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Rapporto Wwf: 39 milioni di nuovi posti di lavoro se i governi la smettono con i sussidi dannosi per l’ambiente

Riorientare questa spesa verso pratiche sostenibili ridurrà l'impatto sulla biodiversità e aiuterebbe a passare a un'economia nature-positive




In vista dell’Open-Ended Working Group (OEWG-3) che si terrà dal 23 agosto al 3 settembre e che preparerà la ...

Green jobs, crescono le prospettive occupazionali. Ecco i profili più richiesti

Crescono del 50% le richieste di professionisti green. I numeri di Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale qualificato



Nel 2018 c’erano 3 milioni e 100mila circa nel settore green&blue economy, con un tasso di crescita del 20% in meno di 2 anni. Oggi, i lavoratori verdi rappresentano il 15% degli occupati complessivi. Lo rivela Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale qualificato. La domanda di green jobs è in costante forte crescita: 520.000 risorse solo nel 2019. Le retribuzioni per questi professionisti sono molto interessanti: si collocano tra i 40.000 e i 60.000 euro. Nella maggior parte dei casi operano all’interno di contesti aziendali di medie e grandi dimensioni, in Italia e all’estero. La ricerca di questi profili è particolarmente concentrata nelle regioni del centro-nord Italia, in particolare Lombardia ed Emilia-Romagna.

Profili più ricercati

Quali sono i profili Blue & Green ad oggi più ricercati? Tra questi si trovano: bioarchitetto, informatico ambientale, mobility manager, E.G.E (esperto gestione energia), installatore di reti elettriche smart, installatore di impianti di condizionamento, avvocato specializzato in tematiche green.

Grandi opportunità professionali

“La Blue Economy – dichiara Davide Boati, Executive Director di Hunters, brand di Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale qualificato – può essere considerata un’evoluzione della green economy e ha un obiettivo preciso: arrivare a zero emissioni di CO2. Questo si traduce anche in un aumento del 50% di richieste, da parte delle aziende, di professionisti che abbiano notevoli competenze tecniche, ma che dimostrino anche grande attenzione alla sostenibilità. Non per tutti questi profili esistono al momento scuole di formazione specifiche, ma da una nostra analisi emerge un quadro molto chiaro: tra pochi anni vi sarà uno sviluppo sempre maggiore di queste nuove tipologie di profili che, già in questo momento, hanno grandi opportunità professionali”. “I green jobs in Italia - aggiunge - sono caratterizzati da un elevato livello dei titoli di studio richiesti: in un caso su tre (35,2%) si richiede un livello d’istruzione universitario. Dai professionisti verdi le imprese si aspettano non solo formazione più elevata, ma anche un’esperienza specifica in quell’ambito. Resta sempre molto complesso il processo di reperimento e di on-boarding di queste figure per circa il 40% delle aziende che lamentano difficoltà ad identificare ed assumere profilo giusto”.

fonte: www.e-gazette.it


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L’Italia che protegge l’ambiente e diventa energeticamente autosufficiente può darci milioni di occupati

Il settore ambientale è quello che in assoluto ha più potenzialità occupazionali di tutti gli altri, compreso il settore informatico di cui tanto si favoleggia.




