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Stop alla plastica monouso, il 3 luglio si avvicina

La Commissione europea fornisce gli Stati membri alcuni orientamenti sulle norme comunitarie atte a ridurre i rifiuti marini derivanti dalla plastica usa e getta



Entro il 3 luglio di quest’anno gli Stati membri dovranno garantire che determinati prodotti in plastica monouso non saranno più immessi sul mercato comunitario. A stabilirlo è la direttiva UE 2019/904, provvedimento che per la prima volta vieta la vendita di cotton-fioc, posate, piatti, cannucce, palette, bastoncini per palloncini realizzati in plastica, nonché alcuni contenitori alimentari in polistirolo espanso. I Ventisette hanno l’onere di recepire la direttiva nei rispettivi ordinamenti nazionali, affinché i relativi divieti entrino in vigore per la data concordata. Per facilitare un’applicazione corretta e standardizzata delle nuove norme, la Commissione europea ha pubblicato stamane alcune linee guida. Orientamenti che riportano alcune indicazioni fondamentali ai sensi del recepimento come ad esempio la definizione di plastica o del monuso.

Come ricorda oggi il vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo Frans Timmermans “La riduzione della plastica monouso aiuta a proteggere la salute delle persone e del pianeta. Le norme UE rappresentano una pietra miliare nell’affrontare il problema dei rifiuti marini. Stimolano anche la nascita di modelli di business sostenibili e ci avvicina a un’economia circolare in cui il riutilizzo precede l’usa e getta”.
Plastica monouso, tra specifiche e definizioni

Le linee guida spiegano definizioni e termini chiave e sono state sviluppate attraverso ampie consultazioni con gli Stati membri e le parti interessate. Ai sensi della direttiva, la definizione di plastica comprende tutti quei materiali costituiti da un polimero a cui possono essere stati aggiunti additivi o altre sostanze, e che possono fungere da componente strutturale principale dei prodotti finali. Ad eccezione dei polimeri naturali che non sono stati modificati chimicamente. Il provvedimento esenta anche vernici, inchiostri e adesivi. Gli orientamenti chiariscono ulteriormente termini quali “polimero naturale” e “modifica chimica” per garantire un’attuazione coerente in tutta l’Unione.

Anche i polimeri plastici biodegradabili e/o a base biologica sono considerate plastica ai sensi della direttiva. Attualmente ,infatti, non sono disponibili standard tecnici ampiamente condivisi per certificare che uno specifico prodotto sia correttamente biodegradabile nell’ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni all’ambiente.

I prodotti in plastica monouso comprendono beni realizzati sia interamente che parzialmente con polimeri plastici. E generalmente destinati ad un impiego unico o per un breve periodo di tempo. Questo significa che sono compresi anche prodotti usa e getta a base di carta con rivestimento plastico.

Per altri prodotti in plastica monouso, come attrezzi da pesca e salviettine umidificate, l’UE ha fissato altre misure di limitazione o riduzione del loro uso attraverso requisiti di etichettatura, schemi di responsabilità estesa del produttore (“principio chi inquina paga”), campagne e standard di progettazione. L’etichettatura di determinati beni dovrà seguire le regole stabilite dal regolamento del 17 dicembre 2020, sulle specifiche armonizzate di marcatura sui prodotti di plastica monouso elencati nella parte D dell’allegato della direttiva (UE) 2019 /904 .

fonte: www.rinnovabili.it


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Venezia si impegna a bandire la plastica e a praticare l’economia circolare

La Giunta della città lagunare aderisce all'iniziativa Plastic Smart Cities promossa dal WWF per eliminare la dispersione di plastica in natura. Venezia è la prima città italiana a far parte di questo programma e vuole diventare un esempio nella lotta all’inquinamento da plastica e nella ricerca di soluzioni innovative di economia circolare.










La Giunta comunale di Venezia ha approvato, su proposta dell’Assessore all’Ambiente Massimiliano De Martin, il provvedimento con cui il Comune aderisce all’iniziativa globale WWF “Plastic Smart Cities” per la lotta contro l’inquinamento da plastica entro il 2030. Venezia è la prima città italiana ad aderire all’iniziativa che include altre città del Mediterraneo come Nizza, Dubrovnik, Smirne e Tangeri.

«La tutela dell’ambiente, la promozione di una responsabilità collettiva di attenzione all’ecosistema, il sostegno all’economia circolare, gli investimenti per una mobilità condivisa e sempre più “green”, l’orgoglio di aver avviato le procedure per avere in città il primo distributore fisso di idrogeno in Italia e una seria campagna per il recupero delle reti da pesca abbandonate in mare dimostrano, a vari livelli, l’impegno di Venezia in quell’importante progetto di salvaguardia del pianeta che deve vederci tutti compatti», commenta De Martin. «Tutte azioni che questa Amministrazione Comunale si onora di aver avviato e sostenuto con l’obiettivo non solo di dare attuazione all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ma di procedere su un percorso che deve responsabilizzare ciascuno di noi».

