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Carbone, in Ue diminuiscono produzione e consumo



Nel 2020 il ricorso alle energie alternative continua a far diminuire il consumo e la produzione di carbone e riduce a due il numero degli Stati Ue produttori.

Sono i dati delle statistiche sulla produzione e consumo di ...

Sviluppo sostenibile, Italia al top per circolarità











Cresce il tasso di utilizzo circolare di materia in italia, tra i primi paesi in Ue per riciclo, ma la produzione di rifiuti resta ancora alta. L'analisi di Eurostat sui target ONU di sviluppo sostenibile




Ricicla.tv

 

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In Europa aumentano i rifiuti, ma crescono riciclo e compostaggio: ecco tutti i dati

Secondo gli ultimi dati Eurostat, nel 2019 la quantità di immondizia pro-capite risulta di oltre mezza tonnellata a persona, il dato più alto dal 2010. In attesa di capire come il coronavirus ha influito sui nostri consumi, lascia ben sperare la decisa diminuzione del conferimento in discarica e l'aumento del riciclaggio












La produzione di rifiuti urbani in Europa continua ad aumentare in maniera preoccupante: secondo gli ultimi dati Eurostat, infatti, nel 2019 la quantità di immondizia pro-capite risulta di oltre mezza tonnellata a persona, il dato più alto dal 2010 (503 kg). In attesa di capire come il coronavirus ha influito sui nostri consumi, il dato resta impressionante.

Negli ultimi anni c’è stato infatti un costante incremento della produzione media di rifiuti urbani e si è passati dai 478 kg del 2013 agli attuali 502 kg. Una crescita che stando ai numeri più recenti si conferma stabile anche in molti Paesi Ue: la Danimarca nel 2019 ha generato il più alto volume di rifiuti di tutt’Europa (844 kg) peggiorando decisamente le sue performance in termini di scarti urbani (814kg) rispetto al 2018 e lo stesso vale per il Lussemburgo (791 kg), la Norvegia (776 kg) e la Svizzera (709 kg).

La Germania si trova al settimo posto di questa triste classifica con 609 kg, più tre kg rispetto al 2018, e ancora in decima posizione troviamo la Francia (546 kg), cui fanno seguito Grecia (524 kg), Portogallo (513 kg) e Olanda con 508 kg.

Anche l’Italia torna in lieve crescita (504 kg) e sale al quattordicesimo posto, mentre tra i Paesi più virtuosi risultano Polonia (336kg), Estonia (369 kg), e Ungheria (387 kg).

Il nostro Paese si mantiene al di sopra della media europea che nel 2019 è di 402 kg pro capite: già partire dal 2017, infatti, i livelli di produzione di rifiuti hanno ricominciato a crescere in maniera costante e per il momento non accennano a diminuire.
Tutti i dati sul riciclo e il compostaggio dei rifiuti urbani

Numeri allarmanti, attenuati solo in parte dai dati positivi sul riciclo e il compostaggio che mostrano come dal 1995 al 2019 risultano pressoché dimezzati i rifiuti smaltiti in discarica, mentre sono addirittura triplicati i materiali riciclati, che passano da 37 milioni di tonnellate (87 kg per persona) a 107 milioni di tonnellate (239 kg a persona).

La capacità di gestione della raccolta differenziata, l’innovazione dei processi produttivi, e la crescente consapevolezza dei cittadini hanno certamente contribuito in maniera significativa a questo risultato ma per un cambio di rotta decisivo serve una strategia comune e l’adozione di modelli di economia circolare che riescano a ridurre la continua generazione di rifiuti.

Rifiuti urbani ed economia circolare: serve un cambio di paradigma

Per raggiungere quest’obiettivo, la Ellen MacArthur Foundation (Emaf) ha già stilato gli obiettivi politici fondamentali che ciascun Paese dovrebbe perseguire: ecodesign, incentivi “green”, formazione specializzata e valorizzazione dei prodotti sono solo alcune delle parole chiave che dovrebbero orientare le scelte delle prossime politiche industriali dei Paesi europei. Per l’Italia molti di questi risultati dipenderanno dalla capacità di gestione delle risorse in arrivo con il Recovery Fund e dalle strategie che il governo Draghi deciderà di mettere in campo con il nuovo Piano per la Ripresa e la Resilienza (Pnrr) approvato dal precedente esecutivo.

fonte: economiacircolare.com

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Quanto sono protetti la terra e il mare europei?


















