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Studio EEA sui vantaggi del passaggio all'elettricità rinnovabile

Secondo un briefing dell'Agenzia europea per l'ambiente (EEA), il maggiore utilizzo di elettricità rinnovabile in tutta l'Unione europea non ha solo ridotto le pressioni legate al cambiamento climatico, ma anche all'inquinamento atmosferico e idrico (formazione di particolato, eutrofizzazione e acidificazione). Azioni più mirate possono aiutare a ridurre al minimo gli effetti ambientali negativi dell'aumento della fornitura di elettricità rinnovabile




In tutta l'Unione europea (UE), l'aumento dell'elettricità da fonti rinnovabili come il solare fotovoltaico (FV), l'eolico e le biomasse, entro il 2018, ha ridotto significativamente le emissioni di gas serra.

La valutazione si basa su due report tecnici in cui EEA presenta un'analisi dettagliata del ciclo di vita dei cambiamenti globali negli impatti ambientali complessivi associati alle tendenze del mix energetico dell'UE tra il 2005 e il 2018, in particolare il passaggio a quote crescenti di elettricità prodotta da fonti rinnovabili.

Per la maggior parte delle categorie di impatto esaminate, il passaggio dai combustibili fossili alle fonti di elettricità rinnovabile negli Stati membri dell'UE ha portato a chiari miglioramenti nel 2018 rispetto al 2005. Ciò è dovuto al fatto che l'intensità dell'impatto della generazione di elettricità da combustibili fossili è significativamente maggiore di quella della energia rinnovabile. Pertanto, i potenziali di impatto del ciclo di vita sono stati inferiori per l'eutrofizzazione, la formazione di particolato e l'acidificazione nel 2018 rispetto al 2005, mentre i potenziali di impatto legati all'ecotossicità e all'occupazione del suolo sono leggermente aumentati.

Il briefing mostra anche che il monitoraggio e le azioni mirate possono aiutare a minimizzare alcuni effetti negativi di questa transizione, in particolare quelli riguardanti l'ecotossicità dell'acqua dolce e l'occupazione del suolo.

Le azioni dovrebbero concentrarsi sulla riduzione degli impatti legati all'approvvigionamento di materiali e ai processi di produzione attraverso varie catene di approvvigionamento (ad esempio per moduli solari fotovoltaici e combustibili da biomassa), insieme a miglioramenti nell'efficienza energetica e delle risorse.

Poiché i progetti di elettricità rinnovabile sono destinati a crescere, la valutazione di altri potenziali impatti, come quelli che interessano gli habitat e gli ecosistemi, sarà essenziale per contenere gli impatti futuri.

Gli ultimi dati disponibili mostrano che la quota di energia rinnovabile a livello dell'UE nel 2019 era inferiore di meno di mezzo punto percentuale rispetto all'obiettivo vincolante del 20% per il 2020.

Con il 34% di tutta la produzione di elettricità, l'elettricità rinnovabile è quasi raddoppiata dal 2005 e il carbone non fornisce più la maggior parte dell'elettricità dell'UE. Tuttavia, i combustibili fossili producono complessivamente più elettricità (38% di tutta la produzione nel 2019) rispetto alle fonti rinnovabili.

Con gli impianti basati sulla combustione che dominano il mix energetico, il settore elettrico dell'UE è responsabile di quasi un quarto di tutte le emissioni di gas serra dell'UE.

La piena attuazione dei piani nazionali per il clima e l'energia per il 2030 consentirebbe all'UE di superare i suoi attuali obiettivi per il clima e le energie rinnovabili per il 2030.

Tuttavia, tali progressi sono ancora insufficienti per raggiungere un obiettivo più elevato di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 o per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. L'energia rinnovabile dovrebbe crescere fino a oltre l'80% entro il 2050 per rispettare questi impegni.

Questo briefing si basa sui rapporti
A life cycle perspective on the benefits of renewable electricity generation
Renewable energy in Europe 2020 — recent growth and knock-on effects

Sono inoltre disponibili informazioni sulle politiche e misure nazionali in materia di energia rinnovabile in Europa e sui progressi verso il raggiungimento degli obiettivi energetici.

I dati sulle emissioni di gas serra e di inquinanti atmosferici sono disponibili in visualizzatori di dati dedicati sul sito EEA.

fonte: www.arpat.toscana.it


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Urgente l’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici per i Paesi e le città europee

La costruzione sulle pianure alluvionali, l’aumento della copertura delle superfici del suolo con cemento o asfalto, la piccola quantità di spazi verdi e l’espansione urbana che invade le aree soggette a incendi e frane stanno rendendo le città e le cittadine molto più vulnerabili





Affrontare l’adattamento ai cambiamenti climatici nelle città è sempre più urgente poiché quasi il 75% degli europei vive in aree urbane. Questo numero dovrebbe crescere nei prossimi anni. Inoltre, il modo in cui pianifichiamo e costruiamo le nostre città rimane insostenibile, lo afferma il rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) “Adattamento urbano in Europa: come le città e i paesi rispondono ai cambiamenti climatici.”

https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2021/01/TH-AL-20-020-EN-N-Urban-adaptation-in-Europe-compresso.pdf

In particolare, la continua costruzione sulle pianure alluvionali, l’aumento della copertura delle superfici del suolo con cemento o asfalto, la piccola quantità di spazi verdi e l’espansione urbana che invade le aree soggette a incendi e frane stanno rendendo le città e le cittadine molto più vulnerabili.

Il rapporto fornisce informazioni sullo stato di avanzamento dei lavori sulla pianificazione europea dell’adattamento ai cambiamenti climatici e sugli sforzi compiuti a livello locale.

Sebbene molte autorità locali abbiano compreso l’importanza di diventare resilienti ai cambiamenti climatici, i progressi nella pianificazione dell’adattamento rimangono lenti.

L’attuazione delle misure di adattamento e il monitoraggio dell’efficacia di queste azioni sono ancora più lenti. Il rapporto afferma che le misure attualmente messe in atto si concentrano principalmente sullo sviluppo della conoscenza, sulla sensibilizzazione o sugli 
indirizzi politici.



Le soluzioni di adattamento fisico, come lo sviluppo di più spazi verdi per ridurre gli impatti delle ondate di calore o l’adeguamento dei sistemi fognari per far fronte alle inondazioni improvvise, non sono state ancora implementate allo stesso modo in tutta Europa.

L’adattamento delle città è necessario anche dal punto di vista economico. Le aree urbane sono centri economici chiave sede di industrie e servizi. È necessaria un’azione concertata a tutti i livelli di governance – dall’UE al nazionale al locale – per sostenere l’adattamento urbano attraverso un migliore accesso alla conoscenza e ai finanziamenti, l’impegno politico e l’impegno della comunità e l’integrazione dell’adattamento in tutti i settori politici.

Un altro rapporto dell’EEA, “Monitoraggio e valutazione delle politiche nazionali di adattamento durante il ciclo politico“, sottolinea l’importanza del monitoraggio, della rendicontazione e della valutazione e presenta le esperienze apprese su come migliorare le strategie e i piani di adattamento nazionali in futuro.

https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2021/01/TH-AL-20-15-EN-N-Monitoring-and-evaluation-compresso.pdf

Il rapporto presenta anche esempi di come gli indicatori possono svolgere un ruolo importante nel monitorare i progressi dell’attuazione e aiutare a comprendere l’efficacia di diversi approcci e misure. Oltre agli indicatori locali e nazionali, ulteriori indicatori a livello europeo possono migliorare il quadro di adattamento in tutta l’UE.

fonte: wwww.snpambiente.it


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Occorrono sforzi maggiori per ottenere un Mediterraneo più pulito

Rapporto congiunto dell'Agenzia europea e di quella Onu per l'ambiente



Il raggiungimento di un Mar Mediterraneo più pulito richiede una migliore attuazione delle politiche e dati e informazioni ambientali migliorati, secondo il rapporto congiunto dell'Agenzia europea dell'ambiente EAEA) e del Piano d'azione mediterraneo del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP / MAP) "Verso un Mar Mediterraneo più pulito: un decennio di progressi".