Con la sottoscrizione della dichiarazione d’intenti (Plastic Smart City Commitment) predisposta dal WWF, l’Amministrazione comunale, ha voluto quindi ribadire questo suo impegno a tutela dell’ambiente e, in questo caso, per eliminare la dispersione di plastica in natura entro il 2030 sviluppando un piano d’azione che preveda, tra le altre cose, l’avvio di un progetto pilota che porti a un 30% di riduzione di inquinamento da plastica entro due anni. «Uniti sapremo raggiungere anche questo obiettivo – prosegue De Martin – e sono sicuro che arriveremo a risultati ancora più importanti. Venezia ogni anno durante il Giorno della Sensa “sposa” il Mare e quindi non poteva non essere in prima linea in questa importante campagna in sua difesa».

Il protocollo impegna inoltre a promuovere il coinvolgimento di settori chiave e parti interessate nella valutazione e nel miglioramento delle politiche, dei servizi e dei finanziamenti per prevenire la produzione di rifiuti di plastica e promuovere la loro gestione con soluzioni circolari, a sviluppare un piano di monitoraggio delle attività con baseline e target annuali e a condividere i progressi con il WWF attraverso le proprie attività di reporting, con un coinvolgimento attivo degli stakeholder e della cittadinanza nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche da adottare.

«Siamo orgogliosi di supportare l’iniziativa di Venezia, che è una città d’arte tra le più amate al mondo, sospesa tra bellezza e fragilità, e che diventa così simbolo della lotta alla dispersione della plastica in natura», commenta Donatella Bianchi, presidente WWF Italia. Grazie alla rete di città costiere a forte vocazione turistica dal nord al sud del Mediterraneo, tra cui Nizza, Dubrovnik, Smirne, Tangeri e da oggi Venezia, il WWF sta sviluppando la più grande attivazione civica degli ultimi decenni in difesa del mare. Una sfida cruciale che la pandemia ha ulteriormente accentuato per proteggere il Mediterraneo sempre più soffocato da plastiche e microplastiche che minacciano tutto l’ecosistema marino e la nostra salute.

L’iniziativa Plastic Smart Cities promossa dal WWF mira a collaborare con almeno 25 città o isole del Mediterraneo per ottenere risultati concreti e misurabili per fermare lo sversamento di plastica in natura entro il 2030. Venezia quindi contribuirà e beneficerà di una rete di conoscenze in merito a metodologie sviluppate per l’analisi della gestione dei rifiuti plastici, progetti di innovazione e soluzioni già messi in atto per evitare il consumo di plastica monouso.

Secondo il WWF, il Mediterraneo si sta trasformando in una pericolosa trappola di plastica: ogni anno, circa mezzo milione di tonnellate di plastica di grandi e piccole dimensioni entra nelle acque del nostro bacino, l’equivalente di 33.800 bottiglie di plastica gettate in mare ogni minuto. Un terzo dei rifiuti di plastica è mal gestito e, senza un’azione drastica, si prevede che quadruplicherà entro il 2050. Uno studio pubblicato nel 2020 su Science1 individua nella zona del Mar Tirreno la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nelle profondità di un ambiente marino: 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato.

L’emergenza COVID ha purtroppo favorito il grande ritorno della plastica monouso con evidenti effetti collaterali sull’ambiente, a causa dell’aumento dei rifiuti spesso mal gestiti e dispersi. Quello delle mascherine rappresenta solo la punta dell’iceberg di un problema molto più ampio che ha messo un freno ai recenti progressi fatti in materia di sostenibilità e gestione dei rifiuti: la quarantena ha ad esempio stimolato l’aumento degli acquisti online con conseguente aumento degli imballaggi plastici, mentre il divieto nei food service di contenitori riutilizzabili in favore dell’usa e getta. Il WWF ritiene che la pandemia non debba ostacolare l’ambizione nazionale e globale di ridurre la plastica e l’inquinamento da essa generato e debba invece accelerare la ricerca di alternative al monouso e la messa in atto di sistemi circolari di gestione efficiente delle risorse.

Il progetto “Venezia e Smirne insieme contro l’inquinamento da plastica” è realizzato grazie al supporto della Fondazione Blue Planet Virginia Böger. Maggiori informazioni sull’iniziativa globale sono disponibili su questo sito.

1 – Kane I.A. et al., 2020. Seafloor Microplastic Hotspots Controlled By Deep-Sea Circulation, Science, 2020, 1140-1145.

fonte: www.italiachecambia.org


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OneMore: tute da sci da scarti di mele e rifiuti oceanici

È l’abbigliamento ecologico del brand altoatesino OneMore, oggi in cerca di capitali su crowdfundme per continuare a crescere





Abbigliamento sportivo e da sci in similpelle ricavato dagli scarti industriali delle mele dell’Alto Adige e da un filo di nylon rigenerato, interamente realizzato con rifiuti oceanici e di discarica; capi con imbottiture create unicamente dal riciclo di bottiglie PET (polietilene tereftalato). Sono questi i cavalli di battaglia del brand altoatesino OneMore, protagonista di una campagna di equity crowdfunding su CrowdFundMe – unica piattaforma di Crowdinvesting (Equity Crowdfunding, Real Estate Crowdfunding e Corporate Debt) quotata a Piazza Affari.

