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Anbi: “Non si può parlare di transizione ecologica e autorizzare le trivellazioni in Alto Adriatico”

"Alle popolazioni di Veneto ed Emilia Romagna servono segnali concreti nel segno della sostenibilità, non il riproporsi di paure per situazioni, che continuano a pagare. L’affondamento del Polesine e del Delta Padano ha causato un grave dissesto territoriale, nonchè ripercussioni sull’economia e la vita sociale dell’area". Così l'Associazione Nazionale dei Bacini Idrici





“Riproporre le trivellazioni in Alto Adriatico non è rispettoso del tributo già pagato da quelle popolazioni – afferma Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI). E’ ingiusto che territori di Veneto ed Emilia Romagna, fra l’altro importanti asset turistici, rischino di essere penalizzati dalle conseguenze di scelte governative localmente non condivise.”

“I territori delle province di Rovigo, Ferrara e del comune di Ravenna – ricorda Giancarlo Mantovani, Direttore dei Consorzi di bonifica polesani – sono stati interessati dallo sfruttamento di giacimenti metaniferi dal 1938 al 1964; l’emungimento di acque metanifere innescò un’accelerazione, nell’abbassamento del suolo, decine di volte superiore ai livelli normali: agli inizi degli anni ‘60 raggiunse punte di 2 metri ed oltre, con una velocità stimabile fino a 25 centimetri all’anno; misure successive hanno dimostrato che l’abbassamento del territorio ha avuto punte massime di oltre 3 metri dal 1950 al 1980. Rilievi effettuati dall’Università di Padova hanno evidenziato un ulteriore abbassamento di 50 centimetri nel periodo 1983-2008 nelle zone interne del Delta del Po.”

L’ “affondamento” del Polesine e del Delta Padano ha causato un grave dissesto territoriale, nonchè ripercussioni sull’economia e la vita sociale dell’area; il sistema di bonifica, indispensabile per mantenere l’equilibrio idrogeologico locale, è attualmente costituito da oltre 500 impianti idrovori e l’aggravio sui bilanci degli enti consorziali per la sola energia elettrica è di circa 20 milioni di euro.

La conseguenza dell’alterazione dell’equilibrio idraulico fu infatti lo sconvolgimento del sistema di bonifica. Tutti i corsi d’acqua si trovarono in uno stato di piena apparente, perché gli alvei e le sommità arginali si erano abbassate, aumentando la pressione idraulica sulle sponde ed esponendo il territorio a frequenti esondazioni. Gli impianti idrovori cominciarono a funzionare per un numero di ore di gran lunga superiore a quello precedente (addirittura il triplo od il quadruplo), con maggior consumo di energia e conseguente aumento delle spese di esercizio a carico dei Consorzi di bonifica.

Si rese inoltre indispensabile il riordino di tutta la rete scolante così come degli argini a mare.

“Per questo, alle popolazioni di questi territori servono segnali concreti nel segno della sostenibilità, non il riproporsi di paure per situazioni, che continuano a pagare – conclude Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – Che senso ha parlare di transizione ecologica ed autorizzare la ripresa delle trivellazioni nell’Alto Adriatico?”

fonte: www.ecodallecitta.it

 

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Ecco il progetto AGNES, hub energetico per il Mare Adriatico

L ’obiettivo è riconvertire le piattaforme offshore al largo delle coste di Ravenna per creare un distretto marino integrato. Pianificate 65 turbine eoliche, un impianto fotovoltaico flottante da 100 MW e parco di elettrolizzatori in grado di produrre 4.000 tonnellate di idrogeno l’anno









“Il progetto nell’offshore di Ravenna è il primo hub energetico al mondo in cui idrogeno e fotovoltaico sono realizzati su scala commerciale” e “uno dei progetti di eolico offshore più grandi nel Mediterraneo”. Con queste parole Francesco Balestrino, Renewable and Green Technologies Product Manager, e Matteo Anzalone, Renewable Engineer, della Divisione XSIGHT di Saipem, hanno presentato il progetto AGNES. Stamane, in un evento rigorosamente digitale, il gruppo assieme con l’italiana Qint’x e la giovanissima società AGNES, hanno presentato alla stampa l’iniziativa.

L’obiettivo è piuttosto ambizioso: creare nel Mar Adriatico il primo distretto energetico verde integrato. E farlo mediante la riconversione di strutture del settore idrocarburi. Sì perché nel cuore del progetto Agnes ci sono soprattutto le tecnologie delle fonti rinnovabili, dall’eolico offshore, al fotovoltaico flottante, dalle batterie al litio per all’accumulo energetico agli elettrolizzatori per la riduzione di idrogeno.

