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Energia blu, un aquilone subacqueo per catturare le correnti

Gli aquiloni ispirati alla mante di SRI possono estrarre energia dall’acqua in movimento, in modo sicuro ed economico



Un sistema per sfruttare “l’energia blu” piccolo, versatile e conveniente. Erano queste le caratteristiche cercate dall’ARPA-E, agenzia del Dipartimento statunitense dell’energia attraverso il programma SHARKS. L’iniziativa, lanciata a settembre 2020, si proponeva di sostenere con un fondo da 38 milioni di dollari la realizzazione di nuove turbine idrocinetiche. Apparecchi innovativi per design e funzionamento con cui produrre energia pulita in mari e fiumi.

“Grandi barriere tecniche e ambientali rendono gli attuali sistemi […] estremamente costosi”, spiega ARPA-E. “Questo programma mira a utilizzare le metodologie di co-progettazione e ‘progettazione per il funzionamento’ al fine di sviluppare turbine radicalmente nuove per applicazioni di marea e fluviali, che abbiano drastiche riduzioni di LCOE (costo dell’energia livellato)”. Sia su scala di micro-rete e che su quella industriale.

Nonostante la parole turbina capeggi in bella vista sui documenti ufficiali dell’iniziativa, l’agenzia sta finanziando tecnologie differenti dai tradizionali impianti idrocinetici. Compreso il nuovo aquilone subacqueo, realizzato dall’Istituto di ricerca SRI.

Il prototipo, inspirato alle mante, è stato disegnato per “agitarsi” nelle correnti di marea e in quelle fluviali. Il cuore del sistema è un aquilone in schiuma e fibra di vetro. Un cavo estendibile lo ancora ad un generatore dotato anche di motore elettrico, a sua volta piantato nel fondale. La forza della corrente trascina l’aquilone in direzione del flusso mentre lo svolgimento del cavo produce energia elettrica che potrebbe essere immagazzinata in una batteria o immessa direttamente nella rete municipale. Una volta che l’aquilone raggiunge l’estensione massima del cavo, si richiude per offrire un profilo più snello alla corrente mentre il motore riavvolge il filo.

Sebbene il processo di recupero richieda un po’ di energia, i progettisti assicurano che l’importo sia molto molto inferiore a quello generato dal sistema. Secondo un rapporto su IEEE Spectrum, SRI mira a generare una potenza media di circa 20 kW per aquilone.

Rispetto ad altri sistemi di sfruttamento dell’energia blu, in particolare quella delle maree, la macchina Manta è notevolmente più economica e più facile da installare. Inoltre il sistema può essere semplicemente riavvolto qualora vi sia la possibilità di interferire con le attività umane o la fauna marina nelle vicinanze.

fonte: www.rinnovabili.it

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Rifiuti marini, il Parlamento UE chiede un piano per ripulire i fiumi

Per i deputati europei ridurre l’impiego della plastica e aumentare il riciclo nel settore della pesca, sono due strumenti irrinunciabile per eliminare il marine litter



L’Unione europea ha bisogno di un piano dedicato alla pulizia dei fiumi dai macro e micro rifiuti che vi confluiscono. Ma anche di alzare gli obiettivi di riciclo e upcycling quando si parla di pesca ed acquacoltura. Questa la posizione del Parlamento europeo i tema di marine litter. Gli eurodeputati hanno votato ieri la risoluzione di Catherine Chabaud (Renew, FR) con cui si chiede di migliorare e rendere più efficaci quadro legislativo e governance in materia di rifiuti marini. E allo stesso di tempo di incrementare ricerca e conosce sul tema accelerando lo sviluppo dell’economia circolare nel settore ittico.

L’attenzione al comparto è fondamentale. Ogni giorno 730 tonnellate di rifiuti vengono scaricati direttamente nel Mediterraneo, a cui si aggiungono annualmente altre 11.200 tonnellate arrivate in mare per vie traverse. Di questi il 27% è costituto da rifiuti della pesca e dell’acquacoltura. Basti pensare alle grandi quantità di attrezzature marine che vengono quotidianamente abbandonate, persi, o buttati in mare, dove “rimangono intatte per mesi o addirittura anni”. Queste cosiddette reti fantasma “hanno un impatto indiscriminato su tutta la fauna marina, compresi gli stock ittici”.

Ovviamente non è solo la spazzatura di grandi dimensioni a preoccupare. Oggi le micro e nano plastiche costituiscono uno degli allarmi ambientali più diffusi. Rappresentano una grave minaccia per molte specie di fauna marina e di conseguenza anche per i consumatori. Oramai non c’è acqua al mondo che risulti non contaminata e il passaggio dal mare al piatto è più rapido di quanto si possa pensare. Si stima che consumatore medio di molluschi del Mediterraneo, spiega Strasburgo in una nota stampa – ingerisca in media 11.000 pezzi di plastica all’anno.

Per contrastare il fenomeno dei piccoli e grandi rifiuti marini, i deputati UE propongono di accelerare lo sviluppo di un’economia circolare nel settore ittico, eliminando gradualmente gli imballaggi in polistirolo espanso e migliorando i canali di raccolta e riciclo. Inoltre, sottolineano l’importanza di identificare nuovi materiali nella progettazione ecocompatibile degli attrezzi da pesca.

