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Tutte le tecnologie che portano alla decarbonizzazione



La partita della decarbonizzazione dei sistemi energetici è una delle più importanti e strategiche dell’era presente. Rappresenta, infatti, una sfida destinata a condizionare l’evoluzione delle economie e delle società più avanzate negli anni a venire, a creare nuovi mercati, a coniugare i temi dello sviluppo e della tutela ambientale.

La decarbonizzazione non sarà però un pasto gratis. Né potrà avvenire dall’oggi al domani: richiederà un salto tecnologico capace di rendere disponibili nuove fonti di generazione energetica, nuove innovazioni abilitanti, nuovi paradigmi produttivi. Da portare a piena maturità prima del loro inserimento sul mercato.

Ma quali sono le tecnologie più importanti per definire le vie della transizione energetica e del superamento del carbonio? Nonostante la pandemia di Covid-19, vengono sempre più sviluppate nuove tecnologie volte a aumentare l’impatto delle fonti pulite sul contesto energetico contemporaneo, descritte anche dall’Agenzia Internazionale dell’Energia in un report dell’ottobre 2020.

Una prima innovazione arriva dalla disponibilità di reti di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica resistenti e resilienti. Capaci di assicurare, grazie alle tecnologie innovative a disposizione e ai sensori IoT, il matching ideale tra domanda e offerta, tra generazione e consumo. CESI, società milanese leader mondiale nel testing e nella consulenza energetica, con un’esperienza pluridecennale nel campo dell’innovazione tecnologica, è tra le società che maggiormente puntano sullo sviluppo delle smart grids nei decenni a venire, testandole nel proprio Flex Power Grid Laboratory di Arnhem, in Olanda.

KEMA Labs (la Divisione di Testing, Ispezione e Certificazione del Gruppo CESI), entro cui questi laboratori sono incorporati, lavora anche a trovare tecnologie alternative al gas di esafluoruro di zolfo (SF6) per la gestione dei quadri delle reti ad alto voltaggio. Nelle apparecchiature di comando con isolamento in gas, CESI, coerentemente con la sua missione di aiutare le società clienti e partner a ottenere una completa decarbonizzazione, sta sviluppando tecnologie “verdi” per trovare alternative a un gas ritenuto importante per il settore energetico ma al tempo stesso dotato di un elevato impatto inquinante.

La necessità di aziende, governi e utilities di passare, nei mix energetici, dalle fonti fossili alle rinnovabili, nel contesto di una ciclicità non prevedibile della disponibilità di fonti per la generazione, impone poi la necessità di sviluppare tecnologie di stoccaggio all’altezza delle necessità dei sistemi. Questo per evitare dispersioni eccessive o asimmetrie dannose tra i momenti di picco di domanda e quelli di offerta di energia. Oggigiorno le tecnologie più diffuse, nota Energy Journal, magazine pubblicato da CESI sono basate su batterie elettrochimiche, che negli ultimi anni sono state oggetto di numerose innovazioni in termini di miglioramento di performance, permettendo al contempo di realizzare impianti con capacità sempre maggiori: un esempio è sicuramente dato dall’australiana CEP Energy nel Nuovo Galles del Sud, che intende costruire il più grande impianto di accumulo al mondo, con una capacità totale di 1,2 GW.

L’innovazione è il driver che sta creando anche altre forme di sviluppo in materia

Un’altra compagnia australiana, la Lavo, sta sviluppando sistemi di stoccaggio basati sull’idrogeno verde, ovvero ottenuto da fonti di energia rinnovabile. Separato dall’acqua per elettrolisi, esso può essere utilizzato nei cosiddetti settori “hard-to-abate”, come l’industria siderurgica e chimica. L’idrogeno come fattore di decarbonizzazione è oggi fortemente valorizzato nelle strategie nazionali energetiche di diversi Paesi, e pure l’Unione Europea ha proposto una strategia per una catena del valore dell’idrogeno nel Vecchio Continente.

Nuovi campi di applicazione per la decarbonizzazione riguardano infine il settore dei trasporti grazie alla mobilità sostenibile. Secondo un report Ispra, nel 2019 in Italia i trasporti sono stati responsabili del 23,4% delle emissioni totali di gas serra, con un aumento del 3,9% rispetto al 1990. In particolare, i consumi di gasolio e benzina hanno rappresentato circa l’88% del consumo totale dei trasporti su strada. La decarbonizzazione dei sistemi di trasporto può giocare un ruolo fondamentale nell’alleviare il peso dell’inquinamento da mezzi di trasporto. L’Italia, in quest’ottica, è indietro nella corsa a una diffusione strutturata di veicoli elettrici e a basso tasso di inquinamento.

“La vera sfida per facilitare la diffusione globale dei veicoli elettrici è, secondo l’Ad di CESI Matteo Codazzi, “lo sviluppo di una rete di infrastrutture di ricarica capillare e adatta tanto alle esigenze del cliente quanto della rete elettrica”. La tecnologia può contribuire ad aumentare l’interazione tra la rete in questione e i singoli veicoli attraverso lo sviluppo delle tecnologie per lo Smart Charging, “ovvero la possibilità di ottimizzare l’energia prelevata e immessa a seconda delle necessità del cliente e della rete elettrica”. Tecnologie, queste, che vengono testate e sviluppate nei laboratori KEMA Labs, al fine di contribuire a valutare la maturità e la sostenibilità dell’innovazione, vero volano per conseguire una strutturata decarbonizzazione. Obiettivo da coltivare pazientemente ma tutt’altro che utopico, grazie alle nuove frontiere aperte dall’innovazione continua e dalle sue applicazioni di mercato.

fonte: it.insideover.com


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REMANUFACTURING: UN ENORME POTENZIALE CIRCOLARE ANCORA DA SFRUTTARE




Negli ultimi mesi politiche e iniziative a livello europeo e mondiale hanno posto l’accento sul potenziale della rigenerazione come modello cruciale per l’economia circolare, utile per l’estensione della vita dei prodotti così come per la conservazione del valore nell’economia.
Ad aprile 2021, con una serie di webinar online, il Reman Day organizzato dal Remanufacturing Industries Council (RIC) ha celebrato una delle R alla base dell’economia circolare: la R di rigenerazione (in inglese remanufacturing). Definita anche la spina dorsale dell’economia circolare, la rigenerazione è una pratica industriale che permette di "riportare un prodotto ad almeno le sue prestazioni originali con una garanzia equivalente o migliore di quella del prodotto di nuova fabbricazione” (fonte Remanufacturing Market Study).
In Europa leader ed esperto del settore, nato sull’esempio dello statunitense RIC, è l’European Remanufacturing Council che annovera tra i suoi membri ENEL. Per capire a fondo le potenzialità e le prospettive della rigenerazione Materia Rinnovabile ha intervistato David Fitzsimons, direttore dell’European Remanufacturing Council, con un’esperienza di oltre 25 anni nel settore.



