come prima. Questa progetto 
era piaciuto anche a trump quindi era diventato una proposta di legge 
per arrivare a PIANTARE UN TRILIONE DI ALBERI, era una proposta anche 
sostenuta da varie organizzazioni ambientaliste ad esempio il WWF. 
Tuttavia gli scienziati esperti di foreste sostengono che se si vuole 
fare la lotta al riscaldamento globale sarebbe molto più importante 
TAGLIARE LE EMISSIONI DEI COMBUSTIBILI FOSSILI   E CHE SAREBBE PIU' 
UTILE CONCENTRARSI NEL PRESERVARE E RINFORZARE LE FORESTE CHE GIA' ABBIAMO.

Nell'articolo raccontano che ogni anno le emissioni di CO2 dovute alle 
combustioni di combustibili fossili, agli incendi boschivi ammontano a 
circa 11 giga tonnellate/ le foreste, i campi, le praterie e gli oceani 
ne assorbono circa 6 giga tonnellate/ quindi in atmosfera ci finiscono 
circa 5 giga tonnellate di CO2/ molti paesi firmatari dell'accordo di 
Parigi del 2015 che hanno promesso di ridurre le loro emissioni del gas 
serra CO2 progettano di farlo mediante l'espansione delle loro foreste/ 
vengono citati vari studi dell'IPCC e fornito il link di uno studio 
svizzero del 2019 secondo cui  sarebbe possibile aumentare le coperture 
forestali globali del 25%. Importante sarebbe proteggere foreste come 
quella amazzonica ecc.

Gli esperti del clima ribadiscono che l'unica vera soluzione per la 
crisi climatica è di azzerare le nostre emissioni di gas serra e solo 
dopo detto azzeramento progettare delle riforestazioni, ma come  parte 
di un piano a lungo termine. L'ecologa Carla Staver afferma che il 
nostro obiettivo primario dev'essere di ridurre la nostra dipendenza dai 
combustibili fossili, aggiungendo che qualunque tentativo plausibile di 
limitare il riscaldamento globale nell'arco delle nostre vite deve anche 
includere la protezione delle foreste e riforestazioni. Però è 
estremamente chiaro non potremo risolvere l'emergenza climatico in atto 
limitandoci soltanto a piantare alberi.

A febbraio una coalizione di 95 gruppi ambientalisti ha inviato una 
lettera  al Congresso per opporsi alla proposta di legge di piantare un 
trilione di alberi,  scrivono che sarebbe il peggior tipo di 
greenwashing e distrarebbe completamente dalle urgentemente necessarie 
riduzioni di combustibili fossili inquinanti. La legge citata 
considererebbe i biocombustibili da foreste come neutre per le emissioni 
di CO2, un'affermazione contestata da scienziati del clima. Tutti 
vorrebbero una soluzione semplice per risolvere la crisi climatica e 
sono pronti ad ascoltare messaggi positivi, una magia! Avverte Scott 
Denning uno scienziato dell'Università dello stato del Colorado che non 
tornano i numeri del progetto un trilione di alberi.

A lungo termine gli alberi potranno aiutarci dicono gli scienziati, ma 
prima dobbiamo salvarli. Il riscaldamento globale aggrava le siccità, 
gli incendi boschivi e fa aumentare gli insetti dannosi, le foreste 
mondiali sono in crisi.

https://insideclimatenews.org/news/26052020/trillion-trees-climate-change

Nadia Simonini

Rete Nazionale Rifiuti Zero




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Facciamo dell’Italia un paradiso di foresta, orto, giardino commestibile

Food Forest, Forest farming o Forest garden, cioè foresta commestibile, foresta coltivabile o foresta giardino: indicano la medesima idea, lo stesso approccio. Drastica riduzione del lavoro, raccolto, bellezza, verde. Perché non imboccare questa strada?

















