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Rinnovabili e clima: la teoria dei “punti critici” positivi spiegata in pillole

Fotovoltaico e auto elettrica hanno già innescato un'accelerazione (irreversibile?) della transizione energetica.










Di solito si pensa a un “tipping point” (punto critico) con accezione negativa, nell’ambito delle discussioni sul cambiamento climatico.

Siamo sempre più vicini, infatti, a dei potenziali punti di non ritorno nei processi climatici, che potrebbero accelerare notevolmente il surriscaldamento globale: lo scioglimento dei ghiacci artici e del permafrost, ad esempio, così come la distruzione di ecosistemi vitali per mantenere in equilibrio il clima (foreste, torbiere).

Intanto dal Berkeley Earth arriva la conferma che il 2020 è stato l’anno più caldo di sempre, insieme con il 2016, con un’anomalia di circa +1,2 gradi centigradi in confronto alla media registrata nell’età preindustriale (1850-1900).

La crescente abbondanza di gas serra nell’atmosfera, dovuta alle attività umane, evidenzia una nota del centro scientifico americano, è la causa diretta di questo recente global warming.

E per rimanere sotto la soglia dei 2 gradi di riscaldamento terrestre, come previsto dall’accordo di Parigi, afferma il Berkeley Earth, bisogna conseguire rapidamente significativi progressi nella riduzione delle emissioni inquinanti.

Qui entra in gioco la teoria dei punti critici “positivi” che potrebbero consentire all’attuale sistema energetico-economico di uscire più rapidamente dai combustibili fossili e così frenare il surriscaldamento globale.

Una teoria illustrata nel nuovo studio di Simon Sharpe e Timothy Lenton: il primo lavora nella CoP 26 Unit del governo britannico (la CoP 26 è il vertice Onu sul clima che si terrà a novembre a Glasgow), il secondo è un professore dell’Università di Exeter.

Nella ricerca, intitolata “Upward-scaling tipping cascades to meet climate goals: plausible grounds for hope” (link in basso), si parla soprattutto di due settori, trasporti stradali e produzione di energia elettrica, dove – secondo gli autori – si sono già innescati dei punti critici positivi grazie alle politiche di alcuni Paesi.

Tali punti critici, si spiega nello studio, si attivano quando una piccola perturbazione iniziale è in grado di trasformare, nel tempo, un intero sistema grazie all’effetto-domino: in pratica, si attivano reazioni “a cascata” che si autoalimentano portando a cambiamenti che possono essere irreversibili.

Quando nuove tecnologie si diffondono nei diversi mercati e nelle società – affermano Sharpe e Lenton – tendono a beneficiare di cosiddetti “feedback” multipli che si rinforzano a vicenda. Si parla di economie di scala, miglioramenti tecnici e produttivi, emergere di tecnologie complementari, riduzioni di costo.

Un esempio è nei grafici pubblicati da Our World in Data sulla competitività delle diverse fonti di generazione elettrica.

In sintesi: le fonti rinnovabili – il fotovoltaico in modo particolare – seguono le cosiddette “curve di apprendimento” (learning curves), vale a dire, ogni volta che raddoppia la capacità cumulativa installata in una data tecnologia, il costo di quella stessa tecnologia si riduce sensibilmente.

Ecco perché in pochi anni le rinnovabili, in molti Paesi, sono diventate molto più economiche di gas, carbone, petrolio. In altre parole, produrre energia elettrica con sole e vento è più conveniente rispetto alle fonti fossili.

Ed è l’esempio fatto anche da Sharpe e Lenton nella loro ricerca sui punti critici positivi.

I due autori parlano in modo particolare della transizione energetica in Gran Bretagna, dove l’uso di carbone nel settore elettrico è crollato perché il gas – grazie alla carbon tax – ora costa molto meno del carbone e perché è cresciuta costantemente la produzione delle fonti rinnovabili, a sua volta supportata dalle misure stabilite dal governo (aste, incentivi).

L’altro esempio è il mercato dell’auto elettrica.

