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Will Meets e RePoPP contro lo spreco alimentare: salvati 242 kg di cibo

Alessandro Tommasi: "Sono molto contento di avere incontrato una realtà come RePoPP, che non solo ha una valenza in termini di sostenibilità ed economia circolare, ma anche in ambito sociale, dato che mira all’integrazione di migranti all’interno della società"



Conclusa la tappa locale del tour di Will, community online che conta oltre 1 milione di followers su Instagram e Facebook e fenomeno social ed editoriale nato nel 2020, impegnato in queste settimane nell’iniziativa Will Meets, in collaborazione con il Parlamento europeo in Italia.

Nella mattina di mercoledì 28 luglio il team di Will e alcuni volontari della community hanno partecipato a un’attività di contrasto allo spreco alimentare insieme ai collaboratori del progetto RePoPP dell’associazione Eco dalle città. In tutto sono stati 242 i chili di cibo invenduto raccolti nei mercati di Porta Palazzo, corso Palestro e piazza Foroni: la frutta e la verdura ancora commestibili, ma che sarebbero finite nella spazzatura, sono state recuperate e ridistribuite gratuitamente. Una parte dell’invenduto, inoltre, viene cucinata nella Bottega Circolare di RePoPP nel Mercato Centrale di Torino. Il progetto RePoPP, nato nel 2016, è presente anche in altri mercati cittadini (Borgo Vittoria, piazza Cincinnato, via Porpora, quartiere Campidoglio, corso Svizzera, Santa Rita e via Vigliani) e ha l’obiettivo di contrastare lo spreco alimentare e anche di migliorare le performance di raccolta differenziata e gestione rifiuti del mercato di Porta Palazzo. RePoPP è anche un’opportunità di integrazione, dato che alcuni operatori retribuiti sono accolti nel Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati.



«Il lavoro di Eco dalle città e del progetto RePoPP nei mercati, e non solo nei mercati, è sia sociale sia di educazione ambientale – ha commentato Paolo Hutter, presidente di Eco dalle città – Per noi il fatto di essere appoggiati e osservati è molto importante. Avere consenso significa la possibilità di avere un aiuto in termini di ore di volontariato, ma è anche una pressione verso enti locali e aziende che hanno a che fare con i rifiuti, il commercio e gli imballaggi a supportare questa attività».

Nel tardo pomeriggio, nel cortile della Scuola Holden, il team di Will ha invece incontrato la community locale per un momento di ascolto e confronto sui temi che più stanno a cuore a chi vive in città. Sono stati circa quaranta i partecipanti all’iniziativa, soprattutto giovani, che hanno toccato temi cruciali come Europa, inclusione, mondo del lavoro e della comunicazione, parità di genere e salute mentale.

«Il tour Will Meets sta volgendo al termine, ma continua a regalarci incontri e confronti stimolanti: così è stato anche nella tappa torinese – ha dichiarato Alessandro Tommasi, fondatore e CEO di Will – Sono molto contento di avere incontrato una realtà come RePoPP, che non solo ha una valenza in termini di sostenibilità ed economia circolare, ma anche in ambito sociale, dato che mira all’integrazione di migranti all’interno della società. Quello dell’inclusione è stato anche uno dei temi più discussi nel community meeting, insieme a un vero senso di unione tra gli europei e all’innovazione nel mondo del lavoro»


Il progetto Will Meets si svolge in collaborazione con il Parlamento europeo in Italia, impegnato a sua volta a stimolare la partecipazione all’iniziativa della Conferenza sul futuro dell’Europa, piattaforma lanciata dall’Unione Europea per consultare i cittadini e consentire loro di condividere le proposte per il futuro dell’UE.

Maurizio Molinari, responsabile media del Parlamento europeo in Italia, ha commentato: «Sostenibilità e diritti sono aspetti fondamentali dell’azione del Parlamento europeo. La collaborazione con Will è importante perché con un vero e proprio giro d’Italia raccontiamo i valori dell’UE e diciamo ai giovani che possono decidere il suo futuro. Invitiamo i partecipanti e i cittadini a contribuire con idee e iniziative sulla piattaforma perché l’Europa delle prossime generazioni la costruiamo solo insieme».