Il futuro hub energetico verde dovrebbe sorgere a largo delle coste di Ravenna, in acque storicamente legate all’estrazione del gas, a seguito di una serie di passaggi essenziali (iter autorizzato, procedura di VIA, Decisione di investimento finale). Ma una volta a regime dovrebbe costituire un vero e proprio unicum nel panorama energetico italiano e mediterraneo.

Il progetto ha pianificato la realizzazione di almeno 620 MW di potenza rinnovabile in mare riconvertendo le ex piattaforme petrolifere. 520 MW proverranno da turbine offshore, costituendo una delle più grandi wind farm del Mediterraneo; il resto della capacità, da un parco di fotovoltaico flottante (100 MW). A ciò si aggiungerà anche una serie di elettrolizzatori, sia a terra che su piattaforme offshore, per la produzione di 4mila tonnellate di idrogeno l’anno. Un quantitativo sufficiente ad alimentare oltre 2mila autobus a fuel cell. Dulcis in fundo, 100 MWh di batterie a litio.

La presentazione del progetto come spiega Alberto Bernabini, CEO e fondatore di Qint’x e Agnes, avviene in un momento molto importante. “A fine gennaio abbiamo accettato il preventivo di connessione di Terna, impegnando la potenza necessaria sulla rete di trasmissione nazionale e presentato le istanze di autorizzazione unica e di concessione demaniale, sancendo così l’inizio ufficiale dell’iter di autorizzazione”, afferma Bernabini. “Questa è una tappa fondamentale di un percorso iniziato circa 3 anni fa con lo studio di fattibilità di un progetto molto complesso, ma anche molto importante per il rilancio di Ravenna come capitale italiana dell’energia”.

Non solo Ravenna. Il progetto Agnes è il primo passo di una strategia potenzialmente molto più ampia. “Attraverso la nostra divisione XSIGHT – proseguono Balestrino ed Anzalone – stiamo studiando analoghi progetti anche in Sicilia e in Sardegna che prevedono l’utilizzo della nostra tecnologia basata su fondazioni galleggianti per le turbine eoliche, oggetto anche di un recente accordo di collaborazione tra Saipem e il CNR“.

fonte: www.rinnovabili.it


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Quali soluzioni per i rifiuti marini in Adriatico? Approfondimenti Arpa FVG a ESOF2020




Si è concluso ESOF2020, l’importante forum scientifico europeo dedicato alla ricerca scientifica e all’innovazione che si è tenuto a Trieste dal 2 al 6 settembre.

Di rifiuti marini si è parlato, venerdì 4 settembre, nel corso della tavola rotonda “The marine litter problem: sources, dispersion and impacts” proposta da Arpa FVG.

I rifiuti marini sono un problema riconducibile a un non corretto smaltimento dei beni giunti a fine vita, soprattutto quelli plastici. La questione è letteralmente esplosa negli ultimi anni diventando in breve tempo un problema ambientale emergente e di non facile soluzione. Le aree interessate sono sia quelle di costa che le ampie superfici in mare aperto, non sempre soggette alla giurisdizione di singole entità statali. I metodi d’intervento possono pertanto differire nei diversi territori rendendo ancora più complessa la ricerca di una soluzione a questa emergenza ambientale.

La questione deve essere pertanto affrontata adottando un approccio a più livelli, quello locale, per gli effetti a ridosso delle coste, e quello del confronto internazionale per definire metodologie di intervento comuni.

La tavola rotonda è stata un’occasione per avviare un confronto su questo tema con l’intera comunità scientifica alla ricerca di soluzioni adeguate in un’ottica di sostenibilità.

Alla tavola rotonda hanno partecipato qualificati relatori di Italia, Croazia e Slovenia, che hanno analizzato lo stato dei rifiuti marini nell’ambito del bacino Adriatico sotto molteplici punti di vista, biologico, chimico, ecologico, senza tralasciare la comunicazione del rischio. Ampio spazio è stato dato alla verifica e al confronto dei metodi di monitoraggio attualmente adottati in Alto Adriatico e alla modellizzazione della dispersione degli inquinanti in mare.

Nel corso dell’incontro è stata posta particolare attenzione ai rifiuti sul fondo del mare. Sui fondali marini si depositano, infatti, la maggior parte di questi rifiuti, che sono, in peso e volume, molto superiori a quelli presenti sulle spiagge o sulla superficie del mare.

Infine, sono state proposte delle soluzioni al problema dei rifiuti marini, indagando sia gli aspetti della loro produzione, sia le buone pratiche e i possibili approcci educativi.