Il rapporto fa il punto sui progressi compiuti e sulle sfide future nell'iniziativa dell'Unione per il Mediterraneo Horizon 2020 per un Mediterraneo più pulito (H2020).

Secondo il rapporto, gli attuali interventi sono efficaci per tenere il passo con le crescenti pressioni ambientali, ma la loro portata potrebbe non essere sufficiente per migliorare lo stato ambientale del Mediterraneo. Questo messaggio principale è coerente con i risultati del "Rapporto sullo stato dell'ambiente e dello sviluppo nel Mediterraneo" che sarà presto pubblicato da Plan Bleu, un Centro di attività regionale del sistema UNEP / MAP-Convenzione di Barcellona.



Il riciclaggio non riesce a tenere il passo con l'aumento della produzione di rifiuti in diversi paesi della sponda meridionale del Mediterraneo, a causa del costo relativamente elevato rispetto allo scarico aperto.

Allo stesso modo, il rapporto mostra che l'accesso a servizi igienico-sanitari gestiti in modo sicuro sta aumentando lentamente, ma almeno 5,7 milioni di persone nelle aree urbane e 10,6 milioni di abitanti rurali non hanno ancora accesso a sistemi igienico-sanitari migliorati.

Un'altra area che necessita di attenzione è la gestione integrata dell'inquinamento, comprese ad esempio politiche efficaci di riutilizzo dell'acqua che affronterebbero la crescente domanda e la diminuzione della disponibilità di acqua.



Nonostante gli sforzi per la transizione verso approcci circolari, importanti settori economici si basano ancora su modelli di business lineari che fanno affidamento su un consumo di risorse e catene di approvvigionamento non sostenibili.

La relazione rileva inoltre la necessità di una gestione più efficace dei rifiuti pericolosi. Finanziamenti adeguati e capacità di costruzione per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti pericolosi in tutto il bacino sono sia critici che urgenti.

Una delle sfide principali è che il panorama politico complesso ed eterogeneo della regione rende difficile affrontare le sfide ambientali in modo olistico. La relazione chiede una migliore applicazione delle politiche, che richiede informazioni ambientali più solide e condivise, nonché lo sviluppo di capacità a livello locale, nazionale e regionale. Sebbene i sistemi di dati regionali siano migliorati in modo significativo, il rapporto indica che c'è stato uno scarso miglioramento nella disponibilità e nella qualità dei dati a livello nazionale.

Per approfondimenti leggi Verso un Mar Mediterraneo più pulito: un decennio di progressi

fonte: www.arpat.toscana.it


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Dal riciclo benefici per un miliardo di euro

Conai ha presentato il Green Economy Report con i risultati economici e ambientali generati dall’attività del sistema consortile.









Secondo quando riporta il Green Economy Report del Sistema Conai (scaricabile QUI), i benefici diretti del recupero e riciclo di imballaggi in Italia hanno superato l'anno scorso il miliardo di euro.
Più in dettaglio, il valore economico della materia recuperata grazie al riciclo è stimata in 402 milioni di euro, quello dell’energia prodotta da recupero energetico si attesta intorno a 27 milioni di euro, mentre l’indotto economico generato dalla filiera è pari a 592 milioni di euro.

Grazie al riciclo, inoltre, sono state risparmiate - sempre nel 2019 - 4 milioni e 469mila tonnellate di materia prima vergine ed evitate immissioni in atmosfera per oltre 4 milioni e 300mila tonnellate di CO2 equivalente.
Per quanto concerne l'utilizzo di risorse - sottolinea Conai - grazie al riciclo si sono risparmiate 433mila tonnellate di plastica - pari a 9 miliardi di flaconi in PET per detersivi da un litro -, 270mila tonnellate di acciaio, oltre 19mila tonnellate di alluminio, un milione e 80mila tonnellate di carta, 907mila tonnellate di legno e un milione e 760mila tonnellate di vetro.



Un altro dato significativo riguarda il numero di discariche evitate grazie al riciclo: in 22 anni, tra il 1998 e il 2019, il sistema Conai ha garantito l’avvio a riciclo di quasi 32 milioni di tonnellate di imballaggi, evitando il riempimento di 160 nuove discariche di medie dimensioni.

"Sono numeri che fanno riflettere - commenta Luca Ruini, Presidente di Conai -. Come ricordo spesso, l’Italia in Europa è seconda solo alla Germania per riciclo pro-capite dei rifiuti di imballaggio. Abbiamo praticamente già raggiunto gli obiettivi europei di riciclo richiesti entro il 2025, e il nostro sistema Paese continua a fare scuola in Europa. Anche perché ha uno dei sistemi di responsabilità estesa del produttore meno costosi e più efficienti". "Dobbiamo continuare a lavorare per incentivare l’eco-design e per sviluppare e potenziare le tecnologie per il riciclo, auspicando al più presto incentivi fiscali per chi usa materia prima seconda: la sua domanda sta purtroppo calando, e non possiamo permetterci di lasciare inutilizzati gli enormi quantitativi di materiale che il Paese ricicla - aggiunge il Presidente di Conai -. Ci auguriamo per questo si arrivi presto anche a una concreta attuazione del Green Public Procurement e alla chiusura di nuovi provvedimenti sull’End of Waste".

Per informazioni: Green Economy Report Conai

fonte: www.polimerica.it


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10 dicembre verrà presentata: L’Italia del Riciclo 2020

Il prossimo 10 dicembre, verrà presentata l’undicesima edizione dell‘Italia del Riciclo 2020

L’Italia del Riciclo 2020, il rapporto annuale sul riciclo e il recupero dei rifiuti, realizzato dalla FONDAZIONE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE e FISE UNICIRCULAR, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e di Ispra.











Il Rapporto, presentato da Edo Ronchi sarà l’occasione per aprire un confronto con i rappresentanti istituzionali sui trend del settore, gli effetti della pandemia, le misure adottate e sulle proposte per rendere il riciclo sempre più protagonista del rilancio economico del nostro paese.

Per i Consorzi e le imprese, infatti, la priorità nei mesi di emergenza e nei successivi è stata quella di garantire il ritiro dei rifiuti su tutto il territorio nazionale e continuare ad avviarli a riciclo cercando di evitare la saturazione degli impianti e la crisi del sistema, ma tra gli effetti a medio termine dell’epidemia ci sono sicuramente i ritardi, i rallentamenti e i tagli degli investimenti programmati nel settore dei rifiuti.


Servono quindi azioni di stimolo per il riciclo e per l’economia circolare di cui si parlerà durante l’evento, in un confronto con Roberto Morassut, Sottosegretario di Stato all’Ambiente, Elio Catania, Consigliere Politiche Industriali del Ministero Sviluppo Economico, Antonio Scino, Capo del Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica Economica (DIPE) – Presidenza del Consiglio dei Ministri, Alessandro Bratti, Direttore Generale ISPRA, Alessia Rotta, Presidente, Commissione Ambiente, Camera dei Deputati e Gianni Girotto, Presidente, Commissione industria, Senato della Repubblica.

Al seguente link potete consultare il programma:
Programma | Link

Per ricevere maggiori info, iscriversi al seguente link:
Registrazione online | Link

L’appuntamento è il 10 dicembre 2020, dalle ore 10.00 alle ore 12.30, sui seguenti canali:
Ricicla Tv
– pagina facebook @fondazionesvilupposostenibile
– sul nostro sito web – www.fondazionesvilupposostenibile.org


fonte: https://www.fondazionesvilupposostenibile.org/


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Acque reflue urbane: il miglioramento della raccolta e del trattamento in tutta l'UE aiuta a ridurre l'inquinamento ambientale

Report della Commissione europea











La Commissione europea ha pubblicato la decima relazione sull'attuazione della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane (UWWTD) che mostra un miglioramento generale nella raccolta e nel trattamento delle acque reflue nelle città e nei paesi europei, ma indica livelli di successo diversi tra gli Stati membri.

La direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane (di seguito "la direttiva") è uno strumento atto ad avvicinare l'UE all'obiettivo ambizioso di inquinamento zero proclamato nel Green Deal europeo.

Essa fa obbligo agli Stati membri di disporre affinché gli agglomerati (città, cittadine, centri urbani) raccolgano e trattino in modo adeguato le acque reflue che altrimenti inquinerebbero fiumi, laghi e mari. In tal modo, la direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane svolge un ruolo fondamentale nel proteggere la salute umana e nel sostenere la resilienza complessiva degli ecosistemi acquatici. Essa può inoltre apportare un contributo significativo all'economia circolare, grazie al riutilizzo dei fanghi di depurazione e delle acque reflue trattate, alla produzione di energia rinnovabile e al riciclaggio dei nutrienti.



La decima relazione biennale sull'applicazione, da parte degli Stati membri, della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane e dei relativi programmi di investimento presenta i dati relativi all'anno 2016 ed è riferita ad oltre 23.600 agglomerati la cui popolazione (e, in misura limitata, l'industria) genera acque reflue per un totale di 612 milioni di abitanti equivalenti (a.e.).

Negli ultimi dieci anni, l'UE ha registrato miglioramenti nella raccolta e nel trattamento delle acque reflue urbane, con tassi di conformità del 95% per la raccolta, dell'88% per il trattamento secondario (biologico) e dell'86% per il trattamento più spinto (eliminazione del fosforo e dell'azoto).



Ma rimane del lavoro da fare per conseguire la piena conformità alla direttiva. Lo scostamento dall'obiettivo rimane significativo in alcuni Stati membri: un quantitativo di acque reflue urbane corrispondente a 6,6 milioni di a.e. (1%) non è raccolto e oltre 37 milioni di a.e. (6%) di acque reflue raccolte non sono adeguatamente trattati conformemente alle norme sul trattamento secondario, mentre quasi 32 milioni di a.e. (8%) non sono conformi alle norme sul trattamento più spinto. Ciò significa che in alcuni agglomerati dell'UE è necessario costruire o migliorare le infrastrutture. Nei casi di inosservanza, sono sistematicamente avviati procedimenti di infrazione.





Il finanziamento e la pianificazione rimangono le principali problematiche cui deve far fronte il settore dei servizi idrici. Il fabbisogno di investimento totale per garantire il rispetto della direttiva, come stimato nel 2016 da tutti gli Stati membri (compreso il Regno Unito all'epoca), ammontano a quasi 229 miliardi di euro. Analogamente, secondo le stime dell'OCSE, tra il 2020 e il 2030 i paesi dell'UE e il Regno Unito dovranno spendere altri 253 miliardi di euro per raggiungere e mantenere la conformità alla direttiva. In molti Stati membri, l'attuale livello di spesa è stato ritenuto troppo basso per conseguire e mantenere la conformità a lungo termine.

fonte: www.arpat.toscana.it/


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UE: L’elettronica di lunga durata giova all’ambiente, al clima e all’economia circolare

L’industria elettrica ed elettronica contribuisce all’Europa socialmente ed economicamente da quasi 100 anni.



Tuttavia, la produzione, l’uso e lo smaltimento dell’elettronica sono attività ad alta intensità di risorse che si traducono in impatti ambientali e climatici significativi.

Estendere la durata e ritardare l’obsolescenza dell’elettronica può ridurre in modo significativo il loro impatto ambientale e climatico e contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea (UE) in materia di ambiente, clima ed economia circolare.



Questo briefing dell‘Agenzia europea dell’ambiente ( EEA ) descrive come aumentare la durata del prodotto e migliorare la “circolarità” siano passaggi essenziali per ridurre gli impatti dell’elettronica.

I casi di studio di 4 diversi gruppi di prodotti elettronici smartphone, televisori, lavatrici e aspirapolvere mostrano che esiste il potenziale per aumenti significativi nel loro utilizzo effettivo.

Estendere la durata e ritardare l’obsolescenza dell’elettronica può ridurre notevolmente gli impatti e contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’UE in materia di ambiente, clima e circolarità.

Messaggi chiave

Ogni anno nell’UE vengono immessi sul mercato in media oltre 20 kg di prodotti elettrici ed elettronici per persona nell’UE, inclusi grandi elettrodomestici come lavatrici, aspirapolvere, frigoriferi e congelatori, nonché elettronica e gadget come computer, TV e telefoni cellulari. (Eurostat, 2019a)
I casi di studio di quattro diversi gruppi di prodotti elettronici mostrano che tutti hanno una vita media effettiva che è di almeno 2,3 anni inferiore a quella progettata o desiderata. Esiste il potenziale per aumenti significativi nell’uso effettivo di questi prodotti.
Estendere la durata e ritardare l’obsolescenza dell’elettronica può ridurre significativamente gli impatti e contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’UE in materia di ambiente, clima e circolarità. L’abilitazione e il potenziamento dei modelli di business circolari supportati dallo sviluppo e dall’attuazione di misure efficaci – progettazione ecocompatibile, etichettatura energetica, appalti pubblici verdi (GPP) e responsabilità estesa del produttore (EPR) – possono supportare questo.

È possibile esaminare la durata dei prodotti elettronici confrontando la durata effettiva con la durata progettata e desiderata:
La durata effettiva si riferisce all’intervallo tra il momento in cui un prodotto viene venduto e il momento in cui viene scartato o sostituito.
La durata di vita progettata è la durata in cui un produttore intende che il suo prodotto rimanga funzionale, modellato attraverso il design e il servizio post-vendita ecc.
La durata desiderata è stata definita come il tempo medio in cui i consumatori desiderano che i prodotti durino.

La differenza tra la durata effettiva, progettata e desiderata di smartphone, aspirapolvere, televisori e lavatrici (che sono stati analizzati nei casi di studio alla base di questo briefing) è mostrata nella Figura qui sotto
Durata di vita di smartphone, televisori, lavatrici e aspirapolvere

Immagine: eea.europa.eu/

Come si può vedere da questo studio dell’Agenzia europea dell’ambiente (EEA) smartphone, televisori, lavatrici e aspirapolvere vengono utilizzati in media ( almeno 2,3 anni) per periodi più brevi rispetto alla durata prevista e desiderata.

Ciò significa che esiste un potenziale significativo per aumentare la durata di vita di questi prodotti, ad esempio, rendendoli più facili da usare per periodi più lunghi, il riutilizzo, la riparazione, la rigenerazione o il riciclaggio.

Smartphone, televisori, lavatrici e aspirapolvere

Al fine di esaminare più in dettaglio la durata e gli impatti ambientali dell’elettronica, nell’ambito di questo studio sono stati elaborati quattro casi di studio per smartphone, televisori LCD, lavatrici e aspirapolvere.

I materiali utilizzati in un prodotto elettronico sono un fattore importante nel determinare la durata e la possibile obsolescenza di quel prodotto. I materiali utilizzati nell’elettronica variano considerevolmente, come mostrato nella Figura sotto.

Per gli smartphone , il materiale principale è il vetro seguito da alluminio, rame e materie prime critiche. Per i televisori LCD i materiali principali sono ferro, plastica e vetro.Anche gli aspirapolvere sono realizzati principalmente con plastica e ferro, mentre le lavatrici sono realizzate principalmente con ferro, cemento e plastica. 

Contenuto medio di smartphone, televisore LCD, lavatrice e aspirapolvere

Immagine: eea.europa.eu/

Per migliorare la “circolarità” dei prodotti elettronici, il briefing dell’AEA sottolinea la necessità di rafforzare i requisiti di progettazione ecocompatibile dei prodotti e di migliorare il loro potenziale di riparazione, smaltimento e rifabbricazione.