Il viaggio, che ha già fatto tappa in diverse regioni d’Italia, dalla Sicilia al Veneto, proseguirà ora a Genova e si concluderà a Milano il 2 agosto. Tutte le tappe verranno raccontate live sui canali social di Will.

fonte: www.ecodallecitta.it

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C’è ancora molto da lavorare sull’inclusione sociale dell’economia circolare

E per essere finanziati dalle risorse europee nell’ambito del Recovery fund, gli investimenti di settore dovranno rispettare i 6 target ambientali del Regolamento sulla tassonomia













Il workshop “Making the circular economy work for sustainability: from theory to practice”, organizzato congiuntamente da Cercis [1] e Seeds [2], per l’Università di Ferrara, e dall’Università degli Studi di Trieste ha riunito attorno allo stesso tavolo (virtuale) ricercatori e funzionari delle istituzioni europee, coinvolti in prima persona nelle prossime scelte politiche dell’Unione in campo ambientale e non solo. È stata un’occasione di approfondimento scientifico, da un lato, e di dialogo tra mondo della ricerca e mondo della politica economica, dall’altro, coordinato da due attori di primo piano della ricerca pubblica in fatto di economia circolare: Cercis è finanziato nell’ambito dell’iniziativa Miur “Dipartimenti di eccellenza”, mentre Seeds è ormai arrivato ad assommare al suo interno ben 8 Atenei (capitanati dall’Unife).

Chi ha mai avuto occasione di addentrarsi nei temi oggetto di questo workshop sa che il concetto di economia circolare non è poi così univoco e che le sue definizioni si contano a decine. Escludendo qui quelle di carattere normativo (che affermano, cioè, come l’economia circolare dovrebbe essere) e concentrandoci su quelle positive (che cos’è l’economia circolare?), merita riportare quella ricordata da uno degli ospiti dell’evento, Jesús Alquézar Sabadie (Commissione europea, Dg Ambiente), secondo cui l’economia circolare è quell’insieme di processi produttivi – in senso lato – che permettono di trattenere materia ed energia all’interno del sistema economico, procrastinandone quanto più possibile il loro ritorno all’ambiente.

Parallelamente alle questioni teoriche, il workshop si è concentrato sulla necessità di fare dell’economia circolare un progetto al servizio della sostenibilità. Ma come si spiega questa necessità? Il contributo dell’economia circolare alla sostenibilità non era forse scontato?

Una prima risposta a questa domanda poggia proprio sul concetto di sostenibilità. Semplificando molto, potremmo affermare che, ad oggi, questo termine indica la compresenza di tre aspetti: profittabilità economica, tutela ambientale e inclusione sociale. Mettere l’economia circolare al servizio della sostenibilità significa quindi renderla economicamente appetibile, rispettosa dell’ambiente e socialmente equa o, per lo meno, socialmente accettabile. Solo così è possibile trasformarla da teoria a pratica.

Come ha osservato un altro ospite del workshop, Stefan Speck (Agenzia europea per l’ambiente), il livello di circolarità non risulta in crescita, ma – forse solo per ragioni congiunturali – dal 2018 al 2019 è addirittura diminuito. Sembra lecito dedurre che agli attori economici (consumatori e imprese in primis) l’economia circolare non appaia ancora così appetibile. D’altro canto, un risultato già noto nella letteratura scientifica e riaffermato durante l’evento è che la dimensione sociale dell’economia circolare rimane ancora molto limitata. In altre parole, gli effetti dell’economia circolare sull’equità e sull’inclusione sociale sono ancora difficili da inquadrare. Come osservato da alcuni relatori, il rischio è che la sua introduzione si riveli una grande opportunità solo per alcuni ma non per tutti. Non a caso, una delle sessioni di lavoro era dedicata allo studio dell’accettabilità delle misure di economia circolare e, più in generale, di quelle di sostenibilità ambientale per i soggetti privati.

Mentre il dibattito accademico-scientifico sull’economia circolare continua, l’attuale pandemia di Covid-19 ha posto la politica economica di fronte alla necessità di prendere decisioni non solo importanti ma anche molto urgenti. Come noto, a livello di Unione europea, è stata ideata la Recovery and resilience facility, un piano da più di 650 miliardi di euro volto a finanziare riforme e investimenti negli stati membri.

Un intervento di queste dimensioni e di questa portata non poteva dispiegarsi ignorando la questione ambientale o rinunciando a cogliere l’occasione per indirizzare le nostre economie verso un percorso di sostenibilità ambientale e sociale. Come illustrato da uno degli ospiti del workshop, Florian Flachenecker (Commissione europea, Recovery and resilience task force), il 37% delle risorse impiegate dovrà essere dedicato a misure (investimenti o riforme) che contribuiscano ai due obiettivi della mitigazione dei cambiamenti climatici e dell’adattamento ai medesimi. Inoltre, per essere finanziata, una misura dovrà sottostare al principio del “do not significant harm” (in un acronimo che diventerà presto familiare: Dnhs). Più specificamente, non dovrà essere in conflitto con alcuno dei sei obiettivi ambientali del Regolamento sulla tassonomia (Reg. UE 2020/852), ovvero: mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento ai cambiamenti climatici, uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine, transizione verso un’economia circolare, prevenzione e riduzione dell’inquinamento e protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

In questo modo, la politica economica offre una soluzione immediatamente operativa al rapporto tra economia circolare e sostenibilità ambientale. Per essere finanziati, i progetti di economia circolare dovranno garantire il rispetto degli obiettivi ambientali prefissati.

