Siemens Gamesa ha annunciato lo sviluppo della
Pale eoliche riciclabili
Siemens Gamesa ha annunciato lo sviluppo della
Riutilizzo piattaforme offshore, 6 realtà italiane vincono un bando Esa

Una cordata a guida italiana composta da Enea, in veste di coordinatore, Eni, Metaprojects, Irpsp, Next Ingegneria dei Sistemi, Srs Servizi di Ricerche e Sviluppo e Tim ha vinto il bando dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) per lo smantellamento in sicurezza sia di piattaforme petrolifere e di gas naturale che di parchi eolici marini giunti a fine vita, oltre alla valutazione di possibili soluzioni di ‘second life’.
Il progetto – spiega una nota Enea – si chiama Insure (INnovation in SUstainable offshoRe dEcommissioning) e punta all’utilizzo di tecnologie innovative, droni, sensori, sistemi IoT e di intelligenza artificiale nell’ambito del programma ARTES 4.0 voluto dall’Esa per esplorare nuove opportunità di impiego delle proprie tecnologie satellitari.
Sono previste due fasi: la prima è incentrata sulla realizzazione di uno studio di fattibilità tecnica ed economica e un’ampia raccolta dati utilizzando sensori, servizi di ingegneria, logistica, tecnologie laser per il monitoraggio e robotica.
La seconda fase sarà dimostrativa e prevede l’approfondimento di possibili soluzioni, ad esempio l’uso dei pozzi esausti come siti per lo stoccaggio dell’anidride carbonica, lo sfruttamento delle piattaforme per produrre energia solare o eolica – riconvertendo il surplus di energia prodotta in ossigeno e idrogeno green – ma anche per scopi turistici o come ‘palestra educativa’ per studenti nel campo della meteorologia, della dinamica delle onde e degli studi ambientali e biologici.
Il team e la suddivisione del lavoro
In particolare, Enea metterà a disposizione il know-how e le tecnologie di cui dispone, con particolare riferimento a sensori laser montati su droni subacquei per la visione sottomarina in 3D e per il monitoraggio ambientale di eventuali rilasci di inquinanti. I droni, in grado di operare anche in modalità sciame, comunicando fra loro e con i satelliti, verranno utilizzati anche per indagini sullo stato delle strutture delle piattaforme. Le informazioni saranno rielaborate e restituite in ambiente virtuale e realtà aumentata per i partner di progetto.
Eni si occuperà di supportare le attività sul tema del decommissioning, ovvero la fase finale del ciclo di vita degli asset appartenenti alla filiera dell’Oil & Gas e, in generale, degli impianti industriali. Un’attività che è parte fondamentale del processo di investimento, avendo importanti risvolti economici, sociali e ambientali nel contesto in cui è realizzato.
Il decommissioning rappresenta un’opportunità sia in termini occupazionali sia di rigenerazione di materie prime e asset che, alla fine del ciclo di vita industriale per il quale erano stati progettati, hanno ancora il potenziale per essere riconvertiti e riutilizzati in favore di altre iniziative.
Tim realizzerà in collaborazione con Olivetti, la digital farm per l’IoT del Gruppo, una piattaforma digitale di ‘Business Intelligence’ che permette di monitorare in tempo reale le attività previste nel piano di decommissioning.
Questa innovativa soluzione consente di migliorare i parametri di sicurezza e di generare benefici sui costi. In particolare, grazie all’adozione dell’Intelligenza Artificiale e di sensori installati sulle piattaforme offshore abbinati al 5G, a segnali per comunicazioni a banda stretta Narrowband-IoT e a sistemi di comunicazione satellitare, si potranno inviare alla centrale di controllo i dati raccolti che verranno elaborati in tempo reale, segnalando eventuali situazioni in cui occorre un intervento manutentivo.
Metaprojects, ente di ricerca privato che già collabora con Enea presso il Centro Ricerche Brasimone (Bologna) nel progetto Exadrone per lo sviluppo di droni dotati di sensoristica per il controllo ambientale, contribuirà nel progetto Insure alla realizzazione dei droni e a integrare le tecnologie Enea, curando la progettazione hardware, firmware e software dei sistemi autonomi volanti.
Next Ingegneria dei Sistemi SpA studierà gli aspetti relativi alle soluzioni SW di supporto per la gestione automatica dei dati di posizionamento finalizzata alle attività di decommissioning. Inoltre si occuperà di analizzare le tematiche relative alla definizione dei piani di volo di UAV a supporto della logistica e della sicurezza delle operazioni grazie all’implementazione delle realtà virtuale/aumentata con il supporto dei partner del consorzio.
Il “cuore” del sistema, in fase di sviluppo da Next Ingegneria dei Sistemi, sarà il Fleet Management Tool in grado di ricevere in tempo reale informazioni provenienti da sensori installati su piattaforme aeree autonome, imbarcazioni e veicoli sottomarini, ma anche da sistemi satellitari quali il Global Navigation Satellite Systems (GNSS), Satellite communications (SatCom) ed Earth observation (EO) del sistema Copernicus.
La Scuola di Ricerca Internazionale di Scienza Planetaria (IRSPS) dell’Università di Chieti-Pescara metterà a disposizione le proprie competenze per l’analisi dei requisiti di sistema geologici ed ambientali, per definire le linee guida per lo smantellamento e riuso delle piattaforme offshore basandosi sulle tecnologie terrestri e satellitari.
IRSPS, quale spin-off dell’università stessa, sta acquisendo una piattaforma off-shore in Adriatico, non più operativa, che potrà essere utilizzata per effettuare test end-to-end realistici dei processi di decommissioning e per esplorare la fattibilità di riutilizzo delle piattaforme come “palestra educativa” per studenti dei corsi universitari e per ricerche sia nel campo della meteorologia che delle dinamiche delle onde che degli studi ambientali e biologici.
La S.R.S. Servizi di ricerche e sviluppo ha una notevole esperienza specifica nella progettazione di attività di smantellamento di impianti industriali e nelle conseguenti attività di “Waste Management”. L’esperienza maturata, in particolare, nel settore del decommissioning nucleare l’ha portata a specializzarsi nel settore dello smantellamento con specifico riferimento ai seguenti aspetti: selezione delle tecniche di taglio e smantellamento, definizione delle procedure di intervento, confinamento delle aree di lavoro, minimizzazione dei rifiuti secondari, tracciabilità dei materiali, identificazione delle modalità di trattamento dei materiali di risulta, gestione dei materiali di risulta. In INSURE curerà in dettaglio questi aspetti logistici non secondari.
fonte: www.qualenergia.it
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Eolico e fotovoltaico di nuova costruzione sono più economici del carbone già in esercizio