Dove si concentra maggiormente al momento l’attività di remanufacturing?

Tradizionalmente il 90% dell'attività di remanufacturing si colloca nell'area business to business. Si tratta, quindi, un'attività industriale che si potrebbe definire commerciale. Sta crescendo, però, anche la parte B2C, rivolta al consumatore, in particolare per prodotti come gli smartphone. Spinto dal movimento per il diritto alla riparazione, penso ci sarà un continuo ampliamento dei beni di consumo che vedranno un’estensione del proprio ciclo di vita grazie sia a franchising locali di riparazione su piccola scala che ad ampie fabbriche su scala industriale a livello nazionale e internazionale. Mentre nel primo caso possiamo parlare di rigenerazione come riparazione, nel secondo caso si tratta di rigenerazione come “rifabbricazione”.

Quali elementi hanno il maggior potenziale di accelerare la diffusione delle attività di rigenerazione?

La robotica e le tecnologie digitali hanno un grande potenziale, possono fare incrementare enormemente le possibilità del settore. Grandi opportunità esistono nel settore automobilistico dove il WEF sta lavorando alla Circular Cars Initiative. Il problema è che, spesso, il remanufacturing entra in gioco soltanto in una fase post vendita. Non si pensa che possa, invece, contribuire anche durante la produzione di nuovi veicoli. Se questo dovesse cambiare il potenziale sarebbe enorme. Affinché ciò avvenga serve un cambiamento a livello normativo e alcuni incentivi economici.

A quali cambiamenti si riferisce in particolare?

Alla nuova e imminente iniziativa sui prodotti sostenibili alla quale sto contribuendo in questo momento a Bruxelles. C’è molto da fare a livello legislativo e politico. Abbiamo sviluppato molte politiche nella giusta direzione negli ultimi 20 o 30 anni, ora è il momento di guardare ad una migliore progettazione e all’estensione della vita dei prodotti. La sfida che l’odierna Sustainable Product Initiative della Commissione europea pone è quella di sviluppare una serie di politiche che rendano il remanufacturing un'attività redditizia per le imprese. Ci vorrà tempo, ma penso vedremo un costante trasferimento di conoscenze nel settore, che oggi nell’UE vale circa 30 miliardi di euro. Sembrano molti, ma si tratta soltanto del 2% dell’economia europea. Certamente questo settore crescerà in futuro. Il nostro obiettivo è arrivare a 50 miliardi entro il 2030. Per questo cerchiamo di rendere il settore più attraente per gli investimenti. È fondamentale anche rendere coscienti i responsabili politici della necessità di nuovi incentivi a supporto delle aziende. L’UE e le Nazioni Unite sono molto ambiziose al riguardo come dimostra anche il lancio di GACERE - Global Alliance on Circular Economy and Resource Efficiency lo scorso febbraio. GACERE aiuterà a diffondere le politiche sviluppate nell'UE e il vocabolario utilizzato nell'UE oltre i confini del mercato unico.

Quali sono i settori più interessanti per remanufacturing?

In termini di valore assoluto direi, senza dubbio, l’aviazione, in termini di volumi l'automotive. Il terzo settore più grande è probabilmente quello della difesa, di cui nessuno conosce le reali dimensioni. Seguono a ruota il settore delle attrezzature e dei veicoli fuoristrada come le grandi scavatrici e quello delle apparecchiature informatiche b2b. Poi ci sono una serie di altri settori definiti nel Remanufacturing Market Study dell’European Remanufacturing Network finanziato da Horizon 2020. È un ambito cruciale per le grandi aziende come Michelin e Volvo come per le piccole aziende come Hetzel, azienda tedesca a conduzione familiare, leader nella rigenerazione dei cambi automatici delle automobili.

Quali sono i Paesi più all’avanguardia?

A livello di leadership nazionale sicuramente la Francia. I politici francesi sembrano essere abbastanza preparati a correre rischi. Seguono i Paesi Bassi e i Paesi scandinavi. Dal Regno Unito, avendo appena lasciato l'UE, mi aspetto una politica a tal proposito quest'anno o l'anno prossimo.
Per quanto riguarda le dimensioni del settore sicuramente al primo posto si colloca la Germania, seguita da Italia, Francia, Regno Unito, che cambiano posizionamento in classifica a seconda del tipo di prodotti presi in considerazione. La Polonia, invece, è un paese che abbiamo, in passato, sottovalutato. Abbiamo, tuttavia, notato che molti investimenti vanno verso la Polonia perché ha una buona posizione logistica per rifornire tutta Europa e un'ottima rete stradale. Alcuni nostri membri, come Lexmark per le cartucce rigenerate per stampanti, sono molto soddisfatti degli investimenti fatti in Polonia, dove sono rigenerate anche molte componenti per l’aviazione e per i veicoli agricoli.
Fuori dall’Europa è da tenere sott’occhio il Canada, il cui caso è stato studiato dal recente RemanCan.

Quali sono gli elementi su cui si giocherà il futuro del remanufacturing?

Sicuramente i dati. Vedo che moltissimi dati oggi vengono persi durante il ciclo di vita dei prodotti, dati che non arrivano al produttore, ma che sarebbero cruciali per estendere la vita del prodotto se condivisi. Durante il processo di fabbricazione e fino al momento della vendita si usano tutte le tecniche possibili per ottenere ogni minimo valore aggiunto, anche se spesso si lavora su minimi margini di miglioramento. Dopo la vendita, invece, la perdita di valore nei prodotti è catastrofica e il potenziale per conservare o ripristinare questo valore nel tempo è enorme. Penso che chi inizierà a guardare alle tecnologie digitali in questa direzione otterrà un bel vantaggio competitivo. Non sono per nulla d’accordo con il lavoro che McKinsey sta facendo sulle fabbriche faro. Il Global Lighthouse Network celebra l'uso delle tecnologie digitali e l’industria 4.0 guardando soltanto all’uso efficiente delle risorse negli stabilimenti produttivi. Non si chiede cosa succede dopo che i prodotti hanno lasciato la fabbrica. Non si celebra l'intero ciclo di vita, né la catena di approvvigionamento. Per fortuna, in controtendenza, inizio a vedere aziende che danno valore a questo fattore. Tra di esse ci sono alcune aziende italiane di macchine utensili che vogliono usare la robotica oppure RecoNext che vuole applicare l'intelligenza artificiale per smistare i prodotti pronti per essere rigenerati.

Si creeranno molti posti di lavoro nel settore nei prossimi anni?

