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Riciclo di PET in Indonesia

Indorama costruirà un nuovo impianto sull'isola di Giava per contribuire alla riduzione del marine litter.



Il produttore thailandese di poliestere Indorama Ventures ha in programma di avviare un nuovo impianto di riciclo a Karawang, nell'isola di Giava, capace di trattare ogni anno due miliardi di bottiglie PET, supportando il piano lanciato dal governo indonesiano per ridurre l'inquinamento degli oceani.

L'infrastruttura sarà avviata nel 2023 creando 217 nuovi posti di lavoro. L'impianto tratterà le bottiglie post-consumo fornendo materiale in scaglie che, una volta rigenerato, sarà utilizzato dalla stessa Indorama per applicazioni a contatto con alimenti.

Il piano nazionale avviato dal governo indonesiano per contrastare il marine litter punta a ridurre del 70% i rifiuti in plastica dispersi nell'ambiente rispetto ai livelli 2017.

Indorama è presente nel paese con sei impianti produttivi. Il gruppo thailandese si è impegnato, a livello mondiale, a riciclare almeno 750.000 tonnellate annue di PET entro il 2025, investendo in questo programma fino a 1,5 miliardi di dollari. A maggio, la società aveva annunciato interventi per potenziare il riciclo di PET in India e negli Stati Uniti (leggi articolo)

fonte: www.polimerica.it



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Indonesia e India, Ecco Le Nuove Rotte Dei Rifiuti

















Crollano del 46% le esportazioni di rifiuti dall'Europa verso la Cina per effetto dello stop imposto da Pechino. Nel frattempo cresce l'economia circolare in Ue, con l'Italia ai vertici della classifica del riciclo.






fonte: https://www.ricicla.tv


Dottor Plastic: visite gratuite in cambio di bottiglie di plastica per i pazienti indonesiani

Salute e ambiente: un connubio indissolubile, reso possibile da un medico indonesiano con la sua preziosa iniziativa.




















Dottor Plastic è l’appellativo di un medico indonesiano che ha sposato in modo creativo due importanti battaglie.
Alla possibilità di offrire prestazioni mediche gratuite per i pazienti più indigenti ha unito l’impegno ambientalista per la lotta alla plasticaA Cianjur, in Indonesia, le cure mediche sono costose e non accessibili a tutti. Inoltre, in questo piccolo e povero paese, gli studi non sono garantiti alle fasce più indigenti della popolazione. A ciò si aggiunge il problema dei rifiuti, che stanno letteralmente invadendo questi splendidi territori, come sta accadendo d’altra parte nel resto del mondo.

Dr. Plastic: la sua storia

La storia del dottor Nugraha è un chiaro esempio di tenacia e capacità di sfidare gli ostacoli per raggiungere gli obiettivi desiderati. Yusuf Nugraha ha sognato fin da piccolo di diventare medico. Provenendo da una famiglia non abbiente, solo vendendo riso ha potuto coronare il suo sogno completando gli studi. All’inizio del suo lavoro ha dovuto fronteggiare la situazione di povertà dei suoi clienti, che spesso non potevano permettersi di pagare le cure. La prima opzione era quelle di offrire prestazioni mediche gratuite. Una soluzione mal tollerata, tuttavia, dall’orgoglioso popolo indonesiano, poco propenso a chiedere l’elemosina.

Dottor Plastic: l’idea

Sono solo un medico. Come posso svolgere il mio lavoro e salvare la natura allo stesso tempo?
Ecco allora l’idea di questo giovane e appassionato medico. Ha inventato un alternativo sistema di pagamento tramite degli speciali voucher. Rendendo 10 bottiglie di plastica da poter riciclare, ogni paziente può accedere al sistema di cure offerto dal dottor Nugraha. Negli ultimi 3 anni ha così contribuito a raccogliere circa 180 mila bottiglie. Oltre ad aumentare la consapevolezza delle persone circa i  pericoli dovuti allo spreco di plastica, ha limitato l’impatto di questi rifiuti sull’ambiente.
Una piccola favola moderna in cui l’iniziativa di una sola persona sembra in grado di seminare speranza e impegno ambientalista.
fonte: http://www.ehabitat.it

Microplastiche trovate nel 92% dei sali da cucina


Ricerca, inquinamento pesante in Asia, minore in Europa





















Anche il sale da cucina è contaminato dalle microplastiche. Molto pesantemente nei paesi del Sudest asiatico, dove si registra il maggior inquinamento del mare da plastica usa e getta. Ma pure in Italia e nel Nordeuropa, anche se in misura minore. Lo rivela una recente ricerca scientifica, pubblicata sulla rivista internazionale Environmental Science & Technology e nata dalla collaborazione tra Greenpeace e l'Università di Incheon in Corea del Sud.