CONTINUA A LEGGERE QUI TROVI IL REPORT COMPLETO

INFO: https://www.eea.europa.eu/highlights/longer-lasting-electronics-benefit-environment

fonte: www.economia-circolare.info

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Mayday SOS Plastica

I risultati della campagna di sensibilizzazione e ricerca per lo studio e il monitoraggio della plastica e delle microplastiche in acqua, sedimenti e organismi marini, effettuata da Greenpeace




Nell’estate 2019 l’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM) insieme al Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per lo studio degli Impatti Antropici e Sostenibilità in Ambiente Marino di Genova (CNR-IAS) ha partecipato alla campagna “Mayday SOS Plastica” promossa da Greenpeace, una campagna di sensibilizzazione e ricerca per lo studio e il monitoraggio della plastica e delle microplastiche in acqua, sedimenti e organismi marini.

L’attività si è svolta dal 18 maggio all’8 giugno 2019 nel Tirreno Centrale e precisamente lungo le coste della Toscana, Lazio, Campania e Sardegna, includendo anche isole dell’Arcipelago Toscano (Elba, Giglio, Pianosa, Capraia) e Ponziano (Ventotene), aree prominenti le foci dei fiumi (Foce dell’Ombrone, del Tevere e del Sarno) e aree marine protette come quella di Tavolara-Punta Coda Cavallo (isola di Tavolara, Molara e Molarotto).

È ora disponibile il report nel quale vengono presentati i risultati relativi alla determinazione delle microplastiche (MPs) e delle microfibre (MFs) in pesci e organismi invertebrati campionati durante il tour.

I risultati ottenuti sono utili per fornire nuove informazioni sui livelli, frequenze di ingestione e sulla caratterizzazione chimica delle microparticelle di plastica e microfibre, in specie differenti campionate da aree sottoposte a diverso impatto antropico.

In totale sono stati analizzati 308 organismi di cui 208 pesci appartenenti a 23 specie diverse e 100 invertebrati appartenenti a 3 specie. Le specie sono state scelte per il loro valore commerciale ed ecologico e il numero di individui per ognuna è stato definito secondo le disponibilità.

La frequenza di ingestione delle microfibre da parte delle specie analizzate risulta molto alta, a prescindere dal sito di indagine, e dimostra ancora una volta l’ampia diffusione di MFs lungo le coste del Tirreno. In totale sono state estratte circa 2.000 microfibre (MFs) dagli organismi, misurando una frequenza di ingestione del 89% e una media di 7,1±5,2 MFs per singolo individuo

Una frequenza di ingestione del 100% è stata evidenziata negli organismi dei siti Elba e Giglio Ctrl, 98% per quelli di Fiumicino, 95% per Ventotene, 94% per Giglio Relitto, 93% per Ombrone, 84% per Napoli, 81% per la Sardegna e 67% per Capraia. Il numero medio di microfibre ingerite dagli organismi campionati nei vari siti è risultato essere pari a 8,7±6,8 a Fiumicino, 11±6 a Ventotene, 6,3±5 a Napoli, 9±4 all’Elba, 5,2±4,8 a Capraia, 5±3,8 a Ombrone, 8,7±5 nel sito di Giglio Relitto, 7,7±5 nell’area Giglio Ctrl e 4±3,6 in Sardegna..



La caratterizzazione polimerica ha tuttavia confermato la predominanza di una origine naturale di queste particelle, che non possono quindi essere considerate microplastiche, che per definizione sono costituite da solo materiale di origine sintetica.

Le analisi effettuate su un sub-campione di 287 MF hanno rilevato che l’82,6% di queste erano di origine naturale, a base di cellulosa; il rimanente 17,4% di microfibre sintetiche era costituito per il 90% da poliestere, mentre il 10% era di natura semi-sintetica (viscosa).

I risultati ottenuti in alcuni siti già campionati nelle campagne precedenti del 2014 e 2017 sono stati messi a confronto. Le frequenze di ingestione delle MPs risultano in generale comparabili tra i diversi anni di campionamento, dimostrando che questo tipo di contaminazione ha caratteristiche piuttosto ubiquitarie e costanti nel tempo.

La frequenza generale di ingestione delle microplastiche negli organismi campionati durante la campagna Mayday SOS Plastica nel 2019 risulta del 35%, leggermente superiore a quella già osservata durante la precedente campagna effettuata nel 2017 (30%) e a quella riferita agli organismi del Mar Adriatico (27%).

I risultati ottenuti sul numero di microplastiche ritrovate per individuo avvalora quanto riscontrato in altre aree del Mediterraneo e a livello globale, cioè che il numero delle particelle riscontrate nei tratti gastrointestinali degli organismi è generalmente di 1 o 2 particelle, indipendentemente che siano pesci o invertebrati. Numeri maggiori di particelle ingerite per individuo vengono ritrovati sporadicamente e senza correlazioni con le specie analizzate o i siti di indagine. Più alti sono risultati i valori ottenuti per le microfibre, con una frequenza di ingestione media del 90% ed un numero di MFs mediamente pari a 7,6 ± 5,4 per individuo, confermando i dati già osservati nelle specie campionate in Adriatico.

L’analisi di pesci, rappresentativi di diversi habitat, ha permesso di evidenziare che le specie demersali (es. gallinella, scorfano, pagello fragolino, razza), che hanno una stretta relazione con l’ambiente di fondo dove si alimentano, presentano frequenze di ingestione delle microplastiche maggiori (75-100%) rispetto alle specie pelagiche, in quasi tutti i siti indagati. Questo risultato conferma come i sedimenti e in generale tutta la colonna d’acqua (non solo lo strato superficiale) possano rappresentare un comparto importante di accumulo della plastica e microplastica immessa in mare.

Per quanto riguarda il monitoraggio delle microplastiche in mare, ricordiamo che si tratta di un'attività svolta dalle Agenzie ambientali che compongono il Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente, nell'ambito delle attività svolte per la Strategia Marina dell'Unione Europea.

Per quanto riguarda la Toscana, i Programmi di monitoraggio sono iniziati nel 2015 ed hanno cadenza triennale. I risultati del triennio 2015-2017 sono stati presentati lo scorso anno in occasione del convegno MS SeaDay, indicando un numero medio di microplastiche di 0,38 per metro cubo e di 0,09 per metro quadrato, dato indicato come media aritmetica e confrontabile con quelli rilevati nelle altre sottoregioni italiane (Mediterraneo Occidentale di cui la Toscana fa parte, Adriatico, Ionio e Mediterraneo centrale): rispetto alle altre sottoregioni il dato toscano risulta più basso.

ARPAT come le altre agenzie costiere ha svolto programmi di monitoraggio per i 13 moduli operativi (fra i quali quello appunto relativo alle microplastiche) previsti dalla Strategia Marina ed ISPRA ha redatto i report per ciascun descrittore, che sono stati resi disponibili nel sito http://www.db-strategiamarina.isprambiente.it/.

Per chi vuole approfondire:
articoli di Arpatnews sul tema delle microplastiche
articoli di AmbienteInforma sulle attività SNPA per la Strategia Marina


fonte: http://www.arpat.toscana.it/


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Cambiamenti climatici e agricoltura

Un rapporto della Fondazione Nordest



L'agricoltura è uno dei settori produttivi maggiormente esposti agli impatti derivanti dalla variabilità e dal cambiamento del clima. Sebbene alcuni effetti del riscaldamento globale possano inizialmente portare a un potenziale aumento delle rese, l'aggravarsi degli eventi estremi, l'insufficienza idrica e lo stress termico potranno innescare danni anche irreversibili all'agricoltura e ai sistemi agro-alimentari.