La risoluzione esorta gli Stati membri a istituire un “fondo speciale per la pulizia dei mari”, gestito tramite il nuovo Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (FEAMPA) o altre linee di finanziamento pertinenti, al fine di finanziare una serie di azioni:
la raccolta dei rifiuti marini da parte dei pescherecci;
la fornitura di adeguate strutture di stoccaggio dei rifiuti a bordo e il monitoraggio di quelli pescati passivamente; il rafforzamento della formazione destinata agli operatori;
il finanziamento dei costi del trattamento dei rifiuti e del personale necessario;
investimenti intesi a predisporre nei porti strutture adeguate adibite al deposito e allo stoccaggio della raccolta.

Non solo. I deputati chiedono alla Commissione e ai Paesi UE di adottare le linee guida volontarie dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura per la marcatura degli attrezzi da pesca. Assieme ad un piano d’azione comunitario per ridurre sostanzialmente l’uso della plastica e per affrontare l’inquinamento di fiumi, corsi d’acqua e coste.

“I rifiuti marini – spiega Chabaud – sono una questione trasversale che deve essere affrontata in modo olistico. La lotta contro i rifiuti marini non inizia in mare, ma deve coinvolgere una visione a monte che comprende l’intero ciclo di vita di un prodotto. Ogni rifiuto che finisce in mare è un prodotto uscito dal ciclo dell’economia circolare. Per combattere l’inquinamento, dobbiamo continuare a promuovere modelli di business virtuosi e integrare nuovi settori come la pesca e l’acquacoltura in questi sforzi globali. Non c’è pesca sostenibile senza un oceano sano”.

fonte: www.rinnovabili.it

 

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La strage di biodiversità che altera fiumi e laghi

Un team di ricercatori da 16 paesi ha realizzato la prima valutazione globale della salute degli ecosistemi fluviali e lacustri. In Europa metà dei corsi d’acqua non offre condizioni di vita ottimali per pesci e insetti









La prima fotografia globale dello stato di salute dei fiumi e dei loro ecosistemi non lascia molto spazio all’ottimismo. In metà dei fiumi del mondo l’uomo sta lasciando un impatto profondo sulla biodiversità. E sono davvero pochi quelli dove il fattore umano non ha ancora intaccato le dinamiche naturali.

Lo afferma lo studio più esaustivo condotto finora sull’argomento, a cui hanno lavorato scienziati provenienti da 16 paesi diversi di tutti i continenti. Non si tratta di una vera valutazione globale, però: non perché i ricercatori abbiano limitato di proposito il monitoraggio, ma perché per alcune regioni non sono disponibili dati di alcun tipo.

Gli ecosistemi fluviali e lacustri sono fondamentali per la biodiversità e anche per sostenere la vita dell’uomo sulla Terra. Anche se costituiscono appena l’1% della superficie terrestre, infatti, ospitano più di 17mila specie di pesci, che rappresentano ¼ di tutti i vertebrati. Oltre a essere fonti preziose di acqua dolce, e sostenere in vari modi l’economia umana.

Ma soltanto il 14% dei fiumi ospita delle popolazioni di pesci che si possono dire al sicuro dall’impatto dell’azione umana. E laddove l’uomo è arrivato, i risultati sono decisamente preoccupanti, riassume il team di ricercatori. La biodiversità in più della metà dei siti per cui sono disponibili dati è stata profondamente modificata. Con alcuni picchi, ad esempio in Nuova Zelanda e in Giappone. Nell’arcipelago australe dal 1990 a oggi il 70% delle specie di pesci presenti sono state dichiarate minacciate o in pericolo. Per gli ecosistemi giapponesi la percentuale scende al 42%.

Anche l’Europa però non ha una situazione migliore, nel complesso. Metà dei corsi d’acqua dolce del vecchio continente, infatti, presentano condizioni di vita tutt’altro che ottimali per pesci e macroinvertebrati come gli insetti .

Una ricerca recente, pubblicata alla fine del 2020, spiegava che i fiumi europei a flusso libero sono diventati sempre più rari. La costruzione di dighe, installazioni per il microidroelettrico, o altre opere che alterano il naturale scorrere delle acque e il passaggio di nutrienti e di fauna, sono anzi all’ordine del giorno. Solo in Europa sarebbero 1,2 milioni, con il risultato di frammentare i corsi d’acqua e causare effetti devastanti sugli ecosistemi acquatici.

fonte: www.rinnovabili.it


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RIBES, rinnovabili e biodiversità fluviale al centro del progetto di ricerca

 

l progetto europeo RIBES, coordinato dal Politecnico di Torino, intende trovare soluzioni innovative per rendere la produzione di energia idroelettrica più compatibile con la biodiversità fluviale. Intervista al prof. Claudio Comoglio, coordinatore del progetto.


Un progetto di ricerca per rendere la produzione di energia idroelettrica più rispettosa della biodiversità fluviale. Si chiama RIBES- RIver flow regulation, fish BEhaviour and Status”, ed è voluto dall'Unione Europea. In Italia è coordinato dal Politecnico di Torino e vanta un obiettivo ambizioso: trovare soluzioni innovative per incrementare, da un lato, la produzione di energia da fonti rinnovabili come l'idroelettrico e per tutelare, dall'altro, gli habitat acquatici sempre più a rischio.