L'Unione europea (UE) ha la più grande rete coordinata di aree protette al mondo, nota come Natura 2000 e costituita da circa 27.000 siti terrestri e marini.

Nel 2019, quasi 764.000 km2 della superficie terrestre dei 27 Stati membri dell'UE sono stati designati per la conservazione della biodiversità come siti Natura 2000, proposti ai sensi della direttiva Habitat e della direttiva Uccelli (noti come "Direttive sulla natura"). Ciò rappresenta quasi un quinto (18%) della superficie terrestre totale dell'UE.

Nel 2019 i siti Natura rappresentavano il 20% o più della superficie totale in 12 dei 27 Stati membri dell'UE, con le quote più elevate registrate nella penisola balcanica: Slovenia (38%, o 7.700 km2), Croazia (37%, o 20.700 km2) e Bulgaria (35%, o 38.700 km2).

Al contrario, le quote più basse di aree protette sono state osservate in Danimarca (8%, o 3.600 km2), Svezia (12%, o 55 600 km2) e Lettonia (12%, o 7 400 km2).



Nel 2019, oltre 440.000 km2 delle acque marine dell'UE sono state protette come aree marine Natura 2000. Ciò rappresenta un aumento del 5% rispetto al 2018 e quasi un aumento del 150% rispetto al 2013.



L'identificazione di aree di valore da proteggere è molto più impegnativa nei mari che sulla terra. Questo è uno dei motivi per cui la designazione dei siti marini Natura 2000 è meno avanzata, rispetto ai siti terrestri Natura 2000, e osserviamo ancora grandi progressi di anno in anno negli Stati membri dell'UE.

Tra il 2018 e il 2019, gli aumenti più elevati sono stati registrati a Cipro (oltre il 6.300%, o 8.300 km2), Italia (76%, o 5.200 km2), Portogallo (12%, o 4.400 km2), Croazia (5 %; 300 km2) e Francia (2% o 3.100 km2).

In termini assoluti, la più grande rete nazionale di aree marine Natura 2000 si trova nelle acque costiere intorno alla Francia (132.689 km2). Insieme alla seconda più grande rete nazionale - in Spagna (84.405 km2) - rappresentano quasi la metà (49%) dell'area marina protetta dell'UE.



fonte: http://www.arpat.toscana.it



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Italia prima in Europa per incremento nell'uso di risorse materiali provenienti da prodotti riciclati

Lo dice l’ultimo rapporto Eurostat. Nella nostra penisola il Circular material use rate, l’indicatore che misura il contributo dei prodotti riciclati nell’uso complessivo dei materiali, ha fatto registrare un incremento del 6%, seguito da Lettonia, Belgio, Austria e Paesi Bassi



Tra il 2010 e il 2017, l'Italia è stato il paese europeo che ha aumentato più di tutti gli altri la percentuale di utilizzo di risorse materiali provenienti da prodotti riciclati e materiali recuperati. Lo dice l’ultimo rapporto sulla “materia circolare” di Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea. Nella nostra penisola il Circular material use rate, l’indicatore che misura il contributo dei prodotti riciclati nell’uso complessivo dei materiali, ha fatto registrare un incremento del 6%, seguito da Lettonia, Belgio, Austria e Paesi Bassi (+5% ciascuno). All'estremità opposta della scala, il calo maggiore è stato registrato in Lussemburgo (-15%), Finlandia (-11%), e Spagna (-3%).