Il tema è stato oggetto di approfondimento con il report "Cambiamenti climatici e agricoltura nel Nordest" prodotto dalla Fondazione NordEst (*).
Gli effetti del cambiamento climatico sull'agricoltura

Il rapporto evidenzia come l’innalzamento delle temperature determinerà una variazione del ciclo idrologico. Le precipitazioni diminuiranno ma saranno più intense, cambieranno i regimi di portata dei fiumi, i processi di evapotraspirazione e accumulo di acqua e umidità nel suolo. Gli eventi estremi quali siccità, grandine, venti forti e ondate di calore aumenteranno e a loro volta potranno innescare fenomeni come incendi, alluvioni e frane. Gli impatti varieranno da regione a regione, a seconda degli scenari futuri di emissione di anidride carbonica in atmosfera.



Le possibili misure da intraprendere nella gestione delle attività agricole dovranno considerare una serie di impatti nel settore:
la resa agricola risulterà sempre più variabile di anno in anno;
è possibile una proliferazione e diffusione di alcune nuove specie di insetti ed erbe infestanti, con effetti significativi sulla produzione agricola;
la gestione dei parassiti e delle malattie delle colture richiederà un adeguamento dei tempi, delle tipologie e dell’efficacia delle misure chimiche e biologiche di controllo;
sarà necessario fare i conti con estati più siccitose e con aumenti di fabbisogno idrico per le colture intensive;
l’innalzamento del livello del mare porterà alla salinizzazione delle risorse idriche sia superficiali che sotterranee, influenzando l’approvvigionamento idrico nei territori in prossimità delle aree costiere.

Gli impatti interesseranno tutti gli aspetti relativi alla sicurezza alimentare, tra i quali l'accesso e la qualità del cibo e la stabilità dei prezzi. Si stima che, per un riscaldamento globale maggiore di 1,5-2°C, i rischi nel settore agricolo, energetico, alimentare e idrico potranno sovrapporsi spazialmente e temporalmente, andando ad interessare un numero sempre maggiore di persone e regioni. 


Come l'agricoltura contribuisce al cambiamento climatico e come può mitigarlo

Se da un lato l’agricoltura è un settore particolarmente vulnerabile agli impatti del cambiamento climatico e richiede la definizione tempestiva di strategie di adattamento, dall’altro può avere un ruolo fondamentale nella riduzione delle emissioni di gas serra in atmosfera e può contribuire in modo significativo alle strategie di mitigazione, quali lo stoccaggio di carbonio nei suoli.



Le emissioni di gas serra del settore agricolo sono consistenti e includono sia le emissioni relative dalla produzione diretta, che le emissioni di combustibili fossili lungo la filiera agricola, oltre a quelle derivanti dalla deforestazione volta a ottenere nuove superfici coltivabili.

Tra i principali gas serra generati dall’agricoltura si trovano metano e protossido di azoto, più potenti dell'anidride carbonica e generati dall'uso dei fertilizzanti, deiezioni animali e gestione intensiva del suolo. Nello specifico, quasi la metà delle emissioni dell’intero settore agricolo sono dovute agli allevamenti zootecnici che includono la produzione e la lavorazione dei mangimi, la fermentazione enterica e la decomposizione del letame.

L’azione di mitigazione dei cambiamenti climatici nel settore agricolo interessa da una parte una riduzione diretta dei gas serra e dall’altra un calo delle emissioni attraverso una gestione più efficiente dei terreni e degli allevamenti animali.

In generale, le opportunità di mitigazione per il settore agricolo includono:
opzioni dal lato della domanda: le emissioni di gas serra potrebbero essere mitigate riducendo lo spreco di cibo lungo la catena alimentare; attraverso cambiamenti nelle abitudini alimentari (ad esempio riducendo il consumo di carne); riducendo il consumo di legna.
opzioni dal lato dell’offerta: riduzione delle emissioni derivanti da una gestione più efficiente delle pratiche di fertilizzazione e degli allevamenti; diminuzione dei consumi energetici sostituendo il combustibile fossile con la biomassa; aumento della capacità di sequestro di carbonio nei terreni agricoli.

A livello globale l’agricoltura si trova innanzi a tre grandi sfide: diminuire il suo impatto in termini di emissioni di gas serra; diventare più resiliente e adattarsi ai cambiamenti climatici; garantire una produzione di cibo sufficiente in relazione alla crescita demografica.

Pertanto, le politiche che regolano le pratiche in agricoltura devono tener conto della mitigazione e dell’adattamento al cambiamento climatico in un quadro più generale di sostenibilità ambientale e socioeconomica, sfruttando eventuali sinergie tra queste misure.
(*) Fondazione Nord Est è il forum economico a cui hanno data vita le Confindustrie e le diverse categorie economiche del Nord Est d’Italia. Fondazione Nord Est è l’interfaccia tra il mondo della ricerca (dell’Università in primis), in cui si definisce e comprende il futuro. I suoi studi e ricerche spaziano dall’innovazione tecnologica e digitale alle nuove tendenze dei mercati, dai nuovi sistemi organizzativi e produttivi alle implicazioni per le imprese italiane di dinamiche internazionali come la crescita ineguale, il cambiamento climatico, l’invecchiamento della popolazione, la robotizzazione delle produzioni, l’economia circolare, eccetera. 


fonte: http://www.arpat.toscana.it/



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Frane in Italia: Ispra presenta la nuova piattaforma con tutti i dati nazionali

In diretta sulla pagina Facebook dell'Ispra il 21 maggio la presentazione dell'Inventario dei fenomeni franosi



















Un nuovo strumento open source e open data per la consultazione e la condivisione di dati, mappe, report e documenti. E’ l’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia realizzato da Ispra e che sarà presentato giovedì 21 maggio alle ore 15 in diretta Facebook sulla pagina dell’Ispra.
La piattaforma contiene tutte le mappe nazionali di pericolosità e gli indicatori di rischio. Nel corso dell’evento in streaming saranno illustrate le attività di censimento, monitoraggio e pianificazione territoriale, oltre alle nuove tecnologie applicate da regioni e province autonome.
Qui tutte le info dell’evento.

fonte: https://www.snpambiente.it/



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Report EFSA: per le associazioni ambientaliste e del biologico è un maldestro tentativo di assoluzione dei pesticidi e dell’attuale modello di agricoltura non più sostenibile




















Dichiarazione di ISDE, WWF, Legambiente, FederBio, Slow Food, Apab, Aiab, Lipu, Pro Natura

Le scorse settimane è stato pubblicato un rapporto di EFSA (l’agenzia europea che si occupa della sicurezza alimentare) dal titolo “Cumulative dietary risk characterisation of pesticides that have chronic effects on the thyroid”.

Il report, riguardante i risultati di due studi pilota retrospettivi su rischi per la salute umana da esposizione cumulativa a multiresiduo di pesticidi per via alimentare, è giunto alla rassicurante conclusione che da tale esposizione non vi sarebbero conseguenze negative per alcuni effetti cronici sulla tiroide e per due effetti acuti sul Sistema Nervoso Centrale (gli unici indagati)

Lo studio affronta un problema di cruciale importanza per la salute pubblica, data la presenza di residui di uno o più pesticidi nel 40.6% degli alimenti, come riportato da EFSA in un report del 2018, in cui però non si faceva distinzione fra multiresiduo e singolo residuo. Dagli ultimi controlli eseguiti in Italia il multiresiduo è in aumento, sono presenti più di un pesticida nel 40% dei campioni di frutta e nel 15% delle verdure, con un massimo di 9 diversi pesticidi nelle fragole e 6 nell’uva da tavola.

Le associazioni ISDE, WWF, Legambiente, FederBio, Slow Food, Apab, Aiab, Lipu e Pro Natura ritengono che questo report dell’EFSA sia solo un esercizio di tipo matematico-statistico, costruito su un modello gravemente lacunoso, in cui si è ricercato solo quello che a priori era prevedibile non trovare, senza invece indagare su ciò che la comunità scientifica da tempo segnala. Per le Associazioni il report di EFSA è un grande “castello di carta”, le cui rassicuranti conclusioni non possono essere in alcun modo condivise. Esistono, infatti, numerose criticità sia di ordine generale che metodologico bene evidenziate nel documento di analisi prodotto dalle stesse Associazioni ambientaliste: Considerazioni sul report EFSA “Cumulative dietary risk characterisation of pesticides that have chronic effects on the thyroid”.