[1] Il CERCIS (CEntre for Research on Circular economy, Innovation and SMEs) è il Centro per la ricerca sull’economia circolare, l’innovazione e le PMI (http://eco.unife.it/it/ricerca-imprese-territorio/centri-di-ricerca/cercis) dell’Università degli Studi di Ferrara.

[2] Il SEEDS (Sustainability, environmentaleconomics and dynamicsstudies) è un centro di ricerca interuniversitario (www.sustainability-seeds.org).

fonte: www.greenreport.it


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Il lavoro per un’ecologia integrale

Nell’immediato futuro sarà centrale attribuire ai lavoratori un ruolo attivo, insieme al movimento femminista, agli studenti e alle associazioni, nella conversione ecologica e sociale











Nel drammatico passaggio d’era in corso è determinante recuperare il lavoro ad una funzione autonoma che, anziché piegarsi alle ancor più irragionevoli pretese del mercato, abbia come obbiettivo di fondo una riconciliazione con la natura.

Nonostante la disattenzione dei media e degli attori politici, le attese verso questo soggetto rimangono vive anche al tempo della sua sconfitta. Una parte sempre più apprezzata e indipendente del mondo scientifico e culturale, oltre all’associazionismo più responsabile, i movimenti laici che praticano forme diffuse di solidarietà e cura, i gruppi eco-femministi e molte comunità, liberate ormai da un antropocentrismo di ispirazione religiosa, intrecciano i loro percorsi con il senso del lavoro.

Questi molteplici “fili d’erba” stanno convergendo su un’idea del vivente e della natura del tutto nuova e stanno intessendo profonde alleanze nel definire il quadro su cui concentrare aspettative che superino l’ambito politico tradizionale e che, nel tempo che viene a mancare e dopo la pandemia, si rivolgano direttamente alla reale “utilità” del tempo di lavoro, purtroppo alienato, scomposto e posto in contrasto con la salute della biosfera all’interno dell’attuale modo di produzione e consumo.

Le tante esperienze, per ora sparse, tendono a convergere, reclamando un rinnovato protagonismo del soggetto che ha fornito la “cifra” alla nostra Costituzione: questa volta su un terreno che ha nella cura e nell’ecologia integrale motori creativi, aggregativi e potenti.

Mentre durante il “lockdown” i dibattiti televisivi ripresentavano sempre gli stessi volti, migliaia di incontri in rete hanno collegato visi e luoghi fisici lontani ed hanno creato un’esperienza del “tempo proprio” a cui non sarà facile rinunciare. A questo larghissimo campo d’azione è venuto a mancare il contatto col lavoro organizzato, in parte perché indisponibile, in parte perché tutt’ora schiacciato assai più su un presente scandito dai suoi avversari, che sulla determinazione e la presa in carico del proprio futuro.

I movimenti che stanno attraversando le donne e gli studenti di tutto il globo, devono ritenere indispensabile che un terzo grande movimento, per ora inaspettatamente afasico, venga coinvolto in un momento tanto drammatico, singolare e irripetibile, in cui ci è offerta la possibilità di ripensare il nostro rapporto non solo all’interno della società umana ma nell’interconnessione con tutto quanto vive e può darci o farci perdere il diritto alla salute e la vita stessa.

A ben pensarci, la qualità delle nostre conoscenze, le modalità di accesso all’informazione e la percezione del ruolo della comunità scientifica si sono modificate non poco durante questo inizio 2020, con esiti che verificheremo nel tempo.

Sarebbe una sciagura se permanesse il silenzio di una parte così decisiva della società e, di conseguenza, non si verificasse un risveglio e un protagonismo proprio dove la riconversione ecologica potrebbe conflittualmente materializzarsi.



COMUNITA’ SCIENTIFICA, CURA DEL PIANETA, FUTURO DEL LAVORO

Prima di partire dalle condizioni materiali delle lavoratrici e dei lavoratori, mi preme evidenziare come la comunità scientifica, ormai da oltre sessant’anni, offre un’interpretazione drammatica dell’incompatibilità tra l’assetto politico-economico-sociale – di cui la condizione del lavoro è parte essenziale – e le residue possibilità di resilienza del pianeta in cui viviamo.