Vari anni fa un politico imprenditore, noto anche per i suoi tanti guai con la giustizia, per farsi eleggere sparò una delle sue proverbiali balle dicendo che avrebbe dato milioni di posti di lavoro agli italiani. Ovviamente nulla di questo si avverò ma se avesse usato questa affermazione riferendosi all’ambiente (che purtroppo il personaggio in questione non sa nemmeno cosa sia) sarebbe stato molto più credibile.
Infatti il settore ambientale è quello che in assoluto ha più potenzialità occupazionali di tutti gli altri, compreso il settore informatico di cui tanto si favoleggia.
Del resto non ci vuole molto a capire che visto lo stato ambientale pietoso in cui abbiamo ridotto il nostro paese, ci vorrà tanto lavoro per rimettere in sesto quanto si è rovinato.
Ma andiamo con ordine, solo il settore della riqualificazione energetica capillare di tutto il patrimonio edilizio italiano darebbe da lavorare a centinaia di migliaia di persone. Se poi finalmente si volesse sfruttare la qualità principale del Paese del sole, ovvero il sole stesso e le energie rinnovabili in genere, anche per fare diventare l’Italia in breve tempo autosufficiente, servirebbero altre centinaia di migliaia di persone.
Pensate ad esempio cosa significherebbe in fatto di occupazione diffusa, da nord a sud, mettere ovunque sia possibile pannelli solari per produrre elettricità, acqua e aria calda, microgeneratori eolici, micro impianti idroelettrici, impianti di biogas domestici.
C’è poi tutto il settore della salvaguardia ambientale laddove innumerevoli zone sono a rischio idrogeologico costante derivante dal saccheggio della natura e cementificazione. Proporre poi un turismo orientato soprattutto all’ecologia, intervenire sul vastissimo settore del riuso, recupero e riciclo dei materiali dalle potenzialità immense, applicare sistemi di efficienza energetica ovunque compresa la mobilità completamente rivista in ottica di tutela ambientale. Intervenire sugli sprechi idrici e quindi la conseguente installazione capillare di limitatori di flusso, sistemi di fitodepurazione ove possibile, compost toilet, sistemi di recupero acqua piovana, orti autoirriganti.
E se calcoliamo le potenzialità anche di tutto il settore dell’agricoltura biologica, avremmo un ulteriore altissimo incremento di occupati, visto che è evidente che non possiamo continuare a mangiare e bere schifezze e conseguentemente avvelenare noi stessi e l’ambiente spargendo tumori nella popolazione, vero flagello sanitario. A corollario di tutto questo c’è la necessaria e fondamentale informazione e formazione a cittadinanza, scuole, imprese, enti pubblici, uffici, che impegnerebbe altrettanti lavoratori.
Intraprendendo queste azioni riassorbiremmo tutta la disoccupazione e molte persone che attualmente fanno lavori dannosi, inutili, senza senso o che non gli piacciono, potrebbero cambiare lavoro e contribuire a fare dell’Italia il giardino fiorito che più volte abbiamo auspicato.
Proviamo a immaginare, con questi interventi capillari e diffusi ovunque, quanti milioni di persone si occuperebbero; e per di più in lavori, utili, sensati e che salvaguardano noi, la nostra salute e quella delle prossime generazioni. Inoltre si risparmierebbero enormi quantità di soldi sottratte al flagello dei combustibili fossili, discariche, inceneritori, veri e propri prosciugatori di ricchezza e produttori di inquinamento senza soluzione di continuità.
Altro che “crescita” e soldi buttati dalla finestra per rilanciare settori che producono merci e servizi dannosi o/e superflui; si punti dunque decisamente e senza indugio sull’ambiente e tutto quanto ne deriva, si avranno solo benefici, vantaggi e prosperità da ogni punto di vista.
E che questa via sia percorribile, sana e saggia lo dimostriamo come associazione Paea da oltre venti anni con il nostro lavoro e spiegheremo come intraprenderla anche nel prossimo corso sul “Cambiare vita e lavoro. Istruzioni per l'uso” giunto ormai alla 47 edizione. Immersi nella natura umbra ospitati al Parco Energie Rinnovabili, un gioiello di autosufficienza, tecnologie appropriate, energie rinnovabili, creatività e ottima cucina, costruiremo l’auspicabile futuro solare e vivibile per tutti

fonte: www.ilcambiamento.it


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Gino Chabod, l’artigiano del legno che insegna ai bambini il “saper fare”

La storia di Gino Chabod, spirito ribelle valdostano, che da quasi trent'anni educa i bambini alla manualità, alla cooperazione e al senso di comunità attraverso le sue due falegnamerie didattiche: una mobile attrezzata su un furgone; l’altra allestita ai Campi di Borla, la splendida fattoria didattica del piacentino dove vive in semplicità volontaria. E dove sogna di poter tramandare il mestiere a un giovane.