“Il report appare, più che uno studio finalizzato a tutelare la salute pubblica, un maldestro tentativo di assoluzione dei pesticidi e dell’attuale modello agricolo dipendente dalle sostanze chimiche di sintesi – dichiarano le Associazioni – la presenza di multiresiduo negli alimenti rappresenta un problema di grande rilievo per la salute pubblica ed è fonte di preoccupazione nella comunità scientifica e nella società civile, specie per gli effetti sulle componenti più sensibili della popolazione come i bambini, anche perché si assiste ad un aumento della percentuale di campioni con multiresiduo e del numero dei pesticidi presenti”.

Le Associazioni evidenziano inoltre che “la letteratura dispone ormai di consolidate conoscenze che attestano i vantaggi per la salute derivanti da una alimentazione biologica il cui incremento comporta riduzione nella incidenza di infertilità, malformazioni, allergie, otite media, ipertensione in gravidanza, sindrome metabolica, elevato indice di massa corporea, linfomi non Hodgkin. La salute dell’uomo non si può disgiungere da quella degli ecosistemi del Pianeta e sempre più si afferma, anche nel mondo accademico un modello agricolo che rigetta l’uso della chimica e si fonda su un paradigma completamente diverso, quello dell’agricoltura biologica che è l’implementazione pratica dei principi dell’Agroecologia”

In definitiva con questo report, l’EFSA, ha perso una buona occasione per recuperare credibilità e riconquistare la fiducia dei cittadini europei, valori già pesantemente offuscati dalla vicenda glifosate e dai pesanti conflitti d’interesse che hanno caratterizzato il percorso autorizzativo dell’erbicida per il suo utilizzo fino al 2022.


CLICCA QUA PER SCARICARE IL DOCUMENTO COMPLETO 

fonte: www.isde.it


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WWF: biodiversità e pandemia

L'azione distruttiva dell'uomo nei confronti dei complessi equilibri dinamici della biosfera e l'intervento sugli ecosistemi possono portare a conseguenze che hanno un impatto diretto sul benessere umano, in particolare sulla nostra salute




In molti si chiedono, in questo particolare momento, se esista una corrrelazione tra le malattie, come il COVID-19 (COronaVIrus Disease-2019), che stanno terrorizzando il Pianeta e le dimensioni epocali della perdita di natura.

Al momento non esistono risposte certe ma il WWF offre il suo punto di vista sulla questione nel suo recente report sulla possibile correlazione tra distruzione degli ecosistimi e pandemie.



Si stima, infatti, che l'uomo abbia modificato in modo significativo il 75% dell’ambiente terrestre e circa il 66% di quello marino e messo a rischio di estinzione circa 1 milione di specie animali e vegetali.

L'IPBES (Intergovernamental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services dell’ONU) ha definito questo scenario come “unprecedented”, ovvero senza precedenti.

Le emissioni di gas serra sono raddoppiate, provocando un aumento delle temperature medie globali di un grado °C rispetto all’epoca preindustriale, mentre il livello medio globale del mare è aumentato tra i 16 e i 21 centimetri dal 1900.

Le foreste pluviali che si stima producano, nel loro complesso, oltre il 40% dell’ossigeno terrestre, sono oggetto di deforestazione, una delle principali cause del riscaldamento globale, poiché produce dal 12 al 20% delle emissioni di gas serra. Ad oggi abbiamo perso quasi la metà della superficie forestale che abbracciava e proteggeva il nostro pianeta. Secondo uno studio si stima che all’inizio della rivoluzione agricola vi fossero sulla Terra circa 6.000 miliardi di alberi, mentre oggi ne restano circa 3.000 miliardi.

I cambiamenti di uso del suolo e la distruzione di habitat naturali sono considerati responsabili di circa la metà delle zoonosi emergenti. Infatti le foreste ospitano milioni di specie in gran parte sconosciute alla scienza moderna, tra cui virus, batteri, funghi e molti altri organismi molti dei quali parassiti, nella più parte dei casi benevoli che non riescono a vivere fuori del loro ospite e non fanno troppi danni.

Oggi, però, lo sfruttamento del territorio, con la costruzione di strade di accesso alla foresta, l’espansione di territori di caccia e la raccolta di carne di animali selvatici (bushmeat), lo sviluppo di villaggi in territori prima selvaggi, ha portato la popolazione umana ad un contatto più stretto con l’insorgenza del virus.

Tutti questi cambiamenti hanno provocato, e stanno producendo, impatti diffusi in molti aspetti della biodiversità. Secondo il WWF, alcune delle conseguenze dell'azione umana sul Pianeta e sugli ecosistemi potrebbero essere:
l'aumento dei siti di riproduzione dei vettori delle malattie
la perdita di specie predatrici e la diffusione amplificata degli ospiti serbatoio
i trasferimenti di patogeni tra specie diverse
i cambiamenti genetici indotti dall'uomo di vettori di malattie o agenti patogeni (come la resistenza delle zanzare ai pesticidi)
la contaminazione ambientale con agenti di malattie infettive.

Il report sottolinea come le periferie degradate e senza verde di tante metropoli tropicali siano l'habitat ideale per malattie pericolose come la febbre dengue, il tifo, il colera, la chikungunya. Inoltre i mercati di quelle stesse metropoli, che siano in Africa o in Asia, fanno il resto, vendendo quello che rimane della fauna predata: animali selvatici vivi, parti di scimmie e tigri, carne di serpente, scaglie di pangolini e altro ancora, creando nuove opportunità per vecchie e nuove zoonosi.

Il riscaldamento globale, infine, contribuisce a creare un habitat ideale per virus e batteri, che prediligono il caldo umido favorito dalle nuove condizioni climatiche.

Questo scenario aiuterebbe i patogeni a passare da una specie ospite ad un’altra, realizzando il cd spillover. Secondo il report, tra tutte le malattie emergenti, le zoonosi di origine selvatica potrebbero rappresentare, in futuro, la più consistente minaccia per la salute della popolazione mondiale. Il 75% delle malattie umane fino ad oggi conosciute derivano da animali e il 60% delle malattie emergenti sono state trasmesse da animali selvatici.



Tutto questo non ha solo conseguenze di tipo sanitario ma anche un chiaro impatto socio-economico.



Per fronteggiare questa situazione, il WWF propone, nel suo report, di adottare l'approccio "One Health”, che riconosce come la salute degli esseri umani sia strettamente legata alla salute degli animali e dell’ambiente.

Un concetto strategico, formalmente riconosciuto da tanti organismi delle Nazioni Unite dall’UNEP, all’UNDP, dalla OMS alla FAO, all’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale (OIE), alla Commissione Europea sino a Istituti di ricerca di tutto il mondo, ONG e altri enti.

One Health si basa su un concetto olistico di salute delle persone, degli animali, delle piante, degli ambienti di vita e lavoro e degli ecosistemi, promuovendo l’applicazione di un approccio multidisciplinare e collaborativo per affrontare i rischi potenziali o reali che hanno origine dall’interfaccia tra ambiente di vita e lavoro, popolazioni animali ed ecosistemi.

Leggi il report WWF Italia: "Pandemie, l'effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi. Tutelare la salute umana conservando la biodiversità"

fonte: http://www.arpat.toscana.it


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Segnali crescenti dell’impatto dei cambiamenti climatici

Un nuovo rapporto WMO evidenzia gli effetti su atmosfera, terra e oceani





I segnali rivelatori del cambiamento climatico, come l'aumento del calore terrestre e oceanico, l'accelerazione dell'innalzamento del livello del mare e lo scioglimento dei ghiacci, sono evidenziati in un nuovo rapporto redatto dall'Organizzazione meteorologica mondiale in collaborazione con una vasta rete di partner, comprendenti i servizi meteorologici e idrologici nazionali, i principali esperti internazionali, i servizi e le istituzioni scientifiche e agenzie dell’ONU.

