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Verso l’Economia Circolare attraverso soluzioni di Industria 4.0

Cosa si intende per Economia Circolare ed Industria 4.0? E come favorire la creazione di economie circolari attraverso la digitalizzazione prevista dal nuovo paradigma Industria 4.0?



L’Economia Circolare e l’Industria 4.0 sono tra i temi più trattati degli ultimi anni ed una loro implementazione simultanea costituirà la sfida e l’opportunità del prossimo futuro. Risulta, quindi, fondamentale valutare l’evoluzione nel tempo dei legami tra queste due tematiche e capire se esistono tecnologie dell’Industria 4.0 che favoriscono maggiormente la creazione di economie circolari e, in caso affermativo, stabilire quali sono.

Ma cosa si intende per Economia Circolare ed Industria 4.0?

L’Economia Circolare è un modello economico e produttivo che si basa sulla riduzione al minimo del consumo di risorse finite grazie ad una progettazione intelligente di materiali, prodotti e sistemi. Si vuole sostituire il modello lineare “sfruttare-produrre-gettare” con quello a ciclo chiuso che consiste nel “produrre-utilizzare-riciclare-riprodurre-riutilizzare”. Si tratta, pertanto, di un sistema in grado di autorigenerarsi trasformando in risorsa tutto ciò che ordinariamente è considerato un rifiuto.

Per Industria 4.0 si intende la digitalizzazione delle imprese per migliorare la qualità produttiva, l’efficienza degli impianti e le condizioni di lavoro. Secondo uno studio del Boston Consulting Group l’Industria 4.0 è caratterizzata da nove tecnologie abilitanti, ognuna delle quali in grado di portare contributo sostanziale per la creazione della Smart Factory. Di seguito sono elencate le tecnologie e le loro caratteristiche principali:

Internet of Things: rete di comunicazione multidirezionale tra processi produttivi e macchine tramite cui si possono raccogliere grandi quantità di dati al fine di analizzarli e migliorare l’intera catena produttiva;

Cloud Computing: data center che permette all’utilizzatore di disporre in modo sicuro dei dati di cui ha bisogno anche all’esterno dell’azienda;

Realtà Aumentata con Intelligenza Artificiale: tecnologia che consente di aggiungere elementi virtuali a una cornice del mondo reale ed espandere in tal modo il proprio potenziale visivo. Grazie al supporto dell’Intelligenza Artificiale, la Realtà Aumentata è in grado di migliorare il proprio output in termini di efficienza e accuratezza;

Produzione Additiva: sistema di stampa 3D che consente la realizzazione di parti componenti, semilavorati o prodotti finiti, attraverso l’aggiunta di strati successivi di materiale e che permette un’accelerazione nello sviluppo di nuovi prodotti e, di conseguenza, una loro più rapida immissione sul mercato;

Integrazione orizzontale e verticale: la prima prevede l’integrazione dei processi produttivi, mentre la seconda il collegamento di tutti i livelli logici all’interno dell’organizzazione quali area Ricerca e Sviluppo, produzione, gestione del prodotto, controllo qualità, vendita e marketing, post vendita;

Cybersecurity: tecnologia perproteggere il sistema informatico aziendale da attacchi che possono portare alla perdita o compromissione di dati ed informazioni;

Robot autonomi: strumenti interconnessi e rapidamente programmabili che consentono di avere una produzione con maggiore flessibilità, qualità e sicurezza;

Simulazione:tecnologia chepermette di ricreare e testare oggetti reali in uno spazio virtuale in modo tale da ridurre costi e consumi energetici ed il cui esempio più interessante risulta essere il Digital Twin;

Big Data Analytics: sistemi che rendono possibile l’analisi di un’ampia quantità di dati per ottimizzare prodotti e processi produttivi, contribuendo in modo significativo alla riduzione dell’impatto ambientale grazie ad una diminuzione del consumo di energia, dello spreco di materiale e di emissioni.

Per valutare le interconnessioni ed i trend relativi ai concetti di Economia Circolare ed Industria 4.0 è stato utilizzato uno strumento chiamato mappe di co-occorrenza relative ai periodi 2016-2018 e 2019-2021, realizzate facendo ricorso ai dati presenti in letteratura
(Figure 1 e 2).

  

Figura 1: Periodo 2016-2018: keyword co-occurrence bibliometric map

Figura 2: Periodo 2019-2021: keyword co-occurrence

La loro analisi evidenzia che negli ultimi anni cresce sempre più l’interesse verso la sostenibilità, in particolar modo per quanto riguarda l’aspetto ambientale. Inoltre, per la trasformazione da economia lineare ad Economia Circolare è fondamentale il management, che deve essere adeguatamente formato per poter diventare promotore del cambiamento.

Come favorire la creazione di economie circolari attraverso la digitalizzazione prevista dal nuovo paradigma Industria 4.0?

La ricerca mostra che tecnologie quali Internet of Things, Big Data Analytics e, recentemente, anche Produzione Additiva, in particolar modo combinata con l’Intelligenza Artificiale, sono da annoverare tra i principali abilitatori digitali di economie circolari.

Le tecnologie di Internet of Things sono utilizzate principalmente per estendere il ciclo di vita del prodotto ma si rivelano essere una buona soluzione anche per la gestione delle operazioni di raccolta e recupero dei rifiuti nella supply chain.

