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Le pillole di sostenibilità di ARPAT: organizzare una festa sostenibile per bambine e bambini

 


Nella nostra nuova pillola di sostenibilità, qualche suggerimento per una festa di compleanno con impronta green, perché il rispetto per l’ambiente va promosso e diffuso fin dalla più tenera età

Ogni occasione è buona per cimentarsi con ...

Le pillole di sostenibilità di ARPAT: prendersi cura dei propri abiti in modo sostenibile

Lavare i nostri indumenti, soprattutto in lavatrice, produce diversi impatti sull'ambiente che dobbiamo conoscere e limitare per ridurre il più possibile la nostra impronta sul Pianeta

















Una delle principali questioni ambientali da tenere in considerazione, quando laviamo gli indumenti in lavatrice, è quella dell’inquinamento delle acque, di cui sono responsabili non solo gli scarichi industriali ma anche quelli domestici.

Importanti studi di settore hanno evidenziato l’alto potere inquinante di molti prodotti che utilizziamo quotidianamente in casa, compresi alcuni detersivi usati per i lavaggi in lavatrice, le sostanze utilizzate per renderli efficaci, spesso, sono di origine chimica e di natura tossica ed il loro potere inquinante è amplificato dal fatto che, una volta azionato il programma di risciacquo della lavatrice, lo scarico finisce nelle acque reflue urbane e, se non trattate correttamente, anche nei fiumi e mari.

A questo si aggiunge il problema dell’inquinamento da plastiche, dovuto anche alle micro-fibre tessili di tipo sintetico, che, secondo diversi studi, incidono, sul totale, per il 35%. In particolare, uno studio italiano, "The contribution of washing processes of synthetic clothes to microplastic pollution", condotto dal CNR e pubblicato nel 2019, mostra come, durante un normale lavaggio in lavatrice, vengano rilasciate da 124 a 308 mg per kg di microfibre tessili. Questo range è influenzato dal tipo di indumento lavato, in particolare dalla natura del filato e dalla sua torsione, come dimostrano anche diversi altri studi.

Secondo la ricerca “Evaluation of microplastic release caused by textile washing processes of synthetic fabrics”, pubblicata su Environmental Pollution (2017), l'acrilico è uno dei tessuti che crea i maggiori problemi, addirittura cinque volte in più rispetto al tessuto misto cotone-poliestere ed una lavatrice con un carico di 5 kg di materiale in poliestere produce tra i 6 e i 17,7 milioni di microfibre.

Un ulteriore studio effettuato dall'Università di Plymouth, pubblicato nel 2016, ha confrontato i diversi tessuti e le variabili durante il lavaggio, evidenziando come su un carico da 6 kg, i capi in tessuti misti, cotone e poliestere, rilascino quasi 138mila fibre, contro le oltre 496mila del poliestere e le quasi 729mila dell’acrilico.

Nel 2015, una ricerca realizzata da Life-mermaid metteva in luce come un grammo di tessuto rilasciasse, in un solo lavaggio, più di 3.000 microfibre per grammo. Una felpa in pile dal peso di 680 grammi, ad esempio, può perdere circa 1 milione di fibre a lavaggio mentre un paio di calze di nylon quasi 136.000.

Per limitare quest' impatto ambientale, possiamo adottare alcuni semplici accorgimenti:
-
scegliere capi di abbigliamento in tessuti che riducano il numero di filamenti sintetici rilasciati, meglio optare per le fibre naturali (cotone, lana, seta, lino) che non dovrebbe mancare in un "armadio sostenibile" 
-utilizzare i vestiti più a lungo, infatti le microfibre rilasciate sono molto alte soprattutto nei primi lavaggi
-caricare la lavatrice in modo da garantire un rapporto tra tessuto e acqua, in grado di diminuire il rilascio di micro-fibre
-non avviare la lavatrice quando è troppo vuota, l’ideale sarebbe 3/4 di carico
-scegliere, ogni volta che sia possibile, cicli di lavaggio brevi, da 15 minuti, a 30°C, in grado di ridurre non solo la quantità di microfibre rilasciate dai tessuti ma anche lo spreco energetico e idrico.

Chiediamoci sempre se sia possibile adottare sistemi alternativi al bucato in lavatrice.

Tra questi, c’è l’uso del vapore, possiamo pensare di dotarci di una striratrice a vapore di tipo casalingo oppure approfittare della doccia quotidiana. Quando facciamo la doccia, infatti, si produce molto vapore che può essere utile per rinfrescare i nostri capi.

Spazzolare gli abiti è un’altra ottima alternativa al lavaggio in lavatrice, soprattutto nel caso di tessuti di lana, la spazzola elimina fango ed altre sostanze dense che non riescono ad inserirsi nella trama fitta di certi tessuti.

Ci sono poi “alternative più particolari”, come congelare i capi di abbigliamento; lasciandoli nel congelatore per tutta la notte, il freddo uccide i batteri, causa dei cattivi odori.

Talvolta, invece di un intero ciclo in lavatrice, è sufficiente agire, con un po' di acqua e sapone, in modo mirato sulla macchia.

Lavare a mano, soprattutto utilizzando acqua di recupero, ad esempio quella della vasca dopo il bagno, può prospettarsi una buona alternativa all'uso della lavatrice, soprattutto per i capi delicati, come la biancheria intima. In questo modo saranno meno soggetti ad usura, durando più a lungo.

Infine, bisogna fare attenzione anche agli elettrodomestici che ci aiutano nelle attività quotidiane in casa, seppure ormai indispensabili, dobbiamo usarli con criterio: non utilizziamo l'asciugatrice nel periodo estivo e in tutte quelle occasioni in cui le condizioni meteo consentono di stendere il bucato. Lo stesso possiamo dire del ferro da stiro, che non è necessario passare proprio su tutti gli indumenti.

Gli elettrodomestici di ultima generazione sono progettati per essere più "attenti all'ambiente", infatti, un gruppo di ricerca, confrontando diverse lavatrici "ultimo modello", ha verificato che queste garantiscono una riduzione nel rilascio di fibre da tessuti in pile e poliestere. Se dobbiamo acquistarne una nuova, dunque, optiamo, se possibile, per una di ultima generazione, con classe energetica efficiente, meglio se dotata di sistemi di monitoraggio del consumo energetico, idrico e di sistemi di analisi del carico.

La pillola di sostenibilità su come prendersi cura dei propri abiti

fonte: www.arpat.toscana.it


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Transizione ecologica e agricoltura

Nonostante in Europa questo comparto abbia già standard di qualità elevati, ora gli attori della filiera si devono muovere più celermente nella direzione della sostenibilità











La Pandemia e i diversi lock-down hanno rivelato quanto il nostro sistema sia esposto a rischi, dando avvio ad una delle più gravi crisi economiche in quasi un secolo. Ora, è stato messo a disposizione molto denaro per ripartire e i governi dovranno impegnarsi per dare avvio ad una nuova epoca di sviluppo, dove l’economia circolare giocherà un ruolo fondamentale.