Il quadro da essa fornito con rigore rivela come la maggior parte dei conflitti locali coincidano con la ribellione di soggetti deboli, maggiormente esposti a danni, soprusi, emarginazioni e violazioni: tra essi le lavoratrici ed i lavoratori occupano sempre posizioni di rilievo. In un certo senso la scienza accredita un legame tra eventi naturali disastrosi, peggioramento delle condizioni di vita, abbandono di territori, ingiustizia sociale.

Purtroppo, si è diffuso un difetto di consapevolezza in merito alla natura e ai poteri della conoscenza scientifica, in particolare per quanto riguarda il rapporto tra uomo e natura.

Difetto che viene ulteriormente aggravato dal tentativo di sovrapporre ad essa calcoli di convenienza politica e sociale, sfruttandone i margini di connaturata incertezza e nella inconfessata convinzione che la specie umana sopravviverà, solo a patto che non ci sia posto per tutti sul pianeta.

Pur a fronte di prove scientifiche che irrompono nel contesto sociale e che ammoniscono per gli effetti letali sull’intero vivente della sovrapproduzione e degli sprechi spinti dalla massimizzazione del profitto, una minoranza sempre più feroce scarica sugli emarginati gli effetti delle crisi di ogni ordine.

Non si tratta qui di una accettabile diffidenza per soluzioni univocamente accampate, ma dell’oscuramento di prove schiaccianti del degrado in corso, mentre si esibisce lo scudo riparatore di tecnologie serbate solo per i propri “sudditi” (Vale per tutti la ricerca per un vaccino proprietario contro il Covid-19).

La sopravvivenza si è, evidentemente, fatta questione di classe a livello globale, ma la sinistra non se ne è fatta ancora pienamente una ragione, anche se condivide che per ragioni antropiche si prospetta una brusca e irreversibile rottura dell’equilibrio per cui la vita si è mantenuta per milioni di anni sulla Terra.

Tornando al lavoro, l’eccesso della sua capacità trasformativa delle risorse naturali va a profitto di pochi, mentre, al contrario, il modello di relazioni, produzioni e consumi che coinvolge miliardi di persone non è a sufficienza destinato a “curare” il pianeta né ad estendere un apparato di diritti civili e sociali universali. In questa constatazione c’è già l’essenza di un programma politico alternativo.

NON BASTA BLOCCARE PER LEGGE I LICENZIAMENTI

Considero un errore aver lasciato ai media il compito di disegnare il conflitto post-pandemia prevalentemente all’interno dei rapporti tra un capitale affamato di aiuti pubblici ed un lavoro vittima designata – seppure compatita – di espulsioni da settori statici, capaci di mille vite grazie alla loro reiterata propensione a competere sui costi.

Ad oggi, nel dibattito aperto permane un errore di prospettiva: anziché una discussione su come deve cambiare il mercato del lavoro, sulle politiche passive e su quelle attive, su come si stanno riorganizzando e riconvertendo le imprese e su come il sindacato può integrare il capitale umano in questi processi e su come la contrattazione collettiva può sostenere e condizionare questo cambiamento, quel che appare – comprensibilmente pregiudiziale, ma non per questo esaustivo – è il rinvio dei conti a fine anno.

Credo che non basterà rimanere in una spasmodica attesa di un rapido “rimbalzo” e di una ripresa “come prima”, senza che, nel tempo guadagnato, il cambio di paradigma abbia avuto una conferma negli indirizzi di politica industriale contrattati, finanziati e tradotti in legge e, se non addirittura, nella definizione di progetti di prefattibilità che i governi predispongono e discutono per aree o settori interi, che attengono alla transizione ecologica, alla digitalizzazione, alla sanità pubblica.

In definitiva: dopo e oltre il blocco dei licenziamenti, come deve il lavoro, in quanto soggetto autonomo, organizzarsi, attrezzarsi, creare alleanze e consenso, farsi rappresentare politicamente, per sovvertire le aspettative più pessimistiche e ribaltare interessi esiziali che lo riguardano?



CAPITALISMO, CRISI AMBIENTALE E CRISI DEL LAVORO

Siamo di fronte all’attraversamento di due crisi che sono le facce di una stessa medaglia: la crisi del capitalismo e la crisi ambientale, unite in un indistricabile groviglio, provocato da effetti concomitanti.