Le vendite di veicoli alla spina sono il 2-3% del mercato globale, ma la Norvegia, grazie a diversi fattori (incentivi e politiche di supporto alla mobilità elettrica), nel 2020 è riuscita a portare le auto elettriche a più del 50% delle vendite per la prima volta in assoluto nel mondo.

Un tipping point di fondamentale importanza, osservano gli autori, ci sarà quando le auto a batteria costeranno meno di quelle a benzina/diesel senza incentivi.

Da notare che i punti critici nell’esempio norvegese – si veda lo schema sotto, tratto dallo studio – non sono irreversibili, perché se fosse tolto il supporto statale all’auto elettrica, il “sistema” (il mercato) potrebbe tornare allo stato precedente, dove i veicoli elettrici sono più costosi di quelli tradizionali.



Tuttavia, concludono gli autori, più a lungo una politica, come quella della Norvegia per le auto, mantiene il mercato nella sua nuova condizione, più aumenta la probabilità che il cambiamento diventi permanente, perché entrano in campo gli effetti a cascata (feedback) che si rinforzano: discesa dei costi delle batterie, economie di scala, investimenti delle case auto in super-fabbriche per veicoli elettrici, e così via.

In questa visione, insomma, è soprattutto la politica che deve orientare il mercato nella transizione verso le tecnologie più efficienti e pulite.

E lo deve fare il più velocemente possibile, altrimenti gli obiettivi climatici rimaranno fuori portata: in Italia, ad esempio, nel 2030 rischiano di mancare all’appello 47 GW di rinnovabili a causa dei ritardi della politica.

fonte: www.qualenergia.it


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Gli investitori del carbone rischiano di bruciare 600 miliardi di dollari

Le motivazioni in uno studio di Carbon Tracker che rileva come eolico e fotovoltaico siano già oggi più competitivi del carbone in quasi tutti i maggiori mercati energetici.

















La transizione energetica verso le rinnovabili va perseguita non solo per ragioni climatiche ma anche economiche e finanziarie.
Il messaggio è indirizzato agli investitori che puntano ancora sul carbone e che rischiano di bruciare oltre 600 miliardi di dollari, ma anche ai governi.
Ciò è legato al fatto che la costruzione di nuovi impianti eolici e fotovoltaici sarà presto più conveniente che non continuare a gestire centrali a carbone. Un dato che si riscontrerà in tutti i principali mercati del mondo.
Questa è la conclusione cui è giunto How to Waste Over Half a Trillion Dollars (Come sprecare oltre mezzo trilione di dollari), un nuovo rapporto della Carbon Tracker Initiative, centro studi internazionale specializzato in finanza climatica.
Si sapeva che le principali fonti rinnovabili fossero più competitive del carbone in alcuni paesi baciati dal sole o dal vento, come l’Italia, ma quello che l’analisi di Carbon Tracker in un certo senso “certifica” è che fotovoltaico ed eolico sono già diventate o stanno diventando opzioni più economiche rispetto alla costruzione di nuove centrali a carbone in tutti i grandi mercati mondiali, inclusa Cina e Australia, i due paesi in cui probabilmente più di tutti gli altri la produzione e l’uso del carbone sono ancora molto diffusi.
E si prevede che l’elettricità verde costerà meno di quella prodotta dalle centrali a carbone esistenti al più tardi entro il 2030, ha indicato Carbon Tracker nel suo rapporto, scaricabile dal link in fondo all’articolo.
L’energia fotovoltaica ed eolica, infatti, è già oggi più a buon mercato dell’elettricità proveniente da circa il 60% delle centrali a carbone, compreso circa il 70% di quelle cinesi e la metà delle centrali australiane, come si può vedere nell’illustrazione.
In pratica, le centrali a carbone avranno difficoltà a resistere, in assenza di sussidi governativi e in un contesto di mercato dove il prezzo dell’energia sia basato su normali dinamiche di domanda e offerta.
Carbon Tracker ha quindi invitato governi e investitori a bloccare i nuovi investimenti nel carbone e a dismettere le centrali esistenti, in parte modificando anche le regolamentazioni, in modo da consentire alle energie rinnovabili di competere su un piano di parità di mercato.
Secondo Matt Gray, co-autore del rapporto di Carbon Tracker, gli investimenti in carbone rischiano di incagliarsi e rimanere bloccati in maniera improduttiva, buttando al vento per sempre risorse che potrebbero essere spese molto meglio in altro modo.
Sono in gioco cifre enormi: l’analisi ha infatti rilevato che gli investitori rischiano di sprecare più di 600 miliardi di dollari se tutti gli impianti a carbone programmati venissero costruiti.
Per quanto riguarda l’uso del carbone, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) ha riscontrato un calo lo scorso anno, ma ha previsto un leggero aumento nei prossimi cinque anni a causa dell’aumento della domanda dall’India.
Come spiegato in un altro articolo, l’elettricità generata con il carbone è scesa di circa il 3% nel 2019, registrando il calo maggiore in oltre 40 anni di crescita quasi ininterrotta, in cui il carbone è stato una delle cause prime della crisi climatica.
fonte: www.qualenergia.it