Per conoscere RIBES più a fondo e da vicino, abbiamo rivolto alcune domande al prof. Claudio Comoglio, docente del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture del Politecnico di Torino e coordinatore del progetto.

Da dove nasce l'esigenza di orientare l'innovazione nel campo dell'idroelettrico in modo che si accompagni alla tutela della biodiversità fluviale?

L’attività di ricerca prevista nel progetto RIBES si inserisce in uno scenario in cui di fatto sussiste un conflitto tra gli obiettivi di due strategie europee inerenti la tutela della biodiversità e la produzione di energia da fonti rinnovabili. Da un lato, nel 2016 le serie preoccupazioni relative alla continua perdita di biodiversità, al degrado degli ecosistemi acquatici e al mancato raggiungimento degli obiettivi della Strategia della UE per la Biodiversità 2020 hanno portato all’ urgente adozione di una nuova Risoluzione per l’attuazione di misure di ripristino degli ecosistemi; dall’altro, nel 2018 la UE ha incrementato al 32% gli obiettivi vincolanti di produzione di energia da fonte rinnovabile, dando così ulteriore impulso al settore idroelettrico per la realizzazione di nuovi impianti e l’ottimizzazione di quelli esistenti. In questo contesto, il progetto RIBES si propone di identificare soluzioni tecniche innovative che consentano di rendere maggiormente compatibili gli impianti idroelettrici e le opere di prelievo da corsi d’acqua.

Che impatto hanno infrastrutture come dighe e sbarramenti sull'ittiofauna e sugli ecosistemi fluviali?

Questa tipologia di manufatti in alveo determina la frammentazione della continuità del corso d’acqua, impedendo a numerosi organismi acquatici di avere accesso alle porzioni d’alveo in cui sono presenti habitat fondamentali per il loro ciclo vitale. In particolare i pesci, nel corso dell’anno e nell’arco della loro vita, compiono diversi spostamenti lungo i corsi d’acqua per trovare zone con adeguata disponibilità di risorse alimentari, aree idonee alla riproduzione ed allo sviluppo degli stadi giovanili e aree con condizioni idonee per superare periodi caratterizzati da condizioni ambientali particolarmente critiche. Dighe e sbarramenti impediscono tali dinamiche bidirezionali (da valle verso monte e viceversa), determinando un impatto significativo sulle popolazioni delle diverse specie. Inoltre, tali manufatti alterano le condizioni idrodinamiche del corso d’acqua (rilascio a valle di portate ridotte, creazione di ampie aree a ridotta velocità della corrente ed elevata profondità nell’invaso di monte), andando così a modificare drasticamente gli habitat precedentemente idonei alla presenza delle diverse specie.

Come è possibile ovviare a questo problema?

La realizzazione di dispositivi denominati “passaggi per pesci” costituisce la principale misura volta a mitigare gli impatti connessi all’interruzione della continuità fluviale presso gli sbarramenti, ed è finalizzata a consentire la libera circolazione alle diverse specie ittiche, ciascuna caratterizzata da diversi comportamenti, capacità natatorie e tempi di migrazione nell’arco dell’anno. Proprio la diversità di comportamento e di capacità natatorie delle numerose specie rende complessa la progettazione di dispositivi efficaci, che siano pienamente funzionali per 365 giorni all’anno e fruibili da tutte le specie, consentendo sia gli spostamenti verso monte che quelli verso valle. Nell’ambito del progetto RIBES, una particolare attenzione sarà pertanto rivolta all’individuazione di soluzioni tecniche innovative che possano rendere maggiormente efficaci tali misure mitigative e migliorare le modalità di monitoraggio della relativa efficacia.

Quali saranno, in breve, le metodologie e gli strumenti che verranno utilizzati?

Le attività di ricerca che saranno sviluppate dal dipartimento DIATI del Politecnico di Torino saranno finalizzate a studiare il comportamento natatorio di diverse specie ittiche migratorie endemiche del bacino padano, al variare delle condizioni idrodinamiche (velocità, turbolenza) presenti all’interno dei passaggi per pesci. In particolare si procederà all’analisi, mediante videoregistrazione, del relativo comportamento natatorio all’interno di un’innovativa canaletta idraulica portatile, che consentirà di effettuare direttamente presso il corso d’acqua esperimenti di laboratorio con condizioni idrauliche controllate. Queste innovative attività sperimentali verranno condotte tramite il MovingLab, il laboratorio mobile sviluppato dal DIATI nell’ambito del progetto cambiamenti_climatici@polito, che sarà direttamente utilizzato in campo lungo diversi corsi d’acqua piemontesi.

Quali obiettivi si propone di raggiungere nello specifico il progetto che porta avanti il Politecnico di Torino?

I risultati delle prove sperimentali forniranno informazioni utili per la tutela delle specie ittiche migratorie endemiche del bacino padano, andando ad incrementare l’attuale limitato stato delle conoscenze scientifiche relativo alla loro ecologia. Costituiranno, inoltre, un fondamentale elemento di input per migliorare gli attuali criteri di progettazione di passaggi per pesci, in modo da rendere tali dispositivi non selettivi e fruibili anche da tali specie minori, le cui popolazioni stanno manifestando un trend di progressivo e rapido declino.