Effetti provocati da forze e meccanismi che sono frutto della struttura stessa della nostra vita e del nostro consumo, del modo in cui produciamo e lavoriamo, degli squilibri ambientali prodotti, delle ingiuste distribuzioni della ricchezza accumulata, della logica distorta di uno sviluppo che è arrivato a modificare le linee evolutive della vita con cui il pianeta interviene sui codici genetici dei vivi.

Su tale groviglio ha davvero molto da apprendere, ma anche da proporre autonomamente e lottare il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori.

La sua percezione delle problematiche che riguardano la natura non gli è infatti pervenuta solo attraverso un’informazione ed una conoscenza spesso non adeguate, ma attraverso anche la constatazione diretta che la riduzione dei costi nelle imprese avveniva non solo agendo sui salari ed i diritti, ma anche al prezzo del disboscamento del bacino amazzonico, l’uso eccessivo di idrocarburi, lo sfruttamento della manodopera a basso costo, l’impiego di lavoro minorile dalle tessiture alle miniere.

Così, nella testa di operai, contadini e operatori dei servizi, lavoro e ambiente hanno cominciato a dissociarsi, autonomizzarsi dall’impresa, fino a cominciare a ipotizzare un nuovo modo di organizzare la soddisfazione dei bisogni non esclusivamente umani, per rendere questo requisito compatibile con i cicli della vita sulla Terra e la giustizia sociale.

Nel frattempo, i grandi della Terra e i loro consiglieri cercano di convincere che il tempo proprio, riscoperto, pur a fatica, durante la fermata del Covid-19, come una risorsa “rubata”, rimarrà un lusso per privilegiati, in quanto la cifra del capitalismo globalizzato risiederà sempre nella totale saturazione e alienazione del tempo di lavoro e di consumo.

Si tornerà ad abbandonare per strada sia i diritti sociali sia quelli della natura, all’inseguimento del PIL. Senza tener in conto che tra quest’ultimo e il clima c’è lo stesso rapporto che esiste tra predatore e preda e che, senza l’obbiettivo di una piena occupazione ad orario ridotto, finalizzata alla cura dell’intero vivente, la crisi non allontanerà certo nel tempo le tre grandi emergenze di questo secolo; quella climatica, quella dell’innesco di una guerra nucleare, quella di una crescente ingiustizia sociale.

fonte: www.comune-info.net

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Nei mercati rionali niente più sprechi alimentari con l’aiuto degli “Ecomori”

Creare comunità e integrazione a partire dal cibo: nel mercato più grande e multietnico di Torino il progetto virtuoso RePoPP - Progetto organico Porta Palazzo distribuisce frutta e verdura invendute coinvolgendo rifugiati e richiedenti asilo che recuperano ogni giorno oltre 300 kg di alimenti che altrimenti verrebbero buttati via.




Porta Palazzo è il mercato più grande di Torino. È parte identitaria della città e chi lo vive e lo frequenta non può non rimanere affascinato dai suoi colori e dalla vivacità che lo rendono unico nel suo genere. Nel via vai che lo caratterizza, tra ambulanti, residenti, commercianti e passanti di ogni età e provenienza, c’è un gruppo di volontari che con impegno contribuisce a contrastare lo spreco alimentare in città, impiegando il proprio tempo nel recupero delle eccedenze alimentari presso i banchi del mercato.

È difficile non imbattersi nel loro banchetto, davanti al quale sono sempre numerose le persone che sostano per ricevere la propria cassetta contenente frutta e verdura di ogni tipo: mele, pere, banane, insalata, melanzane o pomodori.

Insomma, la scelta non manca e tutto questo grazie al progetto RePoPP – Progetto organico Porta Palazzo, che nasce dalla collaborazione tra Comune di Torino, Amiat Gruppo Iren, Novamont ed Eco dalle Città che, dal 2016, ha avviato un efficiente sistema di raccolta dei prodotti ortofrutticoli invenduti insieme ad attività di sensibilizzazione ed educazione alla raccolta differenziata dell’organico, di recupero e ridistribuzione delle eccedenze alimentari.

Tutto questo è possibile grazie a un gruppo di ragazzi migranti richiedenti asilo, conosciuti a Torino (ma attivi anche a Milano e Roma) come gli “Ecomori” che, in sinergia con le “Sentinelle dei Rifiuti” recuperano e ridistribuiscono i prodotti che non saranno adatti alla vendita del giorno successivo poiché parzialmente deteriorati ma che si trovano ancora in buono stato, contribuendo ad ottimizzare gli sprechi. Lo fanno tutti i giorni, dal lunedì al sabato, raccogliendo alimenti sani e genuini tra gli oltre duecento banchi del settore ortofrutticolo, per redistribuirli alle persone bisognose e a tutti coloro che ne hanno necessità.