In Europa, ad esempio, un’alleanza rappresentata da politici, imprenditori, eurodeputati e ambientalisti chiede che gli investimenti per la ripartenza siano diretti alla formazione di un “nuovo modello economico europeo: più resiliente, più protettivo, più sovrano e più inclusivo”. La presidentessa della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha presentato la visione della nuova Europa sottolineando la necessità di fare un salto in avanti e non indietro.

Il nostro continente dovrà divenire più resiliente, più verde e più digitale. Al centro di questa trasformazione, ci sarà il Green Deal europeo e la doppia transizione verso la digitalizzazione e la decarbonizzazione.
Agricoltura: un settore su cui puntare nel prossimo futuro

Se questa è la rotta, in quali ambiti è preferibile investire ? La Fondazione Ellen MacArthur ha individuato 5 settori chiave su cui puntare nel prossimo futuro:
edilizia e costruzioni
imballaggi in plastica
mobilità
tessile e moda
agricoltura e produzione di cibo.

Questi 5 settori sono considerati “strategici” per la loro capacità di:
generare soluzioni alle sfide fondamentali create dalla pandemia (ad esempio aumentando la resilienza e consentendo l’accesso a beni vitali)
soddisfare le priorità governative per la ripresa economica (ad esempio stimolare l’innovazione, creare posti di lavoro, raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile posti dalle Nazioni Unite e gli obiettivi climatici)
offrire un potenziale di crescita per l’economia circolare (guidato, ad esempio, da innovazione, politiche e preferenze dei clienti)
contribuire a ridurre il rischio di shock futuri (ad esempio quelli relativi ai cambiamenti climatici e alla perdita di biodiversità).

In quest’articolo si vogliamo occupare di agricoltura, che insieme all’alimentazione sostenibile è tra le sfide che dobbiamo affrontare.

Non dobbiamo dimenticare che la sola produzione di carne è responsabile di quasi un quinto delle emissioni di gas serra, l’area occupata dai pascoli è pari al 26% della superficie terrestre del Pianeta non coperta da ghiacci, la produzione di foraggio rappresenta un terzo del terreno coltivabile complessivo, tutto questo si concretizza in un forte impatto sull’ambiente.

Il settore agro-alimentare è ad una svolta, la filiera agroalimentare, nel suo complesso, è responsabile del 10,3% delle emissioni di gas ad effetto serra, oltre che della perdita di suolo, acqua e biodiversità. Nonostante in Europa, questo comparto abbia già standard di qualità elevati ma ora gli agricoltori, pescatori e gli altri attori della filiera si devono muovere più celermente nella direzione della sostenibilità.

Agricoltura e cambiamenti climatici

Un altro importante fattore da tenere in considerazione, quando si parla di agricoltura del futuro, è il cambiamento climatico, che influenzerà il settore, in Europa e non solo, alterando le condizioni di crescita delle colture regionali e l’incidenza dei parassiti.

Secondo il report dell’Agenzia Europea per l’ambiente “ Global climate change impacts and the supply of agricultural commodities to Europe “, sebbene la produzione agricola globale non dovrebbe diminuire prima del 2050, le zone di coltivazione e produzione cambieranno, i rendimenti annuali diventeranno più variabili e aumenterà la variabilità dei prezzi delle materie prime agricole. Ciò influenzerà i modelli di coltivazione, il commercio internazionale e i mercati regionali.

Quasi un quarto del cibo per il consumo umano è scambiato sui mercati internazionali anche se questa proporzione varia ampiamente a seconda della merce: per riso, burro e maiale è inferiore al 10%, per soia, oli vegetali, pesce e zucchero supera il 30%, per mais, manzo e frumento rispettivamente il 12%, 15% e 24%. Si prevede che queste proporzioni rimarranno stabili per il prossimo decennio ma aumenteranno leggermente entro la metà del secolo a causa dei cambiamenti climatici.

L’Europa è un importante esportatore di alimenti trasformati e prodotti lattiero-caseari ed è per lo più autosufficiente per quanto riguarda i cereali (grano, orzo) e verdure; quindi non si prevedono problemi per gli impatti dei cambiamenti climatici che si verificano fuori del continente, mentre, il nostro continente dipende molto dalle importazioni di prodotti per l’alimentazione e la lavorazione animale (soia e mais), prodotti coltivati in regioni tropicali (cacao, caffè, banane) e prodotti per la trasformazione secondaria (olio di palma, barbabietola e zucchero di canna). È probabile che le forniture di fave di cacao, olio di palma e frutta esotica siano messe particolarmente i crisi poiché queste materie prime sono altamente esposte ai fattori legati al clima e i loro fornitori sono concentrati in alcuni paesi. Tutto questo rende l’Europa vulnerabile agli impatti dei cambiamenti climatici che si verificano altrove.

L’Agenzia propone alcune soluzioni per affrontare questa situazione come l’apertura del commercio con più paesi, con un’attenzione alla protezione ambientale nelle loro politiche agricole e la diversificazione delle importazioni potrebbe ridurre il rischio di interruzioni dell’approvvigionamento. Ma si tratta di un’azione che non è applicabile a tutte le merci e che si basa sull’azione privata piuttosto che sulla politica pubblica. Quest’ultima può aiutare nel compito di evitare i rischi di approvvigionamento, riducendo del tutto la domanda di prodotti ‘vulnerabili’, elemento da introdurre soprattutto per i prodotti sottoposti a elevate pressioni ambientali.

L’Europa deve dare maggiore sostegno all’adattamento e alla mitigazione ai cambiamenti climatici, anche in chiave internazionale, in particolare con il rafforzamento delle capacità di adattamento nei paesi produttori, come annunciato nel progetto della Commissione europea della prossima strategia di adattamento dell’UE.

L’Europa vuole superare le criticità ambientali e climatiche, garantendo una filiera più equa e meno impattante nei prossimi anni.

È impellente ridurre la dipendenza da pesticidi e dagli antimicrobici, nonché dai fertilizzanti e, al contempo, bisogna migliorare il benessere degli animali, potenziare l’agricoltura biologica ed invertire la perdita di biodiversità.

Nel documento della Commissione “ From farm to fork” sono indicati con chiarezza le maggiori criticità da affrontare:
l’uso dei pesticidi chimici
l’eccesso di nutrienti (in particolare azoto e fosforo)
la salute degli animali e la resistenza antimicrobica
la salute delle piante e la sicurezza e diversità delle sementi
gli sprechi alimentari
le frodi alimentari
il sistema di informazione ai cittadini (etichettature alimentari)

La Commissione, nella sua strategia, fornisce anche qualche spunto per cambiare rotta e propone nuovi modelli di business verde, quali:
sequestrare il carbonio da parte di agricoltori e selvicoltori
implementare la bioeconomia circolare, con l’implementazione delle bioraffinerie avanzate che producono i biofertilizzanti, mangimi proteici, bionergia e sostanze biochimiche
costruire i digestori anaerobici per la produzione di biogas da rifiuti e da residui agricoli come il letame
installare i pannelli solari su casolari e capannoni per produrre energia rinnovabile
aumentare l’agricoltura biologica e stimolare la domanda e offerta di prodotti bio
incentivare la produzione ittica sostenibile con un impatto minore rispetto alla produzione animale su terra ferma
sostenere il settore della produzione di alghe che costituisce un’importante fonte di proteine alternative
progettare imballaggi sostenibili, riutilizzabili, facilmente riciclabili e sicuri dal punto di vista alimentare.