Le tecnologie di Big Data Analytics sono utili per impiegare in modo efficiente le risorse, per raccogliere o gestire dati relativi al ciclo di vita dei prodotti e per sviluppare nuovi modelli di business in ottica circolare.

L’Intelligenza Artificiale può contribuire all’implementazione dell’Economia Circolare nell’accelerare lo sviluppo di prodotti, di componenti e nella scelta di materiali sostenibili attraverso processi di progettazione assistiti che consentono prototipazione e test rapidi. Favorisce, inoltre, l’attuazione di modelli di business circolari.

La Produzione Additiva può incentivare l’Economia Circolare grazie al supporto che offre in termini di gestione del ciclo di vita dei prodotti, dei processi di riciclo e della digitalizzazione della produzione.

Ma è realmente possibile creare economie circolari con gli strumenti che l’Industria 4.0 offre? Siemens è un esempio di azienda che ha provato ad implementare il binomio Industria 4.0 ed Economia Circolare. Grazie, infatti, all’utilizzo di un software di Intelligenza Artificiale, connettendo tutte le varie parti della fabbrica, permette di predire con anticipo problemi ai macchinari in modo da evitare costosi periodi di inattività, allungare il loro ciclo di vita, migliorare l’utilizzo delle risorse e, quindi, il consumo energetico. Quando affiancato da Digital Twin delle macchine e processi produttivi, inoltre, questo approccio consente di testare virtualmente diversi possibili scenari, eliminando gli sprechi dovuti a simulazioni fisiche ed aumentando l’efficienza e l’affidabilità della lavorazione.

In conclusione, la ricerca fornisce uno spunto di riflessione per sottolineare il legame tra Economia Circolare ed Industria 4.0 e per far comprendere che la transizione verso l’Economia Circolare passa attraverso l’innovazione resa possibile dall’Industria 4.0. Le sue tecnologie, infatti, sono in grado di ottimizzare l’uso delle risorse, riducendo gli sprechi, semplificando i processi e rendendo sostenibile l’uso delle infrastrutture.

È necessario, quindi, connettere queste due tematiche per realizzare quelle che saranno le Smart Sustainable Factories in grado di portare un triplice vantaggio economico, ambientale e sociale. Una maggiore affermazione dell’Economia Circolare avrà un effetto pratico e concreto sulla società che risulterà dotata di un’economia moderna, efficiente e competitiva ad impatto climatico “zero”.

fonte: www.rinnovabili.it


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REMANUFACTURING: UN ENORME POTENZIALE CIRCOLARE ANCORA DA SFRUTTARE




Negli ultimi mesi politiche e iniziative a livello europeo e mondiale hanno posto l’accento sul potenziale della rigenerazione come modello cruciale per l’economia circolare, utile per l’estensione della vita dei prodotti così come per la conservazione del valore nell’economia.
Ad aprile 2021, con una serie di webinar online, il Reman Day organizzato dal Remanufacturing Industries Council (RIC) ha celebrato una delle R alla base dell’economia circolare: la R di rigenerazione (in inglese remanufacturing). Definita anche la spina dorsale dell’economia circolare, la rigenerazione è una pratica industriale che permette di "riportare un prodotto ad almeno le sue prestazioni originali con una garanzia equivalente o migliore di quella del prodotto di nuova fabbricazione” (fonte Remanufacturing Market Study).
In Europa leader ed esperto del settore, nato sull’esempio dello statunitense RIC, è l’European Remanufacturing Council che annovera tra i suoi membri ENEL. Per capire a fondo le potenzialità e le prospettive della rigenerazione Materia Rinnovabile ha intervistato David Fitzsimons, direttore dell’European Remanufacturing Council, con un’esperienza di oltre 25 anni nel settore.



Dove si concentra maggiormente al momento l’attività di remanufacturing?

Tradizionalmente il 90% dell'attività di remanufacturing si colloca nell'area business to business. Si tratta, quindi, un'attività industriale che si potrebbe definire commerciale. Sta crescendo, però, anche la parte B2C, rivolta al consumatore, in particolare per prodotti come gli smartphone. Spinto dal movimento per il diritto alla riparazione, penso ci sarà un continuo ampliamento dei beni di consumo che vedranno un’estensione del proprio ciclo di vita grazie sia a franchising locali di riparazione su piccola scala che ad ampie fabbriche su scala industriale a livello nazionale e internazionale. Mentre nel primo caso possiamo parlare di rigenerazione come riparazione, nel secondo caso si tratta di rigenerazione come “rifabbricazione”.

Quali elementi hanno il maggior potenziale di accelerare la diffusione delle attività di rigenerazione?

La robotica e le tecnologie digitali hanno un grande potenziale, possono fare incrementare enormemente le possibilità del settore. Grandi opportunità esistono nel settore automobilistico dove il WEF sta lavorando alla Circular Cars Initiative. Il problema è che, spesso, il remanufacturing entra in gioco soltanto in una fase post vendita. Non si pensa che possa, invece, contribuire anche durante la produzione di nuovi veicoli. Se questo dovesse cambiare il potenziale sarebbe enorme. Affinché ciò avvenga serve un cambiamento a livello normativo e alcuni incentivi economici.

A quali cambiamenti si riferisce in particolare?