Come previsto dalla struttura dei progetti UE Marie Curie, RIBES prevede percorsi formativi rivolti a 15 giovani ricercatori e ricercatrici nell’ambito dei corsi di Dottorato in 8 Università (Italia, Svezia, UK, Germania, Estonia e Belgio). Ciascuno di loro svilupperà un progetto di ricerca individuale all’interno di un network europeo di Università, enti pubblici, società di consulenza e produttori idroelettrici.

fonte: www.nonsoloambiente.it


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Le microplastiche nel fiume Po

 



La situazione per la presenza di plastica e microplastica nel fiume Po non è critica. Le azioni che hanno portato a questo risultato sono state l’incremento dei depuratori e della raccolta differenziata dei rifiuti.
Queste le conclusioni delle misure effettuate nell’ambito del progetto Manta river project. L’indagine è stata condotta dall’Autorità di Bacino distrettuale del fiume Po, Ministero dell’Ambiente, Università La Sapienza di Roma, Arpae Struttura oceanografica Daphne e l’Agenzia interregionale per il fiume Po (Aipo).

I 4 punti di monitoraggio da cui sono stati prelevati i campioni di acqua corrispondono alle sezioni idrauliche di Isola Serafini (PC), Boretto (RE), Pontelagoscuro (FE) e Po di Goro-Delta (RO).

L’analisi ha definito la provenienza della plastica rinvenuta come segue:
25% materiale di imballaggio di origine industriale
11% sorgenti civili
64% scarichi di depuratori e agricoltura.

Approfondimenti




fonte: www.snpambiente.it

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Lotta alla plastica, 25 Seabin in arrivo: il primo a Firenze

Lotta alla plastica attraverso il recupero di frammenti e microplastiche da fiumi e laghi italiani: 25 Seabin in arrivo, il primo installato a Firenze.




Lotta alla plastica per tutelare mari, fiumi e laghi italiani. Questo è il tema centrale del progetto lanciato da Lifegate e COOP, che insieme installeranno 25 Seabin lungo il territorio nazionale. Il primo dispositivo per il recupero di frammenti e oggetti plastici è stato installato a Firenze, lungo l’Arno, in prossimità della Società Canottieri.

Ciascun Seabin è in grado di raccogliere fino a 500 chilogrammi di rifiuti ogni anno. Collaborando all’iniziativa COOP ribadisce il suo impegno contro l’inquinamento da plastica, espresso anche con l’adesione (unico tra i marchi della GDO) alla campagna UE “Pledging Campaign”. Unicoop Firenze ha lanciato inoltre il progetto “Arcipelago pulito”, a cui ha aderito anche Unicoop Tirreno.

I successivi appuntamenti vedranno i Seabin raccogli-plastica collocati in diversi punti d’Italia. Tra questi Pescara, Genova, Lago Maggiore (in Piemonte), Castiglione della Pescaia, Livorno, Brindisi, Milano, Trieste e Ravenna. Un viaggio che si concluderà nell’estate del 2021 e che consentirà il recupero di frammenti, ma anche di microplastiche. Maura Latini, AD Coop Italia:


Abbiamo accolto favorevolmente la proposta di collaborazione con LifeGate. Ci piace iniziare idealmente la nostra nuova campagna da Firenze e dall’Arno nel cuore della città convinti che stiamo facendo un gesto concreto per migliorare l’ecosistema delle nostre acque. La riteniamo un’azione perfettamente coerente ai principi di sostenibilità ambientale a cui si ispira Coop. Contiamo sul fatto che gli oltre 800 soci e i 30 atleti della Società Canottieri adottino il Seabin permettendo il suo funzionamento e ottenendo gli obiettivi di pulizia delle acque che ci siamo prefissi.

Simone Molteni, direttore scientifico di LifeGate:


La pandemia ci ha insegnato che la natura può pensare più in grande di noi e delle nostre abitudini. È indispensabile lavorare per un’economia rispettosa e anche rigenerativa degli ecosistemi che abbiamo rovinato. La collaborazione tra COOP e LifeGate va in questa direzione e speriamo possa ispirare le aziende che oggi ragionano su una nuova ripartenza.

fonte: www.greenstyle.it


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Un Po d’Amare: un successo contro il river litter

I risultati del progetto un Po d’Amare dimostrano che, per garantire la salvaguardia delle risorse naturali e pubbliche, è importante fare rete tra diversi enti.



63 kg di rifiuti in 4 mesi. Questi sono i numeri della sperimentazione il Po d’Amare, finalizzata a prevenire il cosiddetto river litter intercettando i rifiuti nel più grande fiume d’Italia. Tramite l’uso di barriere galleggianti, che impediscono ai rifiuti di raggiungere il mare, il progetto è stato implementato per la prima volta in un’area urbana, quella di Torino.

I numeri di un Po d’Amare sono un successo perché molto bassi. Infatti, dimostrano che laddove il ciclo dei rifiuti viene gestito rispettando la normativa e secondo criteri di sostenibilità ambientale ed economia circolare, i risultati in termini di tutela delle risorse comuni e prevenzione del river litter sono evidenti.