Per comprendere a pieno come si concretizzerà tutto questo, dovremo aspettare il 2023, quando la Commissione Europea presenterà la proposta legislativa per un sistema alimentare sostenibile, a quel punto verrà avviato l’iter di approvazione della direttiva, che, una volta diventata tale, dovrà ricevere il consenso, attraverso il recepimento, anche dei Parlamenti nazionali.

Ci vorrà del tempo e sarà necessario anche armonizzare la Politica Agricola Comune (Pac) e la Politica Comune della Pesca (Pcp), che rimarranno comunque gli strumenti chiave per sostenere questa transizione ecologica.

fonte: www.snpambiente.it/


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Aumentano i rifiuti da apparecchiature elettriche e elettroniche

I rifiuti delle apparecchiature elettriche ed elettroniche continuano a costituire uno dei flussi di rifiuti in più rapida crescita in tutto il mondo, anche a causa dell'obsolescenza programmata e della scarsa possibilità di riparazione di molti di questi apparecchi





Nonostante gli sforzi compiuti a livello europeo, la quantità di rifiuti prodotti non è in diminuzione: ogni anno nell’Unione le attività economiche generano complessivamente 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti, equivalenti a 5 tonnellate pro capite, mentre nello stesso periodo ogni cittadino produce quasi mezza tonnellata di rifiuti urbani.


I rifiuti delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (di seguito raee) continuano a costituire uno dei flussi di rifiuti in più rapida crescita nell’Unione Europea (UE), con un tasso annuale pari attualmente al 2%. Se pensiamo che di questa categoria di rifiuti fa parte una serie di prodotti elettrici e elettronici di uso comune sia per la casa che per il lavoro e che stiamo andando verso una digitalizzazione sempre più spinta della nostra società, possiamo capire che siamo di fronte ad una mole di rifiuti.



Il trend europeo è confermato anche a livello nazionale, dove, nel 2019, i Sistemi Collettivi hanno raccolto complessivamente 343.069 tonnellate di raee, sull’intero territorio nazionale, come indica il rapporto annuale del Centro di coordinamento. Rispetto all’anno precedente (2018) si è avuto un incremento di quasi 32.460 tonnellate, che corrisponde al 10,45% in più, con una raccolta media pro capite sul territorio nazionale che si attesta a 5,68 kg.



Guardando nello specifico in Toscana, invece, si sono raccolti nel 2019, più di 7 kg di raee a persona.

Se dobbiamo smaltire un apparecchio elettrico e elettronico (AEE) possiamo cercare il centro di raccolta più vicino, utilizzando l’App LIFE WEEE (disponibile per Android e iOS), realizzata dal Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Firenze, per aiutare i cittadini a gestire in modo corretto questi rifiuti.

Volgendo uno sguardo al mondo, la tendenza rimane la stessa, infatti, il Global E-waste Monitor (2020), nel 2019, ci dice che, a livello mondiale, sono stati prodotti circa 53,6 milioni di tonnellate di raee e stima che nel 2030 la quantità di rifiuti elettronici generati supererà i 74 milioni di tonnellate, questo significa che la quantità globale di rifiuti elettronici aumenta a un ritmo allarmante di quasi due milioni di tonnellate l’anno.






Con questi quantitativi riciclare diviene imprescindibile, non dimentichiamo che questi rifiuti contengono sostanze che possono risultare dannose per l’ambiente e per l’uomo, se gestite in modo non corretto. Al momento, le stime, che riguardano il riciclaggio di raee in Europa, ci dicono che meno del 40% dei rifiuti elettronici viene riciclato.

Per aumentare il riciclo dobbiamo spingere sulla raccolta differenziata di questa tipologia di rifiuti, ricordiamo quindi che, oltre a conferire i RAEE nei centri di raccolta, è sempre possibile:
lasciarli nei contenitori comunali dedicati alla raccolta differenziata di questo tipo di rifiuti
consegnarli ai rivenditori di apparecchiature elettriche ed elettroniche al momento dell’acquisto, comprando un nuovo apparecchio possiamo chiedere il ritiro del vecchio (1 CONTRO 1)
portare i RAEE presso i rivenditori di apparecchiature elettriche ed elettroniche con superficie dedicata superiore a 400 mq, in questo caso, anche senza effettuare un nuovo acquisto, abbiamo diritto al ritiro (1 CONTRO 0), purché l’apparecchio sia di dimensione massima di 25 cm sul lato più lungo.

Nei diversi paesi membri dell’Unione Europea (UE), le pratiche di riciclo, e di conseguenza i quantitativi di rifiuti destinati al riciclo, variano molto, ad esempio, in Croazia, nel 2017, sono stati riciclati più dell’80% di questa tipologia di rifiuti raccolti mentre a Malta la percentuale si è fermata poco sopra il 20%.

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Riciclare consente di recuperare le sostanze contenute in molte apparecchiature elettriche e elettroniche, garantendo un minore depauperamento delle materie prime con un concreto vantaggio ambientale ma anche anche etico. Questi materiali, infatti, provengono da paesi dove, per lo più, non vengono rispettati i diritti umani e dove l’acquisto incauto, cioè non attento, di certi minerali rari può contribuire a finanziare guerre e conflitti, infatti, l’estrazione in molte zone è nelle mani dei cosiddetti “signori della guerra”.

Per questo l’Unione ha adottato una politica di importazione dei minerali rari molto simili a quella adottata per i diamanti grezzi, ovvero non possono entrare in Europa senza una certificazione di origine. Gli importatori di tungsteno, tantalio e altre sostanze rare, vengono obbligati ad effettuare controlli di “due diligence”, ovvero di buona condotta sui loro fornitori. Il regolamento che disciplina questa materia sarà pienamente in vigore a partire dal 2021.

Riciclando le materie contenute nei nostri dispositivi elettrici e elettronici si rafforza la dimensione circolare dell’economia, che è tra gli obiettivi principali che l’Europa vuole raggiungere nei prossimi decenni. Non è importante, però, solo il corretto riciclo, la strategia adottata nel Marzo del 2020, a livello europeo, punta a ridurre la perdita di valore che si verifica quando le apparecchiature elettriche e elettroniche, del tutto o in parte funzionanti, vengono eliminate perché non si possono riparare, il software non è più supportato o i materiali incorporati nei dispositivi non sono recuperati.

Particolare attenzione, quindi, sarà rivolta da parte dell’Europa al “diritto alla riparazione”, includendovi il diritto di aggiornare i software obsoleti, tema che sta a cuore a molti cittadini europei, circa due cittadini europei su tre vorrebbero poter utilizzare più a lungo i dispositivi digitali che possiedono purché le prestazioni non siano compromesse in modo significativo.