OneMore è un marchio di skiwear ecosostenibile nato nel 2018 in provincia di Bolzano, nel cuore delle Dolomiti, per volontà di una squadra con oltre 20 anni di esperienza nel settore moda e con l’intento di rappresentare un esempio internazionale di design ultracontemporaneo, unito all’innovazione di prodotto, al rigore tecnico, alla perfetta vestibilità e soprattutto a una forte vocazione alla sostenibilità. Vocazione che si traduce nella rinuncia a pellicce e piume e nella ricerca di materiali riciclati o riciclabili, comeAppleSkin, similpelle prodotta dagli scarti industriali delle mele provenienti per la maggior parte dall’Alto Adige, ed ECONYL®, un filo di nylon rigenerato dai rifiuti. A oggi questi tessuti ecologici sono utilizzati per una parte della produzione, ma l’obiettivo è diventare 100% green nei prossimi anni.

La società, che ha realizzato un raddoppio dei ricavi dal primo al secondo anno di attività, passando da 300mila euro del 2018 a circa 600.000 del 2019, attende per il 2024 un fatturato quintuplicato rispetto al 2019, con un CAGR (tasso di crescita annuo composto) del 50% e conta su una forte espansione sul mercato mondiale entro i prossimi sette anni.

Dalla sua costituzione a oggi, OneMore, marchio registrato a livello internazionale, ha sviluppato una collezione completa uomo, donna e bambino (per gli sci-club), ha raggiunto una presenza nei negozi di tendenza delle più note località sciistiche (Courchevel, Meribel, Val d’Isere, Corvara in Badia, Ortisei, Livigno, Bormio, Schladming, Kitzbühel) e in quelle asiatiche di maggiore richiamo (Chongli – Cina, Tokyo – Giappone). Nel 2020 ha servito 27 punti vendita sportivi in 13 Paesi nel mondo, 9 scuole sci, 11 sci-club e un atleta di Coppa del Mondo. Anche se la pandemia ne ha rallentato l’avanzata, l’azienda è riuscita a confermare lo scorso anno un fatturato analogo a quello del 2019, con un incremento nel mese di dicembre, in virtù del potenziamento dell’e-commerce e dell’operatività online.




Forte di questi risultati e di una previsione di crescita globale annua dell’abbigliamento sportivo del 10%, nel periodo 2019-2025, secondo le stime di GrandViewReasearch, OneMore sta pianificando, sin da ora, tre potenziali scenari di Exit, da percorrere al termine dell’attuale piano di investimenti: cessione delle quote a un competitor di dimensione maggiore, a un fondo di Private Equity/Venture Capital (sul mercato sono presenti soggetti “aggregatori” di iniziative come quella di OneMore) e quotazione in Borsa.

I capitali raccolti su CrowdFundMe, con un obiettivo minimo di 350mila euro, saranno principalmente impiegati per la crescita digitale e il rafforzamento della conoscenza del marchio, anche tramite l’ampliamento della collezione che, senza rinnegare l’elemento tecnico, abbraccerà ambiti più ampi del tempo libero, fino a strizzare l’occhio allo street style.

fonte: www.rinnovabili.it


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Rifiuti marini, il Parlamento UE chiede un piano per ripulire i fiumi

Per i deputati europei ridurre l’impiego della plastica e aumentare il riciclo nel settore della pesca, sono due strumenti irrinunciabile per eliminare il marine litter



L’Unione europea ha bisogno di un piano dedicato alla pulizia dei fiumi dai macro e micro rifiuti che vi confluiscono. Ma anche di alzare gli obiettivi di riciclo e upcycling quando si parla di pesca ed acquacoltura. Questa la posizione del Parlamento europeo i tema di marine litter. Gli eurodeputati hanno votato ieri la risoluzione di Catherine Chabaud (Renew, FR) con cui si chiede di migliorare e rendere più efficaci quadro legislativo e governance in materia di rifiuti marini. E allo stesso di tempo di incrementare ricerca e conosce sul tema accelerando lo sviluppo dell’economia circolare nel settore ittico.

L’attenzione al comparto è fondamentale. Ogni giorno 730 tonnellate di rifiuti vengono scaricati direttamente nel Mediterraneo, a cui si aggiungono annualmente altre 11.200 tonnellate arrivate in mare per vie traverse. Di questi il 27% è costituto da rifiuti della pesca e dell’acquacoltura. Basti pensare alle grandi quantità di attrezzature marine che vengono quotidianamente abbandonate, persi, o buttati in mare, dove “rimangono intatte per mesi o addirittura anni”. Queste cosiddette reti fantasma “hanno un impatto indiscriminato su tutta la fauna marina, compresi gli stock ittici”.

