Il Madagascar è sull'orlo della ...
Visualizzazione post con etichetta #Siccità. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #Siccità. Mostra tutti i post
Madagascar sull'orlo della carestia causata dal cambiamento climatico
Il bel tempo? Un disastro, non c’è più neve sull’Appennino. Mercalli: “Rischio incendi devastanti”
“Il Gran Sasso si eleva maestoso tra gli splendidi paesaggi dell’Appennino Centrale”. L’ha scritto l’astronauta italiano Luca Parmitano il 15 gennaio, pubblicando sulle sue pagine social una fotografia scattata dallo spazio sulla Majella: è vero, il paesaggio dell’appennino abruzzese è splendido, ma a ben guardare è un altro il dettaglio che dovrebbe catturare l’attenzione e preoccupare non poco. Il 15 gennaio, infatti, solo la cima del massiccio della Majella – con i suoi 2.793 metri sul livello del mare – è coperta di neve. Tutto il resto no: il paesaggio fotografato dall’alto appare quasi primaverile, e così è per la gran parte della catena appenninica, dalla Calabria alla Liguria. C’è poca neve anche sul Gran Sasso D’Italia, la cima più alta con i suoi 2.912 metri. Quasi nulla sul Monte Vettore, quarta vetta tra Umbria e Marche. La situazione non è delle miglior sulle Alpi, dove pur essendoci neve negli ultimi giorni lo zero termico è stato toccato solo oltre i tremila metri di quota.
Le alte temperature delle ultime settimane, le giornate soleggiate che molti meteorologi hanno definito “bel tempo”, sono però un campanello d'allarme. Poca neve sui monti significa alto rischio siccità tra qualche mese; le scarse piogge significano maggiori probabilità la prossima estate di dover fronteggiare incendi devastanti. I danni per l’agricoltura saranno importanti, e sul lungo periodo le conseguenze investiranno migliaia di città costiere (come Venezia) e centinaia di milioni di persone. Insomma, lo chiamiamo “bel tempo” ma è un disastro di cui rischiamo di subire ben presto le conseguenze. E’ di questo che abbiamo parlato con il professor Luca Mercalli, climatologo, divulgatore scientifico e presidente della Società meteorologica italiana.
L'astronauta Luca Parmitano due giorni fa ha pubblicato una fotografia della Majella e dell’Appennino abruzzese. Non c’è neve sui monti. E’ un segnale preoccupante?
Quella foto è un simbolo. Non è sulla base di una singola immagine che è possibile sviluppare una teoria climatica e la scarsa neve potrebbe rappresentare un evento casuale. Certo, però, quell'immagine pone degli interrogativi e attira molto l'attenzione. Molti satelliti fotografano il pianeta ogni giorno da trent'anni e dimostrano che in tutto il mondo si stanno alzando le temperature: la neve dura molto meno e si alza di quota, e il 2019 è stato il secondo anno più caldo della storia dopo il 2016. Montagne che in questo periodo dovrebbero essere coperte di neve oggi ricevono solo pioggia e questo fenomeno è molto evidente soprattutto alle quote medie, ad esempio sugli Appennini. Tutte le stazioni meteo dimostrano un calo dell'innevamento e sotto i 1.500 metri abbiamo perso il 30 per cento della neve.
C’è una ragione scientifica?
La colpa è dell’aumento della temperatura globale: è questo il fatto fondamentale. La comunità scientifica denuncia questo problema da decenni, ma non siamo ancora stati in grado di cambiare radicalmente modello di sviluppo abbandonando le fonti fossili per le energie rinnovabili. Le conseguenze sono già sotto i nostri occhi: gli incendi in Australia e l'acqua alta a Venezia, ad esempio.
Quali saranno le conseguenze sul breve e sul lungo periodo?
Le conseguenze saranno catastrofiche. Di questo siamo ormai certi. Dobbiamo immaginare che gli eventi disastrosi ai quali abbiamo assistito negli ultimi anni raddoppieranno o triplicheranno di intensità: parlo delle alluvioni, degli uragani, dei periodi di siccità, di incendi devastanti come quelli in Australia. A causa della fusione dei ghiacciai i livelli dei mari aumentano ogni anno di 3,5 millimetri: questo porterà a fenomeni di acqua alta come quelli dello scorso novembre a Venezia. Entro la fine del secolo il livello degli oceani aumenterà di un metro: intere città verranno sommerse e centinaia di milioni di persone saranno obbligate a emigrare. Naturalmente ci saranno danni enormi anche per l'economia: l'agricoltura sarà il primo comparto a entrare in crisi a causa di siccità e alluvioni. I danni ammonteranno solo nel nostro paese a centinaia di milioni di euro, senza contare le possibili vittime. Le estati saranno caldissime, e già nel 2019 abbiamo avuto un'anteprima di quello che accadrà in futuro: il 26 giugno in Provenza sono stati registrati 46 gradi. A ottobre 2017 molti boschi delle Alpi sono stati distrutti dagli incendi; in quel periodo invece sarebbe dovuta cadere la prima neve.