Ho visto così tante ipotesi a tal proposito e non credo a nessuna di queste. Il punto di partenza è sbagliato: non dovremmo essere guidati dalla possibilità dei posti di lavoro, ma essere spinti in primo luogo dalla possibilità di investimenti. Gli investimenti genereranno posti di lavoro, molti dei quali non siamo a conoscenza. Potremo costruire grandi fabbriche, con un sacco di attrezzature e pochissimo personale, ma le catene di approvvigionamento intorno si trasformeranno e ci sarà magari molto lavoro creato dentro e intorno ad esse, lavoro che semplicemente non siamo stati in grado di misurare. Non credo si possano fare previsioni davvero concrete in questa direzione.

fonte: www.renewablematter.eu


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La rivoluzione verde è “un’enorme fake news”? Ecco perché non è così

Le materie prime necessarie alla transizione energetica non sarebbero sufficienti, secondo articolo apparso sul blog del quotidiano di Confindustria che ha innescato un ampio dibattito. Un contributo di Gianni Silvestrini, pubblicato sul sito Italialibera.online, ne evidenzia le inesattezze.




Sul blog “Econopoly” del Sole 24 Ore, lunedì 11 novembre è comparso un contributo dal titolo “La grande eresia: la rivoluzione verde è un’enorme fake news?” firmato da Enrico Mariutti. Una provocazione che solleva un problema reale, quello delle risorse per la transizione energetica. Ma mescola dati corretti e valutazioni sbagliate. Con il risultato di disorientare i lettori.

Scrive Mariutti: «Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale dovremo imparare a sfruttare l’energia del sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema. Tutto giusto, no? No, tutto sbagliato… Di circa una decina di materiali alla base della ‘rivoluzione verde’ le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili».

Questo si legge nel blog. Visto che l’Europa e altri paesi si stanno avviando in questo percorso, saremmo in un vicolo cieco.

In realtà, questi limiti si possono superare e la sfida della domanda dei materiali, e dell’impatto ambientale legato alla loro produzione, va affrontata con grande serietà.

L’articolo citato sul blog del Sole propone invece alcune soluzioni alternative che non si reggono in piedi, come vedremo, ed è pieno di imprecisioni. Ne citiamo qualcuna.

Si legge nell’articolo di Mariutti: «Per produrre l’acciaio necessario a costruire pannelli e turbine eoliche sufficienti a generare 25.000 TWh (terawattora) l’anno di energia rinnovabile, potremmo avere bisogno di 7.000/40.000 TWh l’anno di energia fossile in più».

Non si capisce da dove vengano quelle cifre. È infatti noto che l’Energy Payback Time (Ept), l’arco temporale in cui un modulo fotovoltaico restituisce l’energia necessaria alla sua produzione, risulta, secondo il “Fraunhofer Institute for Solar Energy Systems”, di 1 anno nel Sud Europa e di 1,5 anni nel Nord Europa. Per quanto riguarda gli aerogeneratori l’Ept è inferiore all’anno

Ma proseguiamo. Nel blog del Sole si legge anche che «per produrre una tonnellata di alluminio sono necessari circa 30.000 kWh».

Ma la media mondiale è stimata in 14.221 kWh/t, nel caso di produzione dalla bauxite. In realtà un terzo dell’alluminio proviene dal riciclo e il consumo energetico in questo caso si riduce del 95%. Si può quindi stimare un consumo medio mondiale per il processo completo di produzione di una tonnellata di alluminio, includendo la trasformazione della bauxite in allumina, di 11.600 kWh.

E ci sarebbero diverse altre osservazioni da fare. Ma veniamo al cuore del problema che riguarda la domanda di materie prime necessarie alla transizione energetica. Si tratta certamente di un aspetto da seguire con attenzione, anche per le sue implicazioni ambientali e sociali.

Come ridurre le criticità delle materie prime? Per evitare che si determinino criticità sono perseguibili diversi approcci.

a) Un primo percorso per contenere la pressione sugli approvvigionamenti riguarda l’innovazione tecnologica. Ricordiamo che il contenuto di silicio nelle celle solari è passato dai 16 grammi/Watt nel 2004 ai 4 grammi/Watt nel 2017. E si potranno aprire nuove frontiere, come con le celle solari organiche ultrasottili. Oppure, consideriamo il recente annuncio di Tesla di voler produrre batterie prive di cobalto. Di grande interesse inoltre è la ricerca di soluzioni che riducano la dipendenza dalle terre rare impiegate nei magneti permanenti utilizzati in particolare negli aerogeneratori offshore .

b) C’è un secondo filone che riguarda il recupero dei materiali dai prodotti a fine vita. Già ora più della metà di metalli come ferro, zinco, platino vengono riciclati e coprono più di un quarto della domanda europea. Nel caso delle batterie al litio, nel 2018 si sono riciclate quasi 100.000 tonnellate su scala globale, in gran parte in Cina. La percentuale di recupero a livello mondiale delle terre rare è invece molto bassa, dell’1%, ma si ritiene di potere arrivare a recuperarne un terzo nel medio periodo. Alcune iniziative per il loro recupero si stanno avviando anche fuori dalla Cina.

c) Abbiamo infine le nuove attività di esplorazione. A settembre, ad esempio, negli Usa è stato presentato il Reclaiming America Rare Earths Act che prevede incentivi fiscali per le compagnie coinvolte nell’estrazione e nel riciclo delle terre rare e di metalli nel territorio americano. È prevedibile dunque l’avvio di iniziative minerarie in diversi paesi, dall’Australia al Canada, dagli Usa alla Groenlandia (ricordate la bizzarra idea di Trump di voler comprare questa isola?). La mobilitazione di investimenti pubblici e privati su vasta scala attraverso la European Battery Alliance dovrebbero far sì che che l’80% della domanda di litio sia soddisfatta da fonti europee, per esempio dal Portogallo, entro il 2025 [Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, Critical Raw Materials Resilience: Charting a Path towards greater Security and Sustainability, 3 settembre 2020].

C’è ancora una riflessione più di fondo da fare. Ed è decisiva. Le possibili criticità sull’uso delle risorse minerali e idriche impongono non solo una maggiore attenzione nel ridurre i consumi energetici, ma sollecitano anche una rivisitazione dell’attuale modello economico e lanciano un messaggio ad una maggiore sobrietà.

Sono proprio i temi toccati nel recente summit “Economy of Francesco” nel quale Papa Bergoglio ha tracciato un percorso per la ripresa dopo la pandemia. «Sapete che urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che l’attuale sistema mondiale è insostenibile (…). Non possiamo contare su una disponibilità assoluta, illimitata o neutra delle risorse».