L’organizzazione di questo qualificato incontro scientifico in ambito ESOF2020 ha rappresentato per Arpa FVG un importante momento di crescita. Da un lato la possibilità di consolidare le relazioni con enti omologhi operanti in stati contermini, dall’altro la possibilità di fungere da “antenna” su questo argomento con l’intero Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA).

Il convegno sui rifiuti marini non è stato tuttavia l’unico evento ad impegnare Arpa nel contesto delle iniziative proposte da ESOF2020. Si sono aggiunti infatti gli eventi proposti dal Laboratorio di educazione ambientale (Larea) di Arpa FVG in collaborazione con Area Marina Protetta (AMP) di Miramare, quali:
i PressTour dedicati ai giornalisti accreditati, che hanno potuto così scoprire, con l’aiuto degli esperti Arpa e dell’Area Protetta Marina di Miramare, le bellezze nascoste del Golfo di Trieste;
i laboratori “Plastiche a-mare” con attività per famiglie sul tema delle “Marine litter” e dell’impatto di plastiche e microplastiche sull’ambiente marino;
i “bluebliz”, uscite in snorkeling per scoprire le attività scientifiche di censimento e monitoraggio di specie marine.

Gli eventi proposti da Arpa FVG proseguiranno fino a fine anno nell’ambito del Science in the city festival con un ricco programma di iniziative.

fonte: https://www.snpambiente.it


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Controllo e riduzione dei rifiuti marini nell’Adriatico

E' partito il progetto MARLESS - MARine Litter cross-border awarenESS and innovation actions, che affronterà il problema dei rifiuti marini “marine litter” nell’Adriatico.





Si è svolto il 28 e 29 luglio il meeting online di avvio del progetto MARLESS – MARine Litter cross-border awarenESS and innovation actions, che affronterà il problema dei rifiuti marini “marine litter” nell’Adriatico, analizzando le cause ed individuando azioni operative per la gestione e riduzione di questa tipologia di rifiuti.

Tecnologie e approcci innovativi

I rifiuti marini sono costituiti per la maggior parte da plastica (75%) e molti provengono dalla terraferma. Nello sviluppo del progetto saranno utilizzate tecnologie e approcci innovativi e sostenibili per il controllo della marine litter coinvolgendo nell’attività rappresentanti del settore turistico e dell’acquacultura. Tra gli obiettivi la raccolta di 250.000 frammenti di microplastiche e 50 tonnellate di rifiuti marini attraverso l’utilizzo di seabin, droni, barriere fluviali ed azioni di “fishing for litter”. Il “seabin” è un apposito cestino che raccoglie i rifiuti che galleggiano in acqua e verrà utilizzato per la raccolta dei rifiuti nei porti. Droni acquatici saranno utilizzati per raccogliere plastiche di diametro superiore a 0.5 mm. Una parte dei rifiuti plastici raccolti sarà poi trattata in un apposito impianto per la trasformazione in combustibile.



Un focus sulle microplastiche

Un focus specifico del progetto sarà dedicato alle microplastiche che, a livello mondiale, ammontano a circa 3 milioni di tonnellate/anno su un totale di 11 milioni di tonnellate/anno di plastiche disperse in mare. I partner di progetto individueranno azioni mirate alla prevenzione e al monitoraggio in mare, con particolare attenzione in corrispondenza delle foci fluviali. Tra queste l’attivazione di una rete di 12 punti di monitoraggio delle microplastiche in mare.
I partner di progetto

MARLESS, finanziato nell’ambito del programma INTERREG Italy – Croatia, coinvolge 13 partner: sette italiani (ARPAV come lead partner, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, Regione del Veneto, Università di Bologna, Fondazione Cetacea, Regione Emilia Romagna e Regione Puglia) e sei Croati (Ministero dell’Ambiente e dell’Energia, Agenzia di Sviluppo dell’area Dubrovnik-Neretva, Università di Dubrovnik, Istituto Ruder Boskovic, Regione dell’Istria e l’Agenzia per l’Energia Istriana).

Contrastare la marine litter: una strategia per l’Adriatico

ARPAV, in qualità di lead partner, si occuperà della gestione complessiva del progetto e del coordinamento delle attività, oltre a contribuire allo sviluppo di una strategia di monitoraggio condivisa fra le due sponde dell’Adriatico. Oggetto della strategia la marine litter nelle sue diverse forme: rifiuto spiaggiato, rifiuto in mare e microplastiche.
Il progetto durerà 30 mesi e si concluderà nel 2022.

fonte: https://www.snpambiente.it



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Riciclabile il 20% della spazzatura recuperata in mare
