Le barriere sono state posizionate nel mese di settembre 2019 per poi essere rimosse a gennaio 2020, con un leggero ritardo rispetto alla pianificazione iniziale dovuto alla piena che ha interessato il fiume Po nel mese di novembre. Tramite l’imbarcazione “Sea hunter”, il river litter è stato raccolto e sottoposto all’analisi merceologica a cura di Corepla.

Dei 63 kg di rifiuti ripescati nelle acque del Po, il 60% sono imballaggi in plastica di varia tipologia, dalle bottiglie in PET ai flaconi in PE, dal polistirolo espanso alle vaschette. Il restante 40% invece è materiale di vario genere tra cui tessuti, alluminio, acciaio e vetro.

“L’iniziativa Po d’AMare non si limita a denunciare una problematica, ma costituisce una risposta concreta alle conseguenze ambientali causate dal river litter”, ha dichiarato Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo SviluppoSostenibile.

Antonello Ciotti, Presidente di Corepla, ha sottolineato che il progetto “si inserisce nel programma di attività sperimentali e innovative che Corepla porta avanti per proteggere l’ambiente […] contribuendo alla crescita di una cultura fondata sui valori dell’ambiente e del corretto riciclo delle risorse”.

La sperimentazione un Po d’Amare è anche la prova che, per garantire la salvaguardia delle risorse naturali e pubbliche, è importante fare rete tra diversi enti: un connubio positivo tra istituzioni, aziende e consorzi che sono state in grado di mettere insieme le diverse competenze, garantendo il successo dell’iniziativa.

fonte: www.rinnovabili.it



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Zero Plastica in Mare, BNL e Legambiente contro il marine litter













Lotta alla plastica in mare. Questo l’obiettivo che posto BNL Gruppo BNP Paribas, che in collaborazione con Legambiente avvierà un progetto pilota per “il recupero, lo studio e il corretto smaltimento” dei rifiuti rinvenuti nei porti e nei corsi d’acqua di alcune Regioni italiane: Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia e Marche.

BNL e Legambiente puntano ad alleggerire il fardello a carico di mare e fiumi di almeno 15 tonnellate di bottiglie e contenitori in plastica (corrispondenti a oltre 340mila elementi). Questi gli obiettivi al 2021 per la campagna “Zero Plastica in Mare“, lanciata dall’istituto bancario in collaborazione con l’associazione. Progetto pilota già realizzato a Porto Garibaldi, frazione di Comacchio (Ferrara), dopo l’impegno di volontari e pescatori ha consentito di “pescare” oltre 4 quintali di rifiuti (89% plastica, 3% carta e cartone, 2% metallo, 2% gomma, 2% tessili e un ulteriore 3% rappresentato da rifiuti particolari tra cui RAEE e oggetti di grandi dimensioni).


Per il 2020 è prevista anche un’attività di “citizen science” (volontariato ambientale e monitoraggio) lungo il Lambro (tratto all’interno del Comune di Milano), Isonzo, Tevere (tratto nel Comune di Roma) e Sarno. Iniziative di “fishing for litter” in tre porti, situati nel Lazio, in Campania e nelle Marche. Verranno effettuati monitoraggi specifici per quanto riguarda la dispersione delle retine impiegate negli allevamenti di cozze e vongole (mare) e di microplastiche (fiumi). Ha affermato Mauro Bombacigno, direttore Engagement BNL e BNP Paribas in Italia:


Con Zero Plastica in Mare portiamo la nostra strategia di #PositiveBanking sui territori, coinvolgendo le comunità locali in una rete di sensibilizzazione, impegno e volontariato, nella convinzione che un ambiente più sano sia una responsabilità individuale e collettiva: nostra come azienda socialmente responsabile, ma anche come singoli collaboratori di BNL-BNP Paribas e come cittadini. La salvaguardia dell’ambiente è una necessità urgente e per essere il più efficaci possibile abbiamo voluto insieme a noi Legambiente, da sempre concretamente attiva su tematiche ecologiche con operatori di alta professionalità.

Ha dichiarato Serena Carpentieri, vicedirettrice nazionale Legambiente:

Il marine litter è una grave e complessa emergenza globale. Il problema va assolutamente affrontato su più fronti, coinvolgendo cittadini, governi, imprese. Con questo progetto, che ci vede impegnati insieme a BNL Gruppo BNP Paribas, vogliamo accendere i riflettori sul flusso dei rifiuti provenienti dall’entroterra e che poi arrivano in mare, prevalentemente attraverso i fiumi.

Per questo, il primo “anello” del progetto riguarderà iniziative e attività lungo le sponde dei fiumi e il monitoraggio delle microplastiche delle acque fluviali. Azioni che si andranno ad affiancare a quelle di fishing for litter, proprio a partire da Porto Garibaldi, una delle esperienze-pilota che ha dato vita ad un prezioso lavoro di rete territoriale grazie al circolo regionale di Legambiente, ai pescatori, alle istituzioni locali; un’esperienza di grande valore che ha stimolato anche l’iter legislativo del Salvamare.

fonte: www.greenstyle.it

Rifiuti in mare: per risolvere il problema bisogna guardare ai fiumi

“Per risolvere il problema dell’inquinamento da plastica dobbiamo ripulire gli oceani e impedire che la plastica ci arrivi”, così dichiara il fondatore di Ocean Cleanup. Applicando una tecnologica simile al Seasweeper dell’iniziativa italiana “Un Po d’amare”, la ong punta la sua attenzione sui fiumi, responsabili dell’80% dell’inquinamento nei mari



















La Ocean Cleanup Foundation, un’organizzazione non governativa nota per i suoi sforzi contro l’inquinamento degli oceani e la grande isola di plastica Great Pacific Garbage Patch, ha affermato di aver trovato un nuovo dispositivo per combattere il problema dei rifiuti in mare. Si tratta di una barriera galleggiante in grado di raccogliere la plastica nelle acque dei fiumi, che rappresentano uno dei principali mezzi di trasporto attraverso cui i nostri scarti raggiungono i mari e gli oceani.

