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Green Carpet. Al Festival di Venezia il corto di Muccino sui cambiamenti climatici



Durante tutta la rassegna verrà proiettato uno short film del regista de “L’Ultimo bacio”, raccontato dalla voce di Stefano Accorsi

Al Festival di Venezia che si è aperto sabato scorso è forte il...

Venezia si impegna a bandire la plastica e a praticare l’economia circolare

La Giunta della città lagunare aderisce all'iniziativa Plastic Smart Cities promossa dal WWF per eliminare la dispersione di plastica in natura. Venezia è la prima città italiana a far parte di questo programma e vuole diventare un esempio nella lotta all’inquinamento da plastica e nella ricerca di soluzioni innovative di economia circolare.










La Giunta comunale di Venezia ha approvato, su proposta dell’Assessore all’Ambiente Massimiliano De Martin, il provvedimento con cui il Comune aderisce all’iniziativa globale WWF “Plastic Smart Cities” per la lotta contro l’inquinamento da plastica entro il 2030. Venezia è la prima città italiana ad aderire all’iniziativa che include altre città del Mediterraneo come Nizza, Dubrovnik, Smirne e Tangeri.

«La tutela dell’ambiente, la promozione di una responsabilità collettiva di attenzione all’ecosistema, il sostegno all’economia circolare, gli investimenti per una mobilità condivisa e sempre più “green”, l’orgoglio di aver avviato le procedure per avere in città il primo distributore fisso di idrogeno in Italia e una seria campagna per il recupero delle reti da pesca abbandonate in mare dimostrano, a vari livelli, l’impegno di Venezia in quell’importante progetto di salvaguardia del pianeta che deve vederci tutti compatti», commenta De Martin. «Tutte azioni che questa Amministrazione Comunale si onora di aver avviato e sostenuto con l’obiettivo non solo di dare attuazione all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ma di procedere su un percorso che deve responsabilizzare ciascuno di noi».

Con la sottoscrizione della dichiarazione d’intenti (Plastic Smart City Commitment) predisposta dal WWF, l’Amministrazione comunale, ha voluto quindi ribadire questo suo impegno a tutela dell’ambiente e, in questo caso, per eliminare la dispersione di plastica in natura entro il 2030 sviluppando un piano d’azione che preveda, tra le altre cose, l’avvio di un progetto pilota che porti a un 30% di riduzione di inquinamento da plastica entro due anni. «Uniti sapremo raggiungere anche questo obiettivo – prosegue De Martin – e sono sicuro che arriveremo a risultati ancora più importanti. Venezia ogni anno durante il Giorno della Sensa “sposa” il Mare e quindi non poteva non essere in prima linea in questa importante campagna in sua difesa».

Il protocollo impegna inoltre a promuovere il coinvolgimento di settori chiave e parti interessate nella valutazione e nel miglioramento delle politiche, dei servizi e dei finanziamenti per prevenire la produzione di rifiuti di plastica e promuovere la loro gestione con soluzioni circolari, a sviluppare un piano di monitoraggio delle attività con baseline e target annuali e a condividere i progressi con il WWF attraverso le proprie attività di reporting, con un coinvolgimento attivo degli stakeholder e della cittadinanza nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche da adottare.

«Siamo orgogliosi di supportare l’iniziativa di Venezia, che è una città d’arte tra le più amate al mondo, sospesa tra bellezza e fragilità, e che diventa così simbolo della lotta alla dispersione della plastica in natura», commenta Donatella Bianchi, presidente WWF Italia. Grazie alla rete di città costiere a forte vocazione turistica dal nord al sud del Mediterraneo, tra cui Nizza, Dubrovnik, Smirne, Tangeri e da oggi Venezia, il WWF sta sviluppando la più grande attivazione civica degli ultimi decenni in difesa del mare. Una sfida cruciale che la pandemia ha ulteriormente accentuato per proteggere il Mediterraneo sempre più soffocato da plastiche e microplastiche che minacciano tutto l’ecosistema marino e la nostra salute.

L’iniziativa Plastic Smart Cities promossa dal WWF mira a collaborare con almeno 25 città o isole del Mediterraneo per ottenere risultati concreti e misurabili per fermare lo sversamento di plastica in natura entro il 2030. Venezia quindi contribuirà e beneficerà di una rete di conoscenze in merito a metodologie sviluppate per l’analisi della gestione dei rifiuti plastici, progetti di innovazione e soluzioni già messi in atto per evitare il consumo di plastica monouso.