La nutrita schiera di quelle persone che si sono rimboccate le maniche e quotidianamente lavorano per ingrandire l’Italia che cambia si arricchisce oggi di un altro talentuoso personaggio. Chiunque abbia frequentato negli anni scorsi Fa’ la cosa giusta, la fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, se lo ricorderà certamente. Si tratta di Gino Chabod, uno dei più seri candidati, naturalmente a sua insaputa, al titolo di moderno Mastro Geppetto nel nostro Paese.

Lo incontro in un ventoso pomeriggio di primavera in una delle sue due falegnamerie per bambini: quella fissa, allestita presso la fattoria didattica (e agriturismo) I Campi di Borla, piccola perla sulle colline nei pressi di Salsomaggiore Terme, dove vive praticando la semplicità volontaria e l’autoproduzione assieme alla compagna Donatella Mondin, fondatrice e anima di questo luogo incantato e accogliente, immerso nella verdeggiante natura della Val d’Arda, nel piacentino.

Gino e Donatella

L’aspetto etereo e quasi stralunato, la barba bianca, la voce felpata, il sorriso pacato, le grandi mani sempre raccolte come per scongiurare la fuga del talento che le abita, Gino è una di quelle persone a cui difficilmente attribuiresti uno spirito ribelle. E invece è proprio questo spirito ad averlo animato fin dall’adolescenza ad andare controcorrente, sebbene con tutti i dubbi e le correzioni di rotta del caso, in un’epoca – quella della provincia italiana degli anni ’60 – caratterizzata da forte espansione economica e (pertanto) da una certa diffidenza per chi si opponeva al flusso prevalente.

Nato nel 1955 in un villaggio di montagna della Val D’Aosta allora popolato da gente semplice, dalla cultura minima, ancora avvezza alla convivenza con gli animali da cortile piuttosto che con altri umani, nemmeno Gino è stato inizialmente insensibile al fascino della modernità. Compiuti i 13 anni, infatti, si iscrive alla scuola per elettrotecnici dell’Olivetti a Ivrea, come tanti giovani di paese negli anni ’60 attratti dal mito del posto fisso in fabbrica e dal sogno di emancipazione che la vita in un’area industriale sembrava garantire.

Nel caso di Gino, tuttavia, questa fase dura poco. Quella che immaginava essere una possibilità di emancipazione, infatti, per lui si rivela ben presto una forma di alienazione. «Sentivo la mancanza della manualità vera, della sensibilità ai materiali che avevo appreso nell’infanzia, quando razzolavo libero sui prati e mi perdevo nei boschi», confessa. E così a 18 anni, finita la scuola, sceglie di “tornare a pascolare le capre”. Si iscrive prima a un corso per diventare casaro ad Aosta e poi, partito per il servizio militare, scopre per puro caso la sua missione di vita.

I Campi di Borla

Siamo nel 1976 e il 21enne Gino viene mandato dal suo reparto ad aiutare i terremotati del Friuli. Assegnato alla realizzazione delle tettoie delle mense per i campi tenda, mentre alcuni volontari intrattengono i bambini della zona, si ritrova – nemmeno si ricorda come – a intagliare improvvisati giochini di legno con i suoi attrezzi di fortuna.

La cosa si ripete nei giorni successivi e così, giochino dopo giochino, l’entusiasmo dei piccoli ospiti del campo non passa inosservato. Se ne accorgono le maestre della scuola del paese, le quali chiedono ai militari che quel ragazzone alto e taciturno continui a regalare sorrisi ai bambini colpiti dalla tragedia anche dopo la fine del lavoro alle mense. Gino ricorda con un pizzico di commozione la determinazione del suo capitano a superare le difficoltà burocratiche: «Dovettero scomodare un generale di corpo d’armata per darmi il permesso di andare ogni giorno nel campo dei bambini».