Alla nuova e imminente iniziativa sui prodotti sostenibili alla quale sto contribuendo in questo momento a Bruxelles. C’è molto da fare a livello legislativo e politico. Abbiamo sviluppato molte politiche nella giusta direzione negli ultimi 20 o 30 anni, ora è il momento di guardare ad una migliore progettazione e all’estensione della vita dei prodotti. La sfida che l’odierna Sustainable Product Initiative della Commissione europea pone è quella di sviluppare una serie di politiche che rendano il remanufacturing un'attività redditizia per le imprese. Ci vorrà tempo, ma penso vedremo un costante trasferimento di conoscenze nel settore, che oggi nell’UE vale circa 30 miliardi di euro. Sembrano molti, ma si tratta soltanto del 2% dell’economia europea. Certamente questo settore crescerà in futuro. Il nostro obiettivo è arrivare a 50 miliardi entro il 2030. Per questo cerchiamo di rendere il settore più attraente per gli investimenti. È fondamentale anche rendere coscienti i responsabili politici della necessità di nuovi incentivi a supporto delle aziende. L’UE e le Nazioni Unite sono molto ambiziose al riguardo come dimostra anche il lancio di GACERE - Global Alliance on Circular Economy and Resource Efficiency lo scorso febbraio. GACERE aiuterà a diffondere le politiche sviluppate nell'UE e il vocabolario utilizzato nell'UE oltre i confini del mercato unico.

Quali sono i settori più interessanti per remanufacturing?

In termini di valore assoluto direi, senza dubbio, l’aviazione, in termini di volumi l'automotive. Il terzo settore più grande è probabilmente quello della difesa, di cui nessuno conosce le reali dimensioni. Seguono a ruota il settore delle attrezzature e dei veicoli fuoristrada come le grandi scavatrici e quello delle apparecchiature informatiche b2b. Poi ci sono una serie di altri settori definiti nel Remanufacturing Market Study dell’European Remanufacturing Network finanziato da Horizon 2020. È un ambito cruciale per le grandi aziende come Michelin e Volvo come per le piccole aziende come Hetzel, azienda tedesca a conduzione familiare, leader nella rigenerazione dei cambi automatici delle automobili.

Quali sono i Paesi più all’avanguardia?

A livello di leadership nazionale sicuramente la Francia. I politici francesi sembrano essere abbastanza preparati a correre rischi. Seguono i Paesi Bassi e i Paesi scandinavi. Dal Regno Unito, avendo appena lasciato l'UE, mi aspetto una politica a tal proposito quest'anno o l'anno prossimo.
Per quanto riguarda le dimensioni del settore sicuramente al primo posto si colloca la Germania, seguita da Italia, Francia, Regno Unito, che cambiano posizionamento in classifica a seconda del tipo di prodotti presi in considerazione. La Polonia, invece, è un paese che abbiamo, in passato, sottovalutato. Abbiamo, tuttavia, notato che molti investimenti vanno verso la Polonia perché ha una buona posizione logistica per rifornire tutta Europa e un'ottima rete stradale. Alcuni nostri membri, come Lexmark per le cartucce rigenerate per stampanti, sono molto soddisfatti degli investimenti fatti in Polonia, dove sono rigenerate anche molte componenti per l’aviazione e per i veicoli agricoli.
Fuori dall’Europa è da tenere sott’occhio il Canada, il cui caso è stato studiato dal recente RemanCan.

Quali sono gli elementi su cui si giocherà il futuro del remanufacturing?

Sicuramente i dati. Vedo che moltissimi dati oggi vengono persi durante il ciclo di vita dei prodotti, dati che non arrivano al produttore, ma che sarebbero cruciali per estendere la vita del prodotto se condivisi. Durante il processo di fabbricazione e fino al momento della vendita si usano tutte le tecniche possibili per ottenere ogni minimo valore aggiunto, anche se spesso si lavora su minimi margini di miglioramento. Dopo la vendita, invece, la perdita di valore nei prodotti è catastrofica e il potenziale per conservare o ripristinare questo valore nel tempo è enorme. Penso che chi inizierà a guardare alle tecnologie digitali in questa direzione otterrà un bel vantaggio competitivo. Non sono per nulla d’accordo con il lavoro che McKinsey sta facendo sulle fabbriche faro. Il Global Lighthouse Network celebra l'uso delle tecnologie digitali e l’industria 4.0 guardando soltanto all’uso efficiente delle risorse negli stabilimenti produttivi. Non si chiede cosa succede dopo che i prodotti hanno lasciato la fabbrica. Non si celebra l'intero ciclo di vita, né la catena di approvvigionamento. Per fortuna, in controtendenza, inizio a vedere aziende che danno valore a questo fattore. Tra di esse ci sono alcune aziende italiane di macchine utensili che vogliono usare la robotica oppure RecoNext che vuole applicare l'intelligenza artificiale per smistare i prodotti pronti per essere rigenerati.

Si creeranno molti posti di lavoro nel settore nei prossimi anni?

Ho visto così tante ipotesi a tal proposito e non credo a nessuna di queste. Il punto di partenza è sbagliato: non dovremmo essere guidati dalla possibilità dei posti di lavoro, ma essere spinti in primo luogo dalla possibilità di investimenti. Gli investimenti genereranno posti di lavoro, molti dei quali non siamo a conoscenza. Potremo costruire grandi fabbriche, con un sacco di attrezzature e pochissimo personale, ma le catene di approvvigionamento intorno si trasformeranno e ci sarà magari molto lavoro creato dentro e intorno ad esse, lavoro che semplicemente non siamo stati in grado di misurare. Non credo si possano fare previsioni davvero concrete in questa direzione.

fonte: www.renewablematter.eu


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Sette ragioni per cui l’Europa deve investire di più nel fotovoltaico

Le proposte di SolarPower Europe alla Commissione Ue per rilanciare l’industria del settore con il Green Deal.