I vari metodi e tecniche di agricoltura naturale che sono spuntati come funghi nel corso degli anni, tutti interessanti ed efficaci, rendono i sistemi di agricoltura chimica e fossile qualcosa di ancora più assurdo e anacronistico.
Uno dei metodi più efficaci di agricoltura naturale in particolare, che riunisce molti aspetti positivi e soprattutto riduce drasticamente il lavoro, è quello chiamato in vari modi: Food Forest, Forest farming o Forest garden, cioè foresta commestibile, foresta coltivabile o foresta giardino. Infatti quando si parla di agricoltura naturale, cioè non dell’agricoltura attaccata alla flebo dei combustibili fossili con largo uso di grandi macchine agricole, concimi chimici, pesticidi, erbicidi, che inquinano qualsiasi cosa oltre a quello che si mangia, subito il pensiero va ai servi della gleba, lavori terrificanti, schiene spezzate dal dolore. Si ritiene che il lavoro, quando si parla di agricoltura naturale, sia immenso, improponibile e inaccettabile per qualsiasi persona normale che non sia l’incredibile Hulk. Ma uno dei vari aspetti interessanti della foresta commestibile è proprio la drastica riduzione del lavoro che serve per ottenere cibo e non solo.
Una volta realizzata e portata in “produzione” ciclica, si tratta di lavorare pochi giorni al mese per il mantenimento e la raccolta. In effetti quando si ha una varietà di alimenti che si rinnovano costantemente, non c’è moltissimo da fare, è un sistema che va avanti da sé. La Foresta commestibile è un sistema realizzabile ovunque, anche ai margini o all’interno delle città ove ci sia terra disponibile e non necessariamente ettari anche perché la coltivazione si estende pure in altezza e non solo in superficie, per quello si chiama anche Foresta giardino e combina alberi grandi e piccoli, da frutto e non, cespugli da frutto e non, ortaggi, funghi, ecc, in una sinergia ottimale. Si ottiene in questo modo cibo per tutto l’anno ma anche piante medicinali, piante aromatiche e legno. Quindi si ha in uno stesso luogo il proprio supermercato, la propria erboristeria e farmacia naturale.
In una Foresta commestibile tutte le piante, gli insetti, gli uccelli e gli animali in genere svolgono varie funzioni di supporto gli uni agli altri, si arricchisce il terreno, si creano microclimi favorevoli grazie proprio alla  biodiversità e si aumenta di moltissimo la resilienza.
Al contrario le monoculture sono rigide, fragilissime e costantemente a rischio, nel momento in cui c’è una malattia o un evento estremo, si perde tutto il raccolto, le pluricolture invece reagiscono molto meglio, a maggior ragione in periodi ai quali andiamo incontro con l’emergenza dei cambiamenti climatici. Avere poi piante commestibili perenni consente di non dover costantemente piantare ogni anno con tutto il lavoro e l’impegno economico che ne consegue.  
Bassissimo lavoro, resilienza, biodiversità, salute, salvaguardia ambientale, grande risparmio di soldi, sono i risultati che danno questi sistemi e che sarebbero perfetti per il nostro paese vista la varietà e le potenzialità che abbiamo. Si potrebbe sfamare l’intera Italia riducendo drasticamente i costi, le importazioni di cibo, l’uso dei combustibili fossili e veleni vari con le gravi conseguenze per la salute e l’ambiente che questo comporta. Adottando sistemi come quelli della Foresta commestibile si ritornerebbe in parte ad essere raccoglitori, cioè al periodo ante agricoltura dove appunto la “fatica” era di raccogliere quello che donava la natura semplicemente. Ciò è possibile qui ed ora e ci sono innumerevoli esempi in tutto il mondo. Si può quindi creare il paradiso in terra perché la natura ha già tutto quello di cui abbiamo bisogno, basta lavorare con lei, imparare da lei e non lottare contro di essa. Anche perché nella lotta contro di essa noi siamo e saremo sempre i perdenti.
Ecco alcuni esempi pratici.
C'è il video del fantastico Panagiotis Manikis che, parlando in italiano spiega come avere guadagno e autosufficienza solamente raccogliendo dalla sua Foresta orto.