Sei tonnellate di rifiuti strappate ai fondali adriatici, di cui oltre il 20% potenzialmente riciclabili: è il primo bilancio del progetto “A pesca di Plastica”, a San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno). In sei settimane quaranta pescherecci della località marchigiana hanno raccolto tre tonnellate di plastica e altrettante fra metallo, vetro, gomma e tessuto.
Al ritmo di una tonnellata a settimana, i rifiuti sono stati sbarcati, analizzati e differenziati dalle aziende di gestione dei rifiuti PicenAmbiente e Garbage Service, il Comune di San Benedetto e l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Centrale, con il coordinamento della Capitaneria di Porto e MedSharks con il supporto di CNH Industrial e FPT Industrial.
Un’analisi a campione dei materiali sbarcati rivela che oltre la metà (il 53%) è in plastica, il 13% in materiale tessile, l’11,5% metallo e gomma, il 4,6% vetro e il 4% rifiuti misti. La metà degli oggetti in plastica, il 48%, è costituita da oggetti monouso: buste di plastica e imballaggi alimentari, bottiglie, flaconi, piatti e bicchieri usa&getta.
Il 34% del totale della plastica viene dal mondo della pesca: lenze, cime, galleggiati e reti perse o abbandonate, fra cui molte retine per l’allevamento delle cozze. Dalla navigazione proviene il 28% dei rifiuti: oltre agli attrezzi da pesca, anche latte metalliche di vernice, filtri e guarnizioni per i motori, cerate e stivali, guanti da lavoro e imballaggi alimentari.
L’analisi effettuata da PicenAmbiente ha registrato che il 22% dei rifiuti raccolti sono potenzialmente recuperabili (12% imballaggi in plastica, 5% ferro, 3% vetro e 1% alluminio).
Anziché concludersi a maggio, come inizialmente previsto, il successo dell’iniziativa ha spinto pescatori e partner a impegnarsi a proseguire la bonifica dei fondali fino a Ferragosto, quando la pesca verrà sospesa per il fermo annuale.
fonte: www.ansa.it

Inquinamento marino: nell’Adriatico pescati 14mila kg di rifiuti

In soli dieci mesi progetto ML-REPAIR ha raccolto 14 tonnellate di spazzatura in Alto Adriatico. La plastica rappresenta il principale componente



















Ben 14.206 chili di spazzatura, dalle bottiglie alle vecchie reti da pesca. Questo il bottino recuperato in appena 10 mesi da sei imbarcazioni della marineria di Chioggia nelle acque dell’Alto Adriatico. La speciale raccolta fa parte di ML-REPAIR, progettpo dedicato allo studio dell’inquinamento marino e nato dai risultati del precedente DeFishGear.
L’obiettivo dell’iniziativa è quello di coinvolgere gruppi target predefiniti (pescatori, comunità locali, settore turistico ed enti della pubblica amministrazione) nell’elaborazione di nuovi strumenti educativi per incoraggiare cambiamenti positivi a livello culturale, riducendo e, soprattutto prevenendo i rifiuti in mare.

All’interno del progetto, ISPRA con la marineria di Chioggia è impegnata da mesi in attività di Fishing for Litter. L’operazione coinvolge soprattutto le imbarcazioni che operano con pesca a strascico: quando la rete viene recuperata, i rifiuti devono essere separati dal pescato, stoccati a bordo dentro appositi sacchi e infine, al rientro, conferiti a terra in cassonetti dedicati. Un lavoro che, da luglio 2018 ad aprile 2019, ha permesso di recuperare oltre 14 tonnellate di rifiuti.
Il campione analizzato ha dato modo di determinare tipologia, materiale e possibili fonti degli oggetti trovati. Nel dettaglio, fa sapere oggi l’Ispra, la plastica rappresenta da sola il 66 per cento in peso dei rifiuti del campione, seguita da materiale misto (16 per cento), gomma (10 per cento), tessile (5 per cento) e metallo (3 per cento). Carta, legno lavorato e vetro non rappresentano insieme neanche l’1 per cento del totale.

I ricercatori solttolineano come la maggior parte degli oggetti raccolti (circa il 33 per cento in peso) sia costituita da oggetti di uso comune, molti dei quali usa e getta, come bottiglie, buste di plastica, lattine e imballaggi alimentari. Un 28 per cento del peso è riconducibile invece ad attività di mitilicoltura, in particolare retine utilizzate per l’allevamento delle cozze.
Un altro 22 per cento proviene da attività di pesca commerciale ed è in gran parte costituiti da pezzi di rete e strutture in gomma utilizzate per proteggere la parte di rete a contatto con il fondo. Il 16% è costituito da oggetti riconducibili ad attività legate al mare e alla navigazione, come ad esempio cime, cavi, parabordi, boe e galleggianti. Infine, gli oggetti connessi alla piccola pesca, come le reti da posta, le nasse e trappole, costituiscono lo 0,5% del totale analizzato.