Come ha dichiarato a Reuters Boyan Slat, fondatore della ong, “per risolvere il problema dell’inquinamento da plastica dobbiamo fare due cose: ripulire gli oceani e impedire che la plastica ci arrivi”. Infatti, secondo i dati di Ocean Cleanup, l’1% dei fiumi è responsabile dell’80% dell’inquinamento nei mari del mondo.

Per portare a termine questo secondo obiettivo, è stato creato Interceptor, vale a dire una barca (che viene ancorata al letto del fiume) dalla quale si dipartono dei bracci galleggianti che, lasciando spazio per il passaggio di animali e il traffico fluviale, riescono a deviare i rifiuti in un punto di raccolta.

Il sistema è già stato testato a Jakarta, in Indonesia e a Klang (Malesia), ha riferito l’organizzazione. Altri due Interceptors saranno utilizzati a Can Tho, nel delta del Mekong in Vietnam, e a Santo Domingo, nella Repubblica Dominicana. Ocean Cleanup ha affermato che sta ancora testando questo sistema e non distribuirà numeri e percentuali sulla plastica raccolta fino al completamento della fase di sperimentazione.

Un sistema contro i rifiuti in mare per alcuni versi simile è stato proposto anche in Italia con l’iniziativa “Il Po d’amare”, promossa da Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, Corepla e Castalia. In questo caso, per la cattura del marine litter è stato installato a 40 km dalla foce del più grande fiume italiano un sistema di barriere galleggianti, Seasweeper, in grado di trattenere i rifiuti senza interferire con flora e fauna. Da luglio a novembre 2018, le barriere fluviali progettate da Castalia, combinate con l’utilizzo imbarcazioni a pescaggio ridotto (“Sea Hunter”), hanno permesso di recuperare ben 540 kg di rifiuti di cui 92 solo di plastica.
Come a marzo di quest’anno si augurava Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile, in occasione della presentazione del progetto, la legge Salvamare ha tenuto conto anche dell’importanza del ruolo dei fiumi rispetto al problema dei rifiuti in mare, assimilando i materiali inquinanti pescati lungo i fiumi ai rifiuti urbani e permettendo ai pescatori di poterli imbarcare e portare in apposite aree di raccolta. Inoltre, per la prima volta la norma introduce la possibilità di raccogliere lungo i fiumi anche tutto il materiale organico, composto da piante o alghe morte, per poterlo utilizzare a scopi energetici.

fonte: www.rinnovabili.it

Rapporto ISPRA sul Danno Ambientale: 30 ferite aperte per l’Italia

L’Istituto presenta alla Camera dei Deputati, il primo Rapporto sul Danno ambientale. Le aree più a rischio sono le acque sotterranee, i laghi e i fiumi

















L’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Ricerca Ambientale (Ispra) ha presentato oggi alla Camera dei Deputati il primo Rapporto sul Danno ambientale (2017-2018).
Il documento accerta gravi danni in 30 aree del Paese: ad essere interessate sono soprattutto le acque sotterranee (32%), i laghi e i fiumi (23%), i terreni (19%), l’atmosfera e l’assetto morfologico (13%). Le attività che potenzialmente possono portare a danno ambientale sono risultate essere soprattutto quelle svolte dagli impianti di depurazione e di gestione dei rifiuti, dai cantieri edili e di realizzazione delle infrastrutture e dagli impianti industriali. Dei 30 casi in cui è stato accertato un grave danno o minaccia ambientale, 22 hanno portato all’apertura di procedimenti giudiziari (penali e civili) e 8 extra-giudiziari. In 10 di questi  – spiega l’ISPRA fornendo le informazioni su località, danni provocati all’ambiente circostante, lavori di riparazione da eseguire e, laddove disponibili, i costi dell’operazione – il Ministero dell’ambiente si è già costituito parte civile o ha attivato il relativo iter.
Nel dettaglio, i 10 casi di cui sopra fanno riferimento alle discariche di Chiaiano e Casal di Principe in Campania, a quelle di Malagrotta e Anagni nel Lazio, a quella di Bellolampo in Sicilia, alle emissioni della Tirreno Power a Vado Ligure e Quiliano e all’interramento di fanghi e degli scarti di lavorazione a Rende, in provincia di Cosenza.
In generale, i casi segnalati all’Istituto dal Ministero dell’ambiente nel biennio 2017-2018 sono stati 200, con l’avvio di 161 attività istruttorie di valutazione del danno ambientale (verifiche operate sul territorio da SNPA): con 29 istruttorie aperte, la Sicilia svetta come prima regione in Italia, seguita da Campania (20), Lombardia (14) e Puglia (13).