Poi Martin Crowford:

È  fra i massimi esperti mondiali che ha 500 piante commestibili nella sua Food forest e lavora poche ore al mese per la manutenzione.
E infine una famiglia con il suo spettacolare progetto di Food Forest nato praticamente da una discarica (sottotitoli disponibili in italiano).

 fonte: www.ilcambiamento.it


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Le Foreste Possono Salvarci Tuteliamole



















Ormai abbiamo stabilmente superato le 400 ppm di concentrazione di CO2 in atmosfera, il limite di sicurezza era di 350 ppm. Gli esperti  (Il fardello dei giovani: necessità di emissioni di CO2 negative
https://www.earth-syst-dynam.net/8/577/2017/esd-8-577-2017..pdf ) ci informano che diventano necessarie quelle che vengono chiamate “emissioni negative di CO2” cioè ci dicono:  non solo dobbiamo ridurre quanto più possibile le nostre emissioni di CO2,  ma dovremo  - per limitare il cambiamento climatico e le sue conseguenze - persino ESTRARRE LA CO2  DALL’ATMOSFERA. Scrivono che le  tecnologie umane per fare questo,  tipo BECCS (bioenergia con cattura del carbonio e suo immagazzinamento) o cattura della CO2 dall’aria - oltre a presentare grossi rischi e avere fattibilità incerta - avrebbero costi stimati di US dollari  tra 89 e 535 trilioni in questo secolo.  Per  rimuovere la CO2 dall’aria loro  propongono “…. miglioramenti nelle pratiche agricole e forestali, incluse RIFORESTAZIONI e passi per MIGLIORARE LA FERTILITA’ DEI SUOLI ED IL CONTENUTO DI CARBONIO DEI SUOLI.”

Quindi le FORESTE vanno tutelate: per la biodiversità ma anche perché con la fotosintesi rimuovono  la troppa CO2 che abbiamo immesso in aria.

Ahimè, come è noto in molti luoghi  le foreste del pianeta vengono bruciate (con immense emissioni di CO2 e perdite di biodiversità) per fare spazio alle coltivazioni intensive per alimentare la specie umana ed il  suo bestiame/per legna da ardere/per produrre carta/ per fare spazio alle cementificazioni ecc ecc.
Non basta.
Nel 2019 in Europa si è deciso di INCENTIVARE L’ELETTRICITA’ PRODOTTA BRUCIANDO BIOMASSE LEGNOSE sostenendo che bruciare legname sia ‘ad emissioni zero’ per la CO2. Qui c’è la lettera indirizzata al Parlamento europeo firmata da 784 esperti per “chiedere con forza ai membri del parlamento di corregger la presente direttiva PER EVITARE DANNI ESPANSIVI ALLE FORESTE DEL PIANETA E L’ACCELERAZIONE DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO. Il difetto nella direttiva sta nelle disposizioni che consentirebbero a nazioni, centrali elettriche e fabbriche di OTTENERE CREDITI relativi ad obiettivi di energie rinnovabili quando DELIBERATAMENTE TAGLIANO ALBERI PER BRUCIARLI PER (OTTENERE) ENERGIA.”
Più avanti nella lettera gli esperti scrivono: “Le implicazioni avverse non solo per il carbonio ma per le foreste global e per la biodiversità sono ampie. PIU’ DEL 100% DEL LEGNAME TAGLIATO IN EUROPA IN UN ANNO PIU’ DEL 100% DEL LEGNAME TAGLIATO IN EUROPA IN UN ANNO sarebbe necessario per fornire SOLTANTO UN TERZO DELLA DIRETTIVA  sulle energie rinnovabili ampliata.”

Nadia Simonini

Rete Nazionale dei Comitati Rifiuti Zero       

Foreste in città? Sì, grazie!

La città ha mille potenzialità, ma anche forti limiti per la qualità della vita. Per favorire il superamento di tali limiti, diverse amministrazioni stanno investendo in quelle che vengono chiamate "infrastrutture verdi". Vediamo cosa sono.




Le città rappresentano grandi catalizzatori di idee, cultura, produttività, commercio e sviluppo sociale e offrono ai cittadini diverse opportunità di occupazione, educazione e nuovi stili di vita. Il potenziale delle città è però minacciato da una crescita urbana senza precedenti e da un aumento esponenziale della popolazione urbana su scala globale. In molte città nel mondo, il benessere delle comunità è a rischio con l’aumento dell’inquinamento, del degrado ambientale, della domanda di acqua, cibo ed energia, e della disoccupazione, oltre alla mancanza di spazi pubblici di qualità per la socializzazione e il tempo libero.