Sette ragioni per cui l’Europa deve investire di più nel fotovoltaico

Le proposte di SolarPower Europe alla Commissione Ue per rilanciare l’industria del settore con il Green Deal.















L’Europa deve definire una strategia più ambiziosa, chiara e lungimirante per promuovere le energie rinnovabili e il fotovoltaico in particolare.
Questo l’appello che arriva dalla lobby del settore, SolarPower Europe, insieme con diversi istituti di ricerca (l’ultima adesione in ordine di tempo è quella del tedesco Fraunhofer ISE), quando manca un mese alla prima comunicazione ufficiale della Commissione Ue sulla strategia industriale europea nell’ambito del programma per il Green Deal.
Per convincere Bruxelles a prendere il più seriamente possibile le richieste dell’industria FV, SolarPower Europe ha pubblicato un documento che riassume sette motivi che dovrebbero spingere l’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen a favorire lo sviluppo del fotovoltaico in Europa.
Tra questi, uno dei più importanti è la crescita attesa del fotovoltaico nel nostro continente nei prossimi decenni: si citano, in particolare, le stime di Bloomberg New Energy Finance e della Lappeenranta University of Technology, secondo cui il solare coprirà, rispettivamente, il 36% della domanda elettrica europea nel 2050 e il 69% sempre nel 2050, nello scenario del 100% di rinnovabili costruito dai modelli teorici dell’università finlandese.
Un altro fattore decisivo, si legge nel documento, è la forte riduzione dei prezzi del fotovoltaico negli ultimi vent’anni, da circa 5.000 euro in media per kW nel 2000 a 1.960 euro/kW oggi. Tanto che produrre energia elettrica con i pannelli FV in grandi parchi utility-scale costa meno rispetto all’utilizzo di fonti fossili: siamo sotto 0,04 euro/kWh (vedi anche qui).
Terzo motivo che dovrebbe favorire gli investimenti nel fotovoltaico, sostiene SolarPower Europe, è la creazione di nuovi posti di lavoro.
Ricordiamo che un recente studio dell’università di Lappeenranta ha stimato che nel 2050 ci saranno 22 milioni di occupati nella filiera FV su scala globale; mentre l’Agenzia internazionale delle energie rinnovabili (IRENA: International Renewable Energy Agency) nel suo ultimo rapporto sui “colletti verdi” ha stimato in circa 11 milioni i posti di lavoro direttamente associati alle fonti rinnovabili su scala mondiale nel 2018, di cui 3,6 milioni nel fotovoltaico.
Tra l’altro, la stessa SolarPower Europe alla fine dello scorso dicembre ha evidenziato che il fotovoltaico europeo è entrato in una nuova fase espansiva con oltre 16 GW installati nel 2019 nei 28 Stati membri Ue, +104% rispetto al 2018.
E lo scenario intermedio prevede una crescita del 26% nel 2020 con 20-21 GW di potenza installata nel nostro continente, per poi continuare a salire nei tre anni successivi.
Insomma le ragioni per fare del fotovoltaico uno dei pilastri del Green Deal e più in generale della futura strategia industriale europea ci sono tutti, senza dimenticare l’impulso verso la generazione distribuita con l’autoconsumo elettrico collettivo, che inizia a farsi sentire (anche in Italia) grazie alle norme inserite nella direttiva Ue RED II sulle rinnovabili.
fonte: www.qualenergia.it