L'uso complessivo dei materiali di uno Stato viene misurato sommando il consumo aggregato di materiale domestico (DMC) e l'uso circolare dei materiali. Il circular material use rate a sua volta è ottenuto dalla quantità di rifiuti riciclati negli impianti di recupero sul territorio nazionale, meno i rifiuti importati destinati al recupero e sommando i rifiuti esportati destinati al recupero all'estero. Un valore percentuale di CMU più elevato significa che un numero maggiore di materiali secondari sostituisce le materie prime primarie, riducendo così gli impatti ambientali dell'estrazione.

Grazie agli incrementi di questi ultimi sette anni l'Italia si conferma tra i primi paesi europei per percentuale di CMU (17,7%), dopo il Belgio (17,8%), Francia (18,6%) e Olanda (29,9%).

Secondo il rapporto nel 2017 il circular material use rate dell’Unione Europea è stato dell'11,2%, valore in cui è sempre oscillato dal 2012, con un lieve aumento nel 2016 (11,4%). Nel periodo tra il 2004 e il 2012, è aumentato dall'8,2% all'11,1%, vale a dire di quasi 3 punti percentuali.

I minerali metallici sono stati la categoria di materiale con il più alto tasso di circolarità. Nel 2017, oltre un quinto dei minerali metallici (21,8%) utilizzati nell'UE proveniva da prodotti riciclati e materiali di recupero, a fronte del 14,7% di minerali non metallici (compreso il vetro), dell'8,7% di biomassa (compresi carta, legno, tessuti e altri) e del 2,5% dei materiali energetici fossili (compresi plastica e combustibili fossili).

I materiali a base di combustibili fossili sono meno adatti per il riciclaggio perché sono usati principalmente per produrre energia; tuttavia, potrebbe essere possibile un maggiore riciclaggio della plastica. La maggior parte dei tipi di biomassa non è adatta al riciclo (ad esempio alimenti e foraggi o legno per l'energia), tuttavia sono possibili miglioramenti, ad esempio riducendo gli sprechi alimentari e riciclando i tessuti naturali nei capi.

fonte: www.ecodallecitta.it

Eurostat propone un metodo di calcolo per valutare quanto un'economia sia circolare

La transizione verso l’economia circolare rappresenta un’opportunità di trasformazione della nostra economia, con possibilità di creare posti di lavoro e generare nuovi e sostenibili vantaggi per l’Europa, ma come si valuta se un'economia è circolare e quanto lo è? Eurostat propone il suo metodo di calcolo



