A dare una definizione comune di danno ambientale in Europa – ricorda l’ISPRA – è intervenuta la direttiva europea del 2004 (2004/35/CE) che ha introdotto una disciplina unica in tema di responsabilità e riparazione. L’Italia ha pienamente introdotto nella propria normativa il principio di danno ambientale e ad oggi risulta essere il paese che dichiara più casi in Europa. Restano, tuttavia, da affrontare alcuni importanti temi, come ad esempio stabilire i criteri per definire la procedura amministrativa, la copertura assicurativa del danno, i criteri di accertamento e quelli di riparazione.

fonte: www.rinnovabili.it

Un Po di plastica

Sono più di 11.000 i frammenti in plastica, di piccole dimensioni, 5 mm e 11 mg di peso, che il Po trascina in mare ogni secondo





















Ci sono ormai diversi studi che dimostrano come molta della plastica presente nei mari provenga dall'entroterra, trasportata dai fiumi.
Secondo lo studio “Un Po di plastica”, condotto grazie all’evento sportivo e di sensibilizzazione ambientale “Keep Clean and Run”, ogni secondo il Po riversa in mare 11.107 frammenti di plastica di dimensione media intorno ai 5 mm e dal peso medio di 11 mg, questo quanto emerge dal report realizzato da AICA (Associazione Internazionale per la Comunicazione Ambientale) in collaborazione con ERICA Soc. Coop. e European Research Institute (ERI).
In occasione dell'iniziativa "Il Po d'amare" promossa da Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Corepla e Castalia, sono stati raccolti 92 kg di plastica in 4 mesi, frammenti di grosse dimensioni (macroplastica).
Attraverso i 6 campionamenti di acqua del Po, invece, è stato possibile determinare la quantità e la qualità delle microplastiche presenti nell'acqua del più importante fiume italiano, che trascina in media 13,76 tonnellate di microplastiche ogni giorno, che equivalgono a 5.021 tonnellate ogni anno.
I campioni di plastica analizzati e studiati sono stati 95:
  • 6 di dimensione inferiore a 1 mm
  • 61 di dimensione tra 1 mm e 5 mm
  • 26 di dimensione compresa tra 5 mm e 15 mm.
Nell'infografica sottostante i risultati del campionamento.
Un pò di plastica
fonte: http://www.arpat.toscana.it/

Quali sono i fiumi che trasportano più plastica nei mari?

Una parte sostanziale dei detriti di plastica presenti in mare proviene dall'entroterra, i fiumi costituiscono le principali vie di trasporto




L'estate 2019 è all'insegna della lotta alle plastiche usa e getta che inquinano i mari, ma come finisce tutta questa plastica in mare?

Secondo l'Unep, circa l'80% della plastica che si trova nei mari è il risultato di una scarsa o insufficiente gestione dei rifiuti a terra, dovuta in particolare ad una limitata capacità di riusare e/o riciclare i materiali plastici.

Naturalmente il problema non riguarda un solo paese o un continente, ma l'intero pianeta.

L'Unep individua tra le principali cause:
le discariche illegali di rifiuti domestici e industriali e quelle legali mal gestite

lo scarso trattamento delle acque reflue e gli sversamenti di acque reflue

le cattive abitudini da parte delle persone che utilizzano le spiagge a fini ricreativi o per pesca sportiva
l'attività industriale, in particolare le industrie con processi che coinvolgono materiali plastici
i trasporti
le attività legate alla pesca
i contenitori per i rifiuti non adeguatamente coperti e le strutture per il contenimento dei rifiuti non chiuse ermeticamente
i rifiuti abbandonati al suolo che gli agenti atmosferi (pioggia o neve o vento) trasportano nei corsi d'acqua.

Le Nazioni Unite puntano molto sulla prevenzione e sulla corretta gestione dei rifiuti per risolvere, o almeno limitare fortemente il problema, che ormai è ampiamente conosciuto e motivo di crescente preoccupazione ecologica a causa della persistenza chimica delle materie plastiche e della loro frammentazione meccanica, che le riduce in microplastiche in grado di essere ingerite da piccoli organismi come lo zooplancton, entrando nella catena alimentare.

Uno studio inglese pubblicato nel giugno del 2017 ha stimato che i rifiuti plastici, che giungono in mare attraverso i fiumi, siano tra gli 1,15 e i 2,41 milioni di tonnellate. Le stime sono il risultato di una combinazione di informazioni geospaziali, di densità della popolazione, di gestione dei rifiuti, topografiche, idrografiche e relative alla posizione delle dighe.

Il modello evidenzia che la presenza di plastiche nei fiumi dipende dal drenaggio dei detriti dalle sponde del fiume e dalle insenature che conducono ai principali corsi d'acqua e risulta variabile in base alla stagione, sicuramente maggiore nel periodo che va da maggio a ottobre.


I ricercatori stimano che ben due terzi (67%) dell'intero inquinamento marino è dovuto a 20 corsi d'acqua, che si trovano quasi tutti in Asia; questi coprono il 2,2% della superficie continentale e rappresentano il 21% della popolazione mondiale. Inoltre, i 122 fiumi più inquinanti (4% della superficie totale di massa terrestre e 36% della popolazione mondiale) hanno contribuito per oltre il 90% degli apporti plastici con 103 fiumi situati in Asia, otto in Africa, otto in America centrale e meridionale e uno in Europa.

