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Marsiglia, a settembre capitale della biodiversità

Il World Conservation Congress dello IUCN si terrà a Marsiglia dal 3 all’11 settembre e avrà come tema principale la tutela della biodiversità. Una sfida di importanza letteralmente vitale, da vincere prima che sia troppo tardi.

Forse non è fra i temi più seguiti dal grande pubblico, ma dovrebbe esserlo: la perdita di biodiversità. In Europa, secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), quasi tutti gli indici che la riguardano sono negativi, tanto da definire la situazione catastrofica quanto il cambiamento climatico. Urge quindi correre ai ripari.



A tal proposito, dal 3 all’11 settembre 2021 si terrà a Marsiglia il Congresso della IUCN, International Union for Conservation of Nature, uno dei più importanti eventi dedicati alla tutela degli ecosistemi. L’evento, per la prima volta in forma “ibrida” (cioè sia in presenza che virtuale), ha l’obiettivo di misurare lo stato del pianeta tenendo conto dei cambiamenti climatici in atto e basandosi appunto sulla conservazione della biodiversità.

Molto incoraggiante la presenza di numerosi Capi di Stato, funzionari governativi, alti rappresentanti della Commissione e del Parlamento europeo, amministratori delegati e leader aziendali, scienziati ed accademici. Attesi fra gli ospiti Emmanuel Macron, Frans Timmermans, Christine Lagarde e molti altri. Presenti anche grandi compagnie, che collaborano attivamente con il Congresso, per le quali il 3 settembre è previsto un evento dedicato ai soli CEO.

Degna di nota è poi la partecipazione del Vertice mondiale “Our land, our nature” che, per la prima volta, unisce le voci dei popoli indigeni per denunciare le “false soluzioni contro la perdita di biodiversità e i cambiamenti climatici” in atto, soprattutto nel sud del mondo. Lo scopo è quello di aumentare la consapevolezza della necessità di misure più solide per proteggere i diritti delle popolazioni indigene e il loro ruolo di custodi degli ecosistemi. Anche perché, come spiega Survival International, “stiamo distruggendo i migliori custodi del mondo naturale proprio nel nome della conservazione della natura”. Questo vertice è importante per vari motivi, a partire dal riconoscere finalmente una grande dignità alle popolazioni indigene, maestre di appunto di protezione della biodiversità.
Congresso Mondiale sulla Conservazione della Natura: il programma

Il programma, molto dettagliato, rivela le tre principali aree d’azione del Congresso: quella del Forum delle idee, con numerosi interventi autorevoli e la possibilità di scambi di opinione; una sezione dedicata alla mostra delle migliori pratiche di conservazione in atto nel mondo; una dedicata al voto dei membri IUCN. Tra i vari argomenti che il forum toccherà, ci sarà anche l’importanza del settore agricolo per la tutela della biodiversità, ma anche quella dei mari e degli oceani, veri polmoni del pianeta. Basti pensare che proprio Marsiglia ospita “il polmone del Mediterraneo”: la riserva marina delle Calanques, ricca fra le altre specie di posidonia, pianta acquatica che assorbe cinque volte più CO2 di quanto non faccia in proporzione la foresta amazzonica e sette volte più delle foreste europee.

Ma il capoluogo della Provenza, quest’anno capitale globale della biodiversità, non è stata scelta per questo evento solo per le sue riserve marine. Già dal 2008 sta adottando strategie mirate a raggiungere una piena e duratura sostenibilità ambientale, economica e sociale. In realtà è l’intera “PACA” (Provence Alpes Cote d’Azure), con un tasso pari al 75% di spazi naturali, a vantare diversi primati in questo senso: contiene quattro dei dieci parchi nazionali francesi, ben diciotto riserve naturali e sette parchi naturali regionali. Dalla Camargue alla Crau, passando per le Calanques e la Sainte-Victoire, nel Dipartimento delle Bocche del Rodano – che gestisce gran parte di queste riserve, la regione offre ai suoi abitanti e visitatori una (bio)diversità eccezionale.

Il prossimo Congresso IUCN si presenta insomma con tutte le caratteristiche di un evento epocale, che possa portare a un’effettiva svolta verso la sostenibilità. Le idee ci sono, le risorse anche, le tecnologie non mancano e l’unione delle forze fra attori anche molto diversi tra loro non è cosa impossibile. Perché se non si agisce ora, in quella che alcuni già definiscono la “nuova normalità” post-pandemica, poi potrebbe essere troppo tardi.

“Il Congresso mondiale della natura della IUCN arriva in un momento in cui dobbiamo trovare soluzioni per il clima e l’ambiente”, spiega Matthias Fiechter, fra i coordinatori dell’evento: “Il post-covid offre molte opportunità a livello di tutela della natura e della biodiversità, di conservazione ecc. Ma se questa fase viene gestita male, si potrà assistere a danni anche maggiori di quelli fatti finora.”

Per maggiori informazioni sull’evento e su tutte le realtà sopra menzionate, suggeriamo di contattare direttamente la Camera di Commercio Italiana per la Francia di Marsiglia.

fonte: www.bioecogeo.com



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Tutte le tecnologie che portano alla decarbonizzazione



La partita della decarbonizzazione dei sistemi energetici è una delle più importanti e strategiche dell’era presente. Rappresenta, infatti, una sfida destinata a condizionare l’evoluzione delle economie e delle società più avanzate negli anni a venire, a creare nuovi mercati, a coniugare i temi dello sviluppo e della tutela ambientale.

La decarbonizzazione non sarà però un pasto gratis. Né potrà avvenire dall’oggi al domani: richiederà un salto tecnologico capace di rendere disponibili nuove fonti di generazione energetica, nuove innovazioni abilitanti, nuovi paradigmi produttivi. Da portare a piena maturità prima del loro inserimento sul mercato.

Ma quali sono le tecnologie più importanti per definire le vie della transizione energetica e del superamento del carbonio? Nonostante la pandemia di Covid-19, vengono sempre più sviluppate nuove tecnologie volte a aumentare l’impatto delle fonti pulite sul contesto energetico contemporaneo, descritte anche dall’Agenzia Internazionale dell’Energia in un report dell’ottobre 2020.