L’Europa deve definire una strategia più ambiziosa, chiara e lungimirante per promuovere le energie rinnovabili e il fotovoltaico in particolare.
Questo l’appello che arriva dalla lobby del settore, SolarPower Europe, insieme con diversi istituti di ricerca (l’ultima adesione in ordine di tempo è quella del tedesco Fraunhofer ISE), quando manca un mese alla prima comunicazione ufficiale della Commissione Ue sulla strategia industriale europea nell’ambito del programma per il Green Deal.
Per convincere Bruxelles a prendere il più seriamente possibile le richieste dell’industria FV, SolarPower Europe ha pubblicato un documento che riassume sette motivi che dovrebbero spingere l’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen a favorire lo sviluppo del fotovoltaico in Europa.
Tra questi, uno dei più importanti è la crescita attesa del fotovoltaico nel nostro continente nei prossimi decenni: si citano, in particolare, le stime di Bloomberg New Energy Finance e della Lappeenranta University of Technology, secondo cui il solare coprirà, rispettivamente, il 36% della domanda elettrica europea nel 2050 e il 69% sempre nel 2050, nello scenario del 100% di rinnovabili costruito dai modelli teorici dell’università finlandese.
Un altro fattore decisivo, si legge nel documento, è la forte riduzione dei prezzi del fotovoltaico negli ultimi vent’anni, da circa 5.000 euro in media per kW nel 2000 a 1.960 euro/kW oggi. Tanto che produrre energia elettrica con i pannelli FV in grandi parchi utility-scale costa meno rispetto all’utilizzo di fonti fossili: siamo sotto 0,04 euro/kWh (vedi anche qui).
Terzo motivo che dovrebbe favorire gli investimenti nel fotovoltaico, sostiene SolarPower Europe, è la creazione di nuovi posti di lavoro.
Ricordiamo che un recente studio dell’università di Lappeenranta ha stimato che nel 2050 ci saranno 22 milioni di occupati nella filiera FV su scala globale; mentre l’Agenzia internazionale delle energie rinnovabili (IRENA: International Renewable Energy Agency) nel suo ultimo rapporto sui “colletti verdi” ha stimato in circa 11 milioni i posti di lavoro direttamente associati alle fonti rinnovabili su scala mondiale nel 2018, di cui 3,6 milioni nel fotovoltaico.
Tra l’altro, la stessa SolarPower Europe alla fine dello scorso dicembre ha evidenziato che il fotovoltaico europeo è entrato in una nuova fase espansiva con oltre 16 GW installati nel 2019 nei 28 Stati membri Ue, +104% rispetto al 2018.
E lo scenario intermedio prevede una crescita del 26% nel 2020 con 20-21 GW di potenza installata nel nostro continente, per poi continuare a salire nei tre anni successivi.
Insomma le ragioni per fare del fotovoltaico uno dei pilastri del Green Deal e più in generale della futura strategia industriale europea ci sono tutti, senza dimenticare l’impulso verso la generazione distribuita con l’autoconsumo elettrico collettivo, che inizia a farsi sentire (anche in Italia) grazie alle norme inserite nella direttiva Ue RED II sulle rinnovabili.
fonte: www.qualenergia.it

Economia circolare: arriva la prima bozza del piano UE

“Dobbiamo cambiare il modo in cui produciamo, commercializziamo, consumiamo e commerciamo e il modo in cui trattiamo i rifiuti”. Questo è quanto scrive la Commissione Europea nella bozza del piano sull’economia circolare. Dai rifiuti all’obsolescenza pianificata, ecco le principali questioni affrontate nel documento




La Commissione europea sta lavorando ad un piano d’azione per l’economia circolare che dovrebbe essere presentato a marzo. Nonostante questo, Euroactiv ha ottenuto una prima bozza del piano, in cui il concetto di circolarità viene descritto come “strumentale” per raggiungere l’obiettivo UE di neutralità climatica entro il 2050. Infatti, secondo la bozza, il 66% delle emissioni di CO2 è direttamente ricollegabile alla gestione dei materiali, condizione che rende l’economia circolare “un importante fattore di neutralità climatica”da integrare nei piani climatici nazionali degli Stati membri ai sensi dell’accordo di Parigi.