Per far fronte a queste sfide, la Commissione presenterà una “Iniziativa per un’elettronica circolare”. In linea con il nuovo quadro strategico in materia di prodotti sostenibili, l’iniziativa promuoverà l’allungamento della durata di vita dei prodotti, prevedendo che i prodotti elettronici e le TIC, compresi i telefoni cellulari, i tablet e i laptop siano prodotti secondo quanto indicato dalla direttiva sulla progettazione ecocompatibile, in modo che i dispositivi siano progettati per l’efficienza energetica, la durabilità, la riparabilità, il riciclaggio di qualità e il riutilizzo.

fonte: www.snpambiente.it/

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Urgente l’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici per i Paesi e le città europee

La costruzione sulle pianure alluvionali, l’aumento della copertura delle superfici del suolo con cemento o asfalto, la piccola quantità di spazi verdi e l’espansione urbana che invade le aree soggette a incendi e frane stanno rendendo le città e le cittadine molto più vulnerabili





Affrontare l’adattamento ai cambiamenti climatici nelle città è sempre più urgente poiché quasi il 75% degli europei vive in aree urbane. Questo numero dovrebbe crescere nei prossimi anni. Inoltre, il modo in cui pianifichiamo e costruiamo le nostre città rimane insostenibile, lo afferma il rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) “Adattamento urbano in Europa: come le città e i paesi rispondono ai cambiamenti climatici.”

https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2021/01/TH-AL-20-020-EN-N-Urban-adaptation-in-Europe-compresso.pdf

In particolare, la continua costruzione sulle pianure alluvionali, l’aumento della copertura delle superfici del suolo con cemento o asfalto, la piccola quantità di spazi verdi e l’espansione urbana che invade le aree soggette a incendi e frane stanno rendendo le città e le cittadine molto più vulnerabili.

Il rapporto fornisce informazioni sullo stato di avanzamento dei lavori sulla pianificazione europea dell’adattamento ai cambiamenti climatici e sugli sforzi compiuti a livello locale.

Sebbene molte autorità locali abbiano compreso l’importanza di diventare resilienti ai cambiamenti climatici, i progressi nella pianificazione dell’adattamento rimangono lenti.

L’attuazione delle misure di adattamento e il monitoraggio dell’efficacia di queste azioni sono ancora più lenti. Il rapporto afferma che le misure attualmente messe in atto si concentrano principalmente sullo sviluppo della conoscenza, sulla sensibilizzazione o sugli 
indirizzi politici.



Le soluzioni di adattamento fisico, come lo sviluppo di più spazi verdi per ridurre gli impatti delle ondate di calore o l’adeguamento dei sistemi fognari per far fronte alle inondazioni improvvise, non sono state ancora implementate allo stesso modo in tutta Europa.

L’adattamento delle città è necessario anche dal punto di vista economico. Le aree urbane sono centri economici chiave sede di industrie e servizi. È necessaria un’azione concertata a tutti i livelli di governance – dall’UE al nazionale al locale – per sostenere l’adattamento urbano attraverso un migliore accesso alla conoscenza e ai finanziamenti, l’impegno politico e l’impegno della comunità e l’integrazione dell’adattamento in tutti i settori politici.

Un altro rapporto dell’EEA, “Monitoraggio e valutazione delle politiche nazionali di adattamento durante il ciclo politico“, sottolinea l’importanza del monitoraggio, della rendicontazione e della valutazione e presenta le esperienze apprese su come migliorare le strategie e i piani di adattamento nazionali in futuro.

https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2021/01/TH-AL-20-15-EN-N-Monitoring-and-evaluation-compresso.pdf

Il rapporto presenta anche esempi di come gli indicatori possono svolgere un ruolo importante nel monitorare i progressi dell’attuazione e aiutare a comprendere l’efficacia di diversi approcci e misure. Oltre agli indicatori locali e nazionali, ulteriori indicatori a livello europeo possono migliorare il quadro di adattamento in tutta l’UE.

fonte: wwww.snpambiente.it


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L’inquinamento da rifiuti marini in plastica è una preoccupazione globale

 











La plastica rappresenta circa l’80% dei rifiuti marini e deriva dalle attività umane sia terrestri che marine. La lotta ai rifiuti marini richiede la conoscenza delle fonti, dei percorsi, e degli impatti; richiede programmi di monitoraggio e valutazione armonizzati a livello mondiale per guidare le misure e valutarne l’efficacia.

Lo afferma l’UNEP, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’ambiente, in un suo documento.

https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2020/11/FB18-compresso.pdf

Secondo questa agenzia internazionale, le stime della plastica che finisce nell’oceano attraverso i fiumi sono nell’ordine di diversi milioni di tonnellate ogni anno.

L’inquinamento dell’ambiente marino causato dai rifiuti di plastica è una questione complessa e impegnativa (vedi immagine).

La plastica comprende un’ampia varietà di polimeri sintetici con diverse composizioni e proprietà che ne influenzano la distribuzione e il destino, nonché gli effetti sull’ambiente. I rifiuti marini possono variare in dimensioni dagli scafi delle barche oceaniche di molti metri di lunghezza a micro e nanoplastiche, particelle più piccole di 5 mm e possono essere diffusi e distribuiti a livello globale in diversi ambienti marini.

La conoscenza esistente delle quantità di rifiuti marini nell’oceano si basa su metodi e indicatori di campionamento variabili, così come ambienti diversi ed è limitato solo ad alcune regioni del mondo. Ciò ostacola la comparabilità dei dati e limita la piena comprensione degli impatti globali e dell’efficacia sia della risposta politica ai rifiuti marini sia delle politiche esistenti sui rifiuti marini, sottolineando così la necessità di metodi e approcci armonizzati per il monitoraggio e la valutazione dei rifiuti marini.

Il monitoraggio dell’ambiente marino per la presenza di rifiuti di plastica è essenziale per determinare le fonti, le destinazioni, l’estensione, le tendenze e i possibili impatti dei rifiuti marini; fornisce inoltre informazioni sulle possibili misure di mitigazione e che possono essere utilizzate per valutarne l’efficacia.

Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), supportato dalla Commissione oceanografica intergovernativa dell’UNESCO e da altre agenzie delle Nazioni Unite (IMO, FAO, UNIDO, WMO, IAEA, UN, UNDP), sta coordinando gli sforzi per promuovere un approccio armonizzato, coerente e standardizzato nella progettazione di programmi di campionamento per il monitoraggio e la valutazione dei rifiuti marini, compresa la selezione di indicatori appropriati (ad esempio metodi di campionamento, protocolli, unità di valutazione).

Le organizzazioni dell’UNEP e del CIO / UNESCO hanno il compito di supportare i paesi nell’implementazione di metodi e procedure rispetto all’obiettivo 14.1: “Entro il 2025, prevenire e ridurre significativamente l’inquinamento marino di ogni tipo, in particolare dalle attività terrestri, inclusi i rifiuti marini e inquinamento da nutrienti ‘nell’ambito dell’obiettivo di sviluppo sostenibile 14 (Vita sott’acqua) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.”