Sulla bacchetta magica della Cattura Diretta di Anidride carbonica (Dac) prospettata da Enrico Mariutti ci soffermeremo nella seconda parte di questo articolo dal titolo “Tutti i limiti della cattura della CO2 per fare la “rivoluzione verde”.

fonte: www.qualenergia.it


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Green Symposium 2020 - Bratti: «occasione importante di confronto con le imprese»


"Un'iniziativa importante per confrontarsi con le imprese del Sud, ma anche per migliorare il nostro lavoro nel campo della produzione di dati e della tutela dell'ambiente". Anche il direttore generale di Ispra Alessandro Bratti entra nella rete del Green Symposium 2020.




fonte: www.ricicla.tv

Batterie per veicoli elettrici, l’Ue approva un sostegno pubblico di 3,2 miliardi di 7 Stati membri e c’è anche l’Italia

Progetto paneuropeo di ricerca e innovazione. Patuanelli: «Un passo importante nella direzione del rafforzamento di una comune strategia industriale europea»






















La Commissione europea ha approvato un importante progetto di comune interesse europeo (“IPCEI”), notificato congiuntamente da Italia, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Polonia e Svezia per sostenere la ricerca e l’innovazione nel settore prioritario comune europeo delle batterie e in una nota spiega che «I sette Stati membri erogheranno nei prossimi anni finanziamenti fino a circa 3,2 miliardi di € a favore di tale progetto che ci si aspetta possa mobilitare 5 miliardi di € supplementari di investimenti privati. Il completamento del progetto nel suo insieme è previsto per il 2031 (con un calendario diverso per i singoli sottoprogetti)».
Il progetto coinvolgerà 17 partecipanti diretti (per l’Italia Solvay, Endurance, FAAM, Enel X, Kaitek), soprattutto industrie, alcune delle quali con attività in più di uno Stato membro. I partecipanti diretti collaboreranno strettamente tra loro e con oltre 70 partner esterni, quali piccole e medie imprese e organismi pubblici di ricerca di tutta Europa.
L’Italia ha chiesto l’autorizzazione a concedere finanziamenti per circa 570 milioni di euro; il Belgio 80 milioni di €; la Finlandia 30 milioni di €; la Francia 960 milioni di €; la Germania 1,25 miliardi di €; la Polonia 240 milioni di € e la Svezia 50 milioni di €. Ma una quota significativa degli utili aggiuntivi realizzati dai partecipanti sarà condivisa con i contribuenti mediante un meccanismo di recupero. In altri termini, se i progetti si riveleranno efficaci, generando entrate nette supplementari al di là delle proiezioni, le imprese restituiranno ai rispettivi Stati membri una parte del denaro dei contribuenti ricevuto.
Margrethe Vestager, vicepresidente esecutiva designata per “Un’Europa pronta per l’era digitale” e Commissaria responsabile per la concorrenza, ha sottolineato che «La produzione di batterie in Europa riveste un interesse strategico per l’economia e la società dato il suo potenziale in termini di mobilità pulita e di energia, creazione di posti di lavoro, sostenibilità e competitività. I nostri importanti progetti di comune interesse favoriscono la cooperazione tra autorità pubbliche e industrie di diversi Stati membri per la realizzazione congiunta di ambiziosi progetti di innovazione con ricadute positive per i settori industriali e le regioni. L’aiuto approvato garantirà che questo importante progetto possa essere realizzato senza falsare indebitamente la concorrenza»
i partecipanti al progetto e i loro partner concentreranno il loro lavoro su quattro settori: 1.  Materie prime e materiali avanzati: il progetto mira a definire processi innovativi sostenibili per l’estrazione, la concentrazione, la raffinazione e la purificazione dei minerali al fine di generare materie prime di elevata purezza. Per quanto riguarda i materiali avanzati (come catodi, anodi e elettroliti), il progetto si propone di migliorare i materiali esistenti, o di crearne di nuovi, da utilizzare in celle di batterie innovative. 2,  Celle e moduli: il progetto mira a sviluppare celle e moduli innovativi con l’obiettivo di garantire la sicurezza e le prestazioni necessarie sia per le applicazioni automobilistiche sia per quelle di altro tipo (ad es., accumulatori stazionari di energia, utensili elettrici, ecc.). 3. Sistemi di batterie: il progetto ha l’obiettivo di sviluppare sistemi innovativi di batterie, compresi software e algoritmi per la gestione delle batterie e metodi di prova innovativi. 4  Ridestinazione, riciclaggio e raffinazione: il progetto ha l’obiettivo di mettere a punto processi sicuri e innovativi per la raccolta, lo smantellamento, la ridestinazione, il riciclaggio e la raffinazione dei materiali riciclati.
Secondo il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli. «Con l’approvazione della Commissione Ue del progetto comune promosso dall’Italia insieme ad altri sei Paesi membri si compie un passo importante nella direzione del rafforzamento di una comune strategia industriale europea. L’obiettivo è quello di supportare le imprese nella produzione di batterie di nuova generazione, con ricadute positive sia in termini di sostenibilità ambientale che di competitività del sistema industriale europeo. Grazie a questa misura, l’Italia mette in sicurezza e consolida – con un piano di investimenti tra fondi pubblici e privati di circa 850 milioni di euro – il suo presidio manifatturiero in questo settore strategico».
Alla fine del 2017 la Commissione europea aveva varato la “European Battery Alliance” con gli Stati membri e i rappresentanti dell’industria interessati e nel maggio 2018 aveva adottato un piano d’azione strategico per le batterie e Maroš Šefčovič, vicepresidente della commissione Ue per le relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche, ha evidenziato che «I nostri sforzi per dare impulso all’innovazione nell’ambito dell’European Battery Alliance si stanno traducendo nella creazione di forti partenariati industriali. Grazie agli intensi sforzi prodigati da sette Stati membri, dall’industria e dalla Commissione, si sta creando il primo grande ecosistema paneuropeo delle batterie, con progetti all’avanguardia in tutti i segmenti di questa strategica catena del valore. Abbiamo trovato la ricetta giusta per la nostra politica industriale del 21° secolo: una forte cooperazione all’interno del settore industriale, un’azione concertata volta ad accelerare l’innovazione dai “laboratori al mercato”, la combinazione di strumenti finanziari provenienti sia dal settore pubblico che da quello privato e un quadro normativo proiettato verso il futuro per sostenere un’economia europea più forte e basata sulla conoscenza».
La commissione europea conclude: «La transizione verso la neutralità climatica, anche attraverso una mobilità pulita e a basse emissioni, offrirà notevoli opportunità per la crescita economica, la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo tecnologico. La domanda di batterie dovrebbe crescere molto rapidamente negli anni a venire. Le politiche lungimiranti in materia di ricerca, sviluppo e innovazione avranno un ruolo fondamentale per consentire all’Europa e ai suoi Stati membri di trarre il massimo vantaggio da questa transizione. Il progetto, che si iscrive in questa serie di iniziative, sostiene lo sviluppo di tecnologie altamente innovative e sostenibili per le batterie agli ioni di litio (elettrolita liquido e stato solido) che hanno una durata maggiore, tempi di ricarica più brevi oltre ad essere più sicure ed ecologiche di quelle attualmente disponibili. Il progetto comporta attività di ricerca ambiziose e rischiose per realizzare innovazioni che vadano oltre lo Stato dell’arte in tutta la catena del valore delle batterie, dall’estrazione e lavorazione delle materie prime, alla produzione di sostanze chimiche avanzate, alla progettazione di celle e moduli di batterie e alla loro integrazione nei sistemi intelligenti, al riciclaggio e alla ridestinazione delle batterie usate. Le innovazioni mireranno inoltre specificamente a migliorare la sostenibilità ambientale in tutti i segmenti della catena del valore delle batterie, con l’obiettivo di ridurre l’impronta di CO2 e i rifiuti generati nei differenti processi di produzione e di mettere a punto processi di smantellamento, riciclaggio e raffinamento sostenibili e rispettosi dell’ambiente, in linea con i principi dell’economia circolare».
fonte: www.greenreport.it

Migliori tecnologie disponibili per l’incenerimento dei rifiuti, un utile strumento per smettere ?