Una prima innovazione arriva dalla disponibilità di reti di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica resistenti e resilienti. Capaci di assicurare, grazie alle tecnologie innovative a disposizione e ai sensori IoT, il matching ideale tra domanda e offerta, tra generazione e consumo. CESI, società milanese leader mondiale nel testing e nella consulenza energetica, con un’esperienza pluridecennale nel campo dell’innovazione tecnologica, è tra le società che maggiormente puntano sullo sviluppo delle smart grids nei decenni a venire, testandole nel proprio Flex Power Grid Laboratory di Arnhem, in Olanda.

KEMA Labs (la Divisione di Testing, Ispezione e Certificazione del Gruppo CESI), entro cui questi laboratori sono incorporati, lavora anche a trovare tecnologie alternative al gas di esafluoruro di zolfo (SF6) per la gestione dei quadri delle reti ad alto voltaggio. Nelle apparecchiature di comando con isolamento in gas, CESI, coerentemente con la sua missione di aiutare le società clienti e partner a ottenere una completa decarbonizzazione, sta sviluppando tecnologie “verdi” per trovare alternative a un gas ritenuto importante per il settore energetico ma al tempo stesso dotato di un elevato impatto inquinante.

La necessità di aziende, governi e utilities di passare, nei mix energetici, dalle fonti fossili alle rinnovabili, nel contesto di una ciclicità non prevedibile della disponibilità di fonti per la generazione, impone poi la necessità di sviluppare tecnologie di stoccaggio all’altezza delle necessità dei sistemi. Questo per evitare dispersioni eccessive o asimmetrie dannose tra i momenti di picco di domanda e quelli di offerta di energia. Oggigiorno le tecnologie più diffuse, nota Energy Journal, magazine pubblicato da CESI sono basate su batterie elettrochimiche, che negli ultimi anni sono state oggetto di numerose innovazioni in termini di miglioramento di performance, permettendo al contempo di realizzare impianti con capacità sempre maggiori: un esempio è sicuramente dato dall’australiana CEP Energy nel Nuovo Galles del Sud, che intende costruire il più grande impianto di accumulo al mondo, con una capacità totale di 1,2 GW.

L’innovazione è il driver che sta creando anche altre forme di sviluppo in materia

Un’altra compagnia australiana, la Lavo, sta sviluppando sistemi di stoccaggio basati sull’idrogeno verde, ovvero ottenuto da fonti di energia rinnovabile. Separato dall’acqua per elettrolisi, esso può essere utilizzato nei cosiddetti settori “hard-to-abate”, come l’industria siderurgica e chimica. L’idrogeno come fattore di decarbonizzazione è oggi fortemente valorizzato nelle strategie nazionali energetiche di diversi Paesi, e pure l’Unione Europea ha proposto una strategia per una catena del valore dell’idrogeno nel Vecchio Continente.

Nuovi campi di applicazione per la decarbonizzazione riguardano infine il settore dei trasporti grazie alla mobilità sostenibile. Secondo un report Ispra, nel 2019 in Italia i trasporti sono stati responsabili del 23,4% delle emissioni totali di gas serra, con un aumento del 3,9% rispetto al 1990. In particolare, i consumi di gasolio e benzina hanno rappresentato circa l’88% del consumo totale dei trasporti su strada. La decarbonizzazione dei sistemi di trasporto può giocare un ruolo fondamentale nell’alleviare il peso dell’inquinamento da mezzi di trasporto. L’Italia, in quest’ottica, è indietro nella corsa a una diffusione strutturata di veicoli elettrici e a basso tasso di inquinamento.

“La vera sfida per facilitare la diffusione globale dei veicoli elettrici è, secondo l’Ad di CESI Matteo Codazzi, “lo sviluppo di una rete di infrastrutture di ricarica capillare e adatta tanto alle esigenze del cliente quanto della rete elettrica”. La tecnologia può contribuire ad aumentare l’interazione tra la rete in questione e i singoli veicoli attraverso lo sviluppo delle tecnologie per lo Smart Charging, “ovvero la possibilità di ottimizzare l’energia prelevata e immessa a seconda delle necessità del cliente e della rete elettrica”. Tecnologie, queste, che vengono testate e sviluppate nei laboratori KEMA Labs, al fine di contribuire a valutare la maturità e la sostenibilità dell’innovazione, vero volano per conseguire una strutturata decarbonizzazione. Obiettivo da coltivare pazientemente ma tutt’altro che utopico, grazie alle nuove frontiere aperte dall’innovazione continua e dalle sue applicazioni di mercato.

fonte: it.insideover.com


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Ecosistemi in Costituzione

La Commissione affari costituzionali ha varato una sorprendente proposta di modifica di due fondamentali articoli della Costituzione dedicati alla tutela della biodiversità, degli ecosistemi e degli animali. Se la proposta dovesse passare, sarebbe la prima volta che il Parlamento propone di modificare la prima parte – quella dei principi – della Carta del ‘48. Segno evidente di una maturata sensibilità in tema ambientale, emersa e coltivata dal basso. «L’iter, comunque, sarà lungo… – aggiunge Paolo Cacciari – C’è da rallegrarsi anche del non accoglimento da parte della maggioranza della Commissione affari costituzionali del Senato della proposta, più volte caldeggiata dal neoministro Enrico Giovannini, di introdurre in Costituzione l’ambiguo sintagma dello “sviluppo sostenibile”, che avrebbe concesso una dignità persino costituzionale alle discutibili pratiche della green economy…»




Una inaspettata buona notizia viene dal Senato. La Commissione affari costituzionali ha varato una proposta di modifica di due fondamentali articoli della Costituzione che regolano i diritti e i beni fondamentali della Repubblica. L’Articolo 9 viene modificato con una aggiunta di due commi finali (che qui evidenziamo scrivendoli in corsivo): “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Altre due integrazioni all’Articolo 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute, all’ambiente. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.

Se la proposta dovesse passare in aula al Senato, sarebbe la prima volta che il Parlamento propone di modificare la prima parte – quella dei principi – della Carta del ‘48. Segno evidente di una maturata sensibilità in tema ambientale che ha raggiunto i vertici delle istituzioni. L’iter, comunque, sarà lungo (doppia lettura in Camera e Senato, eventuale referendum confermativo) e alcune forze politiche (tra cui la Lega) hanno già il mal di pancia.