Secondo il WWF, il Mediterraneo si sta trasformando in una pericolosa trappola di plastica: ogni anno, circa mezzo milione di tonnellate di plastica di grandi e piccole dimensioni entra nelle acque del nostro bacino, l’equivalente di 33.800 bottiglie di plastica gettate in mare ogni minuto. Un terzo dei rifiuti di plastica è mal gestito e, senza un’azione drastica, si prevede che quadruplicherà entro il 2050. Uno studio pubblicato nel 2020 su Science1 individua nella zona del Mar Tirreno la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nelle profondità di un ambiente marino: 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato.

L’emergenza COVID ha purtroppo favorito il grande ritorno della plastica monouso con evidenti effetti collaterali sull’ambiente, a causa dell’aumento dei rifiuti spesso mal gestiti e dispersi. Quello delle mascherine rappresenta solo la punta dell’iceberg di un problema molto più ampio che ha messo un freno ai recenti progressi fatti in materia di sostenibilità e gestione dei rifiuti: la quarantena ha ad esempio stimolato l’aumento degli acquisti online con conseguente aumento degli imballaggi plastici, mentre il divieto nei food service di contenitori riutilizzabili in favore dell’usa e getta. Il WWF ritiene che la pandemia non debba ostacolare l’ambizione nazionale e globale di ridurre la plastica e l’inquinamento da essa generato e debba invece accelerare la ricerca di alternative al monouso e la messa in atto di sistemi circolari di gestione efficiente delle risorse.

Il progetto “Venezia e Smirne insieme contro l’inquinamento da plastica” è realizzato grazie al supporto della Fondazione Blue Planet Virginia Böger. Maggiori informazioni sull’iniziativa globale sono disponibili su questo sito.

1 – Kane I.A. et al., 2020. Seafloor Microplastic Hotspots Controlled By Deep-Sea Circulation, Science, 2020, 1140-1145.

fonte: www.italiachecambia.org


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Eco Fap: la nuova barca elettrica progettata per Venezia

 










Un’imbarcazione ecologica, in legno e con motore elettrico, che non produce onde e ha un’autonomia di 8 ore.
E’ questa la nuova nata della Falegnameria Artigiana Pesce di Venezia, pronta a presentarsi al Salone Nautico che si terrà all’Arsenale dal 29 maggio al 6 giugno 2021.
Figlia dei tempi e delle nuove tecnologie, Eco Fap è stata progettata assieme al designer Roberto Roscioni e in collaborazione, per la parte meccanica, con Garda Solar, che ha prodotto il motore.
Eco Fap

“Misura sei metri di lunghezza e 1,85 di larghezza e raggiunge i 14 k orari di velocità -spiega Alex Pesce, dell’omonima Falegnameria che l’ha realizzata -.E’ stata progettata specificamente per Venezia. E’ in grado di navigare agevolmente lungo i canali, facilitando la vita dei cittadini veneziani senza però richiedere l’uso della benzina e senza creare moto  
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Render barca – Eco Fap
Dalle bricole di ricarica alla barca con la “strana” carena

L’idea è nata quando Alex Pesce ha visto le bricole di ricarica prodotte da E-concept.
“Ho pensato che servivano imbarcazioni adatte per queste nuove paline e che avessero un bassissimo impatto ambientale -racconta – Così ho contattato la E-concept e, in sinergia con loro e il designer Roscioni, ho dato vita al prototipo di questa nuova imbarcazione”.
Non sta solo nel motore elettrico la novità dei nuovi “barchini” ma anche nella particolare carena.
“E’ questa che consente di non produrre moto ondoso fino a una velocità di 12 km orari – rileva Pesce – E’ questa, in fondo, la vera innovazione, perché permette una navigazione green che rispetta l’ambiente e l’ecosistema veneziano”.

Render barca Eco Fap

In fase di realizzazione, la nuova barca sarà varata ad aprile per i primi test, che saranno effettuati sul Lago di Garda, dove ha sede l’azienda che monterà il motore.
Successivamente, sarà testata in laguna e tra i canali veneziani prima di arrivare, a giugno, al Salone Nautico di Venezia, dove un focus particolare, ha anticipato il sindaco della città lagunare Luigi Brugnaro nell’annunciare la manifestazione, sarà proprio “sui motori ibridi, elettrici e innovativi perché, da Venezia, vuole partire la sfida per la navigazione sostenibile”.

fonte: www.metropolitano.it


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Luca Mercalli: La terra sfregiata