Moltissimi i rifiuti plastici, che provengono dai fiumi asiatici, principalmente a causa del rapido sviluppo economico manifestatosi in Asia negli ultimi anni, spesso non accompagnato da una gestione efficiente dei rifiuti prodotti, soprattutto nelle aree meno urbanizzate.

Per quanto riguarda la stagionalità, la ricerca ha evidenziato che le variazioni relative degli input mensili del subcontinente asiatico non appaiono così pronunciate come per gli altri continenti. Ciò è dovuto ad un sostanziale equilibrio tra gli input che provengono dall'Asia orientale e dal subcontinente indiano durante l'estate dell'emisfero settentrionale e i contributi dal Sud-est asiatico durante l'estate dell'emisfero meridionale.

Per le altre parti del mondo, il modello ha mostrato due distinti picchi per i rifiuti plastici fluviali: uno che si verifica tra giugno e ottobre per i fiumi dell'Africa, del Nord e dell'America centrale e uno che si verifica da novembre a maggio per i fiumi europei, sudamericani e Australia-Pacifico.


Secondo un altro studio, più recente, datato ottobre 2017 e realizzato da alcuni ricercatori tedeschi, sarebbero 10 i fiumi più importanti per il trasporto in mare di rifiuti plastici, responsabili del 90% circa della spazzatura di plastica presente nei mari.

Lo studio in questione è basato sull'analisi di campioni di plastica e sull'elaborazione di dati acquisiti da ricerche precedenti, in particolare la ricerca si concentra sull'analisi di una raccolta globale di informazioni sui detriti di varie dimensioni presenti nella colonna d'acqua, sia frammenti microplastici (particelle <5 mm) che macroplastici (particelle >5 mm), combinata con informazioni inerenti il sistema di gestione dei rifiuti nelle zone interessate.

Entrambi gli studi, seppur con differenze, indicano il fiume Yangtze, in Cina, come il maggior "trasportatore" di rifiuti. L'Indonesia, invece, è risultata uno dei principali contribuenti del continente asiatico, con quattro fiumi giavanesi che destano particolare preoccupazione, si tratta dei fiumi Brantas, Solo, Serayu e Progo, che trasportano rispettivamente 38.900 (range 32.300-63.700), 32.500 (range 26.500-54.100), 17.100 (range 13.300-29.900) e 12.800 (range 9.800-22.900) tonnellate di plastica all'anno.

Per quanto riguarda invece i corsi d'acqua europei, non sono molti gli studi realizzati, ma quelli esistenti evidenziano che il Danubio, ogni anno, trasporta nel Mar Nero da 530 a 1500 tonnellate di plastica, mentre attraverso il fiume Reno finiscono, ogni anno, nel Mare del Nord da 20 a 21 tonnellate di plastiche.


Per quanto riguarda, infine, l'Italia, i dati che si possono reperire riguardano principalmente il fiume Po, oggetto dell'iniziativa "Il Po d'AMare", realizzata grazie alla sinergia di Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, Corepla (il consorzio per il riciclo della plastica) e Castalia (consorzio di aziende per la tutela del mare), col coordinamento dell'Autorità di Bacino distrettuale del fiume Po e con il patrocinio del Comune di Ferrara e dell'AIPO (Agenzia Interregionale per il fiume Po).

La barriera anti-marine litter è stata realizzata nel tratto del fiume Po in località Pontelagoscuro, nel Comune di Ferrara, a 40 km dalla foce, così da consentire una stima dei rifiuti presenti lungo quasi l'intero corso del fiume. Piccole barche "Sea hunter" hanno raccolto i rifiuti, in prevalenza plastica, materiali legnosi e canne, portandoli a riva. Da qui, i rifiuti sono stati trasportati presso l'impianto Transeco a Zevio (Verona), a circa 75 km di distanza, dove sono stati sottoposti ad una prima selezione, suddividendoli in plastica da riciclare e frazione non riciclabile. I primi sono stati inviati al centro di selezione del consorzio Corepla, a Legnago (Verona), per le operazioni di riciclo.

Approfondisci anche leggendo i rapporti Unep

"Marine litter: a global challenge"

"Legal limits on single-use. Plastics and microplastics.

fonte: http://www.arpat.toscana.it

Anche i fiumi sono una minaccia per il mare: il Po riversa 11 tonnellate di plastica al giorno

Il risultato del monitoraggio in occasione del «Keep Clean and Run» lungo il corso d’acqua dalla sorgente alla foce















TORINO. «Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico». Lo dice un proverbio cinese, ma è possibile tentare l’esperimento anche in casa nostra, per esempio lungo le sponde del Po. Il risultato è drammatico. Il nemico in questo caso è la plastica che sta infestando le acque e minacciando l’ecosistema lungo i 652 chilometri del corso d’acqua più lungo d’Italia. Alla foce di Pila (in provincia di Rovigo) ogni minuto il Po scarica nel mare Adriatico oltre 7 chilogrammi di microplastiche (frammenti compresi tra 0,3 e 5 millimetri) che diventano 465 kg all’ora, 11 tonnellate al giorno e più di 4 mila tonnellate all’anno.

fonte: https://www.lastampa.it