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Tre anni di legge anti-sprechi: così le eccedenze diventano circolari

Presente e futuro della legge che ha facilitato e semplificato il meccanismo delle donazioni in Italia. La deputata Maria Chiara Gadda: «Grazie alle legge 166/2016 possiamo reimmettere in un circuito virtuoso, quello della solidarietà e dell'economia circolare, una serie di beni che sono perfettamente consumabili e che possono essere messi a disposizione a favore della comunità»





Il 14 settembre 2016 entrava in vigore la legge 166. Il provvedimento, conosciuto anche come 'legge anti-sprechi', ha facilitato e semplificato il meccanismo delle donazioni, aumentandone sia la quantità (+25%) che la varietà dei prodotti sottratti allo spreco. Il tutto con una finalità di «solidarietà sociale» come sottolinea la prima firmataria del provvedimento, Maria Chiara Gadda.

Intervenuta al convegno “The Dark Side of the Food”, la deputata ha fatto il punto della situazione su presente e futuro del provvedimento: «Oggi possiamo dire che abbiamo sperimentato tante buone pratiche». Maria Chiara Gadda si concentra su una parola: eccedenza. «È normale, capita anche nella nostra vita che si generino delle eccedenze, come accade nella filiera produttiva. La domanda a cui risponde la legge 166 è questa: che fine possono fare queste eccedenze? Attraverso un sistema di semplificazione burocratica, e anche di agevolazione fiscale, le eccedenze oggi, grazie alla legge anti-sprechi, possono diventare un bene per qualcun'altro, per le tante associazioni di volontariato impegnate sul territorio a favore di quelle persone che fanno fatica a fare la spesa».






«La cosa fondamentale è pensare al benessere della persona» afferma la deputata, che sottolinea il diritto ad una dieta sana ed equilibrata per tutti. «È bene recuperare, come dice la legge, non solo i beni a lunga conservazione ma anche quelli freschi e freschissimi, come la frutta, la verdura e i prodotti cotti: pensiamo a quante eccedenze si possono generare in una mensa scolastica, piuttosto che in un banchetto di nozze. Le legge rende possibile anche il recupero di questi beni. E poi – aggiunge Maria Chiara Gadda - prevede altri prodotti da recuperare, perché la povertà non è solo alimentare nel nostro Paese, ma anche sanitaria e legata alle condizioni di vita della persona: il benessere, infatti, si consegue anche se posso vivere in un ambiente pulito, idoneo e se posso pensare alla mia igiene personale». Nel solco di questo filosofia, il raggio d'azione del provvedimento è stato esteso successivamente. Oggi la legge 166 non riguarda soltanto il cibo, ma anche i farmaci, i prodotti di cartoleria e cancelleria, i prodotti di igiene per la persona e per la casa. «La legge – aggiunge la deputata - dà nuova vita a questi prodotti che altrimenti la perderebbero. Dobbiamo reimmettere in un circuito virtuoso, quello della solidarietà e dell'economia circolare, questa serie di beni che sono perfettamente consumabili e che possono essere messi a disposizione a favore della comunità».







In questi tre anni di legge “anti-sprechi” si sono anche concretizzate a livello territoriale esperienze di aggregazione sul tema. Da Torino arriva l'esempio di “Food PRIDE, Partecipare, Recuperare, Integrare, Distribuire, Educare”. Intorno a queste parole d'ordine, che sono anche la sigla del progetto, una quindicina di enti e associazioni del capoluogo e della città metropolitana, con il sostegno della Compagnia di San Paolo, si sono messe in rete contro lo spreco alimentare sul territorio. Tra le azioni intraprese, un innovativo sistema di recupero e redistribuzione delle eccedenze alimentari invendute nei mercati rionali e nei negozi di prossimità, realizzato con l'ausilio dei FOOD PRIDErs, fattorini con biciclette e cargo bike che trasportano il cibo verso i punti di raccolta e distribuzione.