fonte: www.rinnovabili.it

Pfas in Adriatico, alta concentrazione nelle vongole


















Alcuni ricercatori dell’Università di Milano, studiando le vongole del mercato ittico arrivate dall’Adriatico, hanno trovato concentrazioni altissime di Pfas e Pfoa. Si tratta di molluschi allevati nel delta del Po. Come scrive Luca Fiorin su L’Arena a pagina 32, i molluschi avevano 31 nanogrammi per grammo di Pfoa. Una presenza 9 volte superiore rispetto a quella rilevata nel 2013 dal Cnr. La Regione Veneto aveva escluso che le sostanze perfluoro-alchiliche fossero presenti in misure rilevanti negli alimenti.
La Regione sta inoltre effettuando uno screening di massa per verificare la relazione tra malattie e presenza di Pfas nell’organismo. Il rischio è che molti bambini di oggi diventino dei giovani o degli adulti con gravi problemi – dice il pediatra Ernesto Burgio – e per questo è necessario ridurre il livello di esposizione già a livello dei feti». «La Regione controlla solo le sostanze florurate simili ai Pfas che non vengono più prodotte. É perciò necessario estendere le verifiche» ha aggiunto Stefano Raccanelli, consulente di inchieste giudiziare sui Pfas.
fonte: www-vvox-it

Studio sulle sostanze contaminanti nei rifiuti plastici galleggianti

In mare il 65% dei rifiuti monitorati nel 2017 da Goletta Verde è rappresentato da buste, teli e fogli di plastica. La presenza maggiore nell’Adriatico centrale, con il 25% del totale
















Lo studio sperimentale realizzato da Legambiente, in collaborazione con l’Università di Siena – progetto Plastic Busters (UfM – SDSN), sui rifiuti di plastica galleggianti in mare (in particolare buste, teli e fogli di plastica, oggetti del campionamento) e sulle sostanze contaminanti come organoclorurati (PCB, DDT, HCB) e mercurio, conferma che «Il rischio delle plastiche in mare non è legato solo alla loro presenza e agli effetti che hanno sulla fauna marina, ma soprattutto al fatto che possono anche veicolare sostanze tossiche che vi si accumulano sopra».

Lo studio è stato pubblicato in occasione  della Giornata mondiale degli oceani, l’8 giugno, una data importante per Legambiente che proprio un anno fa presentò all’Onu a New York, nell’ambito della conferenza mondiale sugli oceani, un impegno comune con l’università di Siena (Voluntary Commitment #OceanAction20169), sul tema del marine litter.

Secondo il Cigno Verde e l’Ateneo toscano, lo studio, il primo di questo tipo nel Mediterraneo, «apre la riflessione su un tema nuovo, anche alla luce degli effetti sulla catena alimentare legati all’ingestione delle plastiche in mare. I risultati, seppure preliminari, tracciano una quadro complessivo poco roseo per il mare italiano. Il dato più importante che emerge riguarda la presenza di sostanze inquinanti: su tutti i campioni analizzati sono presenti contaminanti come mercurio, policlorobifenili (PCB), DDT ed esaclorobenzene (HCB). La concentrazione di queste sostanze varia in base all’area di campionamento, la natura del polimero, il grado di invecchiamento del rifiuto. Il campionamento ha riguardato una sola tipologia di plastiche galleggianti le “sheetlike user plastic” (buste, fogli e teli), che rappresentano la frazione più abbondante del marine litter».

Lo confermano anche i dati raccolti nel 2017, durante la navigazione lungo le coste italiane, da Goletta Verde, affiancata dai ricercatori del progetto MedSeaLitter che prevede la sperimentazione di metodologie per l’osservazione dei rifiuti galleggianti, con l’obiettivo di sviluppare protocolli comuni per la quantificazione del marine litter. «Buste, teli e fogli di plastica, costituiscono il 65% dei rifiuti galleggianti monitorati e avvistati nel 2017 dall’imbarcazione ambientalista. Il 25% di questi è stato trovato nell’Adriatico centrale».

Il direttore generale di Legambiente, Giorgio Zampetti, spiega che «Il problema del marine litter e dei rifiuti galleggianti lungo le coste italiane sta assumendo proporzioni sempre più preoccupanti, come dimostrano i dati che raccogliamo ogni anno con Goletta Verde. La collaborazione tra Legambiente e Università di Siena che unisce il mondo della ricerca scientifica e quello del volontariato ambientale per condurre studi e sensibilizzare sul tema del marine litter, ha permesso di realizzare questo importante studio, il primo a livello del Mediterraneo. I dati dimostrano con evidenza che il rischio connesso con i rifiuti plastici presenti nell’ambiente marino non deriva solo dalla loro presenza, ma anche e soprattutto dal fatto che fanno da catalizzatori di sostanze tossiche che finiscono poi nell’ecosistema marino, fino al rischio di entrare nella catena alimentare. Purtroppo, la cattiva gestione dei rifiuti a monte e la maladepurazione restano la principale causa del fenomeno del marine litter. Prevenire il fenomeno e rimuovere le plastiche che oggi sono disperse in mare e sulle spiagge è dunque una priorità, non solo per la salvaguardia ambientale ma anche per la tutela della salute».