L’acqua alta sempre più frequente a Venezia e i devastanti incendi dei mesi scorsi in Australia dimostrano che ormai non possiamo più tornare indietro, ma soltanto cercare di contenere i danni provocati dal cambiamento climatico. Il vero problema, ricorda Luca Mercalli, è che non siamo pronti ad affrontare la crescita delle temperature, quella che, ad esempio, nell’estate del 2003 in Europa ha fatto 70.000 morti












Gli incendi devastanti dell’Australia nel giro di un paio di mesi (tra il 2019 e il 2020, ndr) hanno bruciato qualcosa come 100 mila chilometri quadrati di territorio, praticamente quanto l’intero Nord Italia. Ed è solo uno dei tanti fenomeni naturali che devastano i territori. Poi c’è Venezia, con un altro tipo di fenomeno, più continuo, più impercettibile all’inizio, ma poi inesorabile: l’aumento del livello del mare. Il 12 novembre del 2019 Venezia ha sperimentato la seconda acqua alta più alta della sua storia (la prima è stata quella del 1966). Ma quel che conta ancora di più è la frequenza del fenomeno. Noi abbiamo dati misurati perfettamente a Venezia dal 1870. Se andiamo a vedere la frequenza delle acque alte, quelle distruttive, notiamo che l’ultimo decennio ne ha totalizzate novantacinque sopra un metro e dieci, mentre se andiamo più indietro nel tempo, prima degli anni Sessanta, c’erano non più di tre-cinque episodi per decennio. Cioè da cinque episodi siamo passati a novantacinque. Vuol dire che prima avevamo un episodio ogni due anni e adesso ne abbiamo nove all’anno!

È un fenomeno globale, il livello del mare si sta alzando in tutto il mondo a causa della fusione dei grandi ghiacciai, soprattutto della Groenlandia e in parte anche dell’Antartide. Parallelamente le acque oceaniche si riscaldano e aumentano di volume. I due fenomeni connessi provocano già oggi – secondo dati misurati da satellite – un aumento del livello dei mari di tre millimetri e mezzo. Come sempre la gente aspetta spettacoli hollywoodiani e, per prendere coscienza del cambiamento, avrebbe bisogno di vedere un aumento di trenta centimetri all’anno. Ma a quel punto saremmo perduti. Tre millimetri e mezzo di aumento annuo sono forse pochi per percepirne il pericolo a vista, ma sono tantissimi per erodere le nostre spiagge e minacciare le nostre zone portuali. Essi fanno sì che Venezia abbia oggi quindici centimetri di mare in più rispetto a un secolo fa. Questo vuol dire che d’ora in poi tutte le acque alte saranno quindici centimetri più alte di cent’anni fa. E a fine secolo? Se si applicasse l’accordo di Parigi del 2015 (che fissa, per il 2100, il limite di 2°C di aumento della temperatura), si ritiene di poter mantenere l’innalzamento del mare entro mezzo metro, ma se non si fa nulla si potrà superare il metro. Ciò vorrebbe dire, per Venezia, l’acqua alta tutti i giorni dell’anno, e un metro in più durante le acque alte “cattive”, quelle in cui lo scirocco si combina con la marea. Allora, invece di sfiorare i due metri, arriveremo a tre. Ma cosa vuol dire tre metri di mare a Venezia? Vuol dire il mai visto, vuol dire qualcosa a cui la città non può far fronte, vuol dire avere l’acqua ai primi piani delle case.

E poi pensiamo alle ondate di calore estivo. Anche qui siamo in un settore in cui potremmo pagare un prezzo molto elevato. Attualmente nella Pianura padana la temperatura massima mai misurata appartiene a Forlì: 43°C il 4 agosto del 2017. Nel giugno del 2019 in Francia, in Provenza, abbiamo toccato i 46°C. Ora, da qui ad arrivare ai 50°C il passo è breve. Noi climatologi ci aspettiamo che entro i prossimi dieci o venti anni vedremo nelle città italiane del nord – Milano, Bologna etc. – delle temperature massime superiori ai 45°C e prossime ai 50°C. Sono temperature da Pakistan, da India. Temperature che noi non siamo pronti ad affrontare. Qualcuno dirà: «Mi chiudo in un ufficio con il condizionatore a manetta», ma lo puoi fare per un giorno, non se questi fenomeni diventano sistematici per un periodo lungo dell’estate. Il costo di ciò si calcola in termini di vite umane, di vittime, ed è la popolazione anziana e malata la prima a soccombere: l’estate del 2003 in Europa ha fatto 70.000 morti! Ma è un prezzo che si calcola anche in termini energetici, perché è chiaro che se tutti, per sopravvivere, metteranno i condizionatori al massimo, i consumi di energia (e le bollette) aumenteranno in modo esponenziale. Pagheremo un prezzo in tutte le attività che hanno a che fare con l’ambiente esterno, dall’edilizia all’agricoltura: i lavoratori che oggi lavorano fuori non potranno continuare a farlo in quelle condizioni, senza rischiare la vita. In questo senso le nostre città diventeranno un luogo di grande vulnerabilità climatica per le ondate di calore. […]