Molte amministrazioni locali stanno lottando per cercare di rispondere adeguatamente alle loro crescenti popolazioni, in particolare nei paesi a reddito medio-basso dove la popolazione urbana cresce spesso non in sintonia con il proprio sviluppo socio-economico. La mancanza di capacità nell’affrontare queste sfide poste da una crescita incontrollata della popolazione urbana produce povertà e fame, esacerbando l’esclusione sociale e aumentando il divario tra poveri e ricchi. Ciò è stato riconosciuto anche dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che nell’obiettivo per lo sviluppo sostenibile numero 11 (SDG 11) invita “a rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili”. E’ una sfida giornaliera quella che urbanisti e decisori politici mettono in atto al fine di mantenere un determinato livello di benessere per i cittadini, includendo l’accesso ad una alimentazione sicura, acqua pulita e potabile, energia, spazi verdi e condivisi e affrontando continuamente i conflitti di interesse legati all’utilizzo del territorio.


Le soluzioni sono a portata di mano, basta volerlo. Negli ultimi decenni, diverse città hanno iniziato una vera e propria transizione verso città più verdi, più sostenibili e adottando un modello di sviluppo urbano più resiliente.Stanno investendo in foreste, zone umide e altri spazi verdi - denominati nel complesso “infrastrutture verdi” – per risolvere tematiche precedentemente affrontate con soluzioni ingegneristiche che spesso includono cemento, asfalto ed acciaio. Opportunatamente pianificate, le infrastrutture verdi possono risultare più economiche e, al contempo, generare reddito ed occupazione, e aumentare anche la qualità dell’ambiente urbano. Se pienamente integrati nella pianificazione e gestione urbana locale, alberi e foreste possono aiutare a trasformare le città in luoghi più sostenibili, resilienti, salutari, equi e piacevoli in cui vivere.


Come contributo alla discussione e aumentare la consapevolezza del ruolo delle foreste nelle città, lo scorso anno la FAO, in occasione della Giornata Internazionale delle Foreste, ha invitato 15 sindaci di città di diverse regioni a livello mondiale a presentare le proprie esperienze e i risultati raggiunti. La pubblicazione che ne è nata (“Forests and sustainable cities – Inspiring stories from around the world”) testimonia come, spesso sottostimati, gli alberi possono essere potenti strumenti per affrontare molte delle moderne sfide urbane, incrementando il benessere delle comunità coinvolte. Gli alberi migliorano la qualità dell’aria rimuovendone gli inquinanti; assorbono l’anidride carbonica dando un notevole contributo alla lotta al cambiamento climatico; ombreggiando strade e palazzi, essi raffrescano le città, riducendo il consumo di energia e facendo quindi risparmiare soldi; molti alberi producono frutti commestibili per l’uomo, contribuendo quindi alla sicurezza alimentare; infine, piantare alberi in spazi pubblici accresce il senso estetico dei quartieri e, di conseguenza, il valore economico delle abitazioni.


Sebbene ogni singolo albero fornisca un concreto contributo alla qualità della vita in città, è la loro integrazione nelle diverse reti di spazi verdi a massimizzarne i benefici. Ad esempio, foreste urbane e peri-urbane ben pianificate e gestite aiutano la regolazione dei flussi idrici nelle città, intercettando e assorbendo le piogge; creano un ambiente favorevole per gli animali e le piante, contribuendo quindi alla conservazione della biodiversità; forniscono spazi ideali per l’esercizio fisico e la ricreazione, aumentando quindi il benessere e la coesione sociale delle comunità urbane. Foreste ben gestite intorno alla città garantiscono ai cittadini la fornitura di acqua di buona qualità e prevengono i fenomeni di erosione e degrado del territorio.


Ecco alcuni esempi di risultati raggiunti in città in diverse parti del mondo:


- a Pechino (Cina) sono stati piantati oltre 54 milioni di alberi tra il 2012 e il 2016;


- a Bangkok (Thailandia) a partire dal 2014 sono stati creati 10 nuovi parchi, dando priorità alle specie vegetali locali;


- a Phoenix (Arizona – USA) gli oltre 3 milioni di alberi forniscono benefici stimati in oltre 40 milioni di dollari all’anno;


- a Lubiana (Slovenia) sono stati definiti 1.150 ettari di foresta naturale per scopi ricreativi;


- a Vitoria-Gasteiz (Spagna) sono stati creati 6 nuovi parchi per un totale di 800 ettari;


- a Moreland (area metropolitana di Melbourne – Australia), a seguito di consultazione pubblica, i fondi per le foreste urbane sono stati incrementati del 50%.