Per affrontare la mancanza di una metodologia concordata a livello internazionale per la segnalazione della distribuzione e dell’abbondanza di rifiuti marini in plastica e microplastiche negli ambienti marini, il Joint Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Protection (GESAMP) ha pubblicato, nel 2019, il rapporto “Linee guida per il monitoraggio e la valutazione dei rifiuti di plastica e delle microplastiche nell’oceano ”.

https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2020/11/rs99e.pdf

Il rapporto GESAMP ha lo scopo di integrare e armonizzare i programmi di monitoraggio e valutazione stabiliti, come quelli sviluppati nel quadro dei mari regionali, dell’Unione europea e da diversi singoli paesi. Le linee guida includono un approccio graduale per assistere le autorità nazionali e gli enti regionali nell’elaborazione di programmi per valutare la contaminazione da plastica marina, compresa la progettazione del campionamento, la selezione degli indicatori e l’armonizzazione dei metodi (vedi tabella).
Table 1: Summary of the recommended sampling approaches for different compartment and plastic sizes, regarding their feasibility (1 more feasible, 7 less feasible; based on resource sampling and processing requirements) and common policy concerns addressed, with reference to the specific chapters in the report. This policy relevance index is the sum of the policy concerns addressed by the sampling approach. Compartments – SL: shoreline; SF: seafloor; B: biota; SS: sea surface. Sub-compartments – BE: beach; FISH: fish; INV: invertebrate; SEAB: seabed; MEG: mega-fauna. Plastic sizes – MA: macro-plastic; ME: meso-plastic; MI: micro-plastic.

Le linee guida coprono tutte le gamme di dimensioni dei rifiuti di plastica e presentano le definizioni della terminologia comune utilizzata nel monitoraggio dei rifiuti marini esistenti, che è la chiave per creare un approccio armonizzato e aumentare il potenziale di condivisione di dati e informazioni. Descrivono anche alcuni principi di base di monitoraggio e valutazione, compreso il possibile coinvolgimento di cittadini scienziati (citizen science).







fonte: www.snpambiente.it


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Cambiamenti climatici in Italia

 

La Pandemia ci ha messo alla prova, ma ci ha fatto anche capire che siamo in grado di affrontare scenari emergenziali, purché, lanciato l’allarme, si agisca con velocità prima che il problema vada oltre la nostra capacità di affrontarlo. Durante l’emergenza sanitaria abbiamo visto che è possibile avere atteggiamenti solidali, non solo tra persone, ma anche tra governi e scienziati. Il Covid-19 si è presentato come una “versione accelerata” del problema del cambiamento climatico, che dobbiamo affrontare con la stessa determinazione, passando dal riconoscere il problema all’agire sullo stesso. Le soluzioni per attenuare il problema esistono, e sono state più volte richiamate dagli esperti dell’IPPC. Il punto fondamentale su cui incidere è la riduzione delle emissioni di anidride carbonica.


In Italia, la Fondazione Centro Euro-Meditterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) ha elaborato un documento di sintesi delle conoscenze scientifiche su impatti, rischi e interazioni dei cambiamenti climatici a livello nazionale in relazione a diversi stadi di riscaldamento e modelli di sviluppo.

Il documento rappresenta una solida base scientifica e tecnica, utilizzabile anche dai responsabili dei processi decisionali per le fasi di programmazione, pianificazione e allocazione delle risorse necessarie per metter in atto politiche climatiche e territoriali adeguate. Al tempo stesso può essere un utile strumento per diffondere l’informazione e aumentare la consapevolezza dei singoli sul cambiamento climatico.

In sintesi, i cambiamenti ipotizzati e riassunti nel report sono i seguenti.
Temperatura in aumento; i modelli climatici sono concordi nel valutare un aumento della temperatura fino a 2 gradi nel periodo 2021-2050 (rispetto al 1981-2010). Nello scenario con cambiamenti climatici più intensi si evidenziano variazioni maggiori in zona alpina e nella stagione estiva. In questo scenario si arriva ad ipotizzare anche un innalzamento della temperatura di 5 gradi a fine secolo.
Meno pioggie ma più intense; tra i principali risultati evidenziati dalle analisi degli scenari climatici vi è una diminuizione delle precitazioni nel periodo estivo (più lieve in primavera) per il Sud e per il Centro Italia, aumentano le precipitazioni nel periodo invernale nel Nord Italia. Associato a questi segnali vi è un aumento sul territorio della massima precipitazione giornaliera per la stagione estiva ed autunnale, più marcata per lo scenario ad elevate emissioni di gas serra.
Più giorni caldi e secchi; sia per lo scenario ad emissioni contenute che per quello ad emissioni elevate emerge un consistente aumento di giorni con temperatura minima superiore a 20 gradi e, nella stessa stagione, un aumento della durata dei periodi senza pioggia.
Aumento delle temperature superficiali e del livello del mare, dell’acidificazione delle acque marine e dell’erosione costiera.

200916_REPORT_CMCC_RISCHIO_Clima_in_Italia-compresso.pdf


Tutti scenari confermati anche a livello internazionale, circa un anno fa, infatti, il rapporto ONU sul clima metteva in luce un allarmante innalzamento degli oceani e un preoccupante scioglimento dei ghiacciai.

Ormai esiste un ampio consenso nella comunità scientifica internazionale sul fatto che gli oceani si stiano sempre più innalzando dagli anni Settanta ad oggi. Oceani più caldi comporteranno anche eventi atmosferici molto più intensi ed estremi, con uragani e tifoni che potranno causare grandi inondazioni, complice anche l’innalzamento dei mari lungo le aree costiere.

Gli oceani hanno avuto un importante ruolo assorbendo il 90 % circa del calore aggiuntivo che si è prodotto a causa delle attività umane. La velocità di assorbimento è aumentata a partire dai primi anni Novanta, con effetti mai osservati prima per interi ecosistemi.

L’aumento della temperatura di gigantesche masse d’acqua, come quelle oceaniche, ha portato a un’espansione del volume degli oceani e al conseguenze innalzamento dei mari, il processo è ormai sempre più acuito dal progressivo scioglimento dei ghiacci in Antartide e in Groenlandia.

La calotta glaciale antartica, la più grande massa di ghiaccio del nostro pianeta, ha continuato a ridursi a causa del riscaldamento globale. Il rapporto spiega che tra il 2007 e il 2016 la perdita di ghiaccio è triplicata rispetto al decennio precedente. Le cose non vanno meglio in Groenlandia, dove nello stesso periodo si è assistito a un raddoppio nella perdita di ghiaccio.

Il riscaldamento globale sta inoltre modificando il clima in aree come la Siberia e il Canada settentrionale, dove il suolo in condizioni normali è costantemente gelato (permafrost). Se le emissioni continueranno ad aumentare, si stima che il 70 % del permafrost si scioglierà, liberando centinaia di miliardi di tonnellate di anidride carbonica e metano, che potrebbero complicare se non vanificare molti degli sforzi per ridurre le emissioni dovute alle attività umane.

Ognuno di noi può, infine, provare ad utilizzare il Climate interactive EN-ROADS, un “simulatore” per esplorare i vari scenari che si potrebbero raggiungere applicando diverse politiche in ambito ambientale per limitare i cambiamenti climatici.

Il simulatore può essere utilizzato da politici, amministratori, educatori, professori, giornalisti, imprenditori ma anche semplici cittadini. Tutti potranno esplorare, per conto proprio, le possibili conseguenze sul clima, applicando diverse politiche energetiche, di crescita economica e consumo del suolo.