Pur essendo ancora soggetto a modifiche, il piano fornisce delle chiare indicazioni sulle intenzioni della Commissione Europea: “per dissociare assolutamente la crescita dall’uso delle risorse, dobbiamo cambiare il modo in cui produciamo, commercializziamo, consumiamo e commerciamo e il modo in cui trattiamo i rifiuti. Uno dei principali obiettivi della nuova tabella di marcia per l’economia circolare è l’impegno a ridurre significativamente i rifiuti. Nelle intenzioni dell’esecutivo europeo, la quantità di rifiuti urbani residui dovrebbe essere dimezzata nel prossimo decennio. Entro il 2030, inoltre, solo i prodotti più sicuri, circolari e sostenibili dovrebbero essere immessi sul mercato dell’UE. Ciò significa che la Commissione concentrerà i suoi sforzi su “misure a monte”, immaginando di definire dei requisiti minimi che impediscano che prodotti non sostenibili siano ammessi nell’eurozona.
La bozza di documento pone anche l’accento sulle tecnologie digitali. Da quanto si legge, “verrà sviluppato un dataspace circolare europeo per migliorare “qualità, pertinenza e disponibilità” dei dati relativi al prodotto. Ciò includerà “informazioni digitali obbligatorie” lungo le catene del valore del prodotto, tramite un passaporto elettronico che renderà accessibili le caratteristiche dei prodotti. Questo dataspace avrà lo scopo di tutelare i consumatori, questione che rientra tra gli interessi primari del governo europeo, anche immaginando per il futuro “una nuova proposta legislativa che imponga alle società di comprovare le proprie affermazioni sulle prestazioni ambientali.

La Commissione intende inoltre reprimere le “pratiche di obsolescenza pianificate” e stabilire “un nuovo diritto alla riparazione come diritto del consumatore”, garantendo la disponibilità di “servizi di riparazione a prezzi accessibili” e pezzi di ricambio. A questo si aggiunge anche una nuova legislazione sui requisiti essenziali per l’imballaggio; una revisione delle leggi sulle sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (RoHS); norme di verifica ed etichettatura più rigorose per garantire che le materie plastiche a base biologica producano reali benefici ambientali; azioni per rendere accessibile l’acqua potabile nei luoghi pubblici e ridurre la dipendenza dall’acqua in bottiglia.
Jean-Pierre Schweitzer, responsabile delle politiche per l’economia circolare presso l’European Environmental Bureau (EEB), ha però puntato l’attenzione sui ‘grandi assenti’ del piano di economia circolare nella sua attuale versione, tra cui obiettivi più espliciti nella riduzione degli sprechi commerciali e misure più specifiche in settori come il tessile e l’arredamento“Speriamo che la Commissione si impegni a fissare rapidamente requisiti minimi nelle strategie settoriali”, ha dichiarato Schweitzer a Euroactiv. D’altro canto, ad ottobre i governi nazionali avevano invitato la Commissione “ad adottare un nuovo piano d’azione per l’economia circolare con azioni mirate nei settori industriali“, come quello tessile, dei trasporti e alimentare, nonché nei settori dell’edilizia e della demolizione.
“Il progetto di piano d’azione per l’economia circolare mostra molti elementi promettenti, in particolare l’ambizione di ridurre il nostro consumo di risorse in termini assoluti e di rendere sostenibili tutti i prodotti sul mercato europeo”, ha comunque affermato Schweitzer. L’economia circolare è diventata un tema politico chiave per l’Unione Europea già sotto la precedente Commissione Juncker. L’attuale vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, si è preso allora personalmente cura dell’agenda dell’economia circolare: ora, pare che voglia portarla al livello successivo come parte del Green Deal europeo.


fonte: www.rinnovabili.it

Batterie per veicoli elettrici, l’Ue approva un sostegno pubblico di 3,2 miliardi di 7 Stati membri e c’è anche l’Italia

Progetto paneuropeo di ricerca e innovazione. Patuanelli: «Un passo importante nella direzione del rafforzamento di una comune strategia industriale europea»






