É ben vero che l’inserimento della tutela della salute potrebbe apparire pleonastico (l’Articolo 32 esiste già) e che gli orientamenti della Corte costituzione includono già la tutela dell’ambiente naturale all’interno del più ampio significato di “paesaggio”. Ma non sempre è facile per i movimenti ecologisti raggiungere in giudizio la Suprema corte e non sempre si sono ottenuti pronunciamenti favorevoli. Il nuovo articolato, quindi, rafforza il principio della tutela degli ecosistemi naturali riconoscendone esplicitamente il loro valore fondamentale per il bene comune del paese. E ciò non può che fare piacere, poiché incoraggia a promuovere una legislazione ambientale più avanzata in un paese massacrato da una industrializzazione e da una urbanizzazione scellerata. Così come fa molto piacere il riconoscimento degli animali non umani e quello delle generazioni future. Non sono quindi solo gli aventi diritto al voto i “sovrani” al potere, ma anche tutti gli esseri viventi, presenti e futuri, con cui va condiviso il mondo.

C’è da rallegrarsi anche del non accoglimento da parte della maggioranza della Commissione affari costituzionali del Senato della proposta, più volte caldeggiata dal neoministro Enrico Giovannini e dalla sua associazione ASviS, di introdurre in Costituzione l’ambiguo sintagma dello “sviluppo sostenibile”, che avrebbe concesso una dignità persino costituzionale alle discutibili pratiche della green economy. Un grazie, doveroso, alla senatrice Loredana De Petris che da qualche decennio ha insistito per adeguare la Carta del ’48 alle nuove evidenze e responsabilità ecologiche.

Ci si potrebbe invece rammaricare del mancato esplicito riconoscimento legale dei Rights of Nature. “Il movimento per i diritti della natura sta crescendo – scrive il Right-of-Rivers-Report, redatto da diversi istituti di ricerca: Cyrus R. Vance Center for International Justice, Earth Law Centere International Rivers – È guidato da popoli indigeni, società civile, esperti legali, e giovani, che chiedono una riforma sistemica del nostro modo di rapportarci con la natura”. La Natura viene intesa come soggetto dotato di “personalità giuridica” (esattamente come lo è un ente economico o una società di persone) portatore di diritti ad esistere, evolvere e prosperare. Diritti che possono essere difesi in tribunale tramite organismi di tutela (amministratori, piuttosto che proprietari) composti da gruppi di persone o da enti che hanno questo obbligo legale. Il salto logico e filosofico, etico e politico è evidente. Si tratta di passare dal diritto degli umani ad avere un ambiente salubre, al diritto della natura, in quanto tale, a rigenerarsi. Un passaggio di approccio dall’antropocentrismo all’ecocentrismo.

Esistono ormai esperienze di “costituzionalizzazione” dei diritti di particolari ecosistemi (bacini fluviali, laghi, foreste, montagne…) in molte parti del mondo. Non solo in Sua America (con Ecuador e Bolivia apripista), ma in vari paesi dell’Oceania, in Asia (India, Bangladesh e Filippine), Nord e Centro America (Stati Uniti Stati Uniti, Costa Rica e Messico) e Africa (Uganda). Certo, la giurisprudenza dei diritti della natura è ancora agli inizi, ma è sicuro che solo se i nostri “stati di diritto” sapranno compiere questo salto culturale epocale inclusivo degli animali non umani e del vivente in generale (come lo è stato con l’abolizione della schiavitù o con i diritti politici delle donne) sarà possibile preservare i cicli vitali del pianeta dalla “macro criminalità di sistema”, per usare le parole di Luigi Ferrajoli, e pensare a una vera Costituzione della Terra (www.costituenteterra.it).

fonte: comune-info.net

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La cura esiste

C’è una società fatta di relazioni, giustizia sociale, tutela ambientale, l’esatto contrario della visione e dell’agenda di un Governo e di un’Europa troppo intente e rassicurare mercati e investitori, perché il profitto non si tocca e il debito va onorato. Sabato 10 aprile, l’hanno messa in mostra, quella società, oltre 30 manifestazioni-performance tenute in 20 città italiane, da Aosta a Catanzaro, per promuovere le proposte del Recovery Planet. Per il pomeriggio del 26 aprile, in occasione del passaggio parlamentare del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la Società della Cura sarà in piazza Montecitorio per un nuovo appuntamento. L’obiettivo di questa seconda tappa di una mobilitazione che vuole crescere è far sentire dalla piazza la voce dell’Italia che non ha più voglia di aspettare e di essere considerata un simpatico orpello delle decisioni che contano

Foto tratta dal Fb 

Una cura esiste, per questa società malata di profitto, e il principio attivo sono i volti e le intelligenze di quelle donne e quegli uomini che, nella giornata del 10 aprile, hanno animato le piazze reali e virtuali del nostro Paese.

Oltre 30 presidi, manifestazioni, performance in più di 20 città italiane, da Aosta a Catanzaro, passando per Firenze, Roma, Venezia dove i movimenti italiani che animano la Società della Cura, hanno ricominciato a prendere parola nonostante le limitazioni di una pandemia che sembra non voler mollare la presa.

La cura esiste, ed è una società fatta di relazioni, giustizia sociale, tutela ambientale, l’esatto contrario della visione e dell’agenda di un Governo e di un’Europa troppo intente e rassicurare mercati e investitori, perché il profitto non si tocca e il debito va onorato.

C’è una faglia di Sant’Andrea che divide il Paese legale dal Paese reale, e si coagula in numeri, dati e decisioni politiche. Dal febbraio 2020 quasi un milione di persone hanno perso il posto di lavoro, in gran parte giovani e donne, nella migliore delle tradizioni di un sistema di valori patriarcale, arretrato, senza visione del futuro.

I giovani e le intelligenze dei Fridays for Future e di Extinction Rebellion, anche loro ad animare un’Italia disorientata, ci ricordano che viviamo tutti con un metronomo sopra la testa che si chiama cambiamento climatico, inesorabile, ma non inevitabile se solo si mettessero in campo politiche degne di questo nome.