Ovviamente non è solo la spazzatura di grandi dimensioni a preoccupare. Oggi le micro e nano plastiche costituiscono uno degli allarmi ambientali più diffusi. Rappresentano una grave minaccia per molte specie di fauna marina e di conseguenza anche per i consumatori. Oramai non c’è acqua al mondo che risulti non contaminata e il passaggio dal mare al piatto è più rapido di quanto si possa pensare. Si stima che consumatore medio di molluschi del Mediterraneo, spiega Strasburgo in una nota stampa – ingerisca in media 11.000 pezzi di plastica all’anno.

Per contrastare il fenomeno dei piccoli e grandi rifiuti marini, i deputati UE propongono di accelerare lo sviluppo di un’economia circolare nel settore ittico, eliminando gradualmente gli imballaggi in polistirolo espanso e migliorando i canali di raccolta e riciclo. Inoltre, sottolineano l’importanza di identificare nuovi materiali nella progettazione ecocompatibile degli attrezzi da pesca.

La risoluzione esorta gli Stati membri a istituire un “fondo speciale per la pulizia dei mari”, gestito tramite il nuovo Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (FEAMPA) o altre linee di finanziamento pertinenti, al fine di finanziare una serie di azioni:
la raccolta dei rifiuti marini da parte dei pescherecci;
la fornitura di adeguate strutture di stoccaggio dei rifiuti a bordo e il monitoraggio di quelli pescati passivamente; il rafforzamento della formazione destinata agli operatori;
il finanziamento dei costi del trattamento dei rifiuti e del personale necessario;
investimenti intesi a predisporre nei porti strutture adeguate adibite al deposito e allo stoccaggio della raccolta.

Non solo. I deputati chiedono alla Commissione e ai Paesi UE di adottare le linee guida volontarie dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura per la marcatura degli attrezzi da pesca. Assieme ad un piano d’azione comunitario per ridurre sostanzialmente l’uso della plastica e per affrontare l’inquinamento di fiumi, corsi d’acqua e coste.

“I rifiuti marini – spiega Chabaud – sono una questione trasversale che deve essere affrontata in modo olistico. La lotta contro i rifiuti marini non inizia in mare, ma deve coinvolgere una visione a monte che comprende l’intero ciclo di vita di un prodotto. Ogni rifiuto che finisce in mare è un prodotto uscito dal ciclo dell’economia circolare. Per combattere l’inquinamento, dobbiamo continuare a promuovere modelli di business virtuosi e integrare nuovi settori come la pesca e l’acquacoltura in questi sforzi globali. Non c’è pesca sostenibile senza un oceano sano”.

fonte: www.rinnovabili.it

 

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È il turismo il principale responsabile dei rifiuti marini che finiscono sulle spiagge delle isole del Mediterraneo

Il turismo produce l'80% dei rifiuti marini che si accumulano sulle spiagge delle isole del Mediterraneo in estate. La pandemia di Cobvid-19 è un'opportunità per ripensare il modello del turismo sostenibile




Lo studio “The generation of marine litter in Mediterranean island beaches as an effect of tourism and its mitigation”, pubblicato su Scientific Reports da Michaël Grelaud e Patrizia Zivieri dell’Institut de Ciència i Tecnologia Ambientals de la Universitat Autònoma de Barcelona (ICTA-UAB), mette in guardia sull’impatto che l’attuale modello turistico nelle isole del Mediterraneo ha sullo spiaggiamento di rifiuti marini e raccomanda di sfruttare la crisi del Covid.19 per ripensare a un nuovo modello di turismo più sostenibile.

Lo studio di mostra che «L’uso ricreativo delle spiagge delle isole del Mediterraneo durante l’estate è responsabile fino all’80% dei rifiuti marini che si accumulano su quelle spiagge e genera enormi quantità di microplastiche attraverso la frammentazione di grandi prodotti in plastic».

Lo studio internazionale ha analizzato negli ultimi 4 anni gli effetti dei rifiuti generati dal turismo su 24 spiagge, da siti remoti a siti altamente turistici, di 8 isole del Mediterraneo (Maiorca, Sicilia, Rab, Malta, Creta, Mykonos, Rodi e Cipro). All’ICTA-UAB ricordano che «I rifiuti marini, comprese le microplastiche, possono essere definiti come qualsiasi materiale solido persistente, prodotto o lavorato scartato, smaltito o abbandonato nell’ambiente marino e costiero. Derivano dall’attività umana e possono essere trovati in tutti gli oceani e i mari del mondo».

Grelaud sottolineano che «Questo problema ambientale sta minacciando la buona salute degli ecosistemi marini e può portare alla perdita di biodiversità. Può avere anche enormi impatti economici per le comunità costiere che dipendono dai servizi ecosistemici aumentando la spesa per la pulizia delle spiagge, la salute pubblica o lo smaltimento dei rifiuti».