Non possiamo tornare indietro, possiamo soltanto cercare di contenere il danno, di evitare lo scenario peggiore. Anche nella ipotesi migliore, cioè quella di un aumento della temperatura di soli 2°C e dell’innalzamento del mare di solo mezzo metro, i cambiamenti che ho descritto ci saranno. Solo saranno, sperabilmente, a un livello più “maneggevole” rispetto allo scenario peggiore, quello della mancata applicazione dell’Accordo di Parigi, che porterebbe, a fine secolo, a un aumento della temperatura di 5°C o 6°C in più e a un innalzamento dei mari di un metro e venti. Allora, se leggiamo con gli occhi giusti i segnali di quello che già sta avvenendo nel mondo, tra aumento della temperatura, fusione dei ghiacci dell’Oceano Artico e dei ghiacciai delle nostre montagne, ondate di calore, eventi estremi più intensi (più alluvioni e più uragani), capiamo che dovremmo fare di tutto, da un lato, per adottare stili di vita meno invasivi nei confronti dell’ambiente e, dall’altro, per prepararci ad affrontare eventi che ormai sono in canna, e rispetto ai quali non possiamo tornare indietro…

Ormai siamo condannati a vivere con un clima malato, quello che possiamo decidere è quanto può essere grave l’entità di questa malattia.

Estratto da La terra sfregiata. Conversazioni su vero e falso ambientalismo, di Luca Mercalli con Daniele Pepino (Edizioni Gruppo Abele, 2020), pubblicato su Volerelaluna.

fonte: www.comune-info.net


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Comunità energetica, un ruolo per ESCo ed equity crowdfunding. Un esempio a Venezia

Un progetto di efficentamento energetico di un centro commerciale, finanziato con l’equity crowdfunding, evolve verso lo sviluppo di una Comunità energetica.




L’approvazione del Decreto Milleproroghe,che recepisce la Direttiva UE 2018/2001, ha fatto fare un primo passo al sistema energetico nazionale verso l’apertura alle comunità energetiche come entità giuridiche.

Il Decreto permetterà a cittadini, imprese ed enti pubblici di “associarsi per divenire autoconsumatori di energia rinnovabile”, aderendo quindi al nuovo modello di fruizione dell’energia rinnovabile, basato sulle comunità energetiche e sull’autoconsumo collettivo.

Le comunità energetiche si sono affermate come modelli partecipativi di investimento nel settore energetico, ove i cittadini sono direttamente coinvolti come finanziatori di impianti di energia rinnovabile o di interventi di efficienza energetica.

Molto diffuse nei paesi del Nord Europa come la Germania e la Danimarca, le comunità energetiche hanno riscontrato un timido sviluppo in Italia nel corso dell’ultimo decennio.

Tuttavia, in assenza della possibilità normativa di condividere fisicamente l’energia prodotta localmente, le esperienze sin qui realizzate hanno solo condiviso la proprietà degli impianti di produzione di energia rinnovabile, finanziandoli collettivamente e beneficiando dei ritorni economici legati alla vendita della produzione.

L’evoluzione normativa apre ora la strada alla costruzione di comunità energetiche ‘tecniche’, qui intese come modelli innovativi di approvvigionamento, distribuzione e consumo, che hanno l’obiettivo di agevolare la produzione e lo scambio locale di energia generata principalmente da fonti rinnovabili distribuite, nonché l’efficientamento e la riduzione dei consumi energetici. Tali comunità pertanto condividono la loro produzione in una rete virtuale locale da cui attingono al fine di ottimizzare l’autoconsumo, minimizzando gli scambi sulla rete elettrica nazionale.

L’evoluzione in senso tecnologico ben si coniuga con il concetto di comunità energetica inteso come modello di sviluppo partecipato: le attività e gli investimenti utili a creare una comunità energetica ‘tecnica’ possono essere, infatti, aperti alla partecipazione di tutti in cittadini e, nello specifico, di quelli che beneficiano dell’iniziativa.

I cittadini partecipano alla riqualificazione energetica di un centro commerciale a Venezia tramite la campagna di equity crowdfunding

Il caso che descriviamo in questo articolo si presta a mettere in evidenza come le diverse tipologie di comunità energetiche possano ora confluire in un’unica realtà.