Ben 36 dei 39 campioni di sale da cucina analizzati (il 92%), provenienti da diverse nazioni inclusa l'Italia, contenevano frammenti di plastica inferiori ai 5 millimetri, meglio noti come microplastiche. Dall'indagine, che ha preso in esame campioni di sale marino, di miniera e di lago, risulta che 36 campioni erano contaminati da microplastica costituita da Polietilene, Polipropilene e Polietilene Tereftalato (PET), ovvero le tipologie di plastica più comunemente utilizzate per produrre imballaggi usa e getta.

Di tutti i campioni analizzati, quelli provenienti dall'Asia hanno registrato i livelli medi di contaminazione più elevati, con picchi fino a 13 mila microplastiche in un campione proveniente dall'Indonesia. Questo paese, secondo studi recenti, è seconda per l'apporto globale di plastica nei mari.

I tre campioni di sale provenienti dall'Italia, due di tipo marino e uno di miniera, sono risultati contaminati dalle microplastiche con un numero di particelle compreso tra 4 e 30 unità per chilogrammo.

Considerando l'assunzione media giornaliera di 10 grammi, un adulto potrebbe ingerire, solo attraverso il consumo di sale da cucina, circa 2 mila pezzi di microplastiche all'anno, considerando la concentrazione media di microplastiche in tutti i sali analizzati. Se si considera invece il dato italiano peggiore, un adulto potrebbe arrivare a mangiarsi fino a 110 pezzi all'anno.


fonte: http://www.ansa.it

La deforestazione si ferma. Un (ex) super cattivo in prima linea

Asian Pulp&Paper, il più grande produttore di carta al mondo, è passato da essere uno dei principali responsabili della deforestazione in Asia ad una corporation con una politica no-deforestazione. Ora deve iniziare a riforestare per compensare quanto fatto fino ad oggi

In Indonesia oltre 11 milioni di ettari di foresta sono stati sottratti per coltivare palma da olio, altri 3,5 per la carta. Una superficie pari all’Inghilterra. Una parte consistente è controllata dal colosso della carta Asian Pulp & Paper, noto comunemente come APP. Per consistente si intende oltre l’1% della superficie dell’intera Indonesia.

Volando sopra Pekambaru, sonnolenta città dell’isola Sumatra dove APP ha la più grande cartiera della regione, Indah Kiat, la vastità di queste operazioni è subito evidente.

Eppure qualcosa è cambiato rispetto agli anni passati, quando i mega-incendi di Sumatra soffocavano Singapore e Kuala Lumpur, in una foschia tossica derivata da migliaia di ettari andati in fumo.

Nel 2013 la dirigenza di Asian Pulp & Paper, che fa a capo della potente famiglia sino-indonesiana Sinarmas, nel 2013 decide di cambiare completamente rotta: fermare la deforestazione e massimizzare la produttività dei campi esistenti, minimizzando le emissioni per unità di produzione. Un piano immenso, ma non impossibile. Ragioni commerciali, certo. APP era stata bandita da colossi come Unilever, Nestlè e Staples, dopo una serie di campagne negati di Greenpeace. La più famosa di tutte? quella con Barbie con la motosega, con tanto di Ken che la mollava in tronco, dichiarando di non amare più Barbie deforestatrice. La colpa? Mattel usava per il packaging di Barbie carta prodotta da APP.
«La strategia zero deforestazione si basa su tre punti», spiega a La Stampa Aida Greenbury, direttrice sostenibilità APP. «Proteggere la foresta primaria; gestire le torbiere per ridurre le emissioni di gas serra e proteggere l’habitat naturale; coinvolgere le comunità locali con nuove pratiche agroforestali alternative allo slash ‘n’ burn (la pratica di deforestare con il fuoco) Il tutto coinvolgendo sempre, con il supporto di nostro personale, le comunità , risolvendo i conflitti e gestendo i reclami». Costo del progetto? 200 milioni di dollari.