La regione del Mediterraneo accoglie ogni anno circa un terzo del turismo mondiale ed è particolarmente colpita dall’inquinamento ambientale legato a questa industria che, come dicono spesso gli esperti, insieme a quella estrattiva è l’unica che “mangia” sé stessa. L’attrattività delle isole del Mediterraneo fa sì che la loro popolazione si moltiplichi fino a 20 volte durante l’alta stagione. I ricercatori evidenziano che «Si tratta di una sfida per i comuni costieri, che dipendono da questo settore ma devono adeguarsi e far fronte all’aumento dei rifiuti prodotti, anche sulle spiagge, dall’afflusso stagionale di turisti. Si prevede infatti che il turismo costiero sia una delle principali fonti di rifiuti marini terrestri».

Durante la bassa e alta stagione turistica del 2017, il team di ricerca ha condotto 147 indagini sui rifiuti marini nelle 8 isole e i risultati di mostrano che la stragrande maggioranza dei rifiuti raccolti sono di plastica, visto che rappresentano oltre il 94% dei rifiuti marini.

Dallo studio è emerso che, durante l’estate, sulle frequentatissime spiagge turistiche si accumulano in media 330 rifiuti per 1.000 m2 al giorno, 5,7 volte in più rispetto alla bassa stagione e che oltre il 65% della quantità di rifiuti marini che si accumulano sulle spiagge più frequentate dai turisti e costituito da mozziconi di sigarette, cannucce, lattine e alter tipologie di imballaggi usa e getta. I ricercatori avvertono che «Questo può aumentare fino all’80% se vengono incluse le microplastiche di grandi dimensioni. Come suggerito dai risultati: durante l’estate, gli articoli in plastica lasciati sulla spiaggia subiranno una frammentazione per gli effetti combinati dell’irraggiamento solare e dell’attrito con la sabbia, accelerati dall’elevato volume dei visitatori». Un fenomeno osservato in tutte le isole del Mediterraneo,

Nel 2019, e dopo l’attuazione di campagne di sensibilizzazione dei cittadini, c’è stata una diminuzione di oltre il 50% dei rifiuti associati alla frequentazione delle spiagge da parte dei turisti.

La Zivieri conclude: «Questi risultati molto incoraggianti beneficiano probabilmente della crescente attenzione dell’opinione pubblica verso l’inquinamento da plastica negli oceani o verso le misure adottate dalla Commissione europea per ridurre i rifiuti marini, come la direttiva sulla plastica monouso. Inoltre ci ricordano che il confinamento da Covid-19 e la relativa riduzione drastica e temporanea del turismo ci offre un’opportunità per ripensare l’importanza fondamentale del turismo sostenibile per garantire un futuro sano per l’ambiente e, quindi, anche per le persone».

fonte: www.greenreport.it

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L’inquinamento da rifiuti marini in plastica è una preoccupazione globale

 











La plastica rappresenta circa l’80% dei rifiuti marini e deriva dalle attività umane sia terrestri che marine. La lotta ai rifiuti marini richiede la conoscenza delle fonti, dei percorsi, e degli impatti; richiede programmi di monitoraggio e valutazione armonizzati a livello mondiale per guidare le misure e valutarne l’efficacia.

Lo afferma l’UNEP, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’ambiente, in un suo documento.

https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2020/11/FB18-compresso.pdf

Secondo questa agenzia internazionale, le stime della plastica che finisce nell’oceano attraverso i fiumi sono nell’ordine di diversi milioni di tonnellate ogni anno.

L’inquinamento dell’ambiente marino causato dai rifiuti di plastica è una questione complessa e impegnativa (vedi immagine).

La plastica comprende un’ampia varietà di polimeri sintetici con diverse composizioni e proprietà che ne influenzano la distribuzione e il destino, nonché gli effetti sull’ambiente. I rifiuti marini possono variare in dimensioni dagli scafi delle barche oceaniche di molti metri di lunghezza a micro e nanoplastiche, particelle più piccole di 5 mm e possono essere diffusi e distribuiti a livello globale in diversi ambienti marini.

La conoscenza esistente delle quantità di rifiuti marini nell’oceano si basa su metodi e indicatori di campionamento variabili, così come ambienti diversi ed è limitato solo ad alcune regioni del mondo. Ciò ostacola la comparabilità dei dati e limita la piena comprensione degli impatti globali e dell’efficacia sia della risposta politica ai rifiuti marini sia delle politiche esistenti sui rifiuti marini, sottolineando così la necessità di metodi e approcci armonizzati per il monitoraggio e la valutazione dei rifiuti marini.

Il monitoraggio dell’ambiente marino per la presenza di rifiuti di plastica è essenziale per determinare le fonti, le destinazioni, l’estensione, le tendenze e i possibili impatti dei rifiuti marini; fornisce inoltre informazioni sulle possibili misure di mitigazione e che possono essere utilizzate per valutarne l’efficacia.

Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), supportato dalla Commissione oceanografica intergovernativa dell’UNESCO e da altre agenzie delle Nazioni Unite (IMO, FAO, UNIDO, WMO, IAEA, UN, UNDP), sta coordinando gli sforzi per promuovere un approccio armonizzato, coerente e standardizzato nella progettazione di programmi di campionamento per il monitoraggio e la valutazione dei rifiuti marini, compresa la selezione di indicatori appropriati (ad esempio metodi di campionamento, protocolli, unità di valutazione).

Le organizzazioni dell’UNEP e del CIO / UNESCO hanno il compito di supportare i paesi nell’implementazione di metodi e procedure rispetto all’obiettivo 14.1: “Entro il 2025, prevenire e ridurre significativamente l’inquinamento marino di ogni tipo, in particolare dalle attività terrestri, inclusi i rifiuti marini e inquinamento da nutrienti ‘nell’ambito dell’obiettivo di sviluppo sostenibile 14 (Vita sott’acqua) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.”

Per affrontare la mancanza di una metodologia concordata a livello internazionale per la segnalazione della distribuzione e dell’abbondanza di rifiuti marini in plastica e microplastiche negli ambienti marini, il Joint Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Protection (GESAMP) ha pubblicato, nel 2019, il rapporto “Linee guida per il monitoraggio e la valutazione dei rifiuti di plastica e delle microplastiche nell’oceano ”.

https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2020/11/rs99e.pdf

Il rapporto GESAMP ha lo scopo di integrare e armonizzare i programmi di monitoraggio e valutazione stabiliti, come quelli sviluppati nel quadro dei mari regionali, dell’Unione europea e da diversi singoli paesi. Le linee guida includono un approccio graduale per assistere le autorità nazionali e gli enti regionali nell’elaborazione di programmi per valutare la contaminazione da plastica marina, compresa la progettazione del campionamento, la selezione degli indicatori e l’armonizzazione dei metodi (vedi tabella).
Table 1: Summary of the recommended sampling approaches for different compartment and plastic sizes, regarding their feasibility (1 more feasible, 7 less feasible; based on resource sampling and processing requirements) and common policy concerns addressed, with reference to the specific chapters in the report. This policy relevance index is the sum of the policy concerns addressed by the sampling approach. Compartments – SL: shoreline; SF: seafloor; B: biota; SS: sea surface. Sub-compartments – BE: beach; FISH: fish; INV: invertebrate; SEAB: seabed; MEG: mega-fauna. Plastic sizes – MA: macro-plastic; ME: meso-plastic; MI: micro-plastic.

Le linee guida coprono tutte le gamme di dimensioni dei rifiuti di plastica e presentano le definizioni della terminologia comune utilizzata nel monitoraggio dei rifiuti marini esistenti, che è la chiave per creare un approccio armonizzato e aumentare il potenziale di condivisione di dati e informazioni. Descrivono anche alcuni principi di base di monitoraggio e valutazione, compreso il possibile coinvolgimento di cittadini scienziati (citizen science).







fonte: www.snpambiente.it


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Quali soluzioni per i rifiuti marini in Adriatico? Approfondimenti Arpa FVG a ESOF2020




Si è concluso ESOF2020, l’importante forum scientifico europeo dedicato alla ricerca scientifica e all’innovazione che si è tenuto a Trieste dal 2 al 6 settembre.

Di rifiuti marini si è parlato, venerdì 4 settembre, nel corso della tavola rotonda “The marine litter problem: sources, dispersion and impacts” proposta da Arpa FVG.

I rifiuti marini sono un problema riconducibile a un non corretto smaltimento dei beni giunti a fine vita, soprattutto quelli plastici. La questione è letteralmente esplosa negli ultimi anni diventando in breve tempo un problema ambientale emergente e di non facile soluzione. Le aree interessate sono sia quelle di costa che le ampie superfici in mare aperto, non sempre soggette alla giurisdizione di singole entità statali. I metodi d’intervento possono pertanto differire nei diversi territori rendendo ancora più complessa la ricerca di una soluzione a questa emergenza ambientale.

La questione deve essere pertanto affrontata adottando un approccio a più livelli, quello locale, per gli effetti a ridosso delle coste, e quello del confronto internazionale per definire metodologie di intervento comuni.

La tavola rotonda è stata un’occasione per avviare un confronto su questo tema con l’intera comunità scientifica alla ricerca di soluzioni adeguate in un’ottica di sostenibilità.

Alla tavola rotonda hanno partecipato qualificati relatori di Italia, Croazia e Slovenia, che hanno analizzato lo stato dei rifiuti marini nell’ambito del bacino Adriatico sotto molteplici punti di vista, biologico, chimico, ecologico, senza tralasciare la comunicazione del rischio. Ampio spazio è stato dato alla verifica e al confronto dei metodi di monitoraggio attualmente adottati in Alto Adriatico e alla modellizzazione della dispersione degli inquinanti in mare.