I costi di energie rinnovabili e batterie stracciano quelli di combustibili fossili e nucleare

Riduzione dei costi del 79% per le batterie al litio: «Le conclusioni per il settore dei combustibili fossili sono agghiaccianti»




















Miglioramento del 18% della competitività di eolico e solare, forte calo dei prezzi delle nuove batterie
Dall’ultimo studio pubblicato da di Bloomberg New Energy Finance (Bnef), che paragona i costi delle diverse fonti di energia elettrica a  livello mondiale, viene fuori che «A seguito delle spettacolari riduzioni dei costi non solo per le tecnologie eoliche e solari ma anche per le batterie, carbone e gas stanno affrontando una crescente minaccia alla loro posizione nel mix di generazione di energia elettrica mondiale»
Il rapporto Benef sui costi livellati dell’elettricità (Lcoe – levelized costs of electricity) per tutte le tecnologie di punta rileva che «I combustibili fossili stanno affrontando una sfida senza precedenti in tutti e tre i ruoli che svolgono nel mix energetico: l’offerta di “bulk generation”, la fornitura di “produzione dispacciabile” e la fornitura di “flessibilità”. Nella “bulk generation”,  la minaccia arriva dall’eolico e dal solare fotovoltaico, che nell’ultimo anno  hanno entrambi ridotto ulteriormente le loro Lcoe, grazie al calo dei costi di capitale, al miglioramento dell’efficienza e alla diffusione delle aste competitive in tutto il mondo».
Per quanto riguarda l’energia dispacciabile, – la capacità di rispondere alle richieste della rete per far salire o scendere la produzione di elettricità in qualsiasi momento della giornata – la nuova sfida al carbone e gas proviene dagli accumulatori a batterie per l’energia prodotta da eolico e solare, che «consentono a queste due fonti rinnovabili “variabili” di regolare la loro produzione e, se necessario, spostare i tempi di fornitura».
In termini di flessibilità – la capacità di accensione e spegnimento in risposta a carenze di energia elettrica ed eccedenze di rete durante periodi di ore – «le batterie stand-alone sono sempre più convenienti e stanno iniziando a competere sul prezzo con gli impianti a gas open-cycle e con altre opzioni come l’idroelettrico pompato».
Le implicazioni per il futuro mix energetico di queste mutevoli dinamiche dei costi saranno discusse al Bloomberg New Energy Finance Future of Energy Summit che si terrà a New York il 9 e 10 aprile, intanto la responsabile economia energetica del Bnef, Elena Giannakopoulou, ha spiegato che «Il nostro team ha esaminato da vicino l’impatto della riduzione del 79% registrata dal 2010 nei costi delle batterie agli ioni di litio sull’economicità di questa tecnologia di stoccaggio in diverse parti del sistema elettrico. Le conclusioni per il settore dei combustibili fossili sono agghiaccianti». Anche con i costi in picchiata delle energie rinnovabili, alcune centrali elettriche a carbone e gas esistenti continueranno ad avere un ruolo per molti anni, combinando la produzione di massa con il bilanciamento e resistendo all’aumento della penetrazione di energia eolica e solare. Ma la costruzione di nuove centrali a carbone e gas sarà sempre meno economica rispetto alle batterie che sono sempre più competitive per quanto riguarda «la flessibilità e il picco delle entrate di cui godono le centrali a combustibile fossile».
Il rapporto Bnef calcola le Lcoe di ciascuna tecnologi, tenendo conto di tutto, dai costi delle attrezzature, di costruzione e di finanziamento, alle spese di funzionamento e manutenzione e alle ore medie di funzionamento e ha rilevato che «Nella prima metà del 2018, il benchmark global Lcoe per l’energia eolica onshore è di 55 dollari per megawatt-ora, in calo del 18% rispetto ai primi sei mesi dello scorso anno, mentre l’equivalente per il solare fotovoltaico senza sistemi tracking è di 70 dollari per MWh,  anche lui in calo del 18%. Il Lcoe dell’eolico  offshore è di 118 dollari per MWh in 1H 2018, in calo del 5%».
L’analisi di Bnef mostra costi particolarmente bassi dell’elettricità per l’energia eolica onshore in India, Brasile, Svezia e Australia e, in particolare, i bassi costi per l’elettricità da fotovoltaico in Cile, India, Australia e Giordania. In Medio Oriente, le prospettive per l’energia solare e le batterie sono così buone che il SoftBankGroup e Arabia Saudita costruiranno impianti fotovoltaici per 200 gigawatt.