Alle proposte della società civile e del Recovery Planet, l’agenda di società del futuro redatta grazie al lavoro certosino e continuato di centinaia di persone all’interno della convergenza, il Governo ha risposto con le nuove concessioni estrattive di metano e di petrolio, perché è business, bellezza, e prima di noi e di voi viene Eni, in caso non l’aveste ancora capito.

Quei 190 e rotti miliardi tra prestiti e finanziamenti che stanno sotto al nome pomposo di Recovery and Resilience Facility, di cui il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ne è l’italiana conseguenza, arriveranno sulla base di progetti e investimenti decisi escludendo a priori la società civile, invitata al pranzo di gala degli Stati Generali romani dello scorso luglio come semplice comparsa, e ascoltata come da prassi nelle audizioni alle Camere.



L’ascolto è dovuto, la presa in carico un po’ meno, se è vero che all’interno del PNRR troveranno conforto anche le filiere militari e quelle insostenibili, le infrastrutture e il cemento, perché il PIL deve essere nutrito, e chi se ne importa se il 91% dei Comuni italiani, e decine di milioni di persone, sono a rischio dissesto idrogeologico. Un’ipoteca sul futuro, considerata la frequenza di aumento di eventi atmosferici estremi che colpisce il nostro Paese, se non il mondo intero.

Le oltre 400 pagine del PNRR troveranno posto sugli scranni di Montecitorio e di Palazzo Madama i prossimi 26 e 27 aprile, presentate dal Presidente del Consiglio Draghi, prima del loro invio alla Commissione Europea entro il 30 aprile.

Da lì in poi si aprirà un negoziato con l’Unione Europea, che spulcerà le proposte italiane e dei rimanenti 26 Paesi dell’Unione proponendo cambiamenti, riletture, riscritture.

Il 26 aprile, dalle 15 in poi, proprio in occasione del passaggio parlamentare, la Società della Cura sarà in piazza Montecitorio, per far sentire dalla piazza la voce dell’Italia che non ha più voglia di aspettare e di essere considerata simpatico orpello delle decisioni che contano.

La risposta alle pagine del Recovery Plan saranno i capitoli del Recovery Planet, e alle pretese dei capitani di industria verranno contrapposte le proposte e richieste per una società diversa, capace di cura e di senso.

Il 26 aprile non sarà un punto di arrivo, ma una tappa dopo le mobilitazioni di novembre, dicembre e del 10 aprile verso l’ampliamento di una convergenza di movimenti che non si vedeva da anni, e che guarda al ventennale del G8 genovese e alle piazze del prossimo autunno come passaggi necessari per rimettere le parole conflitto e alternativa al posto giusto nel dizionario della politica italiana.

fonte: comune-info.net



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Venezia si impegna a bandire la plastica e a praticare l’economia circolare

La Giunta della città lagunare aderisce all'iniziativa Plastic Smart Cities promossa dal WWF per eliminare la dispersione di plastica in natura. Venezia è la prima città italiana a far parte di questo programma e vuole diventare un esempio nella lotta all’inquinamento da plastica e nella ricerca di soluzioni innovative di economia circolare.










La Giunta comunale di Venezia ha approvato, su proposta dell’Assessore all’Ambiente Massimiliano De Martin, il provvedimento con cui il Comune aderisce all’iniziativa globale WWF “Plastic Smart Cities” per la lotta contro l’inquinamento da plastica entro il 2030. Venezia è la prima città italiana ad aderire all’iniziativa che include altre città del Mediterraneo come Nizza, Dubrovnik, Smirne e Tangeri.

«La tutela dell’ambiente, la promozione di una responsabilità collettiva di attenzione all’ecosistema, il sostegno all’economia circolare, gli investimenti per una mobilità condivisa e sempre più “green”, l’orgoglio di aver avviato le procedure per avere in città il primo distributore fisso di idrogeno in Italia e una seria campagna per il recupero delle reti da pesca abbandonate in mare dimostrano, a vari livelli, l’impegno di Venezia in quell’importante progetto di salvaguardia del pianeta che deve vederci tutti compatti», commenta De Martin. «Tutte azioni che questa Amministrazione Comunale si onora di aver avviato e sostenuto con l’obiettivo non solo di dare attuazione all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ma di procedere su un percorso che deve responsabilizzare ciascuno di noi».

Con la sottoscrizione della dichiarazione d’intenti (Plastic Smart City Commitment) predisposta dal WWF, l’Amministrazione comunale, ha voluto quindi ribadire questo suo impegno a tutela dell’ambiente e, in questo caso, per eliminare la dispersione di plastica in natura entro il 2030 sviluppando un piano d’azione che preveda, tra le altre cose, l’avvio di un progetto pilota che porti a un 30% di riduzione di inquinamento da plastica entro due anni. «Uniti sapremo raggiungere anche questo obiettivo – prosegue De Martin – e sono sicuro che arriveremo a risultati ancora più importanti. Venezia ogni anno durante il Giorno della Sensa “sposa” il Mare e quindi non poteva non essere in prima linea in questa importante campagna in sua difesa».

Il protocollo impegna inoltre a promuovere il coinvolgimento di settori chiave e parti interessate nella valutazione e nel miglioramento delle politiche, dei servizi e dei finanziamenti per prevenire la produzione di rifiuti di plastica e promuovere la loro gestione con soluzioni circolari, a sviluppare un piano di monitoraggio delle attività con baseline e target annuali e a condividere i progressi con il WWF attraverso le proprie attività di reporting, con un coinvolgimento attivo degli stakeholder e della cittadinanza nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche da adottare.

«Siamo orgogliosi di supportare l’iniziativa di Venezia, che è una città d’arte tra le più amate al mondo, sospesa tra bellezza e fragilità, e che diventa così simbolo della lotta alla dispersione della plastica in natura», commenta Donatella Bianchi, presidente WWF Italia. Grazie alla rete di città costiere a forte vocazione turistica dal nord al sud del Mediterraneo, tra cui Nizza, Dubrovnik, Smirne, Tangeri e da oggi Venezia, il WWF sta sviluppando la più grande attivazione civica degli ultimi decenni in difesa del mare. Una sfida cruciale che la pandemia ha ulteriormente accentuato per proteggere il Mediterraneo sempre più soffocato da plastiche e microplastiche che minacciano tutto l’ecosistema marino e la nostra salute.