Cosa pensa dei blocchi del traffico imposti in questi giorni?
Non aiutano a risolvere il problema. E' come dare l'aspirina a un malato di cancro. I blocchi del traffico sono un tentativo disperato di affrontare una situazione che ci sta sfuggendo di mano, ma quello di cui c'è veramente bisogno è di una riforma complessiva dell’uso delle risorse del pianeta, abbandonando i combustibili fossili in tutti i settori: nei trasporti come nell'industria.
Lei ha detto spesso che abbiamo superato il punto di non ritorno. Cosa possiamo fare per mitigare i danni?
E' vero. La comunità scientifica è concorde sul fatto che abbiamo superato il punto di non ritorno circa 40 anni fa. La metafora più giusta è quella di un fumatore: anche se decide di smettere dopo decenni i suoi polmoni non torneranno mai come nuovi. Il riscaldamento globale porterà comunque a eventi estremi come quelli che ho descritto: sappiamo che come minimo acquisteremo due gradi entro la fine del secolo, anche se applicassimo i migliori protocolli internazionali. Se, invece, non faremo niente potremmo arrivare a un aumento di 7 gradi. Sarebbe una catastrofe per l'umanità. Non possiamo tornare a un clima sano, ma possiamo diminuire il danno.
Come mai, di fronte a queste evidenze, ancora molti scienziati negano il cambiamento climatico?
Definirli scienziati è sbagliato: non è scienza negare più di cento anni di studi su questo argomento. Il primo a sollevare il problema fu, nel 1896, il premio Nobel per la chimica Svante August Arrhenius. Chi oggi nega il riscaldamento globale non è uno scienziato, oppure non lo è nel settore del clima: spesso si tratta di personaggi pagati dalle lobby dell'industria fossile, altre volte negano decenni di studi per ragioni esclusivamente ideologiche. Sovente vengono poi interpellati studiosi che, semplicemente, fanno altri mestieri, ad esempio medici e fisici delle particelle che non hanno mai studiato approfonditamente il clima. Oggi la comunità scientifica è unanime nell'affermare che il le attività umane sono all'origine del cambiamento climatico. Se non cambieremo radicalmente modello di sviluppo le conseguenze saranno catastrofiche.
fonte: https://www.fanpage.it/
L'Ue: il clima che cambia dimezzerà in 30 anni l'agricoltura dell'Italia
L'allarme dell'Agenzia Europea per l'Ambiente (EEA) nel rapporto "Climate change adaptation in the agricultural sector in Europe": le ondate di calore, la siccità, le alluvioni e gli eventi meteorologici estremi nel loro complesso faranno diminuire la produzione di tutte le coltivazioni non irrigue del 50%
L'impatto della crisi climatica in corso sull'agricoltura sarà devastante per i Paesi dell'Europa del sud, tra cui l'Italia. Tra 30 anni, le ondate di calore, la siccità, le alluvioni e gli eventi meteorologici estremi nel loro complesso faranno diminuire la produzione di tutte le coltivazioni non irrigue del 50%. E queste stesse coltivazioni, alla fine del secolo saranno ridotte dell'80%. Una catastrofe che tocca solo in parte l'agricoltura centro e nord europea, ma investe in pieno il nostro Paese. È un allarme molto preciso quello che viene lanciato oggi dall'Agenzia Europea per l'Ambiente (EEA) nel rapporto "Climate change adaptation in the agricultural sector in Europe", un allarme che da una parte chiede maggiore attenzione alla salvaguardia della produzione primaria e dall'altra chiarisce che l'agricoltura intensiva e industriale è tra le cause del disastro, visto che dai campi europei proviene il 10% delle emissioni di gas serra.
"L'impatto dei cambiamenti climatici si sta già facendo sentire sui nostri campi: estati caldissime o, al contrario, troppo piovose stanno mettendo a serio rischio le colture mediterranee", commentano le associazioni ambientaliste e dell'agricoltura biologica della campagna Cambia la Terra (Federbio, Legambiente, Lipu, Medici per l'ambiente e Wwf). "Come abbiamo già sottolineato nel Rapporto Cambia la Terra 2018, occorre che le politiche agricole nazionali ed europee smettano di premiare chi inquina, chi abusa di pesticidi dannosi per la fertilità dei suoli e la salute umana e incentivino le pratiche agricole rispettose del Pianeta".