Da quell’esperienza nasce per la prima volta in Gino l’idea di una falegnameria per bambini attraverso la quale trasmettere loro l’identità collettiva e il senso di comunità che aveva appreso da piccolo nel suo villaggio in montagna, dove ciascun cittadino aveva capacità manuali e cultura della responsabilità tali da potersi occupare del pezzettino di beni comuni (acquedotti, boschi, pascoli, ecc.) che gli veniva assegnato. Non a caso uno dei giochi più replicati in quelle difficili settimane in Friuli era ricostruire il paese distrutto con tutte le case, le attività e le infrastrutture che c’erano prima, utilizzando delle miniature.

Sembra fatta, dunque. E invece no. Perché la paura di volare per il giovane Gino è ancora troppo forte. Dopo la fine del servizio militare, al ritorno in Val d’Aosta, a prevalere è di nuovo il richiamo delle certezze che ancora negli anni ’70 garantiva la vita convenzionale. Gino si associa a un coetaneo che aveva iniziato a fare il tornitore del legno e con lui apre una falegnameria. Eppure, per tutti i successivi 16 anni, fra un mobile personalizzato e l’altro, mentre è al lavoro per fabbricare serramenti, scale e chalet, non passa giorno senza sentire il fuoco sacro della missione che lo chiama a mollare tutto per dedicarsi ai “suoi” bambini.



Finché una notte, a metà anni ’90, per dirla con Sepulveda, il richiamo dell’aria diventa improvvisamente più forte della paura di cadere. Quella notte Gino si affaccia al balcone di casa e guarda dall’alto il suo furgone da lavoro, sognante. A quasi 40 anni è finalmente pronto a spiegare le sue ali. Nei giorni successivi allestisce, proprio sul suo furgone, un laboratorio mobile per bambini con tutti i crismi, in grado poi di superare anche le nuove, stringenti norme sulla sicurezza della celebre legge 626.

Nasce così la falegnameria didattica ambulante che negli anni a seguire presenterà e diffonderà, prima nelle scuole della Val d’Aosta e poi, dopo il taglio dei fondi alle scuole, in tutto il Nord Italia, dove in quel periodo iniziano a fiorire eventi e festival dedicati alla sostenibilità e al cambio di paradigma.

Fra questi eventi c’è anche Fa’ la cosa giusta, dove Gino viene invitato tutti gli anni a portare i suoi banchi, gestendo in totale libertà lo spazio che la fiera riserva ai bambini. E dove nel 2010 conosce Donatella, che ha da poco aperto – sola con i sue due figli – una fattoria didattica sulle colline del piacentino. Qualche mese dopo Gino è proprio lì, ai Campi di Borla, con le maniche tirate su, ad attrezzare la sua seconda falegnameria per bambini. più equipaggiata di quella ambulante, fiore all’occhiello di una fattoria che – dopo le chiusure forzate degli ultimi tempi – oggi è tornata ad accogliere bambini e preadolescenti da tutta Italia.

Quando gli chiedo se costruire barche, aeroplanini, bambole e animali da più di 25 anni non sia un po’ come saldare tutti i giorni pezzi d’auto in una catena di montaggio, Gino risponde pacato ma deciso: «Se fra le mansioni di un saldatore ci fosse insegnare il mestiere a dei bambini, forse quel lavoro non sarebbe più considerato alienante». In effetti è proprio il rapporto con i bambini il plus che continua a motivarlo. «Quando metti insieme la manualità e i bambini non hai un problema di ripetitività del lavoro. Le idee nuove vengono da sole, specialmente da loro», chiosa.

Una creazione dei bambini

Ma le soddisfazioni non vengono solo dalle forme che riesce a prendere il legno una volta sollecitato dalla creatività dei piccoli. Più volte gli è capitato, infatti, che ragazzini problematici delle medie, di quelli che dopo cinque minuti di lezione frontale già cominciano a dare in escandescenze, con lui si siano trasformati in angioletti rispettosi e curiosi.

Pur preferendo lavorare con le scuole materne (bambini di 3-5 anni), paradossalmente è proprio con i più grandi che Gino conserva il suo ricordo più bello. «Era un campo diurno per adulti disabili, durante il quale i partecipanti hanno costruito giochi di società di grandi dimensioni; a un certo punto i disabili hanno iniziato a giocare con tutti i normodotati presenti, sentendosi per una volta protagonisti e spettatori allo stesso tempo».