L’iniziativa Plastic Smart Cities promossa dal WWF mira a collaborare con almeno 25 città o isole del Mediterraneo per ottenere risultati concreti e misurabili per fermare lo sversamento di plastica in natura entro il 2030. Venezia quindi contribuirà e beneficerà di una rete di conoscenze in merito a metodologie sviluppate per l’analisi della gestione dei rifiuti plastici, progetti di innovazione e soluzioni già messi in atto per evitare il consumo di plastica monouso.

Secondo il WWF, il Mediterraneo si sta trasformando in una pericolosa trappola di plastica: ogni anno, circa mezzo milione di tonnellate di plastica di grandi e piccole dimensioni entra nelle acque del nostro bacino, l’equivalente di 33.800 bottiglie di plastica gettate in mare ogni minuto. Un terzo dei rifiuti di plastica è mal gestito e, senza un’azione drastica, si prevede che quadruplicherà entro il 2050. Uno studio pubblicato nel 2020 su Science1 individua nella zona del Mar Tirreno la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nelle profondità di un ambiente marino: 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato.

L’emergenza COVID ha purtroppo favorito il grande ritorno della plastica monouso con evidenti effetti collaterali sull’ambiente, a causa dell’aumento dei rifiuti spesso mal gestiti e dispersi. Quello delle mascherine rappresenta solo la punta dell’iceberg di un problema molto più ampio che ha messo un freno ai recenti progressi fatti in materia di sostenibilità e gestione dei rifiuti: la quarantena ha ad esempio stimolato l’aumento degli acquisti online con conseguente aumento degli imballaggi plastici, mentre il divieto nei food service di contenitori riutilizzabili in favore dell’usa e getta. Il WWF ritiene che la pandemia non debba ostacolare l’ambizione nazionale e globale di ridurre la plastica e l’inquinamento da essa generato e debba invece accelerare la ricerca di alternative al monouso e la messa in atto di sistemi circolari di gestione efficiente delle risorse.

Il progetto “Venezia e Smirne insieme contro l’inquinamento da plastica” è realizzato grazie al supporto della Fondazione Blue Planet Virginia Böger. Maggiori informazioni sull’iniziativa globale sono disponibili su questo sito.

1 – Kane I.A. et al., 2020. Seafloor Microplastic Hotspots Controlled By Deep-Sea Circulation, Science, 2020, 1140-1145.

fonte: www.italiachecambia.org


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Intesa tra Assobioplastiche e Commissione Ecomafie

Al centro dell'accordo scambio di informazioni, supporto nello svolgimento di attività di accertamento di illeciti e collaborazione in iniziative formative.












L’Associazione italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili (Assobioplastiche) ha siglato un protocollo d'intesa tra la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie), che ha come oggetto tre filoni: scambio di informazioni, supporto nello svolgimento di attività di accertamento di illeciti, collaborazione in iniziative di formazione. Il documento è stato sottoscritto oggi dal Presidente della Commissione On. Stefano Vignaroli e dal Presidente di Assobioplastiche Marco Versari.


Tra gli obiettivi dell'intesa, la messa a punto di misure più efficaci volte alla prevenzione e al contrasto degli illeciti, nonché alla tutela dell’ambiente e dei consumatori, partendo dalla formazione del personale degli organi accertatori sui temi della produzione, distribuzione e utilizzazione delle bioplastiche.
Versari sottolinea, tra gli scopi del protocollo, il contrasto al fenomeno degli shopper illegali, definito "Un mondo parallelo di commercio di prodotti fuori legge, venduti in nero, talora in connessione con la malavita organizzata, con danni incalcolabili per l’ambiente, l’economia, l’erario e i cittadini, che continua ad avere dimensioni drammaticamente ingenti". "Contiamo molto sulla collaborazione con la Commissione Ecomafie - aggiunge il Presidente di Assobioplastiche - per ripristinare quella legalità indispensabile a tutelare l’ambiente naturale, gestire correttamente il ciclo dei rifiuti e assicurare le corrette condizioni di mercato ad una filiera industriale, leader in Europa, in grado di generare nuova occupazione e ingenti investimenti in innovazione".

"La Commissione sta svolgendo un’inchiesta per approfondire gli illeciti nel settore degli shopper e identificare le falle che ancora oggi non consentono di sconfiggere del tutto questo fenomeno - sottolinea il Presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli -. A questo scopo, la collaborazione è fondamentale. Per questo reputo particolarmente importante il protocollo d’intesa con Assobioplastiche, che è il risultato di un dialogo avviato da tempo con l’associazione e segue a quelli firmati a giugno scorso con il Comune e la Città metropolitana di Napoli".

Le Parti si sono impegnate anche "per un fruttuoso scambio informativo": a questo fine, Assobioplastiche metterà a disposizione della Commissione Ecomafie la propria banca dati, nel rispetto della normativa sulla privacy. Infine, una collaborazione sarà avviata anche nelle attività di accertamento di illeciti promosse dalla Commissione direttamente o nell’ambito di suoi protocolli di intesa con forze di polizia.


fonte: www.polimerica.it


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C’è ancora molto da lavorare sull’inclusione sociale dell’economia circolare

E per essere finanziati dalle risorse europee nell’ambito del Recovery fund, gli investimenti di settore dovranno rispettare i 6 target ambientali del Regolamento sulla tassonomia













Il workshop “Making the circular economy work for sustainability: from theory to practice”, organizzato congiuntamente da Cercis [1] e Seeds [2], per l’Università di Ferrara, e dall’Università degli Studi di Trieste ha riunito attorno allo stesso tavolo (virtuale) ricercatori e funzionari delle istituzioni europee, coinvolti in prima persona nelle prossime scelte politiche dell’Unione in campo ambientale e non solo. È stata un’occasione di approfondimento scientifico, da un lato, e di dialogo tra mondo della ricerca e mondo della politica economica, dall’altro, coordinato da due attori di primo piano della ricerca pubblica in fatto di economia circolare: Cercis è finanziato nell’ambito dell’iniziativa Miur “Dipartimenti di eccellenza”, mentre Seeds è ormai arrivato ad assommare al suo interno ben 8 Atenei (capitanati dall’Unife).