Raccolta differenziata, contrasto allo spreco di cibo e integrazione: sono questi i pilastri del progetto che, al primo semestre del 2020, dopo tre anni di sperimentazione, ha raggiunto il 77% di raccolta differenziata e una media giornaliera che ha sfiorato i 300 kg di frutta e verdura recuperata e distribuita tutti i giorni a più di 40 nuclei familiari.



Ora, grazie all’ampio successo ottenuto, il progetto si è aperto a quattro nuovi mercati cittadini quali il mercato di Via Porpora, di Corso Cincinnato, di Borgo Vittoria e di Piazza Foroni, con l’obiettivo di dare un contributo immediato all’emergenza alimentare, ridurre la produzione dei rifiuti mercatali e contestualmente migliorare la raccolta differenziata.

Ma RePoPP non è solo un’iniziativa di economia circolare, è anche un progetto pensato per rigenerare il tessuto sociale attraverso l’integrazione di ragazzi richiedenti asilo. Così è stato creato un rapporto diretto con gli operatori del mercato e una rete solidale con le persone destinatarie delle eccedenze alimentari. Nel 2019 sono stati coinvolti nel progetto 43 richiedenti asilo e 2 in attesa di permesso di soggiorno e sono stati attivati diversi tirocini e contratti di lavoro. Ciò fa di questa iniziativa un esempio virtuoso in quanto l’attività di recupero dell’invenduto è soggetta a retribuzione, diventando un vero e proprio lavoro.





Nel periodo dell’emergenza Covid-19 è nata la “Carovana Salvacibo”, per evitare che migliaia di chili di ortofrutta fossero sprecati mentre molte persone hanno avuto scarso accesso agli alimenti. Nata nei primi giorni di aprile, la Carovana Salvacibo ha distribuito più di 120 tonnellate di alimenti, garantendo tutti i giorni un approvvigionamento costante di frutta e verdura a più di 35 realtà torinesi, tra cui 6 Snodi della rete Torino Solidale, ovvero la rete di associazioni che, insieme ai Servizi sociali della città, raccoglie beni di prima necessità. Si tratta di realtà che durante e dopo il lockdown hanno provato (e continuano tuttora) a mettere un freno alla crisi alimentare generata dallo shock causato dal Coronavirus alla nostra economia.

fonte: www.italiachecambia.org



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Dalla raccolta differenziata allo spreco alimentare. La sfida di RePopp

Il progetto compie tre anni: salvati 40 mila euro di frutta e verdura nel mercato all’aperto più grande d’Europa
















TORINO - Riduzione dei rifiuti, lotta allo spreco alimentare e infine integrazione sociale. Tutto questo è Repopp, progetto organico Porta Palazzo, che nasce nel 2016, inizialmente con l'obiettivo di promuovere la raccolta differenziata e poi recupero e ridistribuzione delle eccedenze alimentari. Progetto sperimentale che nasce nel novembre di tre anni fa in occasione della settimana europea per la riduzione dei rifiuti, come proposta di attività  di sensibilizzazione del territorio da parte dell'associazione Eco dalle città. Il progetto vede impegnati in prima linea l'assessorato all'ambiente del Comune di Torino, Amiant, società che gestisce i rifiuti e Novamont azienda di chimica verde specializzata in bioplastiche, che fornisce i sacchi compostabili appunto, per la separazione dei rifiuti. Sensibilizzazione ed educazione alla raccolta differenziata dell'organico, formazione civica e ambientale dei richiedenti asilo e animazione sui temi dello spreco alimentare. Ogni settimana dal lunedì al sabato le Sentinelle dei Rifiuti insieme ad Ecomori, gruppo di richiedenti asilo, recuperano prodotti ortofrutticoli che non possono essere più venduti presso i banchi degli ambulanti del mercato e poi lo ridistribuiscono a chi ha più bisogno.