Abbiamo già parlato dell’importanza delle decisione UE in merito alle migliori tecnologie disponibili (BAT).






















































Il principale aspetto è quello che rappresentano uno strumento a disposizione (anche) delle popolazioni esposte per valutare le prestazioni ambientali di un dato impianto nell’ambito di una filiera produttiva sottoposta alla direttiva sulle emissioni industriali ed in particolare gli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale.
L’emanazione di una decisione UE su una filiera produttiva fa anche scattare l’obbligo della revisione di tutte le autorizzazioni (AIA) degli impianti esistenti entro 4 anni dalla pubblicazione sulla gazzetta europea con i relativi obblighi di adeguamento alle migliori tecnologie disponibili descritte nelle decisioni.
Ora è (finalmente) la volta degli impianti di incenerimento.
Con la decisione UE 2019/2010 del 12.11.2019 sono state definite le BAT per gli impianti di incenerimento (e coincenerimento) e dovranno pertanto essere riviste le autorizzazioni entro il 3.12.2023.
decisione ue bat inceneritori 2019
Un primo intervento dal “basso” è sicuramente quello di non lasciare che gli enti preposti (regioni o province a seconda dei casi) si sveglino all’ultimo minuto e, anzi, attivare la procedura di revisione da subito, pubblicizzandola.
Entrando su alcuni aspetti tecnici di rilievo (la decisione non è fondata sul nulla ma sulle normative previgenti e sulle linee guida europee relative agli impianti di incenerimento del 2006) possiamo evidenziare :
– L’introduzione, nelle considerazioni alla base del rilascio delle autorizzazioni e delle relative prescrizioni, di contaminanti finora poco considerati ed in particolare la famiglia dei polibromodibenzo diossine e furani (una versione poco conosciuta rispetto alle diossine clorurate) per le emissioni e tutta la banda dei POP (inquinanti organici persistenti) per quanto riguarda scorie e residui solidi dai sistemi di abbattimento
– La considerazione del rendimento elettrico lordo e del rendimento energetico lordo. Si tratta di specifiche in qualche modo già considerate nella normativa (nell’ambito in particolare della fatidica formula R1 che – grazie alla “larghezza” della sua formulazione – fornisce la “patente” di impianto di recupero energetico a quasi tutti gli impianti esistenti. Ora la verifica del rendimento va fatta anche “alla base” ovvero alla turbina (rendimento elettrico lordo) e alla caldaia (rendimento energetico lordo) con prestazioni non sempre agevoli da garantire. Per esempio, per gli impianti esistenti si richiede una efficienza energetica lorda tra il 20 e il 35 % (solo quelli più recenti riescono a posizionarsi intorno al 21 %, nel caso di impianti non recenti difficilmente si va oltre il 18-19 %) e ancor più per quelli “futuri” cui si richiede una efficienza elettrica lorda tra il 25 e il 35 % (tralasciamo le note che introducono, tanto per cambiare, deroghe e/o applicazioni solo a certe tipologie di caldaie/turbine).
– Tra le BAT disponibili viene segnalata (per diossine e mercurio) il sistema di abbattimento per adsorbimento del flusso dei fumi su “letto” di lignite, coke attivo o polimero impregnato di carbonio)
– I livelli di emissioni associati alla applicazione delle BAT risultano i seguenti
Polveri : 2-5 mg/Nmc
Acido cloridrico (HCl) : 2-8 mg/Nmc (il livello più alto per gli impianti esistenti)
Acido fluoridrico (HF) > 1 mg/Nmc
Ossidi di zolfo 5-40 mg/Nmc (il livello più alto per gli impianti esistenti)
Ossidi di azoto : 50-150 mg/Nmc (il livello più alto per gli impianti esistenti)
Ossido di carbonio : 10 -50 mg/Nmc
Ammoniaca : 2- 10 mg/Nmc
Mercurio : 1 -10 mg/Nmc (in realtà si individuano come attuabili livelli per nuovi impianti tra 0,015 e 0,035 mg/Nmc)
Nessuna indicazione, purtroppo, per gli altri parametri (metalli pesanti, PM10/PM2,5, diossine, IPA, PCB ….) che sono invece considerati nell’ambito dei rilasci con gli scarichi idrici in presenza di sistemi di trattamento dei fumi di tipo umido (con soluzioni di reattivi).
Per gli aspetti rimanenti non vi sono grandi novità rispetto alle già note modalità gestionali e di monitoraggio conosciute (ma non sempre pienamente adottate nelle autorizzazioni dei singoli impianti in esercizio).
Ovviamente, dal punto di vista di chi scrive, la questione non è come “bruciare meglio” i rifiuti ma come evitare ogni – presunta – necessità di bruciarli. La migliore tecnologia disponibile da attuare è infatti quella della prevenzione, riduzione, riuso e riciclo.
Nel frattempo la decisione UE è utile per contrastare nuove patacche e impianti obsoleti.
Marco Caldiroli
fonte: https://www.medicinademocratica.org/

Ecomondo 2019: il programma giorno per giorno

Si svolgerà dal 5 all'8 novembre 2019 la 23esima edizione di Ecomondo: diversi gli appuntamenti in programma, ecco i principali giorno per giorno.





Appuntamento dal 5 all’8 novembre con Ecomondo 2019. La ventitreesima fiera dedicata alla Green Economy e a una gestione ottimale delle risorse naturali è ospitata come ormai di consueto dai padiglioni di RiminiFiera ed è organizzata dall’Italian Exibithion Group. Diversi gli eventi e gli incontri previsti, per un programma fitto e ricco di interesse per i visitatori e gli stakeholder.

In concomitanza con Ecomondo 2019 lo svolgimento, da martedì 5 e mercoledì 6, degli Stati Generali della Green Economy, dove istituzioni, aziende e associazioni di settore faranno il punto sullo stato dell’economia circolare in Italia e sull’andamento del “Green” nei vari comparti (inclusi quelli della mobilità sostenibile, dell’innovazione tecnologica e dell’energia rinnovabile).