I rifiuti analizzati dai ricercatori dell’Università di Siena sono stati raccolti e campionati da Goletta Verde di Legambiente l’estate scorsa durante la navigazione lungo la Penisola. Per ogni campione, l’equipaggio dell’imbarcazione ambientalista ha preso la posizione GPS, scattato foto, compilato una scheda di campionamento, ed eseguito una procedura di raccolta e conservazione come previsto dal protocollo indicato dell’Università di Siena. I ricercatori, Cristina Panti e Matteo Baini, hanno poi effettuato le varie analisi in laboratorio. Qui la composizione polimerica di ciascun campione è stata valutata tramite la tecnica di spettrometria ad infrarossi. Dall’analisi è emerso che «l’86% delle macroplastiche analizzate è costituito da polietilene (PE) e il 14% da polipropilene». Inoltre, per quanto riguarda l’analisi dei contaminanti organoclorurati e del mercurio identificati sulle microplastiche galleggianti, dallo studio emerge che «Tutti i campioni hanno presentato livelli apprezzabili di questi contaminanti. I dati dimostrano un accrescimento delle concentrazioni con la permanenza in mare in una prima fase e una successiva diminuzione con l’invecchiamento: probabilmente, con l’avanzare dei processi degradativi a cui va incontro la plastica una volta in mare, essa rilascia parte del carico di contaminanti».

Maria Cristina Fossi, professore ordinario di ecologia ed ecotossicologia all’università di Siena, conclude: «I risultati prodotti, seppur parziali, dimostrano la necessità di approfondire i rischi sul biota e i possibili rischi sulla rete trofica legati alla presenza di plastiche in mare e all’accumulo di sostanze inquinanti sulla superficie dei macrorifiuti galleggianti.  Un aspetto molto interessante, infatti, sarebbe quello di integrare i dati ottenuti sulla tipologia di macroplastica e i relativi dati ecotossicologici, con quelli oceanografici sulla densità dei rifiuti galleggianti nelle diverse aree analizzate. Questo consentirebbe di individuare delle aree “hot spots” per una successiva analisi di rischio, soprattutto in relazione alla possibilità che queste aree coincidano con quelle di foraggiamento delle specie marine, come ad esempio le tartarughe marine».

fonte: www.greenreport.it

Petrolio: rischio air gun per lo Ionio, la denuncia di Greenpeace















Mar Ionio a rischio per colpa dei petrolieri. La denuncia arriva da Greenpeace, che attraverso il suo rapporto “Troppo rumor per nulla. Un altro assalto degli air gun al nostro mare, tra Adriatico e Ionio” indica le acque a largo di Santa Maria di Leuca, malgrado siano classificate come EBSA (particolarmente preziose per l’ecosistema marino nel suo complesso) secondo la Convenzione sulla Biodiversità (Convention on Biological Diversity – CBD), come possibile vittime della tecnica nota come “air gun”.

La ricerca di petrolio nel Mar Ionio a largo di Leuca sarebbe operata da Edison S.p.A. (Permesso di Ricerca di Idrocarburi Liquidi e Gassosi “d 84F.R-EL”), sostiene Greenpeace, attraverso la generazione artificiale di onde d’urto, il cui riflesso sui fondali marini verrebbe analizzato al fine di individuare eventuali giacimenti di idrocarburi sottomarini. Come spiegato dall’associazione ambientalista, questo sarebbe il meccanismo alla base della tecnica nota come “air gun“:

Per la ricerca di un giacimento marino sono impiegati decine di air gun, disposti su due file a una profondità di 5-10 metri: producono violente detonazioni ogni 10-15 secondi per settimane, continuativamente. Il rumore generato è almeno doppio rispetto a quello del decollo di un jet.