La Commissione europea ha approvato un importante progetto di comune interesse europeo (“IPCEI”), notificato congiuntamente da Italia, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Polonia e Svezia per sostenere la ricerca e l’innovazione nel settore prioritario comune europeo delle batterie e in una nota spiega che «I sette Stati membri erogheranno nei prossimi anni finanziamenti fino a circa 3,2 miliardi di € a favore di tale progetto che ci si aspetta possa mobilitare 5 miliardi di € supplementari di investimenti privati. Il completamento del progetto nel suo insieme è previsto per il 2031 (con un calendario diverso per i singoli sottoprogetti)».
Il progetto coinvolgerà 17 partecipanti diretti (per l’Italia Solvay, Endurance, FAAM, Enel X, Kaitek), soprattutto industrie, alcune delle quali con attività in più di uno Stato membro. I partecipanti diretti collaboreranno strettamente tra loro e con oltre 70 partner esterni, quali piccole e medie imprese e organismi pubblici di ricerca di tutta Europa.
L’Italia ha chiesto l’autorizzazione a concedere finanziamenti per circa 570 milioni di euro; il Belgio 80 milioni di €; la Finlandia 30 milioni di €; la Francia 960 milioni di €; la Germania 1,25 miliardi di €; la Polonia 240 milioni di € e la Svezia 50 milioni di €. Ma una quota significativa degli utili aggiuntivi realizzati dai partecipanti sarà condivisa con i contribuenti mediante un meccanismo di recupero. In altri termini, se i progetti si riveleranno efficaci, generando entrate nette supplementari al di là delle proiezioni, le imprese restituiranno ai rispettivi Stati membri una parte del denaro dei contribuenti ricevuto.
Margrethe Vestager, vicepresidente esecutiva designata per “Un’Europa pronta per l’era digitale” e Commissaria responsabile per la concorrenza, ha sottolineato che «La produzione di batterie in Europa riveste un interesse strategico per l’economia e la società dato il suo potenziale in termini di mobilità pulita e di energia, creazione di posti di lavoro, sostenibilità e competitività. I nostri importanti progetti di comune interesse favoriscono la cooperazione tra autorità pubbliche e industrie di diversi Stati membri per la realizzazione congiunta di ambiziosi progetti di innovazione con ricadute positive per i settori industriali e le regioni. L’aiuto approvato garantirà che questo importante progetto possa essere realizzato senza falsare indebitamente la concorrenza»
i partecipanti al progetto e i loro partner concentreranno il loro lavoro su quattro settori: 1.  Materie prime e materiali avanzati: il progetto mira a definire processi innovativi sostenibili per l’estrazione, la concentrazione, la raffinazione e la purificazione dei minerali al fine di generare materie prime di elevata purezza. Per quanto riguarda i materiali avanzati (come catodi, anodi e elettroliti), il progetto si propone di migliorare i materiali esistenti, o di crearne di nuovi, da utilizzare in celle di batterie innovative. 2,  Celle e moduli: il progetto mira a sviluppare celle e moduli innovativi con l’obiettivo di garantire la sicurezza e le prestazioni necessarie sia per le applicazioni automobilistiche sia per quelle di altro tipo (ad es., accumulatori stazionari di energia, utensili elettrici, ecc.). 3. Sistemi di batterie: il progetto ha l’obiettivo di sviluppare sistemi innovativi di batterie, compresi software e algoritmi per la gestione delle batterie e metodi di prova innovativi. 4  Ridestinazione, riciclaggio e raffinazione: il progetto ha l’obiettivo di mettere a punto processi sicuri e innovativi per la raccolta, lo smantellamento, la ridestinazione, il riciclaggio e la raffinazione dei materiali riciclati.
Secondo il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli. «Con l’approvazione della Commissione Ue del progetto comune promosso dall’Italia insieme ad altri sei Paesi membri si compie un passo importante nella direzione del rafforzamento di una comune strategia industriale europea. L’obiettivo è quello di supportare le imprese nella produzione di batterie di nuova generazione, con ricadute positive sia in termini di sostenibilità ambientale che di competitività del sistema industriale europeo. Grazie a questa misura, l’Italia mette in sicurezza e consolida – con un piano di investimenti tra fondi pubblici e privati di circa 850 milioni di euro – il suo presidio manifatturiero in questo settore strategico».
Alla fine del 2017 la Commissione europea aveva varato la “European Battery Alliance” con gli Stati membri e i rappresentanti dell’industria interessati e nel maggio 2018 aveva adottato un piano d’azione strategico per le batterie e Maroš Šefčovič, vicepresidente della commissione Ue per le relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche, ha evidenziato che «I nostri sforzi per dare impulso all’innovazione nell’ambito dell’European Battery Alliance si stanno traducendo nella creazione di forti partenariati industriali. Grazie agli intensi sforzi prodigati da sette Stati membri, dall’industria e dalla Commissione, si sta creando il primo grande ecosistema paneuropeo delle batterie, con progetti all’avanguardia in tutti i segmenti di questa strategica catena del valore. Abbiamo trovato la ricetta giusta per la nostra politica industriale del 21° secolo: una forte cooperazione all’interno del settore industriale, un’azione concertata volta ad accelerare l’innovazione dai “laboratori al mercato”, la combinazione di strumenti finanziari provenienti sia dal settore pubblico che da quello privato e un quadro normativo proiettato verso il futuro per sostenere un’economia europea più forte e basata sulla conoscenza».
La commissione europea conclude: «La transizione verso la neutralità climatica, anche attraverso una mobilità pulita e a basse emissioni, offrirà notevoli opportunità per la crescita economica, la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo tecnologico. La domanda di batterie dovrebbe crescere molto rapidamente negli anni a venire. Le politiche lungimiranti in materia di ricerca, sviluppo e innovazione avranno un ruolo fondamentale per consentire all’Europa e ai suoi Stati membri di trarre il massimo vantaggio da questa transizione. Il progetto, che si iscrive in questa serie di iniziative, sostiene lo sviluppo di tecnologie altamente innovative e sostenibili per le batterie agli ioni di litio (elettrolita liquido e stato solido) che hanno una durata maggiore, tempi di ricarica più brevi oltre ad essere più sicure ed ecologiche di quelle attualmente disponibili. Il progetto comporta attività di ricerca ambiziose e rischiose per realizzare innovazioni che vadano oltre lo Stato dell’arte in tutta la catena del valore delle batterie, dall’estrazione e lavorazione delle materie prime, alla produzione di sostanze chimiche avanzate, alla progettazione di celle e moduli di batterie e alla loro integrazione nei sistemi intelligenti, al riciclaggio e alla ridestinazione delle batterie usate. Le innovazioni mireranno inoltre specificamente a migliorare la sostenibilità ambientale in tutti i segmenti della catena del valore delle batterie, con l’obiettivo di ridurre l’impronta di CO2 e i rifiuti generati nei differenti processi di produzione e di mettere a punto processi di smantellamento, riciclaggio e raffinamento sostenibili e rispettosi dell’ambiente, in linea con i principi dell’economia circolare».
fonte: www.greenreport.it

Firenze: l'economia circolare che non c'è. Ancora

Venerdì 14 giugno 2019, presso il Convitto della Calza, a Firenze, si è tenuto un convegno sul tema dell'economia circolare, dal titolo: "L'economia circolare che non c'è. Ancora"



