L’equity crowdfunding, come vedremo, può rappresentare un potente strumento di raccolta fondi oltre che di aggregazione di autoconsumatori di energia rinnovabile e di imprese.

L’intervento di efficientamento energetico del centro commerciale La Piazza, a Venezia, è promosso da RE(Y) VENEZIA srl, società veicolo della start-up innovativa InfinityHub Spa, la ESCo trentina che finanzia tutti i suoi progetti con il ricorso all’equity crowdfunding.

Si tratta di un modello di business originale che QualEnergia.it segue dal suo esordio. La campagna di REY VENEZIA è online su Ecomill – prima piattaforma italiana di equity crowdfunding dedicata a energia, ambiente e territorio – con l’obiettivo di aprire la partecipazione all’investimento di efficientamento energetico a cittadini e imprese diffusi sul territorio nazionale.



Il progetto – che in poco tempo ha già fatto registrare l’overfunding, superando il primo obiettivo di raccolta di 50.000 euro – prevede la riqualificazione energetica dell’intero edificio del centro commerciale con la installazione di lampade a led, riscaldamento e climatizzazione a pompe di calore, impianto fotovoltaico, colonnine per la ricarica delle auto elettriche.

Coerentemente con i principi guida della Direttiva UE 2018/2001, l’intervento promuove l’efficientamento energetico, il ricorso alle energie rinnovabili e la partecipazione della comunità ai benefici contribuendo alla riduzione delle emissioni a effetto serra nell’Unione e la sua dipendenza energetica.

Un’iniziativa a cui possono partecipare e guadagnare tutti: i cittadini, le imprese e l’ambiente. Il progetto infatti consentirà una riduzione di CO2 pari a 213 tonnellate all’anno.

Tramite il portale Ecomill hanno investito in REY VENEZIA anche le imprese che realizzeranno gli interventi. Gli investitori e i nuovi soci, anche grazie a detrazione Irpef e deduzione Ires del 30%, godranno di un rendimento atteso del 9% annuo per la durata ventennale del progetto, che per le imprese si sommano ai ricavi derivanti dalla attività svolta.

L’evoluzione del progetto verso la comunità energetica ‘tecnica’

Nella direttiva UE 2018/2001, la Comunità Energetica rinnovabile (REC) è definita come:
partecipazione aperta e volontaria da parte degli utenti situati nelle vicinanze dell’impianto di produzione rinnovabile che appartengono o sono sviluppati dalla stessa.
I membri della comunità possono essere persone fisiche, PMI o autorità locali e l’obiettivo principale è fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari.

Con il recepimento della direttiva e alla campagna di equity crowdfunding l’impianto fotovoltaico già previsto nel progetto originale diventa ora lo strumento di aggregazione della comunità energetica, basata sulla tecnologia Regalgrid® fornita dalla startup Regalgrid Europe che ha appena siglato una joint venture con InfinityHub.

Grazie alla partnership con Regalgrid Europe, RE(Y) VENEZIA attiverà l’autoconsumo da parte degli esercenti della produzione di elettricità generata dall’impianto fotovoltaico che sarà in seguito ampliabile anche con l’ausilio di sistemi di accumulo.

Infatti, attraverso funzioni integrate e interattive, la tecnologia Regalgrid® permette di gestire in modo intelligente la potenza disponibile, massimizzare l’autoconsumo collettivo ed effettuare una diagnostica avanzata. Applicazioni smart, disponibili su App Store e Play Store, danno al prosumer il controllo totale, libero e diretto, dell’intero sistema. Ciò significa una maggiore consapevolezza del proprio status energetico, l’aumento della percentuale di autoconsumo e il risparmio economico in bolletta.

Nella iniziativa di RE(Y) Venezia si aggiungono così importanti elementi di condivisione e di coinvolgimento degli attori locali, che non solo possono partecipare alla sua nascita e crescita tramite la campagna di crowdfunding, ma potranno anche associarsi per massimizzare l’autoconsumo della generazione elettrica dall’impianto di energia rinnovabile installato.

Sulla scia dell’accordo tra Regalgrid Europe e InfinityHub, anche Archeide Lux, General Partner di Archeide SCA SICAV, ha deciso a sua volta di investire nel progetto REY VENEZIA. Archeide SICAV Empower Fund, è un fondo di investimento alternativo chiuso, che investe in impianti di produzione di energia rinnovabile e in Regalgrid Europe, della quale detiene una partecipazione del 40%.

fonte: www.qualenergia.it


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“Venice Climate Camp”: quattro giorni per la giustizia climatica al Lido

Negli stessi giorni in cui la Laguna è illuminata dai riflettori della Mostra del cinema, dal 4 all’8 settembre, centinaia di attivisti per il clima da tutta Europa si danno appuntamento per approfondire i temi del “climate change” e confrontarsi sulle pratiche da mettere in atto per fermarlo. A partire da tre ambiti di discussione: grandi opere, ecofemminismi e migrazioni.