Secondo le proiezioni del Bnef sui prezzi attuali e futuri del carbone e del gas rispetto all’energia eolica e solare, in Cina l’eolico onshore è già più economico del gas e sta rapidamente diventando più economico del carbone, mentre il solare sta rapidamente diventando più economico del gas e batterà il carbone entro qualche anno.
Prendendo come esempio l’India, il Bnef presenta un Lcoe di riferimento per l’energia eolica onshore di appena 39 per MWh, in calo del 46% rispetto a un anno fa e per il solare fotovoltaico a  41 dollari, in calo del 45%. In confronto, il carbone arriva a 68 dollari per MWh, e il gas a ciclo combinato a 93 dollari. Inoltre, a seconda delle caratteristiche del progetto, in India i sistemi wind-plus-battery e solar-plus-battery hanno ampi range di costo, rispettivamente di 34 – 208 dollari per MWh e di 47 – 308 per MWh, ma queste differenze si stanno riducendosi rapidamente.
Seb Henbest, a capo di Bnef Europa, Medio Oriente e Africa. aggiunge che «Le aste competitive per le  nuove  capacità di energia rinnovabile hanno costretto gli sviluppatori, i fornitori di attrezzature e i finanziatori a sostenere tutti i diversi costi della realizzazione dei progetti eolici e solari. Grazie a questo e ad una tecnologia progressivamente più efficiente, stiamo assistendo a prezzi bassi record per l’energia eolica e solare, e quindi quei record vengono battuti ancora e ancora su base regolare. Questo sta avendo un effetto potente: sta cambiando le percezioni».
Il Bnef  ha analizzato dal 2009 i dati sui costi livellati dell’elettricità per le diverse tecnologie, basandosi sul suo database di finanziamenti di progetti e lavorando con i suoi team di analisti sulle dinamiche dei costi nei diversi settori, e dice che in questo periodo di 9 anni, «Il global benchmark Lcoe per il solare fotovoltaico senza tracking è diminuito del 77% e quello dell’eolico onshore del 38%». Nello stesso periodo i Lcoe per le fonti energetiche più vecchie, come carbone, gas, nucleare e mega-idroelettrico, hanno avuto nel migliore dei casi solo riduzioni molto modeste e in alcuni Paesi i loro costi sono in realtà aumentati. L’indice dei prezzi delle batterie agli ioni di litio di Bnef mostra un calo dai 1.000 dollari per kWh nel 2010 a 209 dollari per kWh nel 2017.
Per spiegare cosa sia la rapida rivoluzione in corso evidenziata dal rapporto Bnef, Joe Romm ricorda su ThinkProgress che «Ad esempio, le super-efficienti centrali a gas a ciclo combinato a turbina (Ccgt) che sono state popolari negli ultimi decenni, sono state progettate per essere utilizzate a piena potenza tra il 60% e il 90% delle volte. Ma il loro effettivo tasso di utilizzo (chiamato anche “fattore di capacità”) è precipitato negli ultimi anni e ora si avvicina al solo 20% in diversi Paesi come Cina, Germania e India».
Anche negli Usa di Donald Trump le cose non vanno tanto bene per i combustibili fossili che piacciono al Presidente: perfino la repubblicana Arizona si è rifiutata di approvare i piani di tre compagnie elettriche che prevedevano più centrali a gas e il 28 maggio l’agenzia di regolamentazione dell’energia dell’Arizona  ha chiesto loro di «sfruttare maggiormente lo stoccaggio di energia e gli impianti che producono a zero emissioni». la California, che se fosse uno Stato indipendente sarebbe la sesta più grande economia mondiale, ha approvato una legge che impone che entro il 2030 la metà della sua energia sia rinnovabile. Con il crollo dei prezzi del solare e dell’eolico, la NRG Energy ha recentemente dichiarato che chiuderà tre centrali a gas.
Secondo Romm, «Le cose diventeranno sempre più difficili per il gas e il carbone rispetto alle rinnovabili». La proiezione del Bnef dei prezzi attuali e futuri per gli Usa «Dimostra che l’eolico onshore è già più economico del carbone e sta diventando più economico del gas. Il fotovoltaico solare sta rapidamente diventando più economico del carbone ed entro qualche anno batterà il gas. A livello globale,  per il carbone, e in particolare per il gas, sarà ancora più difficile. Questo perché la maggior parte dei posti del mondo non ha gas naturale a buon mercato prodotto dal fracking come fanno gli Stati Uniti. Inoltre, i nuovi mercati energetici più grandi sono nei Paesi in via di sviluppo, che non hanno un’estesa rete elettrica, rendendo ancora più interessanti le rinnovabili distribuite. Ma questi Paesi hanno spesso terreni non urbanizzati, relativamente poco costosi in posti molto soleggiati».