Fotovoltaico ed eolico, con i costi attuali, battono non solo le centrali termoelettriche di nuova costruzione, ma anche gli impianti a carbone già in esercizio, e lo fanno anche in mercati chiave come Cina e India.
Dopo il report Irena con i dati 2020, che abbiamo ripreso ieri, a sancire il sorpasso è Bloomberg New Energy Finance, che ha pubblicato alcuni numeri interessanti aggiornati alla prima metà del 2021.
Gli LCOE aggiornati
Ad oggi, per fotovoltaico e l’eolico a terra i costi di generazione LCOE (cioè “tutto compreso”), scrive Bnef, sono scesi a una media rispettivamente di 48 e 41 $/MWh, un calo rispettivamente del 5% e del 7% dalla prima metà del 2020 e dell’87% e del 63% dal 2010.
Parliamo, si specifica, di una media tra diverse stime a livello nazionale che variano in base alla maturità del mercato, alle dimensioni del progetto, alle condizioni di finanziamento locali e al costo del lavoro, oltre che alla ventosità o all’irraggiamento solare del sito (nel calcolo ovviamente non si considerano gli eventuali incentivi, mentre si parla sempre di impianti utility scale).
Gli LCOE più bassi nella prima metà del 2021 sono stati rilevati in Brasile e Texas per l’eolico onshore, e in Cile e India per il fotovoltaico, tutti a 22 $/MWh.
Sorpasso sul carbone esistente in Cina e in India, effetto CO2 in Europa
In Cina, il più grande mercato al mondo per le rinnovabili, Bnef stima che l’LCOE di un nuovo parco solare oggi sia in media di 34 $/MWh, più economico del costo di gestione di una tipica centrale elettrica a carbone, 35 $/MWh.
Allo stesso modo, in India il nuovo FV può raggiungere un LCOE di 25 $/MWh, mentre il costo medio di gestione delle centrali elettriche a carbone esistenti è di 26 $/MWh.
Quanto sia importante il sorpasso in questi due mercati è chiaro: insieme, i due giganti asiatici possiedono il 62% di tutta la potenza mondiale a carbone e producono circa 5,5 gigatonnellate di CO2 all’anno, ovvero il 44% delle emissioni globali del settore energetico.

Venendo all’Europa, l’LCOE del fotovoltaico di nuova costruzione varia dai 33 $/MWh della Spagna e i 41 $/MWh della Francia, con 50 $/MWh in Germania.
Dal 2014 è sceso in media del 78% in tutto il continente ed è già molto più basso dei costi di gestione tipici delle centrali elettriche a carbone e gas nella regione, che, tenendo conto del prezzo della CO al momento oltre i 50 $ a tonnellata, Bnef per il 2021 stima a più di 70 $/MWh.

L’impatto del rincaro delle materie prime
Con le economie che iniziano a riaprire e la domanda di materie prime in ripresa, la prima metà del 2021 – spiegano gli analisti – ha evidenziato il ruolo fondamentale dei prezzi dei materiali nelle industrie della transizione energetica.
I prezzi dell’acciaio sono raddoppiati anno su anno, incidendo sui costi delle turbine eoliche, mentre il silicio ha visto triplicare il suo prezzo da maggio 2020.
In Cina e India, Bnef ha registrato aumenti rispettivamente del 7 % e del 10 % nei prezzi dei moduli fotovoltaici dalla seconda metà del 2020. Allo stesso modo, i prezzi delle turbine eoliche in India sono aumentati del 5 % negli ultimi sei mesi.
Ma l’impatto dell’aumento dei prezzi delle materie prime – si sottolinea – deve essere messo in prospettiva. In primo luogo, la produzione, non i materiali, costituisce la maggior parte dei costi finali per turbine eoliche, moduli fotovoltaici e pacchi batteria.
In secondo luogo, le catene di approvvigionamento assorbiranno parte di tale aumento, prima che colpisca gli sviluppatori. Terzo, alcuni sviluppatori hanno ordini di acquisto a lungo termine che potrebbero proteggerli da questo aumento per un po’ di tempo.
fonte: www.qualenergia.it
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Una mini turbina eolica portatile da mettere nello zaino