Minacciate dalle esplosioni diverse specie marine tra le quali pesci spada, tonni, squali, tartarughe caretta, mobule e cetacei. A rischio anche coralli e spugne, importanti aree di biodiversità e di riproduzione per molte specie ittiche. Come ha sottolineato Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia:
Ci sono Paesi che hanno vietato la ricerca, e quindi l’estrazione, di nuovi giacimenti fossili nei loro mari. Ultima in tal senso la Nuova Zelanda, che sta rinunciando a riserve infinitamente più consistenti di quelle presenti sotto i nostri fondali pur di proteggere questi ecosistemi, il clima e ogni altra attività economica legata al mare e potenzialmente danneggiata dal petrolio. Cosa aspetta l’Italia a darsi un indirizzo conseguente con gli impegni presi in sedi internazionali come l’Accordo di Parigi?


Una richiesta lacunosa e omissiva, secondo Greenpeace, quella presentata da Edison. L’associazione ha annunciato di voler presentare le proprie osservazioni presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, affinché respinga l’ennesimo attacco a un patrimonio marino italiano:
La scoperta dei banchi di coralli di acque fredde (o di profondità, o “coralli bianchi”) al largo di Santa Maria di Leuca ha fatto di questo tratto di mare un’area di primissimo interesse biologico. Si tratta di comunità dominate da Madrepora oculata e Lophelia pertusa. Questi banchi di coralli di profondità sono un hot spot di biodiversità. Ci sono non meno di 222 specie a profondità tra 280 e 1121 metri. Spugne (36 specie), molluschi (35), cnidari (o celenterati: coralli, anemoni…: 31 specie), anellidi (24 specie, di cui una trovata qui per la prima volta nel Mediterraneo), crostacei (23), briozoi (19) e 40 specie di pesci.

fonte: www.greenstyle.it 

Mogherini, da Ue 560 milioni per azioni protezione oceani

















MALTA - La Commissione europea si impegna con 560 milioni di euro per sostenere azioni a protezione degli oceani. Lo ha annunciato l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vice presidente della Commissione Ue Federica Mogherini aprendo la quarta edizione della conferenza internazionale "Our Ocean" a Malta. La Commissione, ha aggiunto, si impegna in 36 azioni per difendere i mari del mondo minacciati, fra l'altro, dai cambiamenti climatici, dall'inquinamento, in particolare della plastica, dalla pesca illegale. Mogherini ha rilevato che l'oceano appartiene a tutta l'umanità, ad ogni essere umano e quindi "ciascuno ha la responsabilità di proteggere questo bene comune, come un tesoro, evitando che si tramuti in minaccia. Quando gli oceani sono sani sono la più grande risorsa che abbiamo. Se gli oceani fossero un Paese avrebbero un posto nel G7 perchè hanno una fra le più grandi economie del mondo", visto che milioni di posti di lavoro dipendono dagli oceani e il 90% del commercio mondiale viaggia via mare. I mari, tuttavia, sono fortemente minacciati, ha aggiunto Mogherini ricordando che "entro il 2050 gli oceani rischiano di avere più plastica che pesci".


Vella, prima area marina protetta in Adriatico
All'apertura della conferenza anche un altro importante annuncio: l'Adriatico  avrà la prima area marina protetta, sarà quella di Jabuka in Croazia. "Sono orgoglioso di annunciare - ha detto il commissario europeo per l'ambiente, gli affari marittimi e la pesca, Karmenu Vella - che la Commissione generale della pesca per il Mediterraneo ha deciso di adottare la proposta dell'Ue di riconoscere un'Area marina protetta, la prima di questo tipo, nel mare Adriatico".

Azione Greenpeace
L'apertura della conferenza è stata caratterizzata da un'azione di alcuni attivisti di Greenpeace che hanno esposto striscioni con la scritta "Our oceans: #breakfreefromplastic", cioè "i nostri oceani: liberiamoli dalla plastica" e da un drago 'sputava' rifiuti di plastica installato per denunciare il problema globale dell'inquinamento derivante dalla plastica. Il Movimento Break Free From Plastic (BFFP), di cui Greenpeace fa parte, chiede che "i principali responsabili di questo disastro, tra cui le aziende che producono beni di largo consumo come Nestlé, Unilever, Procter & Gamble, Coca-Cola e PepsiCo, smettano di produrre plastica monouso e che i politici adottino misure legislative efficaci contro l'usa e getta". La Conferenza "Our Ocean 2017" riunisce rappresentanti dei governi, della società civile, del mondo scientifico, della finanza e dell'economia di tutto il mondo, per discutere della protezione degli oceani. Quest'anno, ricorda Greenpeace, il focus di discussione è incentrato sui rifiuti marini. "Ogni anno finiscono in mare dalla terraferma fino a 12 milioni di tonnellate di plastica, perlopiù oggetti usa e getta e imballaggi - ricorda l'ong -. E il problema non sembra diminuire: si prevede un aumento della produzione ma la gestione dei rifiuti e il riciclaggio non riescono a stare al passo con questo incremento, pertanto sono anche le aziende a dover farsi carico del problema". La conferenza "Our Ocean" è "dunque un'occasione per i Paesi e le aziende di tutto il mondo per iniziare a risolvere il problema alla fonte garantendo ad esempio la graduale eliminazione della plastica monouso piuttosto che concentrarsi solo sulle soluzioni di fine ciclo, come il riciclaggio o lo smaltimento dei rifiuti".