Mentre le attività possibili nella falegnameria ambulante sono abbastanza circoscritte, ai Campi di Borla Gino può permettersi di lavorare con diverse fasce d’età e per periodi di tempo più lunghi, visto che la fattoria può anche ospitare. Ciò gli permette anche di diversificare le attività proposte, incrementandole con quelle più adatte alla preadolescenza – dal taglio di piccoli alberi alle staccionate per i sentieri, dalla rimozione dei tronchi all’edilizia con terra cruda, fino al lavoro con i mattoni, la costruzione di casette, ecc. – per un’esperienza che si rivela più completa di quella della sola falegnameria.

Gino ci descrive la settimana-tipo ai Campi di Borla. Appena arriva un gruppo, si fa un piccolo calendario con i turni per cucinare, per servire, per fare le pulizie. «Sono attività simboliche, realizzate in maniera leggera e giocosa, ma tutte utilissime per educare alla manualità, alla cooperazione, e a non dare nulla per scontato», ci dice. Poi, ogni mattina dopo la colazione, parte un cerchio in cui si decide la suddivisione in gruppi. Uno dei gruppi si reca con lui in falegnameria, nel bosco o nell’orto (a seconda dell’attività prevista). L’altro gruppo aiuta invece nelle faccende domestiche, specie in cucina, dove Donatella insegna ai ragazzi a preparare un pranzo completo. Poi nel pomeriggio si invertono le attività dei gruppi.

«Quando restano una settimana, i bambini arrivano già con delle idee in testa», continua Gino. «Una bambina una volta ha realizzato il trombone della nonna in legno; una ragazzina ha fatto un piccolo telaio perfettamente funzionante; a un bambino che si era costruito un monopattino di legno scavato in un tronco hanno offerto 500 euro una volta rientrato a Milano, ma lui non l’ha voluto vendere».



Gli chiedo come si spieghi che la possibilità dell’autocostruzione riesca ad appassionare così tanto dei bambini abituati alle cose già pronte, che si possono comprare e utilizzare in un attimo. «Io credo – mi risponde – che ogni umano abbia una tendenza ancestrale verso la ricerca di un equilibrio più naturale tra il pensare a un oggetto e realizzarlo con le proprie mani. Forse è per questo che il cervello riscopre questa possibilità non appena gliene si dà la possibilità. Ho tantissimi ricordi di bambini felici dopo aver costruito da soli, senza spendere un centesimo, oggetti piccoli, semplici, senza alcuna dote magica quale muoversi, emettere suoni o lampeggiare».

A conclusione del nostro incontro, gli domando se si sente più artigiano o artista. Lui però glissa e preferisce confidarmi il suo ultimo sogno. Ora che sta invecchiando gli piacerebbe trovare un erede, un giovane apprendista che non creda solo agli attrezzi che impugnerà, ma soprattutto alla valenza politica del suo messaggio. «Ho imparato una serie di cose legate a un sapere che rischiava di andar perso, ma non l’ho certo fatto per guadagnare più soldi. L’ho fatto nell’attesa di tornare utile a indicare la strada il giorno in cui capiremo che quella che il mondo sta percorrendo ora non ci porta da nessuna parte». E chissà che questo articolo non si trasformi in un piccolo messaggio in bottiglia lanciato nel mare di coloro che, al momento delle scelte decisive sulla propria vita, decideranno di andare anch’essi controcorrente, come ha fatto lui.

Usciti dalla falegnameria, noto che il vento ha cessato di soffiare. Gino insiste mentre mi accompagna alla mia auto. «I ragazzi che hanno solo una formazione universitaria spesso rinunciano a essere protagonisti della loro vita. Finiscono per aggrapparsi alla convinzione che qualcuno debba offrirgli un lavoro. Io invece vorrei trasmettere l’idea che ciascuno di noi può costruirsi la sua strada con le proprie forze, senza dipendere dagli altri».