Generatori e accumulatori di energia portarli sono diventati, per molti, dispositivi irrinunciabili durante viaggi e vacanze all’aria aperta. Il mercato offre oggi diverse soluzioni tecnologiche, più o meno affidabili, dalle classiche power bank ai caricatori solari. Ma per gli appassionati dell’outdoor esiste anche un’opzione meno conosciuta: le mini turbine eoliche portatili. Più che mini, la parola giusta per descriverle sarebbe “micro”. Su tratta di infatti di piccolissime macchine, ultracompatte e leggere, in grado di essere infilate direttamente nello zaino e portate ovunque. Offrono una potenza da poche decine di Watt a qualche kW ma sono sufficienti ad alimentare luci, frigoriferi ecologici, smartphone e laptop. E grazie al peso ridotto posso rivelarsi utili in un’ampia gamma di applicazioni: camper, cucine ed ospedali da campo, server e router wireless per computer portatili in spiagge o campeggi, barche a vela, ecc.
Shine Turbine, micro eolico da zaino
Una delle ultime novità in questo settore arriva da Aurea Technologies, startup di Halifax guidata dalle giorni imprenditrici Cat Adalay e Rachel Carr. L’azienda ha lanciato su Kickstarter una raccolta fondi per Shine Turbine, mini turbina eolica portatile, estremamente facile da montare e utilizzare.
“Dall’esplorazione delle coste ai viaggi in pianura fino alle escursioni in montagna, tutto ciò che dovrete fare è configurare Shine e in meno di 2 minuti avrete un generatore eolico per alimentare le vostre avventure”. Il dispositivo ha una potenza di 40 Watt ed è dotato di una batteria interna agli ioni di litio da 12.000 mAh. Funziona con velocità del vento dai 3,5 ai 12,5 metri al secondo e pesa poco più di un chilogrammo. Ma il vero punto forte della mini turbina eolica portatile Shine è la compattezza. Può essere richiusa su stessa fino a raggiungere le dimensioni di una bottiglia d’acqua da un litro.
“Questo caricatore eolico ultracompatto […] può alimentare qualsiasi dispositivo USB portatile, inclusi telefoni, tablet, luci, droni, fotocamere, GPS, altoparlanti, e-reader, cuffie, power bank e altro ancora”. La raccolta fondi si è rivelata un successo ed Aurea ha già raccolto più di 135mila dollari su un obiettivo iniziale di appena 10mila.
Gli altri generatori eolici portatili
Negli ultimi anni sono emersi diversi modelli di micro turbine eoliche portatili. Un esempio? La startup danese KiteX ha sviluppato il suo Wind Catcher, generatore eolico da 10 kg, pronto all’uso in 15 minuti. Una maggiore complessità che si traduce anche in una capacità più ampia. La versione più grande da 600 Watt inizia produrre energia con venti da 8 m/s; la più “piccola” da 200 Watt si aziona con brezze da 5,5 m/s. È realizzato in plastica riciclata e, una volta montato, raggiunge un’altezza di 4 metri.
Possiede una sorta di guscio invece la piccola PowerPod, mini turbina eolica compatta progettata dalla startup Halcium. Lo speciale design fa entrare l’aria convogliandola verso uscita stretta che ne accelera il flusso sulla pala interna. E permette di sfruttare il vento proveniente da diverse direzione senza bisogno di orientarla. Il prototipo ha una potenza di 1 kW, e può produrre fino a tre volte l’energia generata da una classica turbina di simili dimensioni.
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Eolico: pale 100% riciclabili, una svolta è possibile

L’eolico è una delle fonti rinnovabili più utilizzate e mature. Eppure questa tecnologia è costretta ancora a fare i conti con materiali non altrettanto in linea con le prospettive di tutela del Pianeta. Un panorama che potrebbe cambiare nel prossimo futuro, con il possibile arrivo di pale eoliche 100% riciclabili.
Quello di cui stiamo parlando è un progetto che vede coinvolti il Danish Technological Institute, la Aarhus Universitet (Università di Aarhus), la Olin Corporation e la Vestas Wind Systems. Società ed enti di ricerca hanno deciso di collaborare per sostenere il progetto CETEC (Circular Economy for Thermosets Epoxy Composites), che nel caso specifico punta a rendere l’energia eolica 100% sostenibile anche dal punto di vista degli impianti.
Come sottolineato dagli esperti, allo stato attuale la componente riciclabile degli impianti eolici è limitata all’85-90%. In buona sostanza sono inclusi tutti i vari componenti, a esclusione delle pale, realizzate con materiali compositi termoindurenti.
Si tratta perlopiù di pale eoliche in fibra di vetro, alla quale sono aggiunti ulteriori materiali per rinforzarne la struttura. Pur garantendo le necessarie prestazioni in termini di resistenza e leggerezza, queste sostanze limitano le piena riciclabilità della struttura.
È al contrario fondamentale puntare alla piena economia circolare anche per quanto riguarda l’eolico. A sottolinearlo è Allan Korsgaard Poulsen, a capo della divisione Sostenibilità e materiali avanzati di Vestas Innovation and Concepts:
Con l’incrementare degli impegni a livello globale in merito al futuro a zero emissioni, è assolutamente cruciale assicurare che l’industria eolica possa avere una sostenibilità di scale, il che include da parte di Vestas la possibilità di centrare i nostri ambiziosi obiettivi di produrre turbine zero-rifiuti entro il 2040.
Eolico, nuove tecnologie per la piena sostenibilità
Grazie a una nuova tecnologia sviluppata dalla DreamWind, anche i materiali compositi di cui sono composte le pale eoliche potrebbero diventare riciclabili. Come spiegato dai ricercatori della Aarhus Universitet, il processo prevede la separazione della fibra di vetro dalla resina epossidica, operando poi un’ulteriore decostruzione del materiale fino a ridurlo in blocchi molecolari. Come ha dichiarato il Prof. Troels Skrydstrup, si tratterebbe di blocchi:
Facilmente lavorabili e utilizzabili per la produzione di nuova resina epossidica, della medesima qualità dell’originale.
Fonte: Renewables Now
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GWEC: dall'eolico 3,3 milioni di nuovi occupati del prossimo quinquennio
Questi i numeri contenuti in una recente analisi pubblicata dal Global Wind Energy Council ("GWEC"), l'associazione internazionale dell'industria eolica.
La cifra stimata da GWEC riguarda i posti di lavoro diretti, relativi sia al comparto onshore che a quello offshore, e copre l'intera filiera: pianificazione e sviluppo dei progetti, produzione dei componenti, installazione, O&M e decomissioning.
Con 751 GW di capacità eolica già installata, il settore dà già oggi lavoro a 1,2 milioni di persone; di questi 550mila sono in Cina, 260mila in Brasile, 115mila negli Stati Uniti e 63mila in India.
GWEC prevede che altri 470 GW di nuova capacità eolica onshore e offshore saranno installati in tutto il mondo tra il 2021 e il 2025. Un aumento in grado di creare ben 3,3 milioni di nuovi posti di lavoro sostenibili e duraturi, che saranno concentrati nei mercati coi più elevati tassi di crescita, in primis Cina, Stati Uniti, India, Germania, Regno Unito, Brasile, Francia, Svezia, Spagna, Sud Africa e Taiwan.
Ben Backwell, amministratore delegato di GWEC, ha commentato: "L'industria eolica ha una solida esperienza nella creazione di posti di lavoro di alta qualità e a lungo termine e nel rilancio delle comunità attraverso una serie di opportunità industriali. Mentre il mondo sta ancora vacillando per gli impatti economici della pandemia Covid-19, i governi devono guardare al settore eolico come un'industria chiave in grado di creare i posti di lavoro di cui hanno bisogno per rimettere in carreggiata le loro economie".
Riferimenti
Wind can power 3.3 million new jobs worldwide over next five years
il comunicato stampa di GWEC
fonte: www.nextville.it
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Eolico offshore in Italia: 900 MW al 2030 sono troppo pochi