Il rapporto documenta gli impatti degli eventi meteorologici e climatici sullo sviluppo socioeconomico, sulla salute umana, sulle migrazioni, sulla sicurezza alimentare e sugli ecosistemi terrestri e marini.

La relazione fornisce informazioni autorevoli per i responsabili politici sulla necessità di un'azione per contrastare il cambiamento climatico.

Il rapporto conferma che il 2019 è stato il secondo anno più caldo dal 1850, che gli anni 2015-2019 sono i cinque anni più caldi registrati e che il periodo 2010-2019 è il decennio più caldo mai registrato. Dagli anni '80, ogni decennio successivo è stato più caldo di qualsiasi decennio precedente dal 1850.

Il 2019 si è concluso con una temperatura media globale di 1,1° C al di sopra dei livelli preindustriali stimati, seconda solo al record stabilito nel 2016, quando un fortissimo evento di El Niño ha contribuito ad aumentare la temperatura media globale, ponendola al vertice della tendenza generale del riscaldamento.

"Attualmente non siamo in grado di raggiungere gli obiettivi di 1,5°C o 2°C richiesti dall'accordo di Parigi", ha affermato nella prefazione del rapporto il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.

"Questo rapporto raccoglie le informazioni scientifiche più recenti e indica l'urgenza di un'azione climatica di vasta portata. Riunisce dati provenienti da tutti i campi della scienza del clima ed elenca i potenziali impatti futuri dei cambiamenti climatici - dalle conseguenze sulla salute e sull'economia alla riduzione della sicurezza alimentare e all'aumento dei migranti", ha anche affermato Guterres.

“Dato che i livelli di gas serra continuano ad aumentare, il riscaldamento continuerà. Una recente previsione indica che è probabile un nuovo record annuale di temperatura globale anche nei prossimi cinque anni", ha detto il segretario generale del WMO.

“Abbiamo appena trascorso il gennaio più caldo mai registrato. L'inverno è stato insolitamente mite in molte parti dell'emisfero settentrionale. Fumo e inquinanti provocati dagli incendi in Australia hanno circumnavigato il globo, provocando un picco delle emissioni di CO2. Le temperature record segnalate in Antartide sono state accompagnate da una fusione del ghiaccio su larga scala e dalla frattura di un ghiacciaio che avrà ripercussioni sull'innalzamento del livello del mare ", ha inoltre affermato il rappresentante WMO.

E ancora: “La temperatura è un indicatore dei cambiamenti climatici in corso. I cambiamenti nella distribuzione globale delle precipitazioni hanno avuto un impatto notevole su diversi paesi. I livelli del mare stanno aumentando a un ritmo crescente, in gran parte a causa dell'espansione termica dell'acqua di mare e dello scioglimento dei più grandi ghiacciai, come in Groenlandia e in Antartide. Ciò sta esponendo le aree costiere e le isole a un maggior rischio di inondazioni e di sommersione delle aree basse".
Indicatori climatici
Gas a effetto serra

Nel 2018, emissioni di gas a effetto serra hanno raggiunto nuovi massimi, con un livello globale di anidride carbonica (CO2) pari a 407,8 ± 0,1 parti per milione (ppm), metano (CH4) a 1869 ± 2 parti per miliardo (ppb) e protossido di azoto (N2O) a 331,1 ± 0,1 ppb. I dati preliminari indicano che le concentrazioni di gas a effetto serra hanno continuato ad aumentare nel 2019.

Una proiezione preliminare delle emissioni globali di CO2, utilizzando i dati dei primi tre trimestri del 2019, suggerisce che le emissioni aumenterebbero del + 0,6% nel 2019 (con un intervallo compreso tra -0,2% e + 1,5%).


Onde di calore marine

Oltre il 90% dell'energia in eccesso che si accumula nel sistema climatico a seguito di maggiori concentrazioni di gas serra va nell'oceano. Nel 2019, il contenuto di calore dell'oceano fino a una profondità di 2 chilometri ha superato i massimi precedenti registrati nel 2018.

Il riscaldamento degli oceani ha un impatto diffuso sul sistema climatico e contribuisce a oltre il 30% dell'innalzamento del livello del mare attraverso l'espansione termica dell'acqua di mare. Sta alterando le correnti oceaniche e alterando indirettamente i percorsi delle tempeste e sciogliendo i banchi di ghiaccio galleggianti. Insieme all'acidificazione e alla disossigenazione degli oceani, il riscaldamento degli oceani può portare a drammatici cambiamenti negli ecosistemi marini.

Nel 2019, l'oceano ha vissuto in media quasi 2 mesi di temperature insolitamente calde. Almeno l'84% dell'oceano ha subito almeno un'ondata di calore marina.
Acidificazione degli oceani

Nel decennio 2009-2018, l'oceano ha assorbito circa il 23% delle emissioni annuali di CO2, attenuando gli impatti dei cambiamenti climatici ma aumentando l'acidità degli oceani. Il cambiamento di pH riduce la capacità di calcificazione degli organismi marini come cozze, crostacei e coralli, influenzando la vita marina, la crescita e la riproduzione.
Deossigenazione oceanica

L'ossigeno sta diminuendo negli oceani aperti e costieri, compresi gli estuari e i mari semi-chiusi. Dalla metà del secolo scorso, l'inventario globale dell'ossigeno nell'oceano ha registrato una diminuzione dell'1%–2% (77 miliardi – 145 miliardi di tonnellate).
Ecosistemi marini

La disossigenazione insieme al riscaldamento e all'acidificazione degli oceani è ora vista come una grave minaccia per gli ecosistemi oceanici e il benessere delle persone che dipendono da loro. Si prevede che le barriere coralline scenderanno al 10% -30% della precedente copertura a 1,5°C di riscaldamento e a meno dell'1% a 2°C di riscaldamento.
Livello dei mari

Il livello del mare è aumentato nel corso del tempo, principalmente a causa dello scioglimento delle calotte glaciali in Groenlandia e Antartide. Nel 2019, il livello medio globale del mare ha raggiunto il suo valore più alto.


Ghiacci

Il continuo declino a lungo termine del ghiaccio marino artico è stato confermato nel 2019. L'estensione media mensile di settembre (di solito la più bassa dell'anno) è stata la terza più bassa mai registrata.

La calotta glaciale della Groenlandia ha registrato nove dei 10 anni di bilancio di massa superficiale più bassi degli ultimi 13 anni. E il 2019 è stato il 7° più basso mai registrato. In termini di bilancio di massa totale. La Groenlandia ha perso circa 260 Gt di ghiaccio all'anno nel periodo 2002-2016, con un massimo di 458 Gt nel 2011/12. La perdita nel 2019 è stata di 329 Gt, ben al di sopra della media.
Ghiacciai

I risultati preliminari del World Glacier Monitoring Service indicano che il 2018/19 è stato il 32° anno consecutivo di bilancio di massa negativo per i ghiacciai di riferimento selezionati. Dal 2010 sono stati registrati otto dei dieci anni di bilancio di massa più negativi.
Impatti climatici

Il rapporto dedica un'ampia sezione agli impatti meteorologici e climatici sulla salute umana, sulla sicurezza alimentare, sulla migrazione, sugli ecosistemi e sulla vita marina.
Salute

Le condizioni di caldo estremo stanno causando problemi crescente alla salute umana e ai sistemi sanitari.

Nel 2019, le alte temperature da record di Australia, India, Giappone ed Europa hanno influenzato negativamente la salute e il benessere. In Giappone, un grande evento di ondata di calore ha provocato oltre 100 morti e ulteriori 18.000 ricoveri. In Francia sono stati registrati oltre 20.000 ricoveri al pronto soccorso per malattie legate al calore tra giugno e metà settembre e durante due grandi ondate di caldo estivo, si sono registrati in totale 1462 decessi in eccesso nelle regioni colpite.