Altro evento di richiamo previsto per Ecomondo 2019 è la tappa riminese della mostra multisensoriale itinerante “RiAmare – Essere Plastic Free”, realizzata da Assonautica Italiana, che vede la collaborazione di GreenStyle.it in qualità di Media Partner.
Aree tematiche e ingresso

Sono quattro le aree tematiche principali in cui si articola Ecomondo 2019: Acqua; Bioeconomia Circolare; Bonifica e rischio idrogeologico; Rifiuti e risorse. A queste sono affiancati un pari numero di progetti speciali: Circular Economy Stories; Piattaforma Bio-metano; SAL.VE; Startup green.

Due le tipologie di tagliandi, validi per l’ingresso a Ecomondo 2019, disponibili per i visitatori: si tratta del biglietto giornaliero, valido per una sola giornata e un unico ingresso (non sarà possibile allontanarsi dal quartiere fieristico e farvi ritorno), e di un mini abbonamento per due giornate (ciascuna delle quali regolata secondo quanto stabilito per l’accesso giornaliero).

L’orario di apertura e chiusura della fiera sarà comune per tutte le giornate, dal 5 all’8 novembre 2019, con ingressi a partire dalle 9 del mattino e con stop alle attività previsto per le ore 18.
Ecomondo 2019: il programma giorno per giorno

Molti gli eventi e gli appuntamenti che compongono il programma di Ecomondo 2019. Di seguito alcuni tra gli incontri principali, a cominciare da quelli organizzati nell’ambito degli Stati Generali della Green Economy. Da non dimenticare anche i vari incontri allestiti da espositori e associazioni di settori, consultabili sul sito ufficiale ecomondo.com.

Martedì 5 novembre

Tra gli appuntamenti di maggior richiamo previsti per la giornata inaugurale vi è senz’altro la “Sessione plenaria di apertura: Green New Deal e sfida climatica: obiettivi e percorso al 2030” relativa agli Stati Generali della Green Economy. Il via è previsto per le 10:30, con i lavori che dovrebbero concludersi intorno alle 13:30. L’incontro si svolgerà presso la Sala Neri – Hall Sud.

Durante la stessa giornata si svolgeranno, dalle 15 alle 18, anche alcuni eventi tematici dedicati agli Stati Generali della Green Economy, intitolati: “Il Green New Deal per le città: un programma nazionale di rigenerazione urbana” (Agorà Energy 2 – Pad. D7); “Il Green New Deal per la circular economy: Indirizzi per il recepimento delle Direttive e le necessarie infrastrutture” (Sala Neri – Hall Sud); “Il Green New Deal per il territorio: il ruolo delle imprese per valorizzare l’agricoltura e il capitale naturale” (Sala Diotallevi – Hall Sud).

Nella mattina della giornata inaugurale è previsto anche l’evento “Il Cluster Agrifood: una partnership pubblico – privato a supporto della strategia della bioeconomia per un settore agroalimentare sostenibile. Priorità e casi industriali di successo”. Si svolgerà dalle 10 alle 13:30 presso la Sala Biobased Industry – Pad. D3.

Sempre martedì 5 novembre sono previsti alcuni degli eventi “Beacon”, gli incontri “faro” che guardano direttamente al futuro della Green Economy. Nella prima giornata il focus principale sarà l’acqua. Tra questi l’evento Ecomondo intitolato “Water reuse in agriculture, sustainable irrigation and nature managed water cycle in the new european framework”, previsto presso la Sala Global Water Expo (Pad. D3) dalle 14 alle 18.

Pomeriggio che vedrà lo svolgersi anche di un altro evento Ecomondo, intitolato “Economia Circolare e Made in Italy: come cambia il modello di business della filiera chimica”. L’appuntamento è dalle 16:30 alle 18 presso la Sala Noce – Pad. A6.

Mercoledì 6 novembre

Seconda giornata ancora all’insegna degli Stati Generali della Green Economy, con la Sessione plenaria internazionale: “Clima e Green New Deal: un patto tra imprese e governi” in programma presso la Sala Neri 1 (Hall Sud) dalle 9:30 alle 13. Secondo appuntamento previsto per le 15 (termine alle 18), dal titolo “Il Green New Deal per la mobilità: less, electric, green, shared-muoversi con leggerezza” (Agorà Energy 1 – Pad. B7).

Dalle 10 alle alle 13 presso la Sala Ravezzi 1 – Hall Sud si svolgerà uno degli eventi “Beacon” di questa seconda giornata: “La strategia italiana per la plastica“. Aprirà i lavori il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa. Come riportato dallo stesso ministero:


Nella prima parte, il convegno vuole affrontare le modalità normative con le quali l’Italia si sta preparando a recepire la direttiva europea sulla plastica. Nella seconda, la parola passa alle imprese innovative italiane che hanno detto no alla plastica. Non mancherà l’attenzione al mondo della ricerca e ad altri protagonisti del cambiamento nel nostro Paese.

Decarbonizzazione dell’economia e rigenerazione dei suoli al centro del convegno “La rigenerazione del suolo, bioeconomia per l’incremento della sostanza organica e per ridurre le emissioni di anidride carbonica”. Evento Ecomondo in programma dalle 14 alle 18 presso la Sala Noce (Pad. A6).

Ottimizzare la gestione e l’utilizzazione dei rifiuti al centro dell’evento Beacon intitolato “Industria 4.0 per ottimizzare la gestione e l’utilizzazione dei rifiuti”, previsto per mercoledì 6 novembre dalle 14:30 alle 17:30 (Sala Diotallevi 1 – Hall Sud). Tra i temi trattati anche l’analisi dei cicli di vita dei prodotti. Partecipano all’incontro anche rappresentanti del Ministero dello Sviluppo Economico e della Commissione Europea.

Economia circolare e scenari futuri relativamente ai prossimi 20 anni. Se ne discuterà durante l’incontro “Circular Economy: the 21st-century economy paradigm to redefine growth and development”: avvio dei lavori alle ore 14 presso la Sala Ravezzi 2 – Hall Sud. Al centro della discussione modelli finanziari, strumenti e processi per agevolare la riprogettazione dell’ecosistema industriale.

Giovedì 7 novembre

È dedicato alla sostenibilità degli imballaggi uno dei “Beacon Event” di giovedì 7, intitolato “Il futuro della progettazione di imballaggi sostenibili. Verso un osservatorio permanente dell’innovazione del packaging”. L’appuntamento è dalle 9:30 alle 13 presso la Sala Ravezzi 2 – Hall Sud.

Le buone pratiche dell’Economia Circolare al centro dell’incontro intitolato “Circular economy good practices. Panel of the Italian Circular Economy Stakeholders Platform (ICESP)”, realizzato in collaborazione con ENEA e in programma presso la Sala Diotallevi 2 (Hall Sud) dalle 10 alle 13.

Blue Deal e sfida per un Mediterraneo sostenibile al centro del convegno “Circular Economy for the definition of a sustainable and integrated Blue Growth Strategy”, tra gli eventi Beacon di giovedì 7 novembre. Parteciperà all’incontro, in programma dalle 10 alle 17:30 presso la Sala Biobased Industry (Pad. D3) anche il Ministro plenipotenziario Enrico Granara.