Le turbine galleggianti hanno riacceso le speranze eoliche di tanti paesi fino ai ieri tagliati fuori dalla tradizione tecnologia offshore. Tra questi c’è anche l’Italia i cui alti fondali hanno fino ad oggi rallentato lo sviluppo delle wind farm in mare. Anche se, ad essere onesti non è stata la tecnologia il più grande ostacolo all’eolico offshore in Italia. Dei noti e delle soluzioni in cui si muove oggi il comparto si è parlato in occasione del webinar organizzato stamane dalle associazioni ANEV, AIEE e FREE; un appuntamento dedicato agli aspetti economici e tecnici connessi allo sviluppo dell’eolico offshore in Italia tra potenzialità e problemi pratici.
Come ricordato da Simone Togni, Presidente del ANEV, l’attuale transizione ecologica rende oggi necessario il ricorso all’energia del vento “in tutte le sue applicazioni”. “L’eolico offshore ha un buon potenziale nel mediterraneo e in Italia – ha spiegato Togni – anche grazie alle nuove tecnologie flottanti. Ma per far sì che il settore possa portare tutti i suoi benefici, è necessario attuare una transizione burocratica […] intervenendo con opere di velocizzazione e semplificazione sia rispetto all’iter autorizzativo, sia riguardo alla connessione alla rete. Il settore eolico offshore italiano è pronto a portare in Italia i benefici connessi a tale tecnologia innovativa, nel rispetto dei protocolli e delle regole più rigorose di tutela e salvaguardia dell’ambiente, del paesaggio e della fauna marina”.
“Il PNIEC indica come obiettivo al 2030 la realizzazione di 900 MW di eolico offshore” ha dichiarato Carlo Di Primio, Presidente di AIEE. “Per un Paese con alcune migliaia di km di costa non sono certamente numeri importanti […] Certamente, rispetto a paesi come la Gran Bretagna, l’Olanda o altri paesi che si affacciano sui mari nordici l’Italia non può vantare le stesse potenzialità. È importante però che cerchi di trarre anche da questa tecnologia il massimo contributo ottenibile per lo sviluppo dell’energia rinnovabile e dell’economia green”.
“Il tema dell’eolico offshore è importante sia per il percorso di decarbonizzazone dell’Italia che è in netto ritardo sugli obiettivi Ue, sia per un discorso di nuove filiere industriali” afferma Livio de Santoli, Presidente del Coordinamento FREE. “E’ necessaria, in questo quadro una revisione urgente e spedita del PNIEC che deve essere coordinato con il PNRR”. Secondo de Santoli, il nuovo Piano dovrebbe moltiplicare di un fattore 2,5 i 10 GW installati ora e di questi 6 GW saranno off-shore. “Con gli ottomila chilometri che possediamo e con le nostre tipologie marine non possiamo copiare il Nord Europa ma dobbiamo sviluppare una filiera industriale autonoma” con “aerogeneratori off-shore specifici per la realtà del Mediterraneo. Oltre ciò per sviluppare una filiera italiana è necessario affrontare la questione delle autorizzazioni, perché l’innovazione nel settore delle rinnovabili è rapida e se ci si mettono due o tre anni solo per l’iter autorizzativo l’installazione di tecnologie obsolete è una certezza”.
fonte: www.rinnovabili.it
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Ecco il Manifesto per lo sviluppo dell’eolico offshore in Italia