© Fridays for future Venezia


Quattro giorni per approfondire i temi della crisi climatica e confrontarsi sulle mobilitazioni necessarie alla giustizia ambientale: l’appuntamento è dal 4 all’8 settembre, al Lido di Venezia, proprio accanto ai riflettori della 76esima Mostra internazionale d’arte cinematografica. Il “Venice Climate Camp” è nato dalla collaborazione dello storico comitato No Grandi Navi con i giovani di Fridays For Future Venezia, per dare seguito alle grandi mobilitazioni contro il cambiamento climatico che ci sono state in Italia, e nel resto del mondo, i mesi scorsi.
E Venezia è sembrato il luogo giusto nel quale ridarsi appuntamento questo settembre, non solo per l’occasione della Mostra del cinema che già richiama l’attenzione sul Lido, ma anche per la particolare condizione di questa “città costiera in cui acqua e pietra si compenetrano” -come spiegano i promotori del campeggio internazionale-, che subirà fortemente gli effetti del clima che cambia e dell’innalzamento del mare. Una città nella quale, nonostante questo, “sono stati investiti miliardi di fondi pubblici in una grande opera come il Mose”, ricordano gli attivisti: opera incompiuta costata oltre 6 miliardi di euro, a favore dell’idea di “continuare a violentare la Laguna e poi rimediare meccanicamente, con una gigantesca valvola che provi a chiudere le porte al mare”, come ha scritto Tomaso Montanari. E una città ormai sacrificata al turismo, dove pure “le grandi navi da crociera, inquinanti e devastanti per l’ambiente, continuano a transitare a pochi metri da piazza san Marco” (Venezia è la terza città portuale tra le cinquanta europee più inquinate).

Così al Climate Camp -dove sono attesi almeno 700 attivisti da tutta Europa- si proverà a costruire una riflessione condivisa a partire dagli spunti offerti da ospiti internazionali, e non, nelle giornate da mercoledì 4 a venerdì 6 settembre. La rotta è quella di “un cambiamento radicale in almeno tre direzioni”, come spiega Marco Baravalle del comitato No Grandi Navi: “Serve una rivoluzione che trasformi il nostro modello energetico -uscendo dal fossile-, il nostro modello di gestione territoriale -fermando le grandi opere e il consumo del suolo- e il nostro modello di produzione alimentare -mettendo in discussione il ciclo della carne”.
Il programma delle giornate si articola in tre approfondimenti tematici, che rappresentano “i tre terreni di prova della battaglia sulla giustizia climatica”, spiega Baravalle: mercoledì 4 settembre il primo, dedicato alle grandi opere e al capitalismo estrattivo, con ospite il norvegese studioso di ecologia politica Alexander Dunlap, del “Center for Development And Environment” dell’Università di Oslo; giovedì 5 settembre il secondo focus sugli ecofemminismi e la relazione tra corpi e territori, che sarà approfondita -tra le altre- dall’argentina Moira Millàn, portavoce Mapuche del “Movimiento Mujeres Indigenas por el Buen Vivir”; e venerdì 6 settembre il terzo approfondimento sulle migrazioni, con la testimonianza del nigeriano Nnimmo Bassey, direttore della “Health of Mother Earth Foundation”.

“Il caso nigeriano è esemplare per mostrare quale sia la facciata green del capitalismo, che abbiamo sempre rifiutato e smentito -spiega Baravalle-. Basti pensare alle responsabilità di Eni nella distruzione del Delta del Niger; la stessa multinazionale che nel nostro Paese mostra invece un volto pulito” (è recente la campagna di comunicazione ‘Eni +1’).
“Mentre l’Amazzonia brucia con il benestare del presidente brasiliano e la Siberia è in fiamme nel totale disinteresse di quello russo; mentre l’Onu ci avverte che la desertificazione del Sud globale avrà costi sociali e umani altissimi e i vertici mondiali sul clima dimostrano, anno dopo anno, solamente il fallimento delle politiche di mitigazione, al Lido vogliamo rimettere al centro la radicalità dei discorsi e delle pratiche -continua-. Il movimento contro i cambiamenti climatici sta crescendo in tutta Europa: speriamo che si consolidi anche in Italia e che questa sia un’occasione per nutrirlo”.