Il titolo "ad effetto" del convegno, "L'economia circolare che non c'è. Ancora", tenutosi presso il Convitto della Calza, venerdì 14 giugno 2019, sicuramente apparirà provocatorio per alcuni, ma disvelare certe realtà sull'economia circolare determina sempre qualche "piccolo o grande terremoto".
Gli interventi, che si sono susseguiti, sono stati tutti molto concreti e soprattutto tesi a spazzare via una "visione bucolica" dell'economia circolare, riportando l'attenzione sulla vera natura della questione: l' economia circolare è una politica industriale, che non riguarda tanto e solo il perimetro delle politiche ambientali ma quelle industriali ed economiche.
convitto calza_ pubblicoQuesto vuole dire interessarsi dei mercati, dei flussi dei mercati, con perdite e profitti, ma anche della dimensione industriale delle imprese; in sostanza parlare di economia circolare significa in primo luogo parlare di una maggiore industrializzazione, una maggiore presenza di impianti di gestione rifiuti nei nostri territori.
Come fa notare Antonio Cianciullo, giornalista di La Repubblica, moderatore del convegno, di recente, abbiamo assistito ad un'accelerazione del dibattito sull'economia circolare, probabilmente sotto la spinta di un rinnovato interesse per l'ambiente manifestato a livello globale dal movimento per il clima "Friday for future", ma anche da alcuni importanti, quanto inquietanti, dati sulle temperature raggiunte nel 2018, uno degli anni più caldi, mai registrati, non solo in Italia ma anche in Europa.
Anche la finanza sembra mostrare un interesse per l'ambiente con il green bond; in particolare, in Norvegia, dove è presente uno dei fondi sovrani più forti al mondo, stanno disinvestendo, con un preciso piano finanziario, dai fossili per puntare sulle energie rinnovabili. La Norvegia infatti non vuole farsi cogliere impreparata, e quindi sanzionabile, nel caso in cui venisse seriamente reso operativo il Patto di Parigi, in questo modo, dal punto di vista economico-finanziario avrebbe guadagnato con la decarbonizzazione ambientalmente ma anche finanziariamente.
Non ci rimane che prendere atto che l'ambiente "comincia ad essere di moda", questo lo dimostra anche la recente richiesta dei costruttori di automobili negli Stati Uniti d'America: questi hanno chiesto al Presidente americano di re-introdurre norme restrittive circa le emissioni prodotte dalle auto perché il consumatore è sensibile alle questioni ambientali e richiede un'auto rispettosa dell'ambiente, non mostrandosi disponibile a comprarne una priva di certe caratteristiche di sostenibilità ambientale.
Il trend è chiaro ... ma i tempi meno!
Ingresso convittoStefano Carnevali, AD Unieco Ambiente, sottolinea come ancora oggi, in Italia, l'economia circolare non sia pensata come un comparto industriale.
Questo stallo deve essere superato, per questo è necessario andare oltre alla dimensione sanitaria della questione, le attività e le infrastrutture non possono essere bloccate tenendo conto solo della dimensione sanitaria del loro impatto.
Al tempo stesso è opportuno mantenere una posizione di rilievo, in Europa l'Italia può vantare una certa esperienza nel riciclo ma non deve perdere terreno e rinunciare a margini di crescita.
Affinché l'economia circolare possa affermarsi, Carnevali suggerisce di dotarsi di
  • un quadro giuridico certo, con ridotte, se non nulle, possibilità di interpretazione
  • una PA che si ponga al fianco delle imprese e non in antagonismo con queste
  • attività produttive con dimensione industriale, superando la logica del "piccolo è bello".
Carnevali conclude che, nel nostro Paese, dobbiamo convincerci che la presenza di impianti industriali di gestione rifiuti è un deterrente all'abbandono e alla gestione illecita degli stessi, al contrario, il settore rischia di finire nelle mani delle organizzazione malavitose e chi si oppone alla costruzione di nuovi impianti, seppur involontariamente e indirettamente, diviene complice delle ecomafie.
Antonio Cianciullo riprende il tema dei nuovi impianti, che oggi, ancora di più, rappresenta una questione di interesse, infatti la Cina insieme ad altri paesi asiatici hanno deciso di bloccare le importazioni di molti materiali, come la plastica, che dobbiamo quindi gestire, meglio riciclare o smaltire nel nostro territorio nazionale, senza pensare a destinazioni altre in Europa o in altre parti del mondo.
Andrea Sbandati, Direttore Cispel Toscana, precisa che l'economia circolare spesso è vista come una sorta di bacchetta magica che fa sparire i rifiuti. In realtà, economia circolare significa più imprese e più mercato, con i pro e i contro dei flussi legati ai mercati ed i rischi industriali connessi alle attività imprenditoriali.
Questo nuovo modo di concepire l'economia, non più lineare ma circolare, è una sfida industriale che deve essere sostenuta anche dalle istituzioni pubbliche, non solo a livello nazionale ma anche regionale e locale, con un impegno forte e chiaro in questa direzione.