Lo sviluppo dell’eolico offshore in Italia è uno dei tasselli fondamentali del PNIEC, il Piano contenente gli obiettivi nazionali 2030 su clima ed energia. Il documento governativo ha previsto infatti per quella data la realizzazione di almeno di 900 MW eolici nelle acque mediterranee. “Almeno” perché, tra nuove tecnologie e target UE di decarbonizzazione rivisti al rialzo, tutte le rinnovabili dovranno impegnarsi di più. Per garantire che anche i futuri aerogeneratori in mare partecipino alla transizione energetica mantenendo alta la sostenibilità complessiva, nasce il Manifesto sviluppo dell’eolico offshore in Italia. Lanciato nel corso di Key Energy – Ecomondo 2020, il manifesto riporta le firme e l’impegno di ANEV (l’associazione nazionale dei produttori eolici), Legambiente, Greenpeace e Kyoto Club.
Le quattro realtà hanno messo nero su bianco la decisione di avviare azioni comuni di sostegno all’eolico marino attraverso le loro differenti attività, impegnandosi a supportare uno sviluppo tecnologico rispettoso dell’ambiente e del paesaggio. Ma chiedono anche che sia garantita la massima trasparenza e informazione intorno ai progetti.
“Le attenzioni progettuali – si legge nel Manifesto – dovranno includere la minimizzazione delle modifiche dell’habitat bentonico in fase di cantiere e di esercizio, il ripristino degli ambienti alterati nel corso dei lavori di costruzione e la restituzione alla destinazione originaria delle aree di cantiere, nonché la possibilità di individuare all’interno dei parchi aree di ripopolamento di flora e fauna“. Un focus particolare dovrà essere riservato secondo i firmatari alla presenza degli “habitat prioritari” riportati nell’allegato I della Direttiva Habitat (Dir. n. 92/43/CEE), come ad esempio le praterie di Posidonia Oceanica; stesso discorso per le aree corridoio per l’avifauna migratoria interessate da flussi costanti nei periodi primaverili e autunnali, le Aree Marine Protette ed quelle archeologiche.
“È un segnale importante quello dato dalle principali associazioni ambientaliste che insieme all’ANEV firmano un Manifesto che rappresenta una svolta epocale per il settore eolico” ha dichiarato Simone Togni, Presidente dell’ANEV “Finalmente si prende atto del potenziale dell’energia del vento nei mari italiani. Il settore eolico offshore italiano è pronto a portare in Italia i benefici connessi con la propria attività, seguendo come di consueto i protocolli e le regole di tutela e salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio e offrendo in più, a fronte del potenziale di 900 MW installati, energia pulita pari a 2,38 TWh all’anno e 1.200 nuovi posti di lavoro”.
fonte: www.rinnovabili.it
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Sidney è la prima città alimentata al 100% da energia rinnovabile

Alla fine Sydney ce l’ha fatta raggiungendo un grandioso traguardo: vive utilizzando il 100% di elettricità rinnovabile generata da parchi eolici e solari. Questo significa che qualsiasi attività che richiede l’uso di elettricità, dai lampioni ai campi sportivi, dalle piscine al palazzo comunale, è alimentata con energia rinnovabile al 100% di provenienza locale.
Di fatto così, Sidney è la prima città che spera in un futuro totalmente sostenibile che nei prossimi dieci anni avrà secondo le stime un risparmio annuale di mezzo milioni di dollari e soprattutto una riduzione delle emissioni di carbonio di circa 200mila tonnellate, corrispondenti alla potenza utilizzata da 6mila famiglie.
L’energia pulita viene da tre generatori: la Bomen Solar Farm a Wagga Wagga, il paro eolico Sapphire Wind Farm vicino a Inverell e il parco solare Shoalhaven a Nowra. Circa tre quarti dell’energia pulita è prodotta sfruttando l’azione dal vento, mentre la parte rimanente è di derivazione solare.L’investimento è stato di 60milioni di dollari. Una mossa che fa bene all’ambiente, ma anche ai cittadini perché si sono creati moltissimi posti di lavoro. Creare elettricità in questo modo riduce le emissioni di CO2 nell’ambiente e crea anche maggiore consapevolezza. Il progetto era partito lo scorso luglio e già si stanno raccogliendo i primi risultati.
Fonte: Ecoportal
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Eolico offshore in Sardegna: sì ambientalisti, no da Regione e Comuni