Sono solo alcuni esempi che, insieme a tutti gli altri che si possono approfondire nella pubblicazione sopra richiamata, rappresentano certamente una fonte di ispirazione per i decisori politici locali che quotidianamente si trovano a lottare contro gli effetti avversi del cambiamento climatico.


E in Italia? Cosa si fa nel nostro Paese, e in particolare nelle nostre città, per mitigare gli effetti, purtroppo già evidenti del clima che cambia? In molte città sono partiti interessanti programmi di riforestazione urbana ma oggi qui ci concentriamo sulla capitale, la città di Roma.


Roma Capitale ha aderito al Patto dei Sindaci per il Clima e l’Energia ed entro il mese di novembre di quest’anno dovrà presentare il proprio Piano di Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima (PAESC) nel quale evidenziare le azioni che concorreranno alla riduzione delle emissioni climalteranti della città di almeno il 40% entro il 2030. Una parte del PAESC di Roma Capitale, annunciata in diverse occasioni pubbliche, è dedicata alle aree forestali urbane che, questo era l’obiettivo dichiarato, avrebbero raddoppiato il numero di alberi presenti nella città entro il 2030. Stiamo parlando di circa 25-30.000 alberi da mettere a dimora ogni anno nei prossimi dieci anni. Cifre molto lontane dalla realtà odierna, laddove l’Amministrazione capitolina ha evidenziato molte carenze già nel solo mantenimento degli alberi attualmente presenti. In attesa di sapere in che modo l’Amministrazione capitolina affronterà questa sfida, credo molto utile, proprio come fonte di ispirazione, far conoscere un’iniziativa molto interessante già lanciata a Roma, in collaborazione proprio con l’Amministrazione locale nell’ambito delle iniziative PAESC: si tratta del progetto ReTree Porta Metronia.


Il progetto nasce da un’idea di un cittadino residente nel quartiere di Porta Metronia che ha presentato l’idea progettuale al Comune di Roma, dopo aver già messo in atto alcune azioni propedeutiche per il successo dell’iniziativa. Al fine di coinvolgere maggiormente la popolazione residente, il progetto è stato condiviso con il Comitato Mura Latine, storico comitato di quartiere attivo da anni sul territorio. Si tratta quindi di un progetto partecipato con l’obiettivo di ripiantare gli alberi dove non ci sono più. La zona di Porta Metronia ha visto negli ultimi anni una continua perdita di alberi senza una conseguente e pianificata azione di ripiantumazione.


ReTree Porta Metronia si propone come progetto ad alto grado di replicabilità e con un duplice obiettivo: da una parte, rivalorizzare l’area, reinserendo gli alberi negli spazi già destinati a tale modalità, ridando vita e vigore al verde della zona e, dall’altra, coinvolgere gli abitanti aumentandone la consapevolezza rispetto all’importanza del tema ambientale e di cura del verde. Il progetto si sviluppa in diverse fasi: l’analisi territoriale, il finanziamento, la scelta delle specie da piantumare, l’eliminazione delle ceppaie e la piantumazione di nuovi alberi. Dall’analisi territoriale è emerso che nell’area si contano al momento un totale di 229 tazze con alberi mancanti, specificatamente categorizzate in 122 spazi liberi da ceppaie, 18 occupati da ceppaie piccole, 29 occupati da ceppaie medie, 53 occupati da ceppaie grandi e 7 occupate da piante abusive.


Il finanziamento avverrà in due modalità distinte e complementari: a livello territoriale, attivando dei punti di raccolta fondi nella zona e in rete, attivando una campagna di crowdfunding per i cittadini e per le imprese. Modalità che sono già operative e che hanno portato ad oggi alla raccolta di oltre 6.000 euro a fronte di un costo totale del progetto stimato in circa 41.000 euro. Questi primi fondi raccolti sono stati subito impiegati per l’acquisto e la piantumazione di alberi in alcune strade del quartiere. Per quanto riguarda la selezione delle specie di alberi da piantumare si è fatto tesoro delle esperienze provenienti dal progetto GAIA del Comune di Bologna e da quelle del comitato di quartiere Monteverde Attiva, altro comitato di quartiere storico attivo a Roma.