Non si tratta di un gioco, il simulatore, infatti, è costruito su base scientifica. Il consiglio è quello di abbinarlo al workshop EN ROADS e al Climate Action Simulation per avere una visione di insieme dei gravi problemi legati al cambiamento climatico.

Analisi del rischio – I cambiamenti climatici in Italia
Articoli di AmbienteInforma sui cambiamenti climatici

fonte: www.snpambiente.it


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Mayday SOS Plastica

I risultati della campagna di sensibilizzazione e ricerca per lo studio e il monitoraggio della plastica e delle microplastiche in acqua, sedimenti e organismi marini, effettuata da Greenpeace




Nell’estate 2019 l’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM) insieme al Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per lo studio degli Impatti Antropici e Sostenibilità in Ambiente Marino di Genova (CNR-IAS) ha partecipato alla campagna “Mayday SOS Plastica” promossa da Greenpeace, una campagna di sensibilizzazione e ricerca per lo studio e il monitoraggio della plastica e delle microplastiche in acqua, sedimenti e organismi marini.

L’attività si è svolta dal 18 maggio all’8 giugno 2019 nel Tirreno Centrale e precisamente lungo le coste della Toscana, Lazio, Campania e Sardegna, includendo anche isole dell’Arcipelago Toscano (Elba, Giglio, Pianosa, Capraia) e Ponziano (Ventotene), aree prominenti le foci dei fiumi (Foce dell’Ombrone, del Tevere e del Sarno) e aree marine protette come quella di Tavolara-Punta Coda Cavallo (isola di Tavolara, Molara e Molarotto).

È ora disponibile il report nel quale vengono presentati i risultati relativi alla determinazione delle microplastiche (MPs) e delle microfibre (MFs) in pesci e organismi invertebrati campionati durante il tour.

I risultati ottenuti sono utili per fornire nuove informazioni sui livelli, frequenze di ingestione e sulla caratterizzazione chimica delle microparticelle di plastica e microfibre, in specie differenti campionate da aree sottoposte a diverso impatto antropico.

In totale sono stati analizzati 308 organismi di cui 208 pesci appartenenti a 23 specie diverse e 100 invertebrati appartenenti a 3 specie. Le specie sono state scelte per il loro valore commerciale ed ecologico e il numero di individui per ognuna è stato definito secondo le disponibilità.

La frequenza di ingestione delle microfibre da parte delle specie analizzate risulta molto alta, a prescindere dal sito di indagine, e dimostra ancora una volta l’ampia diffusione di MFs lungo le coste del Tirreno. In totale sono state estratte circa 2.000 microfibre (MFs) dagli organismi, misurando una frequenza di ingestione del 89% e una media di 7,1±5,2 MFs per singolo individuo

Una frequenza di ingestione del 100% è stata evidenziata negli organismi dei siti Elba e Giglio Ctrl, 98% per quelli di Fiumicino, 95% per Ventotene, 94% per Giglio Relitto, 93% per Ombrone, 84% per Napoli, 81% per la Sardegna e 67% per Capraia. Il numero medio di microfibre ingerite dagli organismi campionati nei vari siti è risultato essere pari a 8,7±6,8 a Fiumicino, 11±6 a Ventotene, 6,3±5 a Napoli, 9±4 all’Elba, 5,2±4,8 a Capraia, 5±3,8 a Ombrone, 8,7±5 nel sito di Giglio Relitto, 7,7±5 nell’area Giglio Ctrl e 4±3,6 in Sardegna..



La caratterizzazione polimerica ha tuttavia confermato la predominanza di una origine naturale di queste particelle, che non possono quindi essere considerate microplastiche, che per definizione sono costituite da solo materiale di origine sintetica.

Le analisi effettuate su un sub-campione di 287 MF hanno rilevato che l’82,6% di queste erano di origine naturale, a base di cellulosa; il rimanente 17,4% di microfibre sintetiche era costituito per il 90% da poliestere, mentre il 10% era di natura semi-sintetica (viscosa).

I risultati ottenuti in alcuni siti già campionati nelle campagne precedenti del 2014 e 2017 sono stati messi a confronto. Le frequenze di ingestione delle MPs risultano in generale comparabili tra i diversi anni di campionamento, dimostrando che questo tipo di contaminazione ha caratteristiche piuttosto ubiquitarie e costanti nel tempo.

La frequenza generale di ingestione delle microplastiche negli organismi campionati durante la campagna Mayday SOS Plastica nel 2019 risulta del 35%, leggermente superiore a quella già osservata durante la precedente campagna effettuata nel 2017 (30%) e a quella riferita agli organismi del Mar Adriatico (27%).

I risultati ottenuti sul numero di microplastiche ritrovate per individuo avvalora quanto riscontrato in altre aree del Mediterraneo e a livello globale, cioè che il numero delle particelle riscontrate nei tratti gastrointestinali degli organismi è generalmente di 1 o 2 particelle, indipendentemente che siano pesci o invertebrati. Numeri maggiori di particelle ingerite per individuo vengono ritrovati sporadicamente e senza correlazioni con le specie analizzate o i siti di indagine. Più alti sono risultati i valori ottenuti per le microfibre, con una frequenza di ingestione media del 90% ed un numero di MFs mediamente pari a 7,6 ± 5,4 per individuo, confermando i dati già osservati nelle specie campionate in Adriatico.

L’analisi di pesci, rappresentativi di diversi habitat, ha permesso di evidenziare che le specie demersali (es. gallinella, scorfano, pagello fragolino, razza), che hanno una stretta relazione con l’ambiente di fondo dove si alimentano, presentano frequenze di ingestione delle microplastiche maggiori (75-100%) rispetto alle specie pelagiche, in quasi tutti i siti indagati. Questo risultato conferma come i sedimenti e in generale tutta la colonna d’acqua (non solo lo strato superficiale) possano rappresentare un comparto importante di accumulo della plastica e microplastica immessa in mare.

Per quanto riguarda il monitoraggio delle microplastiche in mare, ricordiamo che si tratta di un'attività svolta dalle Agenzie ambientali che compongono il Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente, nell'ambito delle attività svolte per la Strategia Marina dell'Unione Europea.

Per quanto riguarda la Toscana, i Programmi di monitoraggio sono iniziati nel 2015 ed hanno cadenza triennale. I risultati del triennio 2015-2017 sono stati presentati lo scorso anno in occasione del convegno MS SeaDay, indicando un numero medio di microplastiche di 0,38 per metro cubo e di 0,09 per metro quadrato, dato indicato come media aritmetica e confrontabile con quelli rilevati nelle altre sottoregioni italiane (Mediterraneo Occidentale di cui la Toscana fa parte, Adriatico, Ionio e Mediterraneo centrale): rispetto alle altre sottoregioni il dato toscano risulta più basso.

ARPAT come le altre agenzie costiere ha svolto programmi di monitoraggio per i 13 moduli operativi (fra i quali quello appunto relativo alle microplastiche) previsti dalla Strategia Marina ed ISPRA ha redatto i report per ciascun descrittore, che sono stati resi disponibili nel sito http://www.db-strategiamarina.isprambiente.it/.