Si arriverà così a sabato 7 settembre, quando nel pomeriggio gli attivisti del Climate Camp raggiungeranno il red carpet della Mostra del cinema con una marcia climatica, per “ricordare a tutte tutti che il cambiamento climatico non è un soggetto da film di fantascienza, ma è la realtà che stiamo già vivendo” e quindi “continuare a sensibilizzare le persone e creare consapevolezza, costruire massa critica e ascoltare la scienza che ci fornisce dati e innumerevoli soluzioni alternative”, come si legge nell’appello di Fridays For Future Venezia/Mestre.
“Sappiamo che molti artisti e protagonisti del mondo del cinema sono sensibili alle tematiche ambientali e saranno presenti al Lido: a loro ci siamo rivolti con un appello invitandoli ad aderire alla nostra mobilitazione e a portare questi temi sotto i riflettori della Mostra del cinema”, conclude Baravalle.



Le quattro giornate si chiudono domenica 8 settembre: alle ore 11.00 sarà presentata la campagna “Giudizio universale”, per “invertire il processo” e chiedere all’Italia di attuare misure più stringenti in risposta ai cambiamenti climatici; nel pomeriggio, invece, un approfondimento dedicato all’impatto ambientale del turismo con la rete SET (Sud Europa di fronte alla Turistificazione). Per tutto il campeggio cucina vegana, energia alimentata da pannelli solari e plastiche monouso bannate, con un’attenzione speciale al tratto di spiaggia che ospiterà l’evento. Perché anche nei gesti del quotidiano -uniti all’analisi globale- sta la radicalità che potrà salvare il clima.

fonte: https://altreconomia.it

Condizionatori e climate change: il circolo vizioso (energivoro) e gli strumenti per uscirne

“Utilizziamo sempre più energia per adattarci a un problema creato dall’uso di energia. Ed è un paradosso”. L’analisi del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e dell’università Ca’ Foscari di Venezia. Ecco perché è necessario puntare sull’isolamento termico delle abitazioni e sull’efficientamento