convitto-relatori.jpgDobbiamo prendere coscienza del fatto che l'economia circolare parte dalla produzione di beni, passa da uno stadio intermedio, rappresentato dallo stoccaggio e dalla preparazione del rifiuto per un suo riutilizzo e riciclo, e finisce in un'attività industriale in grado di re-inserire in un processo produttivo quello che inizialmente era un rifiuto. Questo comporta che la filiera a monte e quella a valle si muovano con un certo coordinamento, in ottica appunto di filiera integrata, perché l'economia circolare funziona, con buoni risultati che ci fanno anche primeggiare in Europa, laddove esiste un mercato consolidato che accoglie i materiali per re-inserli in processi produttivi.
Antonio Cianciullo sottolinea come, nel nostro Paese, si faccia economia circolare dal Medioevo, un esempio per tutti è Prato, ma, da venti anni circa, siamo fermi. Questo è dovuto anche ad una totale assenza di piano industriale che comporta l'incapacità di realizzare gli impianti industriali necessari.
Luana Frassinetti, AD di CSAI, ricorda come, nel prossimo futuro, lo smaltimento in discarica dovrà diventare un pezzetto piccolo della gestione dei rifiuti, perché questo avvenga, in primo luogo, è necessario cominciare a produrre materiali eco-sostenibili, ovvero prodotti il cui ciclo di vita sia stato studiato e valutato attentamente, determinandone preventivamente la destinazione del fine vita.
Fino ad oggi, la discarica (come ad esempio quella di podere Rota) ha avuto un importante ruolo, anche in Toscana, in quanto ha fornito la risposta a molte crisi dei rifiuti; non ultima quella relativa alla gestione dei fanghi, che ha coinvolto, di recente, la nostra regione e che ha visto la discarica prendersi carico di questa tipologia di rifiuti che altri impianti hanno rifiutato.
Oltre alla produzione di prodotti ecosostenibili, dobbiamo anche pensare al fatto che aumentando la raccolta differenziata aumentano gli scarti, che, per lo più, almeno sinora, sono destinati alla discarica, e probabilmente lo saranno anche nel futuro, con "buona pace per la politica del rifiuto zero".
Infine Frassinetti sottolinea che i gestori di impianti di smaltimento rifiuti, ogni anno, effettuano svariati controlli ambientali e intervengono per eliminare, e se non è possibile fortemente ridurre, ogni tipo di impatto che la loro attività industriale produce sulla popolazione, mostrandosi sensibili all'ambiente ma anche alla popolazione circostante.
Antonio Cianciullo sostiene che, in Italia, ci siano molte paure, nessuno vuole vivere vicino ad impianti di gestione rifiiuti, anche per questo, essendo molto bravi a produrre parole, abbiamo inventato il termine "termovalorizzatore", che non usano in altri paesi, questo conferma la nostra tendenza a misurarci con gli scenari della fantasia piuttosto che con quelli industriali.
Alessia Schiappini, AD di Alia, ritiene che per affermare l'economia circolare, in primo luogo, serva una buona raccolta differenziata, questo comporta un patto con l'utenza e l'introduzione della tracciabilità del rifiuto, "tracciare l'utenza per avere rifiuti di qualità". Al contrario sarà difficile potere garantire quelle caratteristiche di qualità, richieste dalle imprese e condicio sine qua non per avviare al riciclo i nostri rifiuti, se questo non avverrà, purtroppo, avremo solo una quantità maggiore di scarti.
Sergio Gatteschi, Presidente regionale di Amici della Terra, pensa che si possa affermare un modello basato sull'economia circolare se verrà:
  • superata la cultura del sospetto, che vede la gestione illecita dei rifiuti ovunque
  • dettato un quadro normativo dove sia disciplinata in modo corretto la materia seconda, nonché normato l'end of waste
  • implementata la progettazione di beni facilmente riciclabili a fine vita; come accade, ad esempio, nel settore dell'automobile, dove è previsto che i materiali utilizzati siano riciclabili al 90%
  • superato il pregiudizio legato al recupero energetico, che deve anch'esso trovare uno spazio privo di  osteggiamenti.
Federica Fratoni, Assessore Ambiente Regione Toscana, riconosce che la Toscana si deve dotare di un maggiore numero di impianti per la gestione di rifiuti, che ancora oggi lo smaltimento in discarica è alto (circa il 30%) mentre la raccolta differenziata non raggiunge percentuali tra le più alte nel panorama nazionate, attestandosi a circa il 50%.
Il cambiamento di modello economico deve sicuramente subire un'accelerazione ma molto deve fare anche il legislatore nazionale, si pensi alla disciplina del sottoprodotto o a quella dell'end of waste o alla necessità di creare una normazione su certi aspetti similare tra rifiuti urbani e speciali e molto altro ancora.
Probabilmente l'occasione concreta, a livello nazionale, per dare avvvio ad un reale cambiamento potrà manifestarsi con il recepimento del pacchetto UE sull'economia circolare.
convegno economia circolare-fratoniNel frattempo l'Assessore ricorda che la Regione ha avviato alcuni tavoli sull'economia circolare, definendo in certi settori, come il conciario, anche interessanti accordi, altri ne verranno stipulati in futuro, con il settore tessile, per esempio, ma anche con altri comparti industriali rappresentativi nel nostro tessuto industriale regionale.
Chiude il convegno il moderatore, Antonio Cianciullo, auspicando che un ritardo, come quello che si registra in Toscana, possa trasformarsi in un futuro vantaggio costituito da un'accorta pianificazione e realizzazione di impianti di nuova generazione utili alla realizzazione di un concreto sistema fondato sull'economia circolare. 
fonte: http://www.arpat.toscana.it/