Per chi vuole approfondire:
articoli di Arpatnews sul tema delle microplastiche
articoli di AmbienteInforma sulle attività SNPA per la Strategia Marina


fonte: http://www.arpat.toscana.it/


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Comunicare la scienza, far conoscere l’ambiente

Intervista a Giovanni Carrada, biologo, è un autore, un consulente e un docente indipendente che si occupa di comunicazione della scienza e dell’innovazione.


















Su Arpatnews è stata pubblicata una interessante intervista a Giovanni Carrada, uno degli autori di Superquark, che si aggiunge alle varie altre effetuate a diversi esperti di comunicazione sulle tematiche che interessano il sistema nazionale delle agenzie ambientali.
Questo nuovo contributo fa parte del percorso di ascolto e confronto che i comunicatori del Snpa stiamo compiendo per costruire un tessuto comune di conoscenze ed esperienze, e per meglio capire quali sono le attese dei nostri interlocutori riguardo alla comunicazione e informazione del Sistema, e delle singole componenti di esso.
Giovanni Carrada, un professionista il cui lavoro quotidiano è finalizzato alla divulgazione scientifica e del patrimonio culturale. Biologo, è un autore, un consulente e un docente indipendente che si occupa di comunicazione della scienza e dell’innovazione. Fra i suoi principali interessi c’è la comunicazione tesa a favorire il dialogo e la comprensione reciproca fra mondo scientifico, imprese che producono tecnologie avanzate e società. Dal 1994 è autore e inviato della trasmissione televisiva di divulgazione scientifica SuperQuark (RAI1), condotta da Piero Angela. . Un punto di vista, quindi, molto importante, che infatti fornisce ai comunicatori del Snpa e non solo alcune indicazioni assai chiare.
Nel suo blog Carrada si presenta, dicendo, fra l’altro:
“All’inizio ho dovuto scegliere e mi sono laureato in una disciplina scientifica. Così ho cominciato aiutando gli altri a capire e dare un senso a quello che viene scoperto e inventato. Scienza e innovazione sono una palestra di comunicazione difficile. Non si smette mai di studiare, bisogna rendere non solo chiare ma anche attraenti cose molto complicate, spesso lontane dalla vita e dagli interessi delle persone. (…) L’esperienza più lunga è stata fare l’autore della trasmissione Superquark: è cominciata nel 1994 e non è ancora finita. La scuola di Piero Angela mi ha insegnato la capacità di cogliere l’essenziale di ogni argomento, la sua chiave di lettura, l’idea o la spiegazione capace di dare un senso a tutto il resto. Ma soprattutto mi ha insegnato che anche gli argomenti più complessi e meno banali possono essere comunicati a tutti, e senza sacrificare il successo di pubblico. Ci vogliono solo più lavoro e più creatività del solito.”
È abbastanza generalizzata una sostanziale sfiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche, anche verso enti tecnici e scientifici come possono essere le Arpa. Come è possibile comunicare dati e informazioni scientifiche in questo contesto sociale?
La mia esperienza mi dice che a volte bisogna “fare la tara” su questo tipo di percezioni, spesso diffuse fra chi svolge ruoli scientifici e tecnici e che nascono da “scottature” vissute in occasione di particolari vicende. Critiche e attacchi sono quasi inevitabili quando si producono dati che non fanno comodo a qualcuno, ma non è detto che riflettano un sentimento generalizzato.
È vero che viviamo un momento storico in cui gli esperti non godono più del rispetto e della fiducia di una volta, ma c’è grande varietà nel livello di fiducia di cui gode questa o quella particolare categoria di esperti, e oggi sta a ciascuna di loro conquistare e continuare a meritare fiducia. Sia attraverso il proprio lavoro, sia attraverso un’attività di comunicazione capace di valorizzarlo.
Le cose si fanno naturalmente più difficili nel momento in cui una vicenda balza agli onori della cronaca, e soprattutto se assume una connotazione politica. Quando c’è una polemica in corso si tende a prendere posizione in base alla propria collocazione politica, anche in ambito molto locale, più che in base a quanto i dati fanno pensare sia effettivamente è avvenuto.
La differenza in questi casi la può fare il capitale di visibilità, credibilità e fiducia che l’agenzia è stata in grado di costruire “in tempo di pace”, quando cioè non ci sono polemiche in corso. Magari fornendo informazioni, servizi o attività educative che i cittadini in generale o particolari categorie possono trovare utili e interessanti, oppure coltivando i rapporti con i media. Un fatto di cronaca importante o una polemica sono però anche momenti in cui si può godere di un’attenzione molto più grande che “in tempo di pace”, e avere l’attenzione delle persone è la condizione essenziale per poter comunicare efficacemente, oltre che la risorsa più scarsa nell’attuale mondo della comunicazione. Bisognerebbe cercare di vedere questi momenti anche come un’opportunità che bisogna avere il coraggio di cogliere, anziché solo come un problema al quale sopravvivere tenendo la testa più bassa possibile.
Le agenzie ambientali sono enti tecnici, i temi da loro trattati hanno una complessità̀ non facile da rendere comprensibile a tutti. Quali suggerimenti può dare ai comunicatori delle agenzie ambientali?
Ogni esperto è facilmente vittima della “maledizione dell’esperto”, quel fenomeno psicologico studiatissimo per cui quando sappiamo qualcosa troviamo molto difficile metterci nei panni di chi non la sa. Per questo, ogni volta che dobbiamo comunicare qualcosa, non dobbiamo dimenticare di ricordare, sia pur brevemente, di che cosa parliamo e perché è importante. Basics are the beginning, come dicono gli americani, ma senza la pretesa di fare di chi ci ascolta un piccolo esperto: comunicare non è insegnare.
Poi, ogni spiegazione non è altro che un percorso da quello che ci ascolta sa già o che ha già un interesse a sapere, a qualcosa che non sa ancora. E questo percorso va costruito fornendo delle tappe intermedie accessibili, interessanti e possibilmente coinvolgenti. Seguendo un filo chiaro e senza fare divagazioni. Usando un linguaggio semplice. All’interno di un semplice ragionamento o di una storia.
Senza dimenticare che comunicare non è neppure fornire un elenco di informazioni, ma stabilire una relazione con qualcuno. È chiaro però che alle spalle ci sono altri livelli che a mio avviso le agenzie ambientali potrebbero presidiare meglio.
Penso ad esempio all’organizzazione dei temi e delle tipologie di dati, che appaiono piuttosto frammentate e non sempre corrispondenti alle classificazioni intuitive dei non esperti. Alla mancanza di un’identità precisa – tematica, istituzionale, grafica – del soggetto che comunica. Alla scarsità di eventi o appuntamenti capaci di richiamare e focalizzare periodicamente l’attenzione dei cittadini e dei media sulle agenzie, le loro attività e i problemi di cui si occupano. Alla mancanza di canali di comunicazione e di singoli prodotti espressamente pensati per le esigenze dei cittadini, o attraverso i quali anche i cittadini si possano esprimere.
Questi sono aspetti di sistema di cui oggi è diventato indispensabile farsi carico, date l’importanza e la sofisticatezza della comunicazione alla quale è chiamata qualsiasi organizzazione che cerchi o abbia bisogno di un dialogo con l’opinione pubblica.
Le agenzie ambientali, fra i loro compiti istituzionali, hanno quello di raccogliere, organizzare e diffondere i dati ambientali. Che impressione ha della situazione esistente in tal senso e cosa dovrebbero invece fare le agenzie ambientali?
La mia personale impressione è che i cittadini conoscano poco sia le agenzie, sia questo loro importantissimo compito. E che la comunicazione di questi dati possa fare un salto di qualità. Chi per mestiere produce ed elabora dati usa i numeri con estrema naturalezza perché ai suoi occhi parlano da soli, ma per quasi tutte le altre persone non è così. I numeri sono astrazioni che la mente maneggia con grande difficoltà.
Noi siamo primati, quindi animali visivi, e il nostro cervello capisce molto più facilmente i dati quantitativi quando sono proposti sotto forma di immagini piuttosto che di singole cifre o di tabelle. Oggi viviamo in un mondo sempre più basato sui dati, ma per fortuna non abbiamo più a disposizione solo i grafici usati nelle pubblicazioni tecniche. Oggi si sviluppano infografiche sempre più chiare, belle, capaci di mettere in evidenza gli aspetti o il senso più importante di un fenomeno, e magari anche interattive. È molto più probabile che prodotti di questo tipo risultino efficaci, vengano ripresi dai media, e vengano condivisi sui social network, che sono diventate la vera piattaforma di distribuzione dei contenuti.
Come esperto di comunicazione, ed anche come cittadino, cosa si aspetta dall’attività di comunicazione e informazione di un’agenzia ambientale?
L’informazione ambientale è sempre più concentrata sulle grandi questioni, spesso di respiro globale, come i cambiamenti climatici, ed è dominata da una negatività – quando non da un catastrofismo – che a mio avviso possono avere l’effetto paradossale di allontanare i cittadini dai temi ambientali, percepiti come lontani dai propri interessi o sui quali il singolo possa fare poco. O addirittura così ansiogeni da far scattare meccanismi di rimozione psicologica.
A farne le spese è stata l’informazione più locale e quella sulle tante componenti della qualità dell’ambiente, vale a dire proprio di ciò di cui si occupano le agenzie regionali e di cui i cittadini hanno comunque bisogno. Soprattutto quando succede qualcosa di preoccupante, ma non solo. Forse questo è un altro problema dietro il quale si cela un’opportunità. Le agenzie potrebbero diventare protagoniste di un’informazione ambientale più vicina e concreta, una fonte affidabile che aiuta a conoscere il proprio territorio e tutela i cittadini sia dalle minacce che non ricevono sufficiente attenzione, sia dalle esagerazioni cui spesso i media si lasciano andare. Ma dovrebbero farlo creando dei canali e dei prodotti su misura dei cittadini. 
fonte: http://www.snpambiente.it