Si conferma travagliato il percorso dell’eolico in Sardegna. A confermarlo anche l’iter che vede protagonista un impianto da 504 MW che dovrebbe essere realizzato 35 chilometri al largo della costa di Cala Domestica. Un parco eolico offshore quindi, le cui torri poggerebbero su piattaforme galleggianti. Un progetto che vede il favore delle associazioni ambientaliste (incluse Legambiente, WWF e Greenpeace), ma che si scontra con l’opposizione della Regione e di alcuni Comuni del Sulcis.
Il parco eolico offshore si comporrebbe di 42 unità, disposte in fila a 35 chilometri di distanza dalla costa sarda compresa tra Carloforte e Portoscuso. A presentare il progetto, ora in mano al Ministero dell’Ambiente per le valutazioni preliminari che precederanno la VIA, la Ichnusa Wind Power. Come indicato nella relazione della compagnia:
Grazie alla struttura galleggiante di sostegno delle turbine è stato possibile posizionare il parco eolico in acque distanti oltre 35 chilometri dalla costa della Sardegna, in modo da renderlo sostanzialmente impercettibile ad occhio nudo dalla terraferma.
Le turbine galleggianti costituiscono un innovativo sviluppo tecnologico del settore eolico, che permette di realizzare parchi eolici offshore su fondali profondi, avvalendosi di sistemi di ancoraggio ampiamente sperimentati poiché derivati dal settore Oil & Gas, che da tempo ha sviluppato tecnologie legate alle piattaforme galleggianti.
Regione e Comuni, timori legati a pesca e turismo
Sono pesca e turismo i due nodi centrali intorno ai quali si sviluppa il fronte opposto al progetto. A battere su questo punto è il vicesindaco di Portoscuso, Ignazio Atzori, secondo il quale il parco eolico non porterebbe alcun beneficio al territorio. Dal sindaco di Carloforte Salvatore Puggioni critiche per l’assenza di comunicazione, lamentando il fatto che il progetto è arrivato a conoscenze degli enti locali coinvolti soltanto attraverso i media. Secondo la Onlus Italia Nostra il parco eolico minaccerebbe l’istituzione di aree marine protette e la tutela dell’ecosistema marino:
Condizionerebbe in termini fortemente penalizzanti lo studio richiesto dal ministero dell’Ambiente all’Ispra per l’individuazione di un’Area Marina Protetta nell’Arcipelago del Sulcis e nella costa adiacente, attualmente in corso di istituzione.
Eolico offshore in Sardegna, sì delle associazioni
Impatto visivo minimo e scarse ripercussioni per il territorio secondo le associazioni ambientaliste, che vorrebbero evitare la metanizzazione dell’isola. Il WWF lamenta il fatto che a tenere banco sarebbero soprattutto posizioni ideologiche, non dettate da riscontri oggettivi:
Il confronto sul parco eolico previsto al largo delle coste sud-occidentali è caratterizzato più da argomenti ideologici che non da valutazioni puntuali e oggettive. Dibattito che appare ancora più singolare soprattutto se si considera che le obiezioni paesaggistiche sono state avanzate dalla Regione Sardegna. Cioè dallo stesso soggetto che ha stravolto la Legge Paesaggistica regionale sino al punto da farselo impugnare dallo Stato.
Non v’è dubbio che si tratta di un progetto importante, di grandi dimensioni, le cui valutazioni sono ancora in corso. Ma non vi è altrettanto dubbio sul fatto che parlare di “impatti visivi” a distanza di 19 miglia marine dalla costa significa strumentalizzare un aspetto percettivo tutto da dimostrare dal momento che, sebbene si parli di torri di circa 280 metri queste, a 35 chilometri di distanza possono risultare, in giornate di tempo buono e cielo terso, come poco più di un segno all’orizzonte.
Non si valuta abbastanza invece l’aspetto innovativo del progetto che prevede piattaforme galleggianti per sostenere le torri. Già questo indica come si tratti di impianti che in futuro possono avere una possibilità di rimozione certamente più facilitate che non le strutture tradizionali.
Punto di vista condiviso anche da Luca Iacoboni, responsabile Energia e Clima di Greenpeace, che ha dichiarato:
Opporsi all’eolico in Sardegna e promuovere la metanizzazione significa legare il territorio sardo, e chi lo vive, a tecnologie inquinanti e che diventeranno sempre più marginali nel mercato.
Stessa linea a supporto delle fonti rinnovabili anche per Legambiente, che ha sottolineato:
La visibilità dell’impianto dalla costa è trascurabile, e l’impatto paesaggistico non presenta alcuna criticità dalla costa sarda, per cui la valutazione è positiva.
fonte: www.greenstyle.it
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Energia in Europa, il 2020 è l’anno del sorpasso delle rinnovabili sulle fossili
Quest’anno sarà indimenticabile per il mondo energetico. Un primato storico ha segnato i primi sei mesi del 2020: la produzione di energia da fonti rinnovabili in Europa ha superato quella da combustibili fossili. Nei 27 paesi dell’Unione europea le fonti alternative hanno coperto il 40 per cento della produzione, quelle tradizionali solo il 34 per cento. In cinque anni il distacco si è dimezzato. I benefici per l’ambiente? Il 23 per cento in meno di emissioni di gas serra.
A rivelarlo uno studio condotto dal think tank indipendente Ember e pubblicato il 22 luglio scorso. La ricerca raccoglie i dati degli operatori dei sistemi di trasmissione delle reti nazionali (Tso) riuniti all’interno dell’associazione Entso-E.
Rinnovabili in crescita dell’11% in un anno
Ember rivela che la produzione di energia rinnovabile è cresciuta in media dell’11 per cento rispetto al primo semestre del 2019 favorita da un inizio anno mite e ventoso. Per il solare si registra un +16 per cento, per l’eolico +11 per cento e per l’idroelettrico +12 per cento. Questo grazie alle nuove installazioni di eolico e solare in Ue che hanno coperto il 21 per cento della produzione. La maggior concentrazione è stata registrata in Danimarca (64%), Irlanda (49) e Germania (42).

Fossili in calo, per il carbone -32%
Di contro, la produzione da fossili ha risentito del calo della domanda per la pandemia di Covid-19. Questo ha comportato un altro primato: la Germania non è riuscita a eguagliare la produzione da carbone della Polonia. Nell’Ue a 27 la generazione da carbone è diminuita del 32 per cento e quella da lignite del 29 per cento. Anche la produzione di gas, indicato da molti come il vettore energetico più favorevole per la transizione energetica, ha registrato una diminuzione del 6 per cento.Leggi anche
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“È un progresso velocissimo rispetto a soli nove anni fa quando le fossili generavano il doppio delle rinnovabili”, commenta Dave Jones, senior electricity analyst di Ember. “Il piano per la ripresa economica, il next generation eu, può aiutare i Paesi ad accelerare nella transizione energetica, investendo nell’eolico e nel solare. Il just transition fund può aiutare ad abbandonare la produzione da carbone”.Leggi anche
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Se il 2020 è l’anno del sorpasso delle rinnovabili sulle fossili, per l’anima nera della Polonia non è ancora tempo di conversione. Nel paese la produzione da carbone equivale a quella di 25 stati e non esiste un piano per la chiusura delle centrali a carbone. Ciò dimostra quanto il suo contributo sarà determinante nel percorso comunitario di transizione energetica.