A certificare i risultati ci pensano Greenpeace (da sempre ostile a APP), WWF, Rainforestorest Alliance e TFT - Forest Trust. Le motoseghe si sono fermate e nemmeno un metro quadro di foresta vergine è stato toccato ufficialmente. Oltre 1 milione di ettari di foresta sarà ripiantato nei prossimi anni.

Intanto le vendite tornano a crescere. Per recuperare gli investimenti l’azienda presto parteciperà agli schemi ONU REDD+ per la lotta alla deforestazione. E punta a riconquistare anche l’Italia ora che ha messo la sostenibilità al primo posto.

Intanto si sviluppano progetti di tutela del territorio, circa il 30% del totale delle proprietà di APP. Una parte viene data alle popolazioni locali per fare progetti di agricoltura nella foresta, per minimizzare l’espansione dei campi attraverso la deforestazione. Mango, papaya e altra frutta. Che in futuro porrebbe essere integrata nei filari di eucalipti e acacie, minimizzando l’uso del suolo e aumentando la capacità di assorbimento di CO2.

Il fuoco rimane il problema numero uno, che sia spontaneo o usato da agricoltori locali. «Avendo optato per la deforestazione zero ogni incendio è una perdita economica per APP e un impatto ambientale negativo», spiega Asri A Putri, giovane rappresentante della compagnia. Nei pressi della cartiera di Indah Kiat, si sale sulla cima di una torretta di avvistamento, da poco costruita. «Ce ne sono una ogni dodici chilometri di raggio, con guardiani che notte e giorno osservano il territorio, pronti ad avvisare i pompieri», spiega Putri.

Molto esposte agli incendi sono le torbiere, zone paludose ad elevato tasso carbonico, dovuta alla decomposizione di animali e piante. «Le torbiere sono un potente carbon sink, permettono cioè di assorbire molta CO2. Per questo vogliamo dismettere dalle coltivazioni circa 7000 ettari per potenziare la capacità di resilienza» continua Putri. «Dovrebbero dedicare molto più spazio», dice Sergio Baffoni, Environmental Paper Network, una rete che mette insieme molteplici associazioni ambientaliste: «Questa superficie è solo 1-2% del totale. La protezione delle torbiere è fondamentale per controllare gli incendi».

Non mancano i problemi e gli errori, essendo un territorio immenso quello da controllare. Per cercare di garantire la trasparenza è stato realizzato il sito Fcpmonitoring.com, dove le popolazioni locali o le ong possono presentare reclami e segnalazioni. «Dopo vent’anni di danni risultati dalle sue attività, APP dovrebbe fare di più per controllare le foreste protette, minacciate da agenti esterni», continua Baffoni.

La sfida ora per APP è potenziare sempre più la produzione per ettaro, con semi selezionati, rotazioni intelligenti, agricoltura integrata, aumentando sempre più la quota di foreste protette. Molta biodiversità è persa per sempre e non basteranno corridoi ecologici a restituire lo splendore delle foreste indonesiane e il loro ruolo di polmone della terra. Purtroppo l’Indonesia ha perso il treno per tutelare realmente il ruolo delle foreste e dei suoi abitanti, siano popolazioni indigene che animali. Ma almeno il tentativo di provare a conservarne una parte non passa inosservato. Vale dire: meglio tardi che mai.

fonte: www.lastampa.it

Clima: El Niño si intensifica, nel 2015 impatti senza precedenti

Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale El Niño aumenterà la sua intensità entro la fine dell’anno. Interagendo con il cambiamento climatico avrà affetti imprevedibili
Clima: El Niño si intensifica, nel 2015 impatti senza precedenti

Erano almeno 15 anni che non si assisteva ad una forza climatica così sconvolgente. Parliamo di El Niño, fenomeno metrologico che interessa le atmosfere e le acque dell’Oceano Pacifico, causa inondazioni, siccità e una lunga serie di possibili perturbazioni. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) il 2015 sarà un anno da record: il fenomeno, che si verifica normalmente nei mesi di dicembre e gennaio (in media ogni cinque anni) dovrebbe intensificare ulteriormente la propria forza raggiungendo un livello di intensità pari a quelli registrati nel 1972-73, 1982-83 e 1997-98 ma con effetti probabilmente peggiori. Per definizione si è in presenza di El-Niño quando la superficie della parte centrale dell’Oceano Pacifico manifesta un incremento della temperatura di almeno 0,5 °C per un periodo di tempo non inferiore ai 5 mesi. Questa però, avverte il WMO, ci si aspetta che le medie trimestrali raggiungano un picco di oltre 2 gradi sulle normali temperature.