Chi ha mai avuto occasione di addentrarsi nei temi oggetto di questo workshop sa che il concetto di economia circolare non è poi così univoco e che le sue definizioni si contano a decine. Escludendo qui quelle di carattere normativo (che affermano, cioè, come l’economia circolare dovrebbe essere) e concentrandoci su quelle positive (che cos’è l’economia circolare?), merita riportare quella ricordata da uno degli ospiti dell’evento, Jesús Alquézar Sabadie (Commissione europea, Dg Ambiente), secondo cui l’economia circolare è quell’insieme di processi produttivi – in senso lato – che permettono di trattenere materia ed energia all’interno del sistema economico, procrastinandone quanto più possibile il loro ritorno all’ambiente.

Parallelamente alle questioni teoriche, il workshop si è concentrato sulla necessità di fare dell’economia circolare un progetto al servizio della sostenibilità. Ma come si spiega questa necessità? Il contributo dell’economia circolare alla sostenibilità non era forse scontato?

Una prima risposta a questa domanda poggia proprio sul concetto di sostenibilità. Semplificando molto, potremmo affermare che, ad oggi, questo termine indica la compresenza di tre aspetti: profittabilità economica, tutela ambientale e inclusione sociale. Mettere l’economia circolare al servizio della sostenibilità significa quindi renderla economicamente appetibile, rispettosa dell’ambiente e socialmente equa o, per lo meno, socialmente accettabile. Solo così è possibile trasformarla da teoria a pratica.

Come ha osservato un altro ospite del workshop, Stefan Speck (Agenzia europea per l’ambiente), il livello di circolarità non risulta in crescita, ma – forse solo per ragioni congiunturali – dal 2018 al 2019 è addirittura diminuito. Sembra lecito dedurre che agli attori economici (consumatori e imprese in primis) l’economia circolare non appaia ancora così appetibile. D’altro canto, un risultato già noto nella letteratura scientifica e riaffermato durante l’evento è che la dimensione sociale dell’economia circolare rimane ancora molto limitata. In altre parole, gli effetti dell’economia circolare sull’equità e sull’inclusione sociale sono ancora difficili da inquadrare. Come osservato da alcuni relatori, il rischio è che la sua introduzione si riveli una grande opportunità solo per alcuni ma non per tutti. Non a caso, una delle sessioni di lavoro era dedicata allo studio dell’accettabilità delle misure di economia circolare e, più in generale, di quelle di sostenibilità ambientale per i soggetti privati.

Mentre il dibattito accademico-scientifico sull’economia circolare continua, l’attuale pandemia di Covid-19 ha posto la politica economica di fronte alla necessità di prendere decisioni non solo importanti ma anche molto urgenti. Come noto, a livello di Unione europea, è stata ideata la Recovery and resilience facility, un piano da più di 650 miliardi di euro volto a finanziare riforme e investimenti negli stati membri.

Un intervento di queste dimensioni e di questa portata non poteva dispiegarsi ignorando la questione ambientale o rinunciando a cogliere l’occasione per indirizzare le nostre economie verso un percorso di sostenibilità ambientale e sociale. Come illustrato da uno degli ospiti del workshop, Florian Flachenecker (Commissione europea, Recovery and resilience task force), il 37% delle risorse impiegate dovrà essere dedicato a misure (investimenti o riforme) che contribuiscano ai due obiettivi della mitigazione dei cambiamenti climatici e dell’adattamento ai medesimi. Inoltre, per essere finanziata, una misura dovrà sottostare al principio del “do not significant harm” (in un acronimo che diventerà presto familiare: Dnhs). Più specificamente, non dovrà essere in conflitto con alcuno dei sei obiettivi ambientali del Regolamento sulla tassonomia (Reg. UE 2020/852), ovvero: mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento ai cambiamenti climatici, uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine, transizione verso un’economia circolare, prevenzione e riduzione dell’inquinamento e protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

In questo modo, la politica economica offre una soluzione immediatamente operativa al rapporto tra economia circolare e sostenibilità ambientale. Per essere finanziati, i progetti di economia circolare dovranno garantire il rispetto degli obiettivi ambientali prefissati.

[1] Il CERCIS (CEntre for Research on Circular economy, Innovation and SMEs) è il Centro per la ricerca sull’economia circolare, l’innovazione e le PMI (http://eco.unife.it/it/ricerca-imprese-territorio/centri-di-ricerca/cercis) dell’Università degli Studi di Ferrara.

[2] Il SEEDS (Sustainability, environmentaleconomics and dynamicsstudies) è un centro di ricerca interuniversitario (www.sustainability-seeds.org).

fonte: www.greenreport.it


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Lettera aperta alle istituzioni su grandi opere e valutazione di impatto ambientale

La denuncia. La tutela di salute, clima, biodiversità e paesaggio passi per valutazioni ambientali di piani e progetti svolte con rigore, trasparenza e partecipazione: ecco le nostre proposte. Da Friday For Future al Forum dell'Acqua, da Italia Nostra a centinaia di comitati locali



Un ampio fronte di 200 organizzazioni nazionali e locali ha inviato una lettera aperta al Presidente Draghi, ai ministri della Transizione Ambientale e della Cultura, alla Commissione Europea e ai parlamentari di ogni schieramento per chiedere una rigorosa applicazione delle normative comunitarie sulle procedure di valutazione ambientale relative a piani e grandi progetti. Queste dovrebbero essere realmente connotate da trasparenza e partecipazione del pubblico nelle scelte come richiesto dall’Unione Europea e al contrario di quanto avviene in Italia.

Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.), Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) e Valutazione di Incidenza Ambientale (V.Inc.A.): si tratta di procedure ancora poco note al grande pubblico che invece dovrebbero essere centrali nella vita del paese visto che riguardano impianti energetici, raffinerie, gasdotti, porti, autostrade ecc..
Associazioni, comitati, reti di cittadini, da quelle nazionali come Friday For Future, Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, Italia Nostra e tante altre, alle reti “Per il Clima Fuori dal Fossile” e “Mamme da Nord a Sud” fino a una miriade di associazioni e comitati locali da tutte le regioni da anni impegnati sul territorio e che hanno esperienza diretta delle imbarazzanti procedure di VIA condotte dal Ministero dell’Ambiente, si sono ritrovate in questo appello che reclama garanzie per la tutela di diritti primari, da quello alla salute a quello della tutela del paesaggio, della biodiversità e del clima.

In Italia le grandi imprese, invece di affrontare la sfida di vedersi valutare pubblicamente i propri progetti come prevedono le leggi internazionali, vivono queste procedure come fastidiosi orpelli. È lì, invece, che si dovrebbe vagliare la qualità della progettualità di un paese. Continuano quindi a chiedere di stravolgere le regole in una continua gara ad abbassare l’asticella delle tutele, peraltro conducendo il paese a continui fallimenti. Basti pensare che le norme sulla V.I.A. sono cambiate nel 2017 con il D.lgs.104/2007 per introdurre la solita e vacua “semplificazione”.

La situazione è…peggiorata! Invece di trarre le dovute conseguenze nel 2020 si è pensato a introdurre altre modifiche nel DL “Semplificazioni”, immediatamente da noi denunciate. Dopo pochi mesi proprio chi ha pensato di beneficiare di tali leggi ora grida al loro fallimento!

Recentemente il Presidente della Commissione VIA nazionale, il Dr. Atelli, ha ammesso candidamente e autorevolmente che l’ingorgo di 600 progetti attualmente in valutazione presso il Ministero dell’Ambiente – molti da diversi anni – è dovuto al fatto che anche i progetti fatti male, superficiali o incompleti, sono incredibilmente e irritualmente ammessi alla procedura invece di essere respinti subito.

Così perdono tempo tutti, dai cittadini interessati agli enti locali impegnati in estenuanti lungaggini. Un vero e proprio “accanimento” per usare le parole del presidente Atelli che spesso finisce con l’approvazione di progetti rattoppati a furia di integrazioni con i cittadini che presentano preziose osservazioni usati nei fatti come meri “correttori di bozze” svilendo così il rapporto con le comunità.

Il 90% dei progetti alla fine ha comunque l’OK: viene da chiedersi come mai se hanno tali e tante criticità ammesse dagli stessi valutatori. Escono quindi pareri con decine o centinaia di prescrizioni che, secondo la Commissione Europea, sono un segnale di scarsa qualità di progetti che non avrebbero dovuto avere alcun seguito venendo respinti al mittente.

Addirittura da tempo associazioni e ricercatori segnalano inutilmente al Ministero casi spudorati di copia-incolla, strafalcioni, errori. Addirittura studi di impatto ambientale fatti attraverso foto e senza recarsi sul posto nonostante i progetti spesso valgano centinaia di milioni di euro. Per non parlare, poi, delle verifiche dell’ottemperanza di tali prescrizioni sui cantieri, che, quando va bene, vengono fatte da funzionari seduti a Roma sulle carte inviate dai proponenti.

È ovvia la reazione dei cittadini che si vedono arrivare progetti che mettono a rischio la qualità della vita. Il paradosso di questa corsa al ribasso è che a farne le spese sono alla fine i progetti meritevoli di attenzione che rimangono invischiati nelle lentissime e farraginose procedure ministeriali. Insomma, ci si chiede perché mai un’azienda dovrebbe puntare su una progettazione di qualità in queste condizioni.

Nella lettera aperta si avanzano numerose proposte, alcune delle quali già operative da anni in alcune regioni che paradossalmente sono più celeri nelle valutazioni della burocrazia ministeriale, a riprova che trasparenza e partecipazione e un dibattito maturo sono caratteristiche di un paese più civile e che le scorciatoie delle cosiddette semplificazioni falliscono clamorosamente quando hanno l’obiettivo di favorire i soliti noti che vedono nel solo profitto il loro orizzonte occultando le problematiche oggettive nascoste in troppi progetti.

Ad esempio, è letteralmente scandaloso che un punto cardine delle norme europee, la cosiddetta “inchiesta pubblica” sui progetti più controversi, prevista dal Testo Unico dell’Ambiente fin dal 2006, non sia mai stata attuata dal Ministero dell’Ambiente al contrario di diverse regioni che l’hanno avviata sugli interventi di loro competenza. Evidentemente, vista la qualità dei progetti, dobbiamo pensare che nelle stanze ministeriali si ritenga opportuno evitare qualsiasi dibattito pubblico.

Le proposte delle associazioni vanno dalla pubblicizzazione degli ordini del giorno della Commissione V.I.A. nazionale alla possibilità di fare audizioni, cosa prevista in alcune regioni (purtroppo ancora poche) e che garantisce in tempi certi un sereno confronto tra le parti, con i media che potrebbero approfondire ad horas i pro e i contro dei progetti in questione.

Tutto a costo zero, tra l’altro. Necessario, poi, un controllo reale sul campo sui cantieri, che sia trasparente e partecipato. Indispensabile rivedere i pareri di opere approvate dieci anni fa che per un incredibile gioco di leggi e leggine hanno provvedimenti V.I.A. “highlander”, senza scadenza, in palese contrasto con i principi comunitari visto che oggi le condizioni ambientali e sociali e le conoscenze scientifiche sono radicalmente cambiate.

Nel DL “Semplificazioni”, paradossalmente, invece di rafforzare le strutture esistenti e aprirle alla trasparenza, hanno pensato bene di introdurre una seconda commissione, per i progetti del Piano Clima Energia. Altra complicazione più che semplificazione, come ammesso oggi dal Presidente della Commissione V.I.A.. Noi l’avevamo detto; ai problemi complessi come quelli propri di una procedura come la V.I.A. se si risponde pensando di dare risposte di questo tipo alla fine il sistema va in tilt come puntualmente avvenuto.