I cambiamenti nelle condizioni climatiche dal 1950 stanno rendendo più facile per le specie di zanzare Aedes la trasmissione del virus della dengue, aumentando il rischio di insorgenza di malattie. Parallelamente, l'incidenza globale della dengue è cresciuta notevolmente negli ultimi decenni e circa metà della popolazione mondiale è ora a rischio di infezione. Nel 2019, il mondo ha registrato un forte aumento dei casi di dengue.
Sicurezza del cibo

La variabilità climatica e gli eventi meteorologici estremi sono tra i fattori chiave del recente aumento della fame nel mondo e una delle principali cause di gravi crisi. Dopo un decennio di costante declino, la fame è di nuovo in aumento - oltre 820 milioni di persone hanno sofferto la fame nel 2018. Tra 33 paesi colpiti da crisi alimentari nel 2018, la variabilità climatica e il clima costituiscono un fattore trainante insieme a shock economici e conflitti in 26 paesi e la principale causa in 12 su 26. Alla luce di ciò, la comunità globale deve affrontare un'enorme sfida per raggiungere l'obiettivo Fame Zero dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

La situazione della sicurezza alimentare si è notevolmente deteriorata nel 2019 in alcuni paesi del Corno d'Africa a causa di eventi climatici estremi, migrazioni, conflitti e violenze. Alla fine del 2019, circa 22,2 milioni di persone (6,7 milioni in Etiopia, 3,1 milioni in Kenya, 2,1 milioni in Somalia, 4,5 milioni nel Sud Sudan, 5,8 milioni in Sudan) sono state stimate come gravemente insicure dal punto di vista alimentare, numeri solo leggermente inferiori rispetto a quelli della grave e prolungata siccità nel 2016-17.

C'è stata un'aridità eccezionale a marzo e gran parte di aprile 2019, seguita da piogge insolitamente intense e inondazioni da ottobre a dicembre. Le precipitazioni insolitamente intense alla fine del 2019 sono state anche un fattore nel grave focolaio di locuste del deserto nella regione del Corno d'Africa - il peggiore in oltre 25 anni e il più grave in 70 anni per il Kenya. Si prevede che questo si diffonderà ulteriormente entro giugno 2020 in una grave minaccia alla sicurezza alimentare.


Sfollati

Più di 6,7 milioni di nuovi sfollati sono stati registrati tra gennaio e giugno 2019, causati da eventi idrometeorologici come il ciclone Idai nell'Africa sud-orientale, il ciclone Fani nell'Asia meridionale, l'uragano Dorian nei Caraibi e le inondazioni in Iran, Filippine ed Etiopia. Si prevede che questo numero raggiungerà quasi i 22 milioni nel 2019, rispetto ai 17,2 milioni nel 2018. Di tutti i pericoli naturali, inondazioni e tempeste hanno contribuito maggiormente allo sfollamento.
Eventi di grande impatto
Inondazioni

È stato riferito che oltre 2200 vite sono state perse in vari episodi di alluvione in India, Nepal, Bangladesh e Myanmar durante la stagione dei monsoni, iniziata tardi ma terminata con un totale di precipitazioni superiore alla media di lungo periodo.

Le precipitazioni negli Stati Uniti per il periodo da luglio 2018 a giugno 2019 (962 mm) sono state le più alte mai registrate. Le perdite economiche totali causate dalle inondazioni negli Stati Uniti nel 2019 sono state stimate a 20 miliardi di dollari USA.

Le condizioni molto umide hanno colpito parti del Sud America a gennaio. Vi sono state gravi inondazioni nel nord dell'Argentina, nell'Uruguay e nel sud del Brasile, con perdite in Argentina e Uruguay stimate a 2,5 miliardi di dollari.

La Repubblica islamica dell'Iran è stata gravemente colpita dalle inondazioni di fine marzo e inizio aprile. Le gravi inondazioni hanno colpito molte parti dell'Africa orientale colpite fino ad ora in ottobre e all'inizio di novembre.
Siccità

La siccità ha colpito molte parti del sud-est asiatico e dell'Australia, che ha registrato il suo anno più secco. Africa meridionale, America centrale e parti del Sud America hanno ricevuto quantità di precipitazioni anormalmente basse.


Ondate di calore

L'Australia ha terminato l'anno come aveva iniziato: con un caldo estremo. L'estate 2018-2019 è stata la più calda mai registrata, così come dicembre. Il giorno più caldo in Australia (41,9 ° C) è stato il 18 dicembre. I sette giorni più caldi in Australia, e nove dei 10 più caldi, si sono verificati nel 2019.

Due grandi ondate di calore si sono verificate in Europa a fine giugno e fine luglio. In Francia, il 28 giugno a Vérargues è stato stabilito un record nazionale di 46.0°C (1.9°C sopra il record precedente). I record nazionali sono stati stabiliti anche in Germania (42,6°C), Paesi Bassi (40,7°C), Belgio (41,8°C), Lussemburgo (40,8°C) e Regno Unito (38,7°C), con il calore che si estende anche in i paesi nordici, dove Helsinki ha registrato la temperatura più alta mai registrata (33,2°C il 28 luglio).
Incendi boschivi

È stato un anno di fuoco sopra la media in diverse regioni ad alta latitudine, tra cui la Siberia (Federazione Russa) e l'Alaska (USA).

La grave siccità in Indonesia e nei paesi vicini ha portato alla stagione degli incendi più significativa dal 2015. Il numero di incendi segnalati nella regione brasiliana dell'Amazzonia è stato solo leggermente superiore alla media decennale.

L'Australia ha vissuto una stagione degli incendi eccezionalmente prolungata e grave nella seconda parte del 2019 con ripetuti focolai che sono proseguiti fino a gennaio 2020. All'inizio del 2020 sono stati segnalati 33 decessi e oltre 2000 proprietà sono state perse, per un totale di circa 7 milioni gli ettari bruciati nel Nuovo Galles del Sud e Victoria.

Le emissioni totali giornaliere di CO2 degli incendi hanno generalmente seguito la media 2003-2018, secondo il set di dati del sistema di monitoraggio degli incendi globali ECMWF del servizio di monitoraggio atmosferico Copernicus. I maggiori aumenti sopra la media dei 17 anni di luglio, agosto, settembre e fine dicembre corrispondono rispettivamente all'attività di picco degli incendi nell'Artico / Siberia, Indonesia e Australia.


Cicloni tropicali

L'attività dei cicloni tropicali a livello globale nel 2019 è stata superiore alla media. L'emisfero settentrionale ha registrato 72 cicloni tropicali. Anche la stagione dell'emisfero australe 2018-19 è stata al di sopra della media, con 27 cicloni.

Il ciclone tropicale Idai ha raggiunto il Mozambico il 15 marzo, ed è stato uno dei più forti conosciuti sulla costa orientale dell'Africa, causando molte vittime e devastazioni diffuse. Idai ha contribuito alla completa distruzione di quasi 780000 ha di colture in Malawi, Mozambico e Zimbabwe, minando ulteriormente una precaria situazione di sicurezza alimentare nella regione. Il ciclone ha provocato anche almeno 50905 sfollati nello Zimbabwe, 53237 nel Malawi meridionale e 77019 in Mozambico.

Uno dei cicloni tropicali più intensi dell'anno è stato Dorian, che ha raggiunto con intensità di categoria 5 le Bahamas. La distruzione è stata aggravata dal fatto che il ciclone si spostava lentamente ed è rimasto fermo per circa 24 ore.

Il tifone Hagibis ha interessato la zona ovest di Tokyo il 12 ottobre, causando gravi inondazioni.

Per approfondimenti leggi il rapporto WMO Statement on the State of the Global Climate in 2019

fonte: http://www.arpat.toscana.it


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