Nel corso dell’incontro è stata posta particolare attenzione ai rifiuti sul fondo del mare. Sui fondali marini si depositano, infatti, la maggior parte di questi rifiuti, che sono, in peso e volume, molto superiori a quelli presenti sulle spiagge o sulla superficie del mare.

Infine, sono state proposte delle soluzioni al problema dei rifiuti marini, indagando sia gli aspetti della loro produzione, sia le buone pratiche e i possibili approcci educativi.

L’organizzazione di questo qualificato incontro scientifico in ambito ESOF2020 ha rappresentato per Arpa FVG un importante momento di crescita. Da un lato la possibilità di consolidare le relazioni con enti omologhi operanti in stati contermini, dall’altro la possibilità di fungere da “antenna” su questo argomento con l’intero Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA).

Il convegno sui rifiuti marini non è stato tuttavia l’unico evento ad impegnare Arpa nel contesto delle iniziative proposte da ESOF2020. Si sono aggiunti infatti gli eventi proposti dal Laboratorio di educazione ambientale (Larea) di Arpa FVG in collaborazione con Area Marina Protetta (AMP) di Miramare, quali:
i PressTour dedicati ai giornalisti accreditati, che hanno potuto così scoprire, con l’aiuto degli esperti Arpa e dell’Area Protetta Marina di Miramare, le bellezze nascoste del Golfo di Trieste;
i laboratori “Plastiche a-mare” con attività per famiglie sul tema delle “Marine litter” e dell’impatto di plastiche e microplastiche sull’ambiente marino;
i “bluebliz”, uscite in snorkeling per scoprire le attività scientifiche di censimento e monitoraggio di specie marine.

Gli eventi proposti da Arpa FVG proseguiranno fino a fine anno nell’ambito del Science in the city festival con un ricco programma di iniziative.

fonte: https://www.snpambiente.it


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Controllo e riduzione dei rifiuti marini nell’Adriatico

E' partito il progetto MARLESS - MARine Litter cross-border awarenESS and innovation actions, che affronterà il problema dei rifiuti marini “marine litter” nell’Adriatico.





Si è svolto il 28 e 29 luglio il meeting online di avvio del progetto MARLESS – MARine Litter cross-border awarenESS and innovation actions, che affronterà il problema dei rifiuti marini “marine litter” nell’Adriatico, analizzando le cause ed individuando azioni operative per la gestione e riduzione di questa tipologia di rifiuti.

Tecnologie e approcci innovativi

I rifiuti marini sono costituiti per la maggior parte da plastica (75%) e molti provengono dalla terraferma. Nello sviluppo del progetto saranno utilizzate tecnologie e approcci innovativi e sostenibili per il controllo della marine litter coinvolgendo nell’attività rappresentanti del settore turistico e dell’acquacultura. Tra gli obiettivi la raccolta di 250.000 frammenti di microplastiche e 50 tonnellate di rifiuti marini attraverso l’utilizzo di seabin, droni, barriere fluviali ed azioni di “fishing for litter”. Il “seabin” è un apposito cestino che raccoglie i rifiuti che galleggiano in acqua e verrà utilizzato per la raccolta dei rifiuti nei porti. Droni acquatici saranno utilizzati per raccogliere plastiche di diametro superiore a 0.5 mm. Una parte dei rifiuti plastici raccolti sarà poi trattata in un apposito impianto per la trasformazione in combustibile.



Un focus sulle microplastiche

Un focus specifico del progetto sarà dedicato alle microplastiche che, a livello mondiale, ammontano a circa 3 milioni di tonnellate/anno su un totale di 11 milioni di tonnellate/anno di plastiche disperse in mare. I partner di progetto individueranno azioni mirate alla prevenzione e al monitoraggio in mare, con particolare attenzione in corrispondenza delle foci fluviali. Tra queste l’attivazione di una rete di 12 punti di monitoraggio delle microplastiche in mare.
I partner di progetto

MARLESS, finanziato nell’ambito del programma INTERREG Italy – Croatia, coinvolge 13 partner: sette italiani (ARPAV come lead partner, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, Regione del Veneto, Università di Bologna, Fondazione Cetacea, Regione Emilia Romagna e Regione Puglia) e sei Croati (Ministero dell’Ambiente e dell’Energia, Agenzia di Sviluppo dell’area Dubrovnik-Neretva, Università di Dubrovnik, Istituto Ruder Boskovic, Regione dell’Istria e l’Agenzia per l’Energia Istriana).