Assegnato in questa terza giornata anche il Premio Sviluppo sostenibile 2019, il riconoscimento assegnato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. L’evento di premiazione e consegna delle targhe si svolgerà dalle 11 alle 13 presso il Palco Ecomondo Tv – Hall Sud, con saluti di benvenuto di Lorenzo Cagnoni (presidente Italian Exhibition Group Spa) e Edo Ronchi (presidente Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile) e interventi dei membri della commissione: Edo Ronchi, Alessandra Astolfi, Stefano Leoni, Andrea Barbabella, Fabrizio Tucci.

Venerdì 8 novembre

Tra gli eventi Beacon dedicati all’economia circolare figura anche quello in programma venerdì 8 novembre e intitolato “Promuovere la coesistenza fra Aree Protette e Usi del Mare: raccomandazioni dal progetto Interreg MED-PHAROS4MPAs”, presso la Sala Global Water Expo (Pad. D3) dalle 9:30 alle 13.

Si discuterà di comunicazione ambientale e di approccio mediatico durante l’incontro “Comunicare il valore della sostenibilità ambientale, sociale ed economica all’epoca delle fake news”. L’appuntamento con questo evento Ecomondo “Beacon” è presso la Sala Ravezzi 1 – Hall Sud, dalle 10 alle 13.

Sempre alle 10 prenderà il via l’incontro “Marine litter e Blue Economy, impatti e soluzioni dal mondo della pesca e dell’acquacultura”, con termine alle 13:45. Si svolgerà presso la Sala Diotallevi 1, situata nella Hall Sud.

Dalle 10 alle 18 presso la Sala Neri 2 (Hall Sud) si svolgerà l’incontro “European research and innovation for the implementation of circular economy and bioeconomy”, organizzato dal Comitato Tecnico Scientifico di Ecomondo in collaborazione con OCSE e Commissione Europea.

fonte: www.greenstyle.it

Una specie tra le altre

La devastazione della biosfera ha superato il limite del non ritorno ma l’economia capitalista non accetterà di porre vincoli alla crescita. Che fare? Paolo Cacciari commenta un recente articolo del filosofo inglese John Gray come una provocazione e ne raccoglie la sfida rivolta agli ecologisti. Se davvero pensiamo a una società in cui i progressi della tecnologia non vengono usati per aumentare la produzione e i consumi ma per migliorare la qualità della vita, allora dovremmo avere il coraggio di sovvertire la cultura prevalente e mettere in discussione la “religione antropocentrica” e specista. L’umanità deve cominciare a concepirsi semplicemente come una specie animale che appartiene alla Terra, una tra le altre, cui non è garantita la sopravvivenza sul pianeta. La scelta sta noi: senza uscire dall’immaginario capitalista che rifiuta ogni limite per affermare il suo dominio sulla natura e le altre forme di vita, l’ambientalismo rischia di diventare un pensiero magico, cioè irrealistico
















John Gray è un influente filosofo della politica britannico. In Italia è conosciuto soprattutto per il suo premonitore False Dawn: The Delusionsof Global Capitalism, del 1998 (tradotto da Ponte delle Grazie, Alba bugiarda. Il mito del capitalismo globale e il suo fallimento). Un liberale antiliberista, contrario ad ogni forma di misticismo, consapevole della crisi ecologica, ma oppositore del “pessimismo cosmico” di certo ambientalismo. Insomma, un pensatore che si destreggia tra le contraddizioni del mondo. In questo suo scritto per UnHerd, tradotto dal settimanale  Internazionale con il titolo Come rispondere all’emergenza. Ci vuole più realismo, affronta i temi del “che fare?” in un modo alquanto provocatorio. Per Gray, la “devastazione della biosfera” ha davvero superato il limite del non ritorno, tanto che le conseguenze del surriscaldamento climatico sono irreversibili e continueranno ad agire anche dopo che le sue cause saranno eliminate. Ma secondo lui le soluzioni indicate dagli ecologisti “figli dei movimenti antiglobalizzazione” dei primi anni 2000, come Extinction rebelion, sono sbagliate perché troppo drastiche, “arroganti”, “impopolari” e, pertanto, “ignorano la realtà geopolitica”. Non tengono conto, cioè, che i governi delle nazioni (sia quelle di più antica che di nuova industrializzazione) non resisterebbero un giorno solo – si “destabilizzerebbero” – se “dovessero smettere di usare i combustibili fossili”.  Il tenore di vita degli abitanti crollerebbe, provocando “disordini sociali su larga scala” e i prevedibili cambiamenti politici non andrebbero certo nella direzione di una maggiore protezione dell’ambiente, come dimostrano le esperienze storiche dei regimi autoritari al potere. Quindi – in breve – la tesi di Gray, al pari di scienziati come James Lovelock (l’inventore della teoria di Gaia, la Terra come superorganismo in grado di autoregolarsi, oggi sostenitore dell’energia nucleare – invero, più per disperazione, che per convinzione) – è che la salvezza del genere umano potrà realizzarsi solo attraverso uno sviluppo tecnologico sempre più radicale: concentrazione degli abitanti in “città ad alta densità”, “produzione sintetica di alimenti”, moltiplicazione delle centrali nucleari e così via.
Gray è troppo intelligente per non sapere che ci sta prospettando un mondo da incubo, sempre più artificializzato, alla Blade Ranner, ancor più indesiderabile di quello attuale. Cerchiamo quindi di capire cosa ci vuole dire il filosofo britannico. A me pare che in realtà la sua sia una sfida al mondo ambientalista, più che una vera e propria proposta politica.
Il primo livello del ragionamento di Gray è molto semplice e d’ordine immediatamente politico: “Nessuno ha mai spiegato chiaramente – denuncia con ragione il filosofo – come funzionerebbe” un sistema sociale capace di rispettare i limiti dei cicli vitali del pianeta senza  che ciò comporti “un abbassamento degli standar di vita per un gran numero di persone”. Come dire: attenti ambientalisti, se non date risposte credibili e convincenti “per i poveri e per la maggioranza dei lavoratori”, allora la vostra visione del mondo sarà destinata al fallimento. Come dargli torto? Le “politiche verdi”, infatti, sono state fin qui catturate nel discorso generico e inefficace dello “sviluppo sostenibile”, oppure sono cadute nella retorica paralizzante del catastrofismo.
La risposta  “rosso-verde”, che lega indissolubilmente giustizia ambientale e sociale, non è in effetti ancora chiaramente prospettata dai movimenti green. Tantomeno da quelli di derivazione operaia. Senza un’idea di società ecosocialista, capace di risanare i rapporti di potere tra le persone e tra le persone e la natura,  non ci potrà essere componimento win-win tra le ragioni economiche e quelle ambientali. Tra bios e logos. Tra etica ed economia. L’idea di un’economia di cura, che privilegi i valori d’uso dei beni comuni (così come prospettata dai movimenti indigeni, ecofemministi, territorialisti, neomunicipalisti, ecosolidali…) non si è ancora affacciata sulla scena della politica. Non possiamo, quindi, incolpare i professori di filosofia se ancora non la conoscono.
La seconda sfida che lancia Gray alla cultura ambientalista è ancora più impegnativa, d’ordine filosofico. Il punto di partenza del pensiero del nostro autore è sacrosanto: “L’economia industriale non accetterà che vengano stabiliti dei vincoli alla crescita”. Ma non per interessi spiccioli di ricerca della massimizzazione dei profitti, ma per ragioni metafisiche: “Sognare l’impossibile è proprio quello che rende gli esseri umani unici e speciali”. L’antropologia contemporanea deriva dal fatto che: “Gli esseri umani sono stati incoraggiati a pensare di avere quel potere sulla natura che era prerogativa del dio”. Ma, poiché “nessuno crede più” a nessun dio, sostituito dalla “devozione alla scienza (…) il cui compito è formulare leggi universali indipendenti dalle convinzioni e dai valori umani”,  allora “le emozioni soggettive devono essere messe da parte” ed è necessario “prendere atto della realtà” culturale oltre che politica, “adattarvisi” e  “trascendere il mondo naturale” attraverso la sola forza delle invenzioni tecnoscientifiche.
Chiaro, come due più due. Ma se invece – ci sfida  Gray – c’è ancora chi crede  – con John Stuart Mill 170 anni fa – che sia auspicabile avvicinarsi ad “un’economia di stato stazionario”, a “crescita zero” (oggi diremmo: una società della decrescita), “in cui i progressi della tecnologia non vengono usati per aumentare la produzione e i consumi ma per migliorare la qualità della vita”, allora costoro (gli ecologisti) dovrebbero avere il coraggio di sovvertire la “cultura prevalente” e di  mettere in discussione la “religione antropocentrica” e specista. Prima che politica, la rivoluzione verde dovrebbe quindi riguardare la dimensione antropologica, la “mentalità di oggi”. L’umanità dovrebbe concepirsi semplicemente “come una specie animale  tra tante” e “come tutte le altre non ha un ruolo garantito sulla Terra”. Senza compiere questo salto di paradigma fuori dall’immaginario capitalista (“rifiuto di qualsiasi limite”) – sembra dirci Gray –  le politiche verdi sono destinate a rimanere un “pensiero magico”, cioè irrealistico. Meglio, quindi, adattarsi agli eventi, pianificare una “ritirata sostenibile. Usando le tecnologie più avanzate”, a costo di “perdere tanta parte della piacevolezza che (la Terra) deve alle cose che per la crescita illimitata della ricchezza e della popolazione devono essere estirpate”, con buona pace di Mill, ricordato da Gray, dei Principi di Economia Politica (1848).
fonte: https://comune-info.net