La transizione verso l’economia circolare, dove il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse viene mantenuto nel circuito economico il più a lungo possibile e la produzione di rifiuti viene ridotta, risulta essere un contributo essenziale agli sforzi messi in campo dall’Unione Europea per raggiungere lo sviluppo sostenibile, un’economia a basso utilizzo di carbone, basata su efficienti risorse ed un’economia competitiva.
Ad oggi manca un "sommario" che ricomprenda tutti gli indicatori sulla circolarità dell’economia a livello macro e micro economico, riconosciuto da tutti i soggetti istituzionali e non.
La Commissione europea ha predisposto la Comunicazione (2018) 29 gennaio 2018, il “Quadro di monitoraggio per l’economia circolare”,  che valutava i progressi raggiunti nella direzione dell’economia circolare, presentando 10 indicatori ed alcuni sub-indicatori, che comprendono un ampio range di aspetti relativi all’economia circolare, frutto di un lungo processo di negoziazione tra i Paesi Membri.
Le Nazioni Unite hanno creato un gruppo (International Resource Panel) chiamato ad indagare le sfide connesse all’utilizzo sostenibile delle risorse naturali, ad oggi questo ha realizzato diversi rapporti e gestisce ed aggiorna un database sui flussi di materiali.
Esistono poi le esperienze della Fondazione Ellen Mac Arthur e del Circle Economy che propongono delle metodologie da applicare a casi studio su scala mondiale, territoriale, settoriale o di singola impresa per il monitoraggio dell’economia circolare.
A livello italiano, anche a seguito delle sollecitazioni ricevute da imprese, associazioni di categoria, consorzi, rappresentanti delle pubbliche amministrazioni, il MATTM e il MiSE, con il supporto tecnico e scientifico di ENEA, hanno avviato alla fine del 2017 un “Tavolo di Lavoro” tecnico con l’obiettivo di individuare adeguati indicatori per misurare e monitorare la circolarità dell’economia e l’uso efficiente delle risorse a livello macro (sistema Paese), meso (regione, distretto, settore, ecc.) e micro (singola impresa, organizzazione, amministrazione).
Il nuovo indicatore, elaborato da Eurostat, avvalendosi dell’aiuto di un gruppo di studiosi e con il supporto di soggetti portatori di interesse, è chiamato “ tasso di circolarità d’uso di un materiale” (di seguito CMU), è utilizzato per monitorare i progressi verso l’economia circolare basandosi su le materie prime seconde, cioè valutando il contributo dei materiali riciclati nel panorama complessivo dei materiali usati. In buona sostanza, il tasso di circolarità nell’uso di un materiale misura la quota di materiale recuperato e re-introdotto in economia, salvando l’estrazione di materia prima, rispetto a tutti i materiali impiegati. L’indicatore comprende i flussi di materiali ma non quelli di acqua, carburanti fossili e energia.
La quantità di materiale riciclato in termini assoluti non è in grado di mostrare quanto un’economia sia circolare. La quantità di materie prime seconde immesse in un processo produttivo potrebbe aumentare nella stessa misura di tutti gli altri materiali. In questo caso non aumenterebbe la circolarità di quell’economia ma semplicemente il riciclaggio.
diagramma flusso sankey-economia circolare
Per capire quanto un'economia sia circolare, bisogna mettere in relazione i due aspetti, quindi l’equazione è
CMU= U/M
l’uso complessivo dei materiali è dato da l'uso circolare dei materiali diviso l'uso complessivo del materiale utilizzato in un processo produttivo
Un alto tasso di CMU significa che le materie prime seconde hanno sostituito in concreto le materie prime, riducendo gli impatti ambientali dell’estrazione di materiali vergini.
L’uso di materiali riciclati può comprendere sia la capacità del singolo paese di produrre materia prima seconda sia il contributo alla raccolta differenziata dei materiali destinati al riciclaggio. In un’economia chiusa, dove non c’è import-export, i due aspetti coinciderebbero ma nella realtà esistono flussi di rifiuti che vengono importati e/o esportati da un paese ad un altro paese, quindi questi dati non possono combaciare, perché i rifiuti possono essere raccolti in modo differenziato in un paese e poi trattati in un altro paese.
Eurostat ritiene che il tasso CMU misuri lo sforzo realizzato dal singolo paese per raccogliere rifiuti da riciclare. Questa prospettiva, quindi, dà importanza allo sforzo del paese nella gestione della raccolta differenziata dei rifiuti destinati al recupero/riciclaggio che, indirettamente, contribuisce all'approvvigionamento mondiale di materia prima seconda e quindi all'eliminazione delle materie prime derivanti dall’estrazione.
Il CMU è strettamente collegato con i digrammi di Sankey sui flussi di materiali, che giocano un ruolo importante nel monitorare i progressi verso l’economia circolare. Il diagramma mostra
  • i flussi di materiali che vengono introdotti in un sistema economico, sia che siano estratti nel paese o importati nello stesso,
  • il processo produttivo, che li trasforma da materia a prodotti,
  • l'accumulo in stock , la trasformazione in rifiuti e come vengono scaricati nell’ambiente o trattati e re-introdotti nel sistema economico.
L’evoluzione di questo tasso nei 28 paesi membri dell’UE è in costante aumento, un solo picco di decrescita è stato registrato nel 2011.
andamento tasso circolarità
C’è una grande differenza di CMU tra i paesi, applicando la formula proposta da Eurostat, il range, nel 2016, va da poco più dell'1% in Grecia e Romania sino al 29% nei Paesi Bassi.
L'Italia si posiziona sopra il 15%, dietro a Paesi Bassi, Belgio, Francia e Regno Unito.
circolarità dei paesi UE 
Per approfondire: Circular material use rate
fonte: http://www.arpat.toscana.it