In compenso, altri stati membri ne hanno anticipato la chiusura. L’ultimo in ordine di tempo, dopo Austria e Svezia, è il Portogallo. L’utility portoghese Edp ha annunciato lo stop anticipato della centrale a Sines, prevista per il biennio 2021-2023. L’utility ha dichiarato che la fonte fossile è meno conveniente della controparte green, motivo che la porterà alla chiusura o alla conversione di altre centrali, anche in Spagna.

È un progresso velocissimo rispetto a soli nove anni fa quando le fossili generavano il doppio delle rinnovabili
Dave Jones, senior electricity analyst di Ember
Entro il 2025 altri sette paesi fermeranno la produzione di queste centrali. Si tratta di Francia (2022), Slovacchia (2023), Portogallo (2023), Irlanda (2025) e, ultima, Italia (2025). Il Belgio, invece, ha segnato il suo record personale: ha chiuso con il carbone nel 2016.
fonte: www.lifegate.it
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L’Italia può fare da battistrada dell’industria dell’eolico offshore galleggiante

Dall’industria fotovoltaica fuggita in Oriente, fino alle auto elettriche ignorate dal maggior produttore automobilistico nazionale: di treni per agganciare la transizione energetica a un rilancio e ammodernamento della produzione industriali, l’Italia ne ha persi un bel po’.
Adesso un altro convoglio si sta avvicinando alla “Stazione Italia”, ma riusciremo a saltarci sopra?
Il treno si chiama eolico offshore galleggiante, una tecnologia di cui si parla ormai da molti anni, ma che nessuna nazione ha ancora sviluppato, preferendo, finché c’è spazio, continuare a costruire turbine piantate in terra o sul fondo di mari profondi meno di 30 metri.
Nei nostri mari l’eolico offshore tradizionale non lo si può installare, perché fondali così bassi, accoppiati a venti forti e costanti, sono presenti quasi sempre solo a ridosso delle coste, e gli impianti sarebbero troppo invasivi: ci servono turbine montate sopra grossi galleggianti ancorati sul fondo, da mettere molto al largo.
Che lo si possa fare lo ha dimostrato dal 2017 la norvegese Statoil, che ha installato di fronte alla Scozia sei Hywind, turbine da 5 MW montate su lunghi cilindri immersi, che da allora funzionano con un’altissima produttività, resistendo a furiose tempeste. E ci sono altri prototipi in fase di test in giro per il mondo, come quelli dell’Università del Maine.
Eppure, adesso, l’Italia potrebbe essere la prima nazione a utilizzare in modo massiccio questa tecnologia, diventando anche un centro di produzione e sviluppo di macchine per fondali profondi, da esportare nei tanti paesi, dal Giappone alle Hawaii, dalla Grecia alla California, con gli stessi nostri problemi geografici.
Sono infatti state depositate al ministero dell’Ambiente due domande per la costruzione di impianti eolici galleggianti, uno nel Canale di Sicilia, fra Pantelleria e Lampedusa, a 35 km dalla costa più vicina, e l’altro a 32 km al largo di Buggerru, sulla costa sudoccidentale sarda: il primo dovrebbe avere una potenza di 250 MW con 25 turbine Siemens da 10 MW l’una, il secondo sarebbe composto da 42 turbine GE da 12 MW l’una per 504 MW di potenza complessiva.
Si stima che insieme i due impianti produrrebbero circa 2,7 TWh l’anno, aumentando del 16% la produzione eolica annuale italiana. Queste turbine sarebbero montate su un galleggiante a tetraedro, stabilizzato da una zavorra triangolare, ideato dalla società danese Stiesdal.