Contrastare la marine litter: una strategia per l’Adriatico

ARPAV, in qualità di lead partner, si occuperà della gestione complessiva del progetto e del coordinamento delle attività, oltre a contribuire allo sviluppo di una strategia di monitoraggio condivisa fra le due sponde dell’Adriatico. Oggetto della strategia la marine litter nelle sue diverse forme: rifiuto spiaggiato, rifiuto in mare e microplastiche.
Il progetto durerà 30 mesi e si concluderà nel 2022.

fonte: https://www.snpambiente.it



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I peluche di IKEA “trasformati” per sensibilizzare sui pericoli della plastica negli oceani





Cinque studenti di pubblicità russi hanno realizzato questa campagna che mostra come le parti in plastica possano essere letali per molti animali marini.

Ogni giorno milioni di pezzi di plastica raggiungono l’oceano. L’impatto ambientale derivante da questo problema è terribile e costituisce una seria minaccia per molte specie i cui habitat si stanno deteriorando all’aumentare dell’inquinamento.

Quindi, ci sono sempre più iniziative e movimenti che cercano di ridurre il consumo di plastica. Come questa campagna di sensibilizzazione che sta circolando in questi giorni su Internet, ma che in realtà un gruppo di cinque studenti della MADS (Moscow AAttraverso gli animali di peluche IKEA , questi studenti hanno voluto riflettere la dura realtà che molti animali vivono a causa della plastica negli oceani.


Sotto il nome di Plastic Surgery (Chirurgia Plastica), hanno ridisegnato alcuni dei modelli di peluche per bambini venduti da IKEA.

I poveri animali hanno pezzi di plastica aggrovigliati attorno al collo e agli arti.

Il risultato riflette la realtà che milioni di animali affrontano nel loro habitat naturale, che è stato inondato di plastica.


Sebbene questo annuncio sia in realtà di qualche anno fa, e non sia ufficialmente affiliato a IKEA, invia un messaggio potente sull’importanza di combattere l’inquinamento della plastica.

Fonte: Adsoftheworld


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Presto nel Mediterraneo ci saranno più mascherine che meduse: le immagini dei fondali della Costa Azzurra



















Nel Mediterraneo presto ci saranno più mascherine che meduse. E’ l’allarme lanciato da un’organizzazione ecologista francese che ha denunciato la comparsa di questi rifiuti sulle coste e i fondali del paese.

Le immagini che arrivano dalla Francia sono davvero terribili. A scattarle e a diffonderle è stata l’organizzazione Opération Mer Propre che durante diverse operazioni di pulizia effettuate ad Antibes e nella baia del Golfe-Juan, situata sulla Costa Azzurra, ha raccolto dai fondali un gran numero di mascherine e guanti in lattice.


“Li stavamo aspettando, sono arrivati, ma non nel posto giusto… Le prime maschere sono apparse nel Mediterraneo” si legge nel post pubblicato sulla pagina Facebook dell’associazione.

Purtroppo quanto si temeva da tempo sta accadendo. Proprio di recente, un’analisi dell’Ispra ha messo in luce che il fabbisogno giornaliero di mascherine della cosiddetta Fase 2 si aggirrà intorno ai 35/40 milioni di pezzi. Di conseguenza la produzione di rifiuti giornaliera in Italia sarà tra 250 e 720 tonnellate.


“Utilizzando il peso medio di 11 grammi (che prende in considerazione tutte le tipologie di mascherine) e un fabbisogno intermedio di 37,5 milioni, si avrebbe una produzione giornaliera di circa 410 tonnellate. La produzione calcolata sino a fine 2020 (circa 240 giorni) si attesterebbe, pertanto, tra le 60.000 e le 175.000 tonnellate di rifiuti, con un valore sulla media di circa 100.000 tonnellate”

Purtroppo tali rifiuti stanno contribuendo in maniera esponenziale all’aumento del marine littering, come mostrano le immagini pubblicate da Opération Mer Propre. Secondo l’associazione, i dispositivi di protezione individuale usati contro il coronavirus popolano il fondo marino insieme a materie plastiche e lattine, aumentando il problema della contaminazione delle acque.

Nelle immagini scattate dal fondatore dell’associazione, Laurent Lombard, si può vedere coi propri occhi lo scempio e il degrado presente nei mari francesi.




©Opération Mer Propre


©Opération Mer Propre


©Opération Mer Propre


©Opération Mer Propre

Il fondatore dell’associazione, Laurent Lombard, ha spiegato che sapendo che ne sono state acquistate più di 2 miliardi di mascherine, presto ci saranno più mascherine che meduse nelle acque del Mediterraneo.

Per questo insiste sul fatto che è responsabilità di tutti evitare che il mare venga ulteriormente inquinato:


“La crisi sanitaria ci ha permesso di vedere il meglio e il peggio in noi, se non facciamo nulla è la cosa peggiore che succederà mentre è semplicemente una questione di buon senso per evitare tutto questo. Direi solo che basta differenziare correttamente una maschera usa e getta, buttandola nella spazzatura come tutti gli altri rifiuti”.

fonte: www.greenme.it


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Abyss Cleanup: la nuova avventura del videomaker Igor D’India