Per il progetto ReTree Porta Metronia si è giunti, anche in sinergia con le indicazioni ricevute dal Servizio Giardini di Roma Capitale, alla selezione di sette specie adatte alla conformazione delle strade dell’area di riferimento. Il Servizio Giardini di Roma Capitale si occuperà direttamente dell’eliminazione delle vecchie ceppaie e del coordinamento delle azioni di ripiantumazione. Una prima analisi ha stimato che le nuove piantumazioni consentiranno l’assorbimento di circa 6.700 kg di CO2 all’anno. Per maggiori informazioni e rimanere aggiornati sul progetto: https://it.ulule.com/retree-porta-metronia/


ReTree Porta Metronia è un piccolo ma grande progetto. Piccolo nelle dimensioni ma grande nelle prospettive. Cittadini, associazioni ed imprese locali e amministrazione locale: solo se si lavorerà insieme per il bene comune si avrà successo. E ReTree Porta Metronia può essere un ottimo esempio. E’ necessario adesso che l’Amministrazione Capitolina creda fortemente in progetti di questa natura e li faciliti al massimo, magari destinando anche delle risorse economiche adeguate, al pari di quanto fatto da altre capitali nel mondo.


fonte: www.ilcambiamento.it

La combustione di biomasse forestali non è sempre neutra per gas serra





















L’UE ed i suoi stati membri continuano a classificare tutta la biomassa di origine forestale come energia rinnovabile e a zero emissioni per la CO2.  In un Rapporto pubblicato nell’aprile del 2017  EASAC (European Academies Science Advisory Council) il Comitato consultivo per la Scienza delle Accademie europee sostiene che è’ semplicistico e fuorviante classificare tutta la biomassa di origine forestale appunto come energia rinnovabile  e a zero emissioni di CO2.  Nel giugno 2018 EASAC ha anche pubblicato un commento (link disponibile all’interno del comunicato)  per ribadire i punti del suo Rapporto per incoraggiare i decisori politici a riconsiderare il loro approccio all’utilizzo di biomasse forestali come energia rinnovabile.. “Spesso si sostiene che il carbonio rilasciato dalla combustione della legna e da altre biomasse forestale viene rimosso dall’atmosfera con la ricrescita della vegetazione. Questo può essere vero a lungo termine, ma i decisori politici potrebbero non rendersi conto di quanto tempo ci vuole perché questo accada. Come minimo ci vogliono molti decenni ed in alcuni casi ci vorranno centinaia di anni per far assorbire la CO2 da nuova vegetazione. Nel frattempo il carbonio emesso contribuirà al cambiamento climatico così come la combustione di carbone o petrolio.” Più avanti,  aggiungono in effetti, che per unità di elettricità prodotta le emissioni di carbonio dalla combustione di biomassa forestale  sono maggiori di quelle prodotte dalla combustione di carbone

Nadia Simonini

Rete Nazionale dei Comitati Rifiuti Zero       

La deforestazione si ferma. Un (ex) super cattivo in prima linea

Asian Pulp&Paper, il più grande produttore di carta al mondo, è passato da essere uno dei principali responsabili della deforestazione in Asia ad una corporation con una politica no-deforestazione. Ora deve iniziare a riforestare per compensare quanto fatto fino ad oggi

In Indonesia oltre 11 milioni di ettari di foresta sono stati sottratti per coltivare palma da olio, altri 3,5 per la carta. Una superficie pari all’Inghilterra. Una parte consistente è controllata dal colosso della carta Asian Pulp & Paper, noto comunemente come APP. Per consistente si intende oltre l’1% della superficie dell’intera Indonesia.

Volando sopra Pekambaru, sonnolenta città dell’isola Sumatra dove APP ha la più grande cartiera della regione, Indah Kiat, la vastità di queste operazioni è subito evidente.

Eppure qualcosa è cambiato rispetto agli anni passati, quando i mega-incendi di Sumatra soffocavano Singapore e Kuala Lumpur, in una foschia tossica derivata da migliaia di ettari andati in fumo.