Dopo il mercato i rifiuti dei prodotti venivano lasciati indiscriminatamente a terra, ricoprendo per intero, piazza della Repubblica, dove sorge il mercato di Porta Palazzo. Oggi grazie al progetto Repopp questo scenario è diminuito sensibilmente se non quasi scomparso. A solo un anno dall'avvio del progetto il Repopp poteva contare +130% di raccolta rifiuti organici; 60% di raccolta differenziata e 66 tonnellate di cibo recuperato e redistribuito ai bisognosi. A tre anni dalla creazione del progetto la raccolta differenziata sta raggiungendo il 75%. 56 tonnellate di cibo nel 2017, nel 2018 quasi 67 e oggi si raggiungono le 79 tonnellate. Anche l'analisi merceologica conferma un calo importante della quantità di rifiuto organico all'interno dell'indifferenziato avviata a incenerimento e un calo della quantità di differenziato all'interno dei rifiuti avviati a recupero. Oltre ai prodotti ortofrutticoli, da febbraio 2019 Repopp recupera anche il pane invenduto di alcune panettiere e panifici di zona. Rimanenze recuperate seguendo uno strategico giro serale che prevede il ritiro al momento della chiusura dei punti vendita. Si parla di 20 chili di pane al giorno per un totale di 300 chili a settimana.



Obiettivo iniziale: migliorare la raccolta differenziata che soprattutto nei mercati è un aspetto molto sottovalutato. La città di Torino vanta un'alta concentrazione di mercati all'aperto, ben 32 mercati rionali che ogni giorno producono una gran quantità di rifiuti, solo nel primo semestre del 2017 si sono toccate le 5 mila tonnellate di rifiuti, ovvero il 3,5% dei rifiuti prodotti dalla città. Grazie al sistema del banco a banco introdotto nel 2005 i mercati torinesi raggiungono il 77% della raccolta differenziata. Inizialmente il progetto a Porta Palazzo era nato per promuovere la raccolta differenziata dei rifiuti distribuendo sacchi biodegradabili e compostabili ai venditori in modo che non mischiassero i rifiuti organici con il resto. A fine giornata però erano molte le persone che finivano per frugare nei rifiuti con la speranza di trovare ancora cibo buono e da qui nasce l'idea di raccogliere e redistribuire il cibo. Il progetto Ecomori combina una nuova idea di economia circolare e integrazione. Mori, in dialetto piemontese, perché vede come partecipanti attivi per lo più richiedenti asilo. Così, oltre la raccolta differenziata si unisce la raccolta di frutta e verdura che gli ambulanti non vendono più. Il lavoro è organizzato in un modo ben preciso: si aiutano, prima di tutto, gli ambulanti togliendo i sacchi pieni di organico e in un secondo momento un richiedente asilo e una sentinella dei rifiuti recuperano frutta e verdura invenduta.
Tanti i progetti che colorano RePopp: dal picnic eco-sociale e compostabile, con un tema diverso ogni volta, fino alla gastronomia antispreco, un modo creativo e sostenibile per educare i cittadini alla riduzione dei rifiuti. Ogni settimana Repopp propone una ricetta antispreco: la chef Helen insieme a Ecomori e Sentinelle dei Rifiuti illustra sul banco di Porta Palazzo una ricetta antispreco, una diversa per ogni settimana. Un progetto nel progetto, un nuovo modo per sensibilizzare le persone a un consumo critico e responsabile; per riconoscere il vero scarto alimentare e trasformare il rifiuto in un ingrediente fondamentale per la propria cucina. Un progetto quello di RePoop che riceve il primo premio ad ottobre 2018: "Separare fa la differenza" come miglior progetto in termini di minimizzazione, recupero e incremento della raccolta differenziata, in modo particolare sul rifiuto organico nei mercati ortofrutticoli cittadini. Il premio si inserisce nell'ambito di Cresco Award-Città sostenibili che premia i migliori Comuni italiani in termini di sostenibilità. Inoltre il Comune di Torino vince la settima edizione del premio "Vivere a spreco zero 2019", promossa dalla campagna Spreco Zero di Last Minute Market insieme al Ministero dell'Ambiente e il progetto 60 Sei Zero dell'Università di Bologna; una progettualità antispreco che si è radicata grazie i vari progetti sostenute dal comune come Food Pride, Ecomori e RePoPP di Eco dalle Città.
Un modello di economia circolare che viene esportato in tutto il mondo. Un progetto dall'importante valore sociale, morale ed ecologico. Non è solo Roma Salva Cibo a ispirarsi al progetto torinese ma RePopp arriva anche in Spagna e in Sud America. Prima oltre oceano, in Cile, nella città di Santiago precisamente, durante la Cumbre Social por la Accion Climatica, un evento con incontri, laboratori, manifestazioni artistiche per parlare dei cambiamenti climatici con un'attenzione particolare ai problemi sociali e ambientali in Cile. Il 9 dicembre RePopp segue la COP25 che arriva a Madrid per disseminare le buone pratiche sul fronte del contrasto allo spreco di cibo, raccolta differenziata e integrazione.
fonte: https://www.redattoresociale.it

Quante cose hai che non ti servono più? Vai su Celocelo!