Entro in macchina con una bizzarra sensazione di incompletezza dall’origine ignota. Metto in moto e inizio a percorrere la sterrata in salita che dalla fattoria mi porterà sulla strada principale. Ma all’improvviso realizzo, richiamato dalla mia curiosità insoddisfatta. Allora tiro il freno a mano, apro la portiera, salgo sul predellino e guardo giù verso Gino, distante non più di venti metri. Gli grido: «Ma quindi, alla fine, ti senti più artigiano o più artista?». Risponde facendo roteare un dito accanto all’orecchio, come a scusarsi per il vento che gli impedisce di sentire. Non faccio in tempo a ribattere “guarda che il vento non c’è più”. Lui è più lesto. Mi saluta con quel suo sorriso calmo, sventolando entrambe le mani. Mani grandi di artigiano abitate dallo spirito ribelle di un artista.

fonte: www.italiachecambia.org


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L'inganno: impatti su salute ed ambiente, ma pochi benefici. Quanto vale il petrolio lucano?

Benvenuti nel Texas d'Italia















Una regione che galleggia sul petrolio, ma che a dispetto di tale supposta ricchezza non riesce a porre argine alla fuga della sua gioventù. Benvenuti in Basilicata, il “Texas d'Italia”, come è stata ribattezzata nelle ultime due decadi del secolo scorso, quando nella Val d'Agri, a una cinquantina di chilometri da Potenza, è stato scoperto il giacimento su terra ferma più ricco d’Europa. Da quel momento una delle valli più rigogliose del Meridione, famosa per la produzione di fagioli e mele, è diventata il fulcro dell'estrazione petrolifera nostrana. Nel suo cuore è stato innestato il Centro Olio Val d'Agri (COVA), che raccoglie il petrolio estratto nei pozzi sparsi nell'area (al momento quelli attivi sono 24). La produzione si aggira intorno agli 80mila barili al giorno, a fronte di un massimo previsto per concessione statale che può raggiungere le 104mila unità. Da alcuni mesi è attivo un secondo centro Olio, quello di Tempa Rossa, gestito dalla Total, che è già nell’occhio del ciclone per una serie infinita di problemi e incidenti.




Ma siamo sicuri che i benefici, sotto forma di royalties e posti di lavoro, superino i “costi”, ovvero l’inquinamento di aria, acqua e della terra e i relativi effetti sul territorio e le comunità che lo abitano? E che gli stessi benefici stiano veramente cambiando il volto della Basilicata? Quella che è storicamente una delle regioni più povere d’Italia è rimasta tale e centinaia di suoi figli continuano a cercare fortuna altrove.



fonte: inganno.recommon.org


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GWEC: dall'eolico 3,3 milioni di nuovi occupati del prossimo quinquennio

 















Nel corso dei prossimi 5 anni, la grande espansione del settore eolico porterà alla creazione di ben 3,3 milioni di posti di lavoro, distribuiti lungo tutta la filiera produttiva.

Questi i numeri contenuti in una recente analisi pubblicata dal Global Wind Energy Council ("GWEC"), l'associazione internazionale dell'industria eolica.

La cifra stimata da GWEC riguarda i posti di lavoro diretti, relativi sia al comparto onshore che a quello offshore, e copre l'intera filiera: pianificazione e sviluppo dei progetti, produzione dei componenti, installazione, O&M e decomissioning.

Con 751 GW di capacità eolica già installata, il settore dà già oggi lavoro a 1,2 milioni di persone; di questi 550mila sono in Cina, 260mila in Brasile, 115mila negli Stati Uniti e 63mila in India.

GWEC prevede che altri 470 GW di nuova capacità eolica onshore e offshore saranno installati in tutto il mondo tra il 2021 e il 2025. Un aumento in grado di creare ben 3,3 milioni di nuovi posti di lavoro sostenibili e duraturi, che saranno concentrati nei mercati coi più elevati tassi di crescita, in primis Cina, Stati Uniti, India, Germania, Regno Unito, Brasile, Francia, Svezia, Spagna, Sud Africa e Taiwan.