Nel 2013 la dirigenza di Asian Pulp & Paper, che fa a capo della potente famiglia sino-indonesiana Sinarmas, nel 2013 decide di cambiare completamente rotta: fermare la deforestazione e massimizzare la produttività dei campi esistenti, minimizzando le emissioni per unità di produzione. Un piano immenso, ma non impossibile. Ragioni commerciali, certo. APP era stata bandita da colossi come Unilever, Nestlè e Staples, dopo una serie di campagne negati di Greenpeace. La più famosa di tutte? quella con Barbie con la motosega, con tanto di Ken che la mollava in tronco, dichiarando di non amare più Barbie deforestatrice. La colpa? Mattel usava per il packaging di Barbie carta prodotta da APP.
«La strategia zero deforestazione si basa su tre punti», spiega a La Stampa Aida Greenbury, direttrice sostenibilità APP. «Proteggere la foresta primaria; gestire le torbiere per ridurre le emissioni di gas serra e proteggere l’habitat naturale; coinvolgere le comunità locali con nuove pratiche agroforestali alternative allo slash ‘n’ burn (la pratica di deforestare con il fuoco) Il tutto coinvolgendo sempre, con il supporto di nostro personale, le comunità , risolvendo i conflitti e gestendo i reclami». Costo del progetto? 200 milioni di dollari.

A certificare i risultati ci pensano Greenpeace (da sempre ostile a APP), WWF, Rainforestorest Alliance e TFT - Forest Trust. Le motoseghe si sono fermate e nemmeno un metro quadro di foresta vergine è stato toccato ufficialmente. Oltre 1 milione di ettari di foresta sarà ripiantato nei prossimi anni.

Intanto le vendite tornano a crescere. Per recuperare gli investimenti l’azienda presto parteciperà agli schemi ONU REDD+ per la lotta alla deforestazione. E punta a riconquistare anche l’Italia ora che ha messo la sostenibilità al primo posto.

Intanto si sviluppano progetti di tutela del territorio, circa il 30% del totale delle proprietà di APP. Una parte viene data alle popolazioni locali per fare progetti di agricoltura nella foresta, per minimizzare l’espansione dei campi attraverso la deforestazione. Mango, papaya e altra frutta. Che in futuro porrebbe essere integrata nei filari di eucalipti e acacie, minimizzando l’uso del suolo e aumentando la capacità di assorbimento di CO2.

Il fuoco rimane il problema numero uno, che sia spontaneo o usato da agricoltori locali. «Avendo optato per la deforestazione zero ogni incendio è una perdita economica per APP e un impatto ambientale negativo», spiega Asri A Putri, giovane rappresentante della compagnia. Nei pressi della cartiera di Indah Kiat, si sale sulla cima di una torretta di avvistamento, da poco costruita. «Ce ne sono una ogni dodici chilometri di raggio, con guardiani che notte e giorno osservano il territorio, pronti ad avvisare i pompieri», spiega Putri.

Molto esposte agli incendi sono le torbiere, zone paludose ad elevato tasso carbonico, dovuta alla decomposizione di animali e piante. «Le torbiere sono un potente carbon sink, permettono cioè di assorbire molta CO2. Per questo vogliamo dismettere dalle coltivazioni circa 7000 ettari per potenziare la capacità di resilienza» continua Putri. «Dovrebbero dedicare molto più spazio», dice Sergio Baffoni, Environmental Paper Network, una rete che mette insieme molteplici associazioni ambientaliste: «Questa superficie è solo 1-2% del totale. La protezione delle torbiere è fondamentale per controllare gli incendi».

Non mancano i problemi e gli errori, essendo un territorio immenso quello da controllare. Per cercare di garantire la trasparenza è stato realizzato il sito Fcpmonitoring.com, dove le popolazioni locali o le ong possono presentare reclami e segnalazioni. «Dopo vent’anni di danni risultati dalle sue attività, APP dovrebbe fare di più per controllare le foreste protette, minacciate da agenti esterni», continua Baffoni.

La sfida ora per APP è potenziare sempre più la produzione per ettaro, con semi selezionati, rotazioni intelligenti, agricoltura integrata, aumentando sempre più la quota di foreste protette. Molta biodiversità è persa per sempre e non basteranno corridoi ecologici a restituire lo splendore delle foreste indonesiane e il loro ruolo di polmone della terra. Purtroppo l’Indonesia ha perso il treno per tutelare realmente il ruolo delle foreste e dei suoi abitanti, siano popolazioni indigene che animali. Ma almeno il tentativo di provare a conservarne una parte non passa inosservato. Vale dire: meglio tardi che mai.

fonte: www.lastampa.it