Il biologico si prepara, con la due giorni della "Rivoluzione bio", la Fiera SANA e la Festa del Bio che avranno luogo a Bologna a partire da domani, a raccontare come un'altra agricoltura e quindi un altro consumo e un altro stile di vita siano possibili e auspicabili. "Non ci sono altre alternative: l'impatto dei cambiamenti climatici si sta facendo sentire in tutto il continente e ha già creato perdite economiche consistenti che i pasdaran della chimica non vogliono vedere. Il tasso d'assorbimento della CO2 dei suoli nell'agricoltura convenzionale è pari all'1%, in quelli bio sale al 3,5%. L'agricoltura biologica, inoltre, aumenta la sostanza organica nei suoli, e già questo li mette in condizione di assorbire grandi quantità di CO2, trattenere l'acqua e renderla disponibile assieme agli alimenti nutritivi anche in caso di carenza di piogge. Le stesse pratiche agroecologiche escludono il ricorso a sostanze di sintesi che vengono prodotte con ampio consumo di combustibili fossili. Inoltre - aggiungono da Cambia la Terra - l'agricoltura biologica richiede la copertura vegetale permanente dei suoli, la presenza di siepi, zone naturali nei campi che non solo facilitano il mantenimento della biodiversità ma anche la creazione di microclimi più favorevoli. Tutte forme di adattamento al clima che cambia. Per finire, il bio utilizza il più possibile cultivar agricoli adattati ai climi locali: la nostra agricoltura tradizionale, soprattutto nel meridione, è fatta di specie e di sementi già in grado di affrontare periodi di siccità e grande calore".
fonte: www.repubblica.it
L'impatto della crisi climatica in corso sull'agricoltura sarà devastante per i Paesi dell'Europa del sud, tra cui l'Italia. Tra 30 anni, le ondate di calore, la siccità, le alluvioni e gli eventi meteorologici estremi nel loro complesso faranno diminuire la produzione di tutte le coltivazioni non irrigue del 50%. E queste stesse coltivazioni, alla fine del secolo saranno ridotte dell'80%. Una catastrofe che tocca solo in parte l'agricoltura centro e nord europea, ma investe in pieno il nostro Paese. È un allarme molto preciso quello che viene lanciato oggi dall'Agenzia Europea per l'Ambiente (EEA) nel rapporto "Climate change adaptation in the agricultural sector in Europe", un allarme che da una parte chiede maggiore attenzione alla salvaguardia della produzione primaria e dall'altra chiarisce che l'agricoltura intensiva e industriale è tra le cause del disastro, visto che dai campi europei proviene il 10% delle emissioni di gas serra.
"L'impatto dei cambiamenti climatici si sta già facendo sentire sui nostri campi: estati caldissime o, al contrario, troppo piovose stanno mettendo a serio rischio le colture mediterranee", commentano le associazioni ambientaliste e dell'agricoltura biologica della campagna Cambia la Terra (Federbio, Legambiente, Lipu, Medici per l'ambiente e Wwf). "Come abbiamo già sottolineato nel Rapporto Cambia la Terra 2018, occorre che le politiche agricole nazionali ed europee smettano di premiare chi inquina, chi abusa di pesticidi dannosi per la fertilità dei suoli e la salute umana e incentivino le pratiche agricole rispettose del Pianeta".
fonte: www.repubblica.it
Copernicus: lo “Stato europeo del clima 2018”
Il Copernicus Climate Change Service (C3S), in collaborazione con il Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio raggio (ECMWF), per conto dell’Unione europea, ha pubblicato l’European State of the Climate 2018.
Il rapporto presenta una panoramica delle condizioni annuali e stagionali in Europa e nell’Artico europeo, rispetto alla media a lungo termine.
Illustra in dettaglio tre eventi più significativi nel 2018 in cui si sono verificate condizioni meteorologiche persistenti per diversi mesi ed esplora le variazioni associate di durata del sole, vegetazione e umidità del suolo, scarichi fluviali, incendi, ghiacciai e ghiaccio marino.
Infine, vengono evidenziati una serie di indicatori chiave per i cambiamenti climatici, che colloca gli eventi e il loro impatto in un contesto globale a più lungo termine.
Temperature
- La temperatura media europea nel 2018 è stata una delle tre più alte mai registrate.
- L’estate è stata la più calda mai registrata, più di 1,3°C del solito.
- Tutte le stagioni sono state più calde del solito, con la tarda primavera, l’estate e l’autunno che hanno visto temperature superiori di 1°C sopra la media.
- Si sono verificate alte temperature massime dalla primavera in poi, soprattutto al nord.
- Si sono verificate temperature minime molto al di sopra della media nel sud-est.
Siccità
- Si è avuto un inizio freddo dell’anno.
- Le temperature medie sono state più alte del normale per ogni mese da aprile a dicembre. Si è verificato un lungo periodo di siccità da primavera a novembre.
- Le zone dell’Europa centrale e settentrionale sono state le più colpite, con precipitazioni stagionali che hanno raggiunto meno dell’80% dei livelli normali per la primavera, l’estate e l’autunno.
- Le precipitazioni ridotte e le temperature calde portano a una siccità nell’Europa settentrionale che corrisponde alla gravità di quella del 1976.
Le persistenti condizioni calde e secche del 2018 in Europa mostrano una chiara impronta sulle principali variabili climatiche:
- Vegetazione e superficie terrestre,
- Incendi,
- Ghiacciai alpini,
- Durata del sole,
- Temperature superficiali dei laghi,
- Scarsità d’acqua nei fiumi.
Gli indicatori climatici principali mostrano l’evoluzione a lungo termine di diverse variabili climatiche chiave. Questi possono essere usati per valutare le tendenze globali e regionali di un clima che cambia.
Artico europeo
fonte: http://www.snpambiente.it
Iscriviti a:
Post (Atom)