Indonesia e India, Ecco Le Nuove Rotte Dei Rifiuti

















Crollano del 46% le esportazioni di rifiuti dall'Europa verso la Cina per effetto dello stop imposto da Pechino. Nel frattempo cresce l'economia circolare in Ue, con l'Italia ai vertici della classifica del riciclo.






fonte: https://www.ricicla.tv


Nell'Italia che frena le rinnovabili le emissioni di CO2 tornano a salire

Invertendo la tendenza, le emissioni di CO2 del nostro sistema energetico nel 2015 sono aumentate del 3,5% rispetto all'anno precedente. Visto anche il brusco rallentamento delle rinnovabili è il caso di ricominciare ad accelerare nella transizione energetica.

Le energie rinnovabili rallentano la loro crescita, diminuisce la loro produzione per circostanze meteorologiche, ed ecco che le emissioni di gas serra tornano ad aumentare, ricordandoci che non è assolutamente il caso di tirare i remi in barca o, ancor peggio, di ostacolare le fonti pulite come questo governo sta facendo.
Sì può commentare così il dato preliminare diffuso ieri da Eurostat sulle emissioni di CO2 del nostro sistema energetico, che nel 2015 sono cresciute del 3,5% rispetto all'anno precedente, mentre a livello europeo sono salite dello 0,7%.
Nel 2014, ricordiamo, le emissioni dell'UE erano scese del 5% e quelle dell'Italia del 6,9% (vedi allegati in basso).
I nuovi dati Eurostat
Guardando ai vari Stati membri (grafico sotto) si vede che l'Italia nel 2015 è al sesto posto tra i Paesi in cui le emissioni per usi energetici sono cresciute di più.
Il peggiore risultato lo ha ottenuto la Slovacchia (+9,5% nei confronti del 2014), seguita da Portogallo (+8,6%), Ungheria (+6,7%), Belgio (+4,7%) e Bulgaria (+4,6%), mentre a tagliare di più le emissioni è stata Malta (-26,9%), seguita da Estonia (-16%), Danimarca (-9,9%), Finlandia (-7,4%) e Grecia (-5%).
A livello assoluto (si veda tabella nell'allegato), l'Italia è terza per emissioni legate all'energia nell'UE e contribuisce al 10,6% della CO2 rilasciata nell'Unione. Lo Stato membro che emette di più è la Germania (23% dei rilasci totali UE), seguita dal Regno Unito (12,5%); dopo il nostro Paese, la Francia (9,9%), e la Polonia (9,2%).
Emissioni, domanda, Pil e rinnovabili
Come dicevamo è difficile non collegare l'aumento delle emissioni in Italia alla frenata che le fonti rinnovabili hanno registrato a livello nazionale.
Anche se va detto che la domanda elettrica, per la prima volta dopo quattro anni, nel 2015 è tornata a crescere (+1,5 con 315,2 TWh, +1,3% in termini decalendarizzati), la maggior quantità di CO2 emessa difficilmente può essere ricondotta alla (quasi impercettibile) ripresa economica. Nel 2015, infatti, il Pil è aumentato solo dello 0,8% rispetto al 2014 e sappiamo che il rapporto tra prodotto interno lordo e fabbisogno energetico è sempre più debole nel nostro Paese: è sceso di quasi 9 punti percentuali dal 2010 al 2014.