I primi risultati del progetto testimoniano che la sinergia funziona. «Solo nei mesi di giugno e luglio, grazie alla disponibilità dei commercianti e alla presenza di collaboratori e volontari, abbiamo recuperato e distribuito più di 20.000 kg di alimenti ancora edibili. Inoltre - evidenzia Sonia Migliore, referente del progetto Food Pride - il progetto attua attività di educazione alimentare e contro lo spreco di cibo tramite laboratori di cucina sociale in cui i partecipanti diventano protagonisti nella realizzazione di piatti creativi, nella preparazione di pasti condivisi per “alimentare” momenti conviviali di quartiere, nei festival e nelle attività didattiche». Infine, un’ulteriore azione del progetto prevede momenti di formazione sulla legge anti-sprechi. «Un provvedimento fondamentale - conclude Sonia Migliore - i cui effetti positivi possono crescere ancora di più se la legge viene compresa a fondo da tutti gli attori coinvolti nel processo».
GIUSEPPE IASPARRA


fonte: https://www.lastampa.it

Riciclare la plastica alimenta l’economia circolare e tutela l’ecosistema marino


















Il 30% della plastica viene gettata, il 95% del packaging finisce nell’ambiente. Per il Global Opportunity Report, che mette in mostra le buone pratiche sull’argomento, si perdono 120 miliardi di dollari l’anno. 22/10/2018
Gli oceani coprono il 70% dell’intero globo terrestre, offrono sostegno a tre miliardi di persone e svolgono un ruolo centrale per la regolazione climatica. Insieme al processo di acidificazione, esacerbato dal cambiamento climatico, sono minacciati dall’inquinamento e, in particolar modo, dai rifiuti di plastica. La plastica, infatti, rappresenta l’80% dei rifiuti che finiscono in mare e, continuando con questo trend, nel 2050 avremo più plastica che pesci.  
Un futuro che può essere scongiurato, nel pieno rispetto degli obiettivi di sviluppo sostenibile, grazie a una nuova visione basata sull’economia circolare. È quanto sostiene l’ultima edizione del Global Opportunity Report, studio condotto da Dnv-Gl, dal Global Compact delle Nazioni Unite (iniziativa lanciata nel 2000, si occupa di realizzare e divulgare le diverse pratiche incentrate su responsabilità e sostenibilità) e da Sustainia, che quest’anno ha focalizzato l’analisi sulle opportunità di business collegate agli SDGs 10, 12, 13 e 14.
Per quanto riguarda il Goal 14, che fa riferimento alla tutela dell’ecosistema marino, è stato stimato che il 30% della plastica prodotta non viene riutilizzata e che, solo parlando del packaging, il 95% del materiale si disperde nell’ambiente dopo il primo utilizzo. Cattiva gestione, capace di creare una grossa perdita per il sistema economico, quantificata tra 80 e 120 miliardi di dollari l’anno. Uno spreco per la filiera virtuosa dell’economia circolare da parte di un importante mercato che varrà, secondo lo studio, 650 miliardi di dollari entro il 2020.
Come invertire quindi la rotta e ridurre l’inquinamento da plastica? Lo studio mette in mostra diverse attività virtuose che potrebbero ridurre la pressione sui nostri oceani, generando pure valore aggiunto per l’economia.
Uno degli esempi virtuosi citati è quello portato avanti dall’azienda cilena “Algramo”, che ha deciso di vendere prodotti “a peso” dichiarando così la propria guerra all’usa e getta. L’azienda, che lavora direttamente con i produttori, promuove la diffusione di contenitori riutilizzabili e la commercializzazione di prodotti sfusi. Secondo le stime, in questo modo si possono far risparmiare fino al 50% dei costi attualmente sostenuti dal consumatore.
Interessante anche la soluzione di “Bee’s Wrap” per conservare i cibi e farli mantenere freschi. Combinando cotone biologico e la cera d’api, proveniente da alveari gestiti in modo sostenibile negli Stati Uniti, ha creato un involucro che, nel malaugurato caso dovesse finire in mare, risulta innocuo all’ambiente: è biodegradabile e può addirittura essere ingerito dalle specie marine.
La fondazione “Thread”, invece, impiega persone a raccogliere in Honduras e ad Haiti bottiglie di plastica che, una volta reinserite nel sistema produttivo, possono essere riutilizzate in diversi settori.
E infine una grossa mano arriva dall’innovazione tecnologica, perché la plastica può essere prodotta a partire da qualsiasi elemento che contenga idrogeno e carbonio. Fino a ora sono stati i combustibili fossili la materia prima maggiormente utilizzata per creare plastica, ma gli scienziati di “Econic” hanno sviluppato una tecnologia che permette di rendere la CO2 il principale elemento utilizzato (fino al 50% del totale dei materiali che compongono la plastica), recuperando così da una parte, il principale gas serra responsabile del cambiamento climatico, e facendo diminuire, dall’altra, l’uso di combustibili fossili.

fonte: http://asvis.it