fonte: www.greenreport.it

Rinnovabili al 100%? Ogni italiano risparmierebbe 6.500€/anno

Raggiungere un’alimentazione a base di sole rinnovabili permetterebbe elevati risparmi legati ai minori costi energetici, climatici e sanitari















Lo studio condotto dall’Università di Stanford sulle possibilità di una società di rinnovabili al 100% (pubblicato solo qualche giorno fa da Rinnovabili.it) metteva diversi puntini sulle “i”. Gli autori spiegavano le potenzialità ma soprattutto i benefici per ben 139 Paesi nel passaggio ad un futuro all’insegna di vento, sole e acqua. Benefici come la creazione di nuovi posti di lavoro, riduzione delle emissioni, calo dei costi energetici e  minori spese sanitarie.

Nel pool di nazioni prese in esame appariva anche l’Italia a cui oggi l’Anev dedica un’attenzione particolare. In una nota stampa l’associazione dei produttori di energia eolica italiana, punta i riflettori sui dati nazionali emersi nello studio e in particolare sui risulti che comporterebbe la realizzazione di scenario di rinnovabili al 100%. Nel report, tale opzione è identificata come scenario “Wws”, acronimo di “wind, water and sunlight”, da contrapporre al cosiddetto “business-as-usual” (Bau).
Quello che emerge per il nostro Paese è ovviamente in linea con i risulti generali: raggiungere l’obiettivo 100% rinnovabili è possibile ed economicamente conveniente. A livello nazionale, i ricercatori stimano un carico di domanda complessivo al 2050 di 240,5 GW nello scenario Bau, derivante per il 33,3% dal settore trasporti, 25,8% dal residenziale, 25,7% dall’industria, 13,5% dal terziario e 1,7% da agricoltura e pesca. Se fosse invece raggiunto il Wws, il carico non supererebbe i 134,9 GW (-43,9% rispetto al Bau), con residenziale al 32,3%, industria (25,5%), trasporti (20,4%), terziario (19,2%) e agricoltura e pesca (2,5%).

Inoltre il costo dell’energia (Lcoe) in Italia scenderebbe, passando dai 9,68 cent $/kWh nel 2013 (circa 8 centesimi di euro) a 7,66 cent $/kWh nel 2050. Questo permetterebbe un risparmio procapite di 321 € l’anno, che sale a 6.500 € l’anno considerando anche i minori costi climatici e sanitari legati all’inquinamento. In uno scenario di questo tipo, il Belpaese potrebbe evitare al 2050 fino a 46.543 morti premature all’anno per inquinamento (scenario medio 20.577 decessi evitati) e creare 485.857 nuovi posti di lavoro (al netto dei 164.419 persi nel settore dei fossili).

fonte: www.rinnovabili.it