Più della variazione della domanda sembra contare il fatto che nel 2015, per la prima volta negli ultimi anni, questa è stata soddisfatta meno con le rinnovabili e più con le fossili. Sui consumi elettrici il termoelettrico ha dato l'anno scorso 13 TWh in più rispetto al 2014 (elaborazione QualEnergia.it da dati Terna), mentre la produzione da rinnovabili è scesa di ben 11,6 TWh, circa il 9,6% in meno sul 2014, passando da 120,8 a 109,1 TWh, un livello più basso anche di quello del 2013.
La frenata delle rinnovabili
Ovviamente non è che l'anno scorso che si siano smantellati impianti a rinnovabili: il crollo è stato dovuto soprattutto alle condizioni meteo, che hanno portato a un fortissimo calo nella produzione da idroelettrico che nel 2015 ha pesato per il 40,7% della produzione da rinnovabili e nel 2014 contava per il 49,3%.
È vero però che la crescita delle altre rinnovabili, dal 2014 quasi ferma rispetto agli anni precedenti, non è bastata a compensare la defaillance dell'idro. E la situazione non è per niente rassicurante: nel 2015, stimano gli analisti dell'Energy & Strategy Group, il valore degli investimenti in rinnovabili elettriche in Italia si è fermato a 2 miliardi di euro, contro gli oltre 10 del 2010.
Complessivamente la potenza da FER installata è cresciuta solo dell’1,8% rispetto al 2014, arrivando a 50,3 GW, con un parco impianti che è composto per un terzo della sua capacità da idroelettrici (il 95% dei quali in esercizio ben prima del 2008)
Nemmeno le prospettive per i prossimi anni sono buone e la causa è lo stallo del mercato che si sta producendo per questioni politiche: in primis le riforme che ostacolano la diffusione del FV (spostando verso le componenti fisse i costi elettrici) e la mancanza di un meccanismo incentivante stabile per le altre rinnovabili elettriche. Il nuovo Renewable Energy Report dell'E&S Group (che sarà presentato domani) prevede per il periodo 2016-2020 una crescita delle rinnovabili elettriche rispetto all’installato alla fine del 2015 del +7%, da confrontare con l'aumento del 43% che si è avuto dal 2010 al 2015.
Sonni sotto gli allori e target 2020
Chi vuole mettere un argine alle rinnovabili (e come visto ci è riuscito) fa presente che con un ampio anticipo siamo già oltre l'obiettivo UE 2020 sulle energie pulite. In effetti già nel 2014 i consumi complessivi di energia da rinnovabili (elettricità, consumi termici e trasporti) erano a 20,2 Mtep e al 17,07% dei consumi finali, sopra l'obiettivo assegnatoci dall'UE per il 2020, del 17%.
Non ci si può però addormentare sotto agli allori: nel 2015 il contributo delle rinnovabili è cresciuto solo di 0,9 Mtep e, se ora siamo al 17,3% dei consumi finali, va ricordato che la ripresa economica e il relativo aumento della domanda di energia potrebbe rimandarci sotto al target.
Al di là di questo, infine, va sottolineato che parlando di investimenti in energia non si può guardare a un orizzonte che si ferma a tra 4 anni, cioè al 2020: dobbiamo prepararci già ora per i target 2030 e 2050.
Anche perché con ogni probabilità la transizione energetica, incalzata dall'emergenza clima, dovrà accelerare nei prossimi anni e, come ci insegnano i lavori su clima ed energia di vari economisti, quelli di lord Nicholas Stern in primis, chi agisce prima spende meno.