Le associazioni come sempre sono aperte al confronto sulle regole: in un momento storico così delicato la partecipazione dei cittadini nelle scelte e la trasparenza sono fondamentali. Noi ci siamo.

fonte: https://ilmanifesto.it


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RaeeGeneration: la nuova generazione per la tutela dell’ambiente









Cinque giovani influencer sono i protagonisti della nuova campagna di comunicazione promossa dal Centro di Coordinamento RAEE, di cui Erion è parte attiva, per la corretta raccolta dei RAEE.

Il film di lancio racconta della nascita di una nuova generazione, la RAEE Generation, sensibile e attenta alle tematiche ambientali e di sostenibilità, informata sulle buone pratiche di conferimento dei Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche.

L’invito agli spettatori è quello di unirsi a Thomas Asueni, Ivano Chinali, Cesca Tamburini, Charlie Moon e SayRevee, i cinque TikToker che rappresentano questa neonata generazione, per promuovere la tutela dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile.

La comunicazione multi-canale, che spazia dalle emittenti radiofoniche alla tv fino ai social network, ha come obiettivo quello di coinvolgere un target sempre più ampio, che includa anche i giovanissimi e gli operatori, per aumentare la consapevolezza sull’importanza di conferire correttamente i rifiuti elettronici e incrementare i loro volumi di raccolta.

Fabrizio Longoni, direttore generale del Centro di Coordinamento RAEE ha commentato: “abbiamo scelto di realizzare una campagna per la corretta gestione dei RAEE che prevede un impegno rinnovato da parte dei produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche per l’educazione ambientale. Sui temi dell’educazione ambientale e dei comportamenti corretti, non dobbiamo fermarci a barriere generazionali. Bisogna parlare soprattutto ai più giovani dato che sono grandi consumatori di prodotti elettronici e che saranno i protagonisti del mondo di domani. E a loro dobbiamo ricordare che i comportamenti di oggi saranno quelli che determineranno la situazione futura”.


fonte: erion.it


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Dissesto idrogeologico: in arrivo 15 miliardi di euro dal PNRR

Nuovi fondi dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza contro il dissesto idrogeologico a tutela del territorio e delle risorse idriche



Circa 15 miliardi di euro in arrivo per la lotta al dissesto idrogeologico. Il provvedimento è reso possibile dalle novità che verranno introdotte con l’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In particolare, nella bozza che dovrà essere discussa dal Parlamento vengono aggiunti 3,97 miliardi di euro ai 10,85 già presenti e ai 200 milioni previsti dal React EU.

Sono diverse le misure ipotizzate all’interno del PNRR per la tutela del territorio italiano. Inclusi anche degli interventi per la forestazione, sia in territorio urbano che boschivo, e per la messa in sicurezza degli invasi.

Lotta al dissesto idrogeologico, le nuove misure

Circa 250 milioni di euro delle nuove risorse verranno destinati a interventi strutturali per la lotta al dissesto idrogeologico e di manutenzione attiva del territorio. Si tratterà di operazioni di prevenzione, riqualificazione e monitoraggio, da attuare dietro valutazione del livello di rischio associato all’area. La selezione degli interventi avverrà anche in relazione al numero di persone potenzialmente coinvolte in caso di disastri ambientali.

Buona parte di quanto stanziato in questa tornata (2,92 miliardi di euro) verrà destinato alla gestione sostenibile delle risorse idriche e alla manutenzione degli invasi. Circa 100 gli interventi previsti, perlopiù al Sud, tra i quali figurano anche quelli su dighe e invasi, infrastrutture idriche di derivazione, riduzione delle perdite nei sistemi di adduzione e il potenziamento/completamento delle condotte di adduzione primaria.

Infine gli interventi di forestazione. Destinati a questo scopo circa 300 milioni di euro, che serviranno a potenziare le aree verdi urbane allo scopo di contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. Verranno affiancati a tali progetti anche quelli di tutela del patrimonio boschivo.

Fonte: Edil Portale


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Oceanthon, il primo hakathon dedicato alla salvaguardia del mare

Dal 9 all’11 ottobre, team di studenti, ricercatori ed esperti si riuniranno online per trovare le idee più innovative per tutelare gli oceani.





Se siete studenti, ricercatori, sviluppatori, esperti di comunicazione, economia, marketing o design e avete a cuore le sorti dei mari del Pianeta, Oceanthon è l’evento che fa per voi. Si tratta di un hackathon, cioè un evento dedicato ad eseperti del mondo digitale, che si svolgerà completamente online dal 9 all’11 ottobre 2020. Obiettivo: raggruppare i talenti migliori per trovare le soluzioni più innovative per la difesa degli oceani e promuovere il ruolo dei mari nella creazione di un futuro più sano, resiliente, produttivo e sostenibile.

L’evento si inserisce tra quelli organizzati per Il decennio delle scienze del mare per lo sviluppo sostenibile (2021-2030), iniziativa delle Nazioni Unite nata dall’impegno della Commissione oceanografica intergovernativa dell’Unesco per favorire la cooperazione internazionale nel campo delle scienze del mare, coordinare programmi di ricerca e migliorare la gestione delle sue risorse. Insieme alla Commissione, organizza l’Oceanthon anche la Fondazione Cmcc – Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici con il supporto di Hack for Italy.

Oceanthon, come funziona

Durante l’evento, i giovani talenti saranno raggruppati in team e messi alla prova: ogni gruppo dovrà usare tecnologie innovative come l’intelligenza artificiale o la realtà aumentata e virtuale per sviluppare idee innovative a difesa degli oceani. Per dimostrare che la scienza è al servizio della società, ogni progetto dovrà avere una forte componente di comunicazione, coinvolgimento degli stakeholder e cambiamento dei comportamenti.

Le idee più interessanti confluiranno in un database a cui potranno accedere aziende e persone interessate a finanziare i progetti; il team che avrà proposto l’idea giudicata migliore da un gruppo di esperti, riceverà un premio per realizzare la propria proposta. La premiazione del team vincente avverrà il 22 ottobre 2020, in diretta streaming dal Teatro No’hma di Milano, in occasione di “Generazione Oceano”, un evento che mira a formare una generazione consapevole dell’importanza del mare per la salute e per il nostro futuro.


fonte: www.lifegate.it

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