«In realtà l’impianto di Taranto non è stato ancora completato. Dopo i noti problemi nati da ricorsi che ci hanno fatto perdere anni preziosi e il fallimento del fornitore tedesco delle turbine Senvion, abbiamo dovuto trovare una nuova turbina e adeguare il progetto ad essa. Adesso contiamo di riuscire a produrre la prima elettricità entro il 2021».
Ecco, proprio considerate tutte le difficoltà incontrate per installare appena 30 MW di eolico offshore davanti a una acciaieria, questo “rilancio” di centinaia di MW in mare aperto sembra un po’ il solito annuncio velleitario di megaimpianti che non vedremo mai…
«A finanziare questo progetto sarà la società danese Copenhagen Offshore Partners, una delle maggiori al mondo nello sviluppo di parchi eolici offshore, che intende investire in questi due impianti 2,1 miliardi di euro. Loro ci credono».
Come ha fatto a convincerli?
«Con le società 7SEASmed e ICHNUSA Wind Power, abbiamo prodotto business plan credibili e spiegato che l’Italia è un paese che ha grandi capacità industriali, infrastrutture adatte e che nei prossimi anni dovrà installare molti GW di eolico per rispettare gli impegni sul clima, ma non ha lo spazio a terra o in mari bassi per farlo. L’unica strada realistica per noi è installare impianti eolici galleggianti in alto mare, e, se ci riusciremo qui, poi potremo esportare la tecnologia in tutto il mondo. Dopo una accurata verifica dei progetti ci hanno dato fiducia».
Però lei sa meglio di chiunque altro quanto sia difficile fare eolico offshore in questo paese. Non teme ambientalisti, sovraintendenze e comitati del no, scatenati contro le sue turbine?
«Guardi, ci siamo riletti i 25 progetti di eolico offshore respinti in Italia, prima che approvassero quello di Taranto. Abbiamo capito che il rifiuto di tali impianti, molte volte giustificato, si è basato su tre ragioni principali: interferenza con paesaggio, ambiente e navigazione. Per cui questi due nuovi progetti li abbiamo tarati proprio per evitare queste tre obiezioni. Li metteremo così al largo che per vederli da terra servirà un binocolo, in zone di scarso traffico navale, ancorandoli a fondali di 250-300 metri, dove la luce non arriva e la vita vegetale sui fondali è inesistente».
In realtà un primo parere del WWF sull’impianto siciliano non sembra proprio entusiasta: secondo loro potrebbe danneggiare gli uccelli migratori.
«Abbiamo preso in considerazione anche quell’aspetto, e comunque gli ambientalisti dovrebbero applicare un metro di giudizio più completo, considerando il contributo che questo tipo di impianti fornirà al contenimento della principale minaccia per la Natura: il climate change».
Comunque, sembra che l’idea sia quella di evitare ad ogni costo i ritardi di Taranto.
«Ovviamente, ma questa volta è ancora più importante, perché si tratta di tecnologie nuove e costose e la remunerazione in Italia per l’elettricità da offshore, 215 €/MWh, è giusto sufficiente a rientrare dell’investimento. Siamo sul filo e dobbiamo procedere senza intoppi. Per capirci, in Francia danno 240 €/MWh all’eolico offshore».
Perché non avete costruito lì, allora?
«Diciamo che entrare nel mercato di quel paese non è facilissimo. Loro stanno lavorando sul galleggiante, ma attraverso progetti e industrie francesi».
Ma se i margini sono così ristretti, perché avete scelto la tecnologia della Stiesdal, che non è mai stata testata in mare?
«È stata abbondantemente testata in vasca navale, simulando condizioni anche molto peggiori di quelle del Mediterraneo, con ottimi risultati e già oggi è pronto un primo prototipo per una turbina da 3,6 MW. Quella tecnologia ha comunque un grande vantaggio sulle altre: i galleggianti sono costituiti con le stesse strutture delle torri eoliche e si possono assemblare con le turbine in un porto, per poi rimorchiarli al largo, evitando costosi e rischiosi lavori di montaggio in mare».
Questo però richiederà di avere delle basi a terra, dove effettuare il montaggio.
«Certo, e ciò crea una enorme opportunità per l’Italia: saremo i primi a valorizzare porti, bacini e industrie dedicati all’offshore galleggiante, acquisendo un know-how unico, da spendere poi nel mondo. Abbiamo già individuato porti adatti in Sicilia e Sardegna».
E a questo, dite, si aggiungerebbe la richiesta di acciaio che potrebbe arrivare all’Ilva di Taranto per la costruzione delle torri e dei galleggianti.
«Avremo bisogno di circa 270mila tonnellate proprio del tipo di prodotti in acciaio di alta qualità che lo stabilimento tarantino è in grado di offrire: sarà una commessa preziosa dopo il suo rilancio in chiave green. E non c’è solo l’acciaio. Il nostro progetto apre un’altra opportunità industriale: le grandi turbine offshore sono oggi progettate per i mari del nord, quindi per venti medi di 10-12 metri al secondo, contro i 6-8 del Mediterraneo. Questo ci obbliga a usare macchine sovradimensionate, più costose e meno efficienti di quanto sarebbero modelli “mediterranei”. La nostra industria potrebbe produrre turbine tarate per i nostri e altri mari nel mondo con venti simili».
Come sta andando l’iter autorizzativo?
«Abbiamo presentato la richiesta di Valutazione di Impatto Ambientale, e attendiamo dai ministeri le prime risposte. C’è stato qualche mese di ritardo anche per il covid-19, ma ora contiamo di ricevere la risposta a breve, le prime interlocuzioni con i ministeri sono andate molto bene, c’è comprensione e interesse per questo nuovo progetto. Superata la Via, le cose potrebbero procedere spedite ed entro due o tre anni potremmo cominciare a vedere le prime turbine galleggiare nel Mediterraneo. Evidentemente Taranto, nonostante i tanti intoppi, ha rotto il ghiaccio che bloccava l’offshore in Italia e tanti ne comprendono oggi le potenzialità».

Allora ingegner Sorokin, qualcuno finalmente l’ha ascoltata?
«Più che ascoltare me, qualcuno ha ascoltato il buon senso: nella condizione geografica italiana, quella è l’unica via percorribile per un eolico massivo. E anche per la nostra industria, che ha bisogno di rilanciare la siderurgia e ha grande esperienza nella cantieristica e nelle piattaforme offshore; è l’uovo di Colombo».
Ma questi progetti le sembrano realistici? Non peccano un po’ di megalomania?
«Sono fatti molto bene, con grande professionalità. Le loro grandi dimensioni non devono sorprendere: l’unico modo per rendere profittevoli iniziative così innovative, è puntare alle economie di scala e quindi ai grandi numeri. Il solo punto su cui ho qualche dubbio è il sistema di galleggiamento, molto interessante e innovativo, ma mai testato in grande scala e in mare aperto, ma immagino, vista l’esperienza nell’offshore dei finanziatori danesi, che chi lo produce abbia ben dimostrato la sua affidabilità».
Ma veramente l’ingegner Severini riuscirà a farseli approvare in tempi ragionevoli?
«La burocrazia italiana è forse la maggiore incognita di questa impresa, ma visti gli impegni climatici presi in sede europea, considerato che ormai l’eolico offshore dilaga nel mondo, dimostrandosi affidabile e molto produttivo, viste le enormi ricadute positive per il sistema industriale del nostro paese che arriveranno da questi due impianti, e, non ultimo, considerata anche la fiducia che i danesi sembrano riporre in noi, voglio sperare che si farà veramente di tutto per agevolarne l’iter. Anche al farsi male da soli c’è un limite, persino in Italia».
Forse questo treno che corre sull’acqua, non ce lo faremo scappare.
fonte: www.qualenergia.it
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