Ammoniaca e moria di pesci nelle bianche spiagge caraibiche di Rosignano















Sono note come i Caraibi della Toscana. Siamo a Rosignano Marittimo, dove come vi abbiamo raccontato qualche tempo fa, la sabbia bianca non è uno spettacolo naturale ma è dovuto alla presenza dello stabilimento Solvay e agli scarichi legati alla lavorazione di materiali calcarei. Di recente, nella zona si è verificata anche una moria di pesci e uno sversamento di ammoniaca in mare.
È ancora da accertare se vi sia un legame tra l'insolita moria e la presenza di azoto ammoniacale nel tratto di mare, ma l'Arpat sta portando avanti i campionamenti e le analisi.
Ricostruiamo quanto sta accadendo a Rosignano. Nel pomeriggio del 29 agosto scorso sulla battigia in corrispondenza del Fosso Bianco sono arrivate decine di muggini “gaggia d’oro” e alcuni esemplari di lecce stella. La stessa mattina alcuni residenti hanno segnalato all’ufficio Ambiente del Comune un forte odore di ammoniaca nell'aria. Sono scattati immediatamente i controlli dell'Arpat.
Si verifica – e poi la società Solvay confermerà – che all’interno dello stabilimento c’è stato un disservizio ai distillatori della sodiera. L’impianto, bloccato, sta ripartendo, ma è fuoriuscita ammoniaca” spiega Il Tirreno.
Il sindaco contro Solvay: “Vogliamo chiarezza”
Da lì sono partite le polemiche. C'è un collegamento tra l'incidente avvenuto alla Solvay, con il relativo sversamento di ammoniaca, e la moria dei pesci? Non è ancora possibile confermarlo con certezza ma il sindaco di Rosignano ha chiesto alla Solvay di fare chiarezza, chiedendo formalmente una spiegazione pubblica e dettagliata sull'incidente che il 29 agosto ha causato maleodoranze e uno sversamento in mare di ammoniaca.
Il Comune conferma infatti che la morìa di pesci presso lo scarico a mare di Solvay ha fatto scattare l'allarme.
“Al momento purtroppo non abbiamo ancora un quadro completo della situazione – spiega il primo cittadino Alessandro Franchi abbiamo gli esiti dei due campionamenti eseguiti da Arpat il 29 e 30 agosto, e attendiamo l'esito degli esami sui pesci morti dell'istituto di zooprofilassi. Il collegamento tra la moria dei pesci e il presunto trafilamento di ammoniaca dallo stabilimento può essere solo ipotizzato come causa-effetto, ma abbiamo bisogno di qualcosa di certo”.
I campionamenti svolti da Arpat il 29 e 30 agosto hanno dato esiti molto diversi sulle zone di concentrazione di azoto ammoniacale nel tratto di mare antistante lo scarico dello stabilimento, probabilmente a causa delle correnti, spiega il Comune che sta valutando il divieto di balneazione.

pesci rosignano
“Ad oggi non abbiamo dati che ci permettano di estendere ancora il divietospiegano il sindaco e l'assessore all'ambiente Daniele Donati – infatti ASL ci scrive che 'vista la concentrazione di azoto ammoniacale presente nella zona balneabile, non sussistono problemi per la salute dei bagnanti'. Continueremo a seguire gli esiti degli altri campionamenti di Arpat, che è anche organo di polizia giudiziaria, e in caso di rilevazione di inquinamento deve presentare notizia di reato alle autorità. Ma pretendiamo che Solvay spieghi pubblicamente e dettagliatamente come si sono svolti i fatti”.
La risposta dell'Arpat
Il 31 agosto scorso, l'Arpat ha fornito i primi esiti dei campionamenti, che hanno rilevato
“una presenza di ammoniaca con concentrazioni superiori a quelle riscontrate durante i monitoraggi marino costieri routinari effettuati al largo con il battello Poseidon di ARPAT. I valori rilevati mostrano una andamento decrescente delle concentrazioni di ammoniaca allontanandosi dallo scarico Solvay”.
I dati sono stati inviati al Comune, alla Solvay e alla Asl.

campionamento arpat
“I pesci prelevati martedì 29 agosto, sono attualmente presso la sede di Pisa dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale per il Lazio e Toscana, per accertarne le cause della morte. Ulteriori campionamenti saranno realizzati da ARPAT per seguire l'evoluzione del fenomeno”.
Non c'è pace a Rosignano. Altro che Caraibi, altro che spiagge bianche caraibiche...

fonte: www.greenme.it