fonte: http://www.qualenergia.it

In Europa, non più di 100 chili di rifiuti a testa

I dati pubblicati da Eurostat confermano la necessità per l’Europa di stabilire un obiettivo chiaro per i rifiuti residuali
Immagine: In Europa, non più di 100 chili di rifiuti a testa
Secondo le statistiche pubblicate da Eurostat pubblicate di recente, ogni cittadino europeo nel 2014 ha generato 475 chilogrammi di rifiuti e di questi soltanto il 44% è stato riciclato o compostato. Il restante 56% è finito nelle discariche (28%) oppure è stato incenerito (27%).
Zero Waste Europe (ZWE) in queste statistiche ha rilevato due trend costanti rispetto al 2013: uno scarso miglioramento in termini di rifiuti generati e il fatto che i rifiuti vengano bruciati leggermente di più (1,1%) rispetto a quelli che finiscono in discarica. Quelli riciclati sono invece diminuiti.
In generale, i paesi migliori nel trattamento dei rifiuti sembrano incapaci di ridurre la quantità di rifiuti generati, mentre quelli più efficienti nella riduzione del quantitativo di rifiuti prodotti tendono a non riuscire a reintrodurre i materiali nell’economia circolare attraverso il riciclo e il compostaggio.
Tenendo questi dati in considerazione e per fare in modo di avanzare verso un’economia circolare, ZWE chiede l’adozione di obiettivi precisi riguardo ai “rifiuti residuali” (con questa definizione si intendono i rifiuti che non vengono riutilizzati o riciclati e che vengono usati per produrre energia oppure inviati in discarica, N.d.R.).
Questi dovrebbero ammontare al massimo a 100 chilogrammi pro capite all’anno. Questo target sarebbe uno strumento efficace per stimolare il riciclo nei paesi con una bassa produzione di rifiuti e per ridurre la produzione di rifiuti nei paesi che possiedono programmi di riciclaggio avanzati.
Il direttore esecutivo di Zero Waste Europe, Joan Marc Simon ha dichiarato che “Un obiettivo per i rifiuti residuali di 100kg pro capite entro il 2030 sarebbe un buon indicatore dell’efficienza de e dell’utilizzo delle risorse perché funzionerebbe ai livelli più alti della gerarchia dei rifiuti, combinando prevenzione, riutilizzo e riciclaggio”.
Guardando alle statistiche dell’anno 2014 dalla prospettiva dei rifiuti residuali pro capite è possibile constatare che, se si escludono Malta, Cipro (entrambe isole) e la Danimarca, esiste già una considerevole convergenza tra gli stati membri della UE: la media europea pro capite ammonta a 259 chilogrammi: l’obiettivo di ridurre a 100 chilogrammi entro il 2030 è quindi possibile.
La situazione, però, è molto diversa tra i paesi della UE, sia in termini di generazione di rifiuti sia nel loro trattamento. Alcuni stati membri come Romania, Polonia e Lituania sono intorno alla media europea di produzione dei rifiuti con circa 300 chili per abitante, mentre altri stati come Danimarca, Cipro e Germania generano sostanzialmente più della media UE con circa 600 chilogrammi per abitante o, addirittura, 750, in Danimarca.
ZWE ha notato anche che la Slovenia, una recente acquisizione nella UE, è oggi il paese più virtuoso, con buone pratiche nel trattamento dei rifiuti, una bassa generazione e un alto tasso di riciclaggio: i rifiuti residuali ammontavano ad appena 102 chilogrammi pro capite nel 2014.
Joan Marc Simon ha aggiunto che “La economia circolare in Europea richiede di ridurre la produzione di rifiuti e aumentare i tassi di riciclaggio. La Slovenia è un buon esempio di come queste due cose possano accadere simultaneamente”.

Fonte: Zero Waste Europe/ecodallecitta

Eurostat, costante decrescita dei rifiuti urbani nella Ue



Secondo quanto comunicato dall'Eurostat il 22 marzo 2016 ogni persona nel 2014 ha prodotto 475 kg di rifiuti urbani, un dato che continua a scendere, in Italia sono 488 kg di cui il 34% finisce in discarica.
Il rapporto dell'Istituto di statistica europeo evidenzia come dal 2002 al 2014 ci sia stato un calo del 10% dei rifiuti urbani per persona prodotti nell'Unione europea: dai 527 kg per persona del 2002 ai 475 kg del 2014 un dato che è in costante discesa. Dei 475 kg di rifiuti urbani per persona prodotti nel 2014, 465 kg sono stati trattati. Il 28% è stato riciclato, il 28% è finito in discarica, il 27% oggetto di incenerimento e il 16% avviato a compostaggio.
Per quanto riguarda l'Italia nel 2014 la media per persona è stata di 488 kg di cui trattati 455 kg; il 28% sono stati riciclati, il 18% avviati a compostaggio, il 21% oggetto di incenerimento e il 34% sono finiti in discarica, leggermente sopra la media Ue.

fonte: www.reteambiente.it