Riciclare la plastica alimenta l’economia circolare e tutela l’ecosistema marino


















Il 30% della plastica viene gettata, il 95% del packaging finisce nell’ambiente. Per il Global Opportunity Report, che mette in mostra le buone pratiche sull’argomento, si perdono 120 miliardi di dollari l’anno. 22/10/2018
Gli oceani coprono il 70% dell’intero globo terrestre, offrono sostegno a tre miliardi di persone e svolgono un ruolo centrale per la regolazione climatica. Insieme al processo di acidificazione, esacerbato dal cambiamento climatico, sono minacciati dall’inquinamento e, in particolar modo, dai rifiuti di plastica. La plastica, infatti, rappresenta l’80% dei rifiuti che finiscono in mare e, continuando con questo trend, nel 2050 avremo più plastica che pesci.  
Un futuro che può essere scongiurato, nel pieno rispetto degli obiettivi di sviluppo sostenibile, grazie a una nuova visione basata sull’economia circolare. È quanto sostiene l’ultima edizione del Global Opportunity Report, studio condotto da Dnv-Gl, dal Global Compact delle Nazioni Unite (iniziativa lanciata nel 2000, si occupa di realizzare e divulgare le diverse pratiche incentrate su responsabilità e sostenibilità) e da Sustainia, che quest’anno ha focalizzato l’analisi sulle opportunità di business collegate agli SDGs 10, 12, 13 e 14.
Per quanto riguarda il Goal 14, che fa riferimento alla tutela dell’ecosistema marino, è stato stimato che il 30% della plastica prodotta non viene riutilizzata e che, solo parlando del packaging, il 95% del materiale si disperde nell’ambiente dopo il primo utilizzo. Cattiva gestione, capace di creare una grossa perdita per il sistema economico, quantificata tra 80 e 120 miliardi di dollari l’anno. Uno spreco per la filiera virtuosa dell’economia circolare da parte di un importante mercato che varrà, secondo lo studio, 650 miliardi di dollari entro il 2020.
Come invertire quindi la rotta e ridurre l’inquinamento da plastica? Lo studio mette in mostra diverse attività virtuose che potrebbero ridurre la pressione sui nostri oceani, generando pure valore aggiunto per l’economia.
Uno degli esempi virtuosi citati è quello portato avanti dall’azienda cilena “Algramo”, che ha deciso di vendere prodotti “a peso” dichiarando così la propria guerra all’usa e getta. L’azienda, che lavora direttamente con i produttori, promuove la diffusione di contenitori riutilizzabili e la commercializzazione di prodotti sfusi. Secondo le stime, in questo modo si possono far risparmiare fino al 50% dei costi attualmente sostenuti dal consumatore.
Interessante anche la soluzione di “Bee’s Wrap” per conservare i cibi e farli mantenere freschi. Combinando cotone biologico e la cera d’api, proveniente da alveari gestiti in modo sostenibile negli Stati Uniti, ha creato un involucro che, nel malaugurato caso dovesse finire in mare, risulta innocuo all’ambiente: è biodegradabile e può addirittura essere ingerito dalle specie marine.
La fondazione “Thread”, invece, impiega persone a raccogliere in Honduras e ad Haiti bottiglie di plastica che, una volta reinserite nel sistema produttivo, possono essere riutilizzate in diversi settori.
E infine una grossa mano arriva dall’innovazione tecnologica, perché la plastica può essere prodotta a partire da qualsiasi elemento che contenga idrogeno e carbonio. Fino a ora sono stati i combustibili fossili la materia prima maggiormente utilizzata per creare plastica, ma gli scienziati di “Econic” hanno sviluppato una tecnologia che permette di rendere la CO2 il principale elemento utilizzato (fino al 50% del totale dei materiali che compongono la plastica), recuperando così da una parte, il principale gas serra responsabile del cambiamento climatico, e facendo diminuire, dall’altra, l’uso di combustibili fossili.

fonte: http://asvis.it