Perché gli impatti dovrebbero esser peggiori stavolta rispetto ai record toccati negli anni passati? Perché, come spiega il segretario generale dell’Organizzazione Michel Jarraud “questo evento sta avvenendo in un contesto senza precedenti. Il nostro pianeta ha subito un’alterazione drammatica a causa del cambiamento climatico, della tendenza generale verso un riscaldamento dell’oceano, della perdita di ghiaccio nell’Artico e di oltre un milione di chilometri quadrati di copertura innevata estiva nell’emisfero nord”. La combinazione tra El Niño e il cambiamento climatico in atto potrebbe fa sì che i due fenomeni interagiscano modificandosi a vicenda “in modalità che non abbiamo mai sperimentato”.

L’allarme era già stato lanciato questa estate da NOAA, ossia il National Oceanic and Atmospheric Administration che allora avvertiva : “Ci potrebbe essere un aspetto positivo in quanto, finalmente si avrebbero delle piogge, anche al di sopra della norma, dalla California centrale fino alla Florida e questo potrebbe sollevare la popolazione da una siccità che dura da quattro anni e che sta mettendo in ginocchio la regione. Al contrario, le Montagne Rocciose, i Grandi Laghi, l’Alaska e le Hawaii potrebbero soffrire di mancanza di precipitazioni ed essere interessati da un periodo di clima più caldo”.
Gli impatti non saranno ovviamente limitati al Nord America. Nel Sud-Est Asiatico, El Niño è tipicamente associato a siccità e quest’anno ha contribuito in Indonesia a peggiorare gli incendi scoppiati sul territorio; in Asia e Africa meridionale, si ritiene abbia giocato un ruolo chiave nella scarsità di precipitazioni mentre in Sud America porta un aumento delle alluvioni.

fonte: www.rinnovabili.it

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Indonesia in fiamme è primo inquinatore mondiale

Il paese brucia da luglio, supera Cina e Usa per emissioni CO2
 
Gli incendi che dal luglio scorso stanno devastando l'Indonesia hanno catapultato il Paese asiatico al vertice della classifica dei più grandi inquinatori mondiali, davanti a Cina e Usa.

L'allarme arriva da un'indagine di Bloomberg, secondo cui negli ultimi di mesi le emissioni giornaliere indonesiane di CO2 sono state superiori a quelle cinesi in almeno 14 giorni, e a quelle Usa in 47 giorni.

La CO2 prodotta dall'Indonesia ammonta in condizioni normali a 761 milioni di tonnellate all'anno. In media si tratta di 2,1 milioni di tonnellate al giorno, contro i 29,3 milioni della Cina e i 16 milioni degli Usa. A causa delle fiamme, tuttavia, a settembre le emissioni medie giornaliere si sono attestate a 22,5 milioni di tonnellate, salendo a 23 milioni in ottobre.

Nel Paese gli incendi rilevati dai satelliti sono oltre 117mila. Il ministro indonesiano per gli Affari sociali, Khofifah Indar Parawansa, ha reso noto che è salito a 19 il numero delle vittime delle esalazioni dei roghi, mentre sono stimate in mezzo milione le persone con problemi respiratori. A bruciare, nelle foreste indonesiane, è la torba, cioè i resti vegetali che sono nel terreno e che contengono 60 miliardi di tonnellate di carbonio, sei volte di più delle emissioni annuali da combustibili fossili di tutto il Pianeta.

L'ultima volta che l'Indonesia è stata devastata dagli incendi, nel 1997, si stima che abbia prodotto tra gli 800 milioni e i 2,57 miliardi di tonnellate di CO2, ha ricordato Greenpeace. Il 1997, proprio come quest'anno, è stato caratterizzato da una forte presenza del fenomeno climatico El Niño, che porta siccità nel Paese. Ad aggravare la situazione, però, sono soprattutto i decenni di deforestazioni e drenaggio del suolo nel nome dell'olio di palma, che hanno reso il terreno più vulnerabile agli incendi.

fonte: www.ansa.it