Vestiti e accessori per bambini, mobili, elettrodomestici. Sono questi alcuni dei beni di prima necessità che vengono donati a famiglie e persone svantaggiate tramite il portale online Celocelo che mette in contatto chi opera nel sociale con chi ha qualcosa da regalare.

















Presentato poco più di un anno fa, il progetto coinvolge oggi un grande numero di organizzazioni di Torino. Per saperne di più ne abbiamo parlato con Roberto Arnaudo, direttore dell'Associazione Agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario onlus.



















Com'è nato questo progetto?
L’iniziativa è nata da un’idea dell’Associazione Agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario onlus, nell’ambito dell’attività della Casa del Quartiere di San Salvario. Nasce dall’idea di dare una risposta concreta a bisogni materiali primari, a cui le istituzioni faticano nel dare risposta.
Inizialmente il progetto ha coinvolto un gruppo di organizzazioni che si occupano di persone in difficoltà socio-economica a San Salvario. Successivamente ha coinvolto un grande numero di organizzazioni del privato sociale di tutta la città: cooperative sociali, associazioni di volontariato, servizi sociali, etc.
Nella fase di start up del servizio l’Agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario onlus ha beneficiato di un contributo del bando “Fatto per Bene” della Compagnia di San Paolo, successivamente di un contributo economico del Comitato Territoriale di Torino di IREN. Il progetto ha avuto risultati conformi alle attese, permettendo di sollecitare e facilitare le donazioni di beni di prima necessità, in particolare oggetti per la casa (elettrodomestici, mobili) e per bambini (vestiti, carrozzine, etc.) a favore di persone in difficoltà.
 
Che prodotti/servizi vengono donati?
Il progetto prevede la realizzazione e sperimentazione di un sistema di reperimento e distribuzione di beni di prossimità di varia natura (prevalentemente oggetti per la casa e per bambini), basato su una rete locale di enti no profit e servizi di prossimità e su una piattaforma informatica che renda possibile l’incrocio della domanda/offerta di beni e servizi di prima necessità, riducendo al minimo l’impegno e i costi di natura logistica, in particolare per quanto concerne lo stoccaggio, l’immagazzinamento e la distribuzione centralizzata.
I beneficiari diretti delle donazioni sono persone e famiglie svantaggiate, sia in condizione di marginalità cronica, sia in condizione di povertà grigia derivante da eventi traumatici anche recenti, come la perdita di lavoro, la separazione, la malattia.





Sulla piattaforma Celocelo i cittadini possono donare beni materiali o tempo e competenze. Gli operatori accreditati ad accedere alla piattaforma fanno parte di una rete di organizzazioni che operano a contatto con persone e famiglie in difficoltà. Si tratta sia di organizzazioni che gestiscono servizi e progetti in ambito socio assistenziale, sia organizzazioni che, pur non avendo una mission esplicitamente sociale, entrano spesso in contatto con persone e famiglie in difficoltà.  Sono accreditati all’uso della piattaforma anche operatori dei servizi sociali pubblici.
 
Qual è la zona di riferimento?
Celocelo riguarda tutto il territorio del comune di Torino. Aspetto importante, inizialmente non considerato, è stata la trasferibilità del progetto in altri contesti: recentemente infatti la piattaforma digitale è stata “sdoppiata” per permetterne l’utilizzo nell’area della Val Susa, da parte del locale Consorzio socio assistenziale. Ci auguriamo che in futuro la piattaforma possa essere adottata anche in altri luoghi.
 
Esistono progetti simili in Italia?
Per quanto ne sappiamo noi no. Esistono progetti simili che promuovono forme di scambio o di generica donazione, ma non di donazione esplicitamente rivolta al sostegno di persone in difficoltà economica.
Quali i prossimi obiettivi?
Ci piacerebbe che Celocelo si integrasse con le politiche sociali delle amministrazioni, come strumento utile a dare risposte concrete a bisogni per i quali le amministrazioni a disposizione pochissime risorse.
A regime Celocelo presenta notevoli vantaggi in termini di rapporto tra costi e benefici. Però per esprimere al pieno le sue potenzialità ha bisogno di supporto in termini di comunicazione, di relazioni di cooperazione con partner anche pubblici, di mezzi per organizzare aspetti pratici fondamentali, come il trasporto dei beni.
Oltre al mantenimento/sviluppo del servizio che Celocelo offre, stiamo cercando di estenderne il funzionamento anche all’ambito del cibo, rendendolo strumento di raccolta e redistribuzione di beni alimentari in eccedenza.

fonte: http://piemonte.checambia.org