fonte: www.ansa.it

Troppi rifiuti sulle spiagge dell’Adriatico e dello Ionio: il rapporto “Marine Litter”

















Reperiti, in media, 658 oggetti spiaggiati ogni 100 metri di litorale monitorato, il 7,8% sono sigarette; contati sul fondo del mare 510 oggetti per km quadrato. Sono alcuni dei risultati del rapporto sui rifiuti marini Marine Litter assessment in the Adriatic & Ionian seas, pubblicati nell’ambito del progetto triennale IPA-Adriatico DeFishGear. 
I 658 oggetti spiaggiati ogni 100 m di litorale monitorato tra i mari Adriatico e Ionio, presentano un range di 219-2914 oggetti/100m, mentre una media di 332 oggetti per km2 sono stati monitorati in galleggiamento lungo le coste; sul fondo del mare la situazione non è migliore: una media di 510 oggetti raccolti per km2 (con un range che va da 79 a 1099). Quello dei rifiuti marini rappresenta un serio problema ambientale per questi mari e quelli riportati sono soltanto alcuni dei risultati preoccupanti emersi dalla fotografia istantanea che emerge dal rapporto “Marine Litter assessment in the Adriatic & Ionian seas”. Il rapporto è stato recentemente pubblicato nell’ambito del progetto triennale IPA-Adriatico DeFishGear ed è frutto di una complessa campagna di monitoraggio cui hanno partecipato 9 Istituti, Enti e Università di 7 diversi Paesi che condividono il bacino Adriatico e Ionico fra cui, per l’Italia, ISPRA e ARPAE Emilia Romagna, che fanno parte del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA). La campagna di monitoraggio ha coinvolto Albania, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Italia, Grecia, Montenegro e Slovenia, in uno sforzo comune di coordinazione e armonizzazione di azioni pilota di monitoraggio.
In particolare, sono stati analizzati 180 transetti su spiaggia in 31 diversi siti, per un totale di 32.200 mq estesi su oltre 18 km di costa; sono stati inoltre effettuati 66 transetti a bordo di pescherecci per valutare i rifiuti galleggianti, percorrendo un totale di 415 Km, mentre osservatori su ferry-boat hanno monitorato un totale di 9.062 Km di mare. Per i rifiuti sul fondo, sono stati campionati 11 siti con pescherecci a strascico per un totale di 121 cale ed effettuati 38 transetti in 10 diversi siti tramite operatori subacquei. Per la valutazione della plastica nel biota sono stati analizzati 614 esemplari di pesci.
Nonostante l’attribuzione delle fonti sia una procedura complessa per l’alto numero di oggetti di origine incerta o mista, dal rapporto risulta che una percentuale variabile fra il 33 e il 39% dei rifiuti trovati nelle diverse matrici (spiaggia, superficie del mare e fondo) proviene dalle coste e da pratiche inefficienti di gestione dei rifiuti, turismo e attività ricreative. Le attività legate al mare (trasporti via mare di merci e passeggeri, pesca sportiva e commerciale, acquacoltura, ecc.) contribuiscono al numero di rifiuti trovati con percentuali che vanno invece dal 6,3% al 23% secondo la matrice considerata. Dati interessanti sono anche quelli relativi ad alcune fonti, in particolare: il 7,8% dei rifiuti trovati in spiaggia ad esempio è correlato al fumo (mozziconi, accendini ecc.) mentre il 2,6% degli oggetti trovati sul fondo del mare sono di origine sanitaria (preservativi, assorbenti igienici, ecc.).
Questo è a oggi il primo lavoro che si propone di valutare l’ammontare, la composizione e, ove possibile, la fonte dei rifiuti marini in tutte le matrici marine (spiaggia, superficie, fondo e biota) dell’Adriatico e dello Ionio. Il Rapporto è, nei fatti, la prima valutazione dei rifiuti marini – a livello europeo e di bacini regionali europei – basata su dati di campo comparabili, ottenuti nello stesso periodo, con l’applicazione di protocolli di monitoraggio armonizzati e che può quindi fornire elementi strategici per il monitoraggio dei rifiuti marini e per le politiche di gestione.
La pubblicazione è consultabile sul sito dell’Ispra (www.isprambiente.gov.it)

fonte: http://ambienteinforma-snpa.it