La necessità di far fronte all’aumento globale delle temperature porterà a un aumento dell’uso di condizionatori e degli impianti di raffreddamento negli ambienti industriali e nel settore dei servizi, oltre che nelle abitazioni private. Questo determinerà un aumento della domanda globale di energia compreso tra l’11% e il 27% entro il 2050 se l’aumento delle temperature medie globali si manterrà entro i 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali. Ma che potrebbe raggiungere livelli ancora più elevati (tra il 25 e il 58%) nell’eventualità in cui la temperatura globale aumentasse di 4 gradi entro la fine del secolo.
“Paradossalmente usiamo sempre più energia per adattarci ad un problema creato dall’uso di energia, essendo questa la fonte principale di emissioni di gas a effetto serra”, spiega ad Altreconomia Enrica De Cian, professore associato in Economia dell’ambiente presso l’università Ca’ Foscari di Venezia e ricercatrice del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC).
I dati emergono da uno studio internazionale che ha visto la partecipazione di ricercatori dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, del CMCC, dell’International Institute for applied system analysis (Austria) e della Boston University recentemente pubblicato sulla rivista “Nature communications”.
A pagare il prezzo più alto di questa situazione saranno le fasce di popolazione più povere, che dovranno investire una parte sempre maggiore del proprio reddito per adattarsi agli aumenti della domanda di energia. Entro il 2050 l’aumento della temperatura potrebbe esporre mezzo miliardo di persone a più basso reddito in Paesi del Medio Oriente e dell’Africa ad aumenti della domanda di energia del 25%. “I più poveri dovranno confrontarsi non solo con sfide pecuniarie, ma anche con il maggiore rischio di malattie e di mortalità legate al calore, qualora non fossero in grado di soddisfare i bisogni di raffreddamento, a causa di forniture di elettricità inaffidabili o per la mancanza del tutto le connessioni alla rete. O semplicemente perché non possono acquistare un condizionatore”, spiega De Cian.
In linea generale -evidenzia lo studio- le nostre società si adegueranno al cambio delle temperature aumentando il raffreddamento degli ambienti durante le stagioni calde e diminuendo il riscaldamento durante le stagioni fredde. Ma non sempre il maggiore consumo di energia per il raffreddamento verrà compensato dalla riduzione per il riscaldamento: “Nel Nord del mondo prevarrà una riduzione della domanda energetica per la riduzione dei consumi, nelle regioni meridionali tende a prevalere l’aumento di bisogno di elettricità per raffreddamento”, spiega De Cian. I tropici, l’Europa Meridionale, la Cina e gli Stati Uniti sono le regioni che probabilmente sperimenteranno i maggiori aumenti di consumi energetici. “Lo stesso differenziale lo troviamo anche in Europa e in Italia -spiega De Cian- In Italia il consumo di elettricità per il raffreddamento degli ambienti è passato da 21.169 ktoe (migliaia di tonnellate di petrolio equivalenti, ndr) nel 1990 a 147.039 nel 2015. Una crescita di sette volte nel periodo 1990-2015”.
Di fronte a questa situazione -e in assenza di politiche mirate ed efficaci, ad esempio le politiche per favorire l’isolamento termico e l’efficienza energetica- le famiglie si affideranno sempre più ai condizionatori per adattarsi ai cambiamenti climatici, rischiando così di generare ancora più emissioni di CO2. Un ulteriore studio dell’Università Ca’ Foscari e del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici ha analizzato, infatti, la diffusione di climatizzatori in cinque Paesi europei (Francia, Olanda, Spagna, Svezia e Svizzera): tra il 2011 e il 2040, il numero di persone che avranno in casa un impianto di raffreddamento aumenterà, mediamente, del 4,3%.
Il caso emblematico è quello spagnolo dove, anche a causa delle diverse ondate di calore che hanno colpito il Paese negli ultimi anni, si stima che quasi il 50% delle famiglie avrà un condizionatore entro il 2040 (contro il 5% del 1990). Anche per la Francia è prevista una crescita lenta ma costante (dal 13% del 2011 al 17,3% del 2040) anche se nel Paese quasi il 50% delle abitazioni sono dotate di isolamento termico. In Svezia il numero di condizionatori è già oggi superiore di 30 volte rispetto al 2005 e, secondo le previsioni dei ricercatori, una famiglia su cinque ne avrà uno in casa entro il 2040.
Per spezzare il circolo vizioso che vede l’aumento dell’uso dei climatizzatori come risposta all’aumento delle temperature e che determina un conseguente aumento delle emissioni occorre cambiare strategia. “Si può intervenire promuovendo forme meno energivore di raffreddamento, sia a livello individuale, sia a livello urbano di comunità: zone e tetti verdi sono misure che possono ridurre la temperatura -spiega Enrica De Cian-. Inoltre è importante puntare sull’efficienza energetica degli impianti di raffreddamento. Quelli che consumano meno, però, vengono acquistati relativamente poco perché i consumatori preferiscono modelli meno costosi. Per questo sono importanti anche politiche di incentivo di acquisto di modelli efficienti, oltre a politiche di incentivo per l’isolamento termico, una strategia di più lungo periodo che però richiede un investimento iniziale che non tutti riescono ad affrontare per questioni economiche o di vincoli istituzionali”.
fonte: https://altreconomia.it

Venezia, gondolieri-sub pescano 600 chili di rifiuti dai canali

Prima di tre uscite, nel mirino pneumatici caduti dalle barche



















Gondolieri-sub hanno rimosso dai canali di Venezia 600 kg di rifiuti. I volontari dell'associazione gondolieri, coordinati dal Comune, si sono immersi nel rio dei Santi Apostoli a Cannaregio per rimuovere sporcizia e scarti depositati sui fondali. Si tratta della prima di tre uscite in programma nelle prossime settimane frutto di una convenzione con il Comune di Venezia che si pone l'obiettivo di rimuovere soprattutto pneumatici finiti in acqua dopo essere stati utilizzati come parabordi delle imbarcazioni o rifiuti ingombranti depositati sui fondali.

"Con il sindaco Luigi Brugnaro - ha detto il consigliere delegato alla Tutela delle tradizioni, Giovanni Giusto - abbiamo accolto subito la proposta dell'associazione, un esempio di sussidiarietà che coinvolge il pubblico e il privato a beneficio della cittadinanza. Stiamo raccogliendo numerosi pneumatici, ma anche bottiglie, antenne, transenne, scarti di qualsiasi tipo gettati dove l'occhio non vede, persino un bidet. In particolare - ha aggiunto ci sono molti cavalletti delle passerelle dell' acqua alta, gettati da vandali che danneggiano realmente la mobilità dei cittadini. Un'operazione chirurgica che, grazie all'apporto di questi abili sub, continuerà nel tempo. L'amministrazione darà loro il sostegno necessario, anche perché - ha concluso Giusto - i gondolieri stanno lanciando un segnale molto forte di vicinanza ai problemi della comunità". 

fonte: www.ansa.it