Ben Backwell, amministratore delegato di GWEC, ha commentato: "L'industria eolica ha una solida esperienza nella creazione di posti di lavoro di alta qualità e a lungo termine e nel rilancio delle comunità attraverso una serie di opportunità industriali. Mentre il mondo sta ancora vacillando per gli impatti economici della pandemia Covid-19, i governi devono guardare al settore eolico come un'industria chiave in grado di creare i posti di lavoro di cui hanno bisogno per rimettere in carreggiata le loro economie".


Riferimenti
Wind can power 3.3 million new jobs worldwide over next five years
il comunicato stampa di GWEC



fonte: www.nextville.it

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CONFERENZA STAMPA del 13 febbraio 2021 - #DirettaStreaming

 





PER PARTECIPARE:
https://us02web.zoom.us/j/89723555745?pwd=d3EwV1lNWVU1Si9mcTh3UTRPeVMxdz09




PROPONENTI Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero - Movimento Difesa del
Cittadino - Osservatorio Borgogiglione - Gruppo Ecologista il Riccio - ISDE- Medici Per
l’Ambiente - Comitato di via Protomartiri Francescani di S. Maria degli Angeli - Comitato
Molini di Fortebraccio - Comitato Antipuzza Villa Pitignano Bosco Ponte Felcino e
Ramazzano – Comitato Inceneritori Zero - Comitato No Inceneritori di Terni - Rifiuti Zero
Spoleto - Comitato Gubbio Salute Ambiente – Ecologicpoint – Comitato per la tutela
ambientale della conca eugubina - Comitato Salute Ambiente Calzolaro Trestina Altotevere
Sud - Comitato per la Salvaguardia della salute e dell’ambiente di Fossato di Vico -
Comitato di Monteluiano - Comitato Soltanto la Salute - Comitato Rio Fergia - WWFUmbria - Zero Waste Italy



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CONFERENZA STAMPA del 13 febbraio 2021 - dalle ore 10.30

 




PROPONENTI 
Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero - Movimento Difesa del Cittadino - Osservatorio Borgogiglione - Gruppo Ecologista il Riccio - ISDE - Medici Per l’Ambiente - Comitato di via Protomartiri Francescani di S. Maria degli Angeli - Comitato Molini di Fortebraccio - Comitato Antipuzza Villa Pitignano Bosco Ponte Felcino e Ramazzano – Comitato Inceneritori Zero - Comitato No Inceneritori di Terni - Rifiuti Zero Spoleto - Comitato Gubbio Salute Ambiente – Ecologicpoint – Comitato per la tutela ambientale della conca eugubina - Comitato Salute Ambiente Calzolaro Trestina Altotevere Sud - Comitato per la Salvaguardia della salute e dell’ambiente di Fossato di Vico - Comitato di Monteluiano - Comitato Soltanto la Salute - Comitato Rio Fergia - WWF Umbria - Zero Waste Italy

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Economia circolare, Costa: nei prossimi 5 anni 1,6 milioni di lavoratori necessari al settore riparazione








Secondo alcune stime “sono oltre 230mila le posizioni di lavoro che ora occorrerebbero per i cosiddetti riparatori”, in un più vasto “cambio di paradigma, dall’economia lineare all’economia circolare, che nel prossimo quinquennio si stima necessiti di oltre 1,6 milioni di nuovi lavoratori green nel settore”, cioè “circa il 60% oltre la richiesta lavoro esistente”. Così il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, intervenuto al webinar organizzato dal Movimento 5 Stelle dal titolo ‘2021 anno del diritto alla riparazione’. Insomma, “non è più banale parlare di economia circolare – dice Costa – va magnificato il tema che è emerso”.

“Sul tema della riparazione, all’esame del Senato c’è una proposta di legge per il contrasto all’obsolescenza programmata dei beni di consumo, mentre alla Camera ce n’è un’altra basata sul concetto di bene nella gestione del rifiuto. Sono proposte di legge che segnano questa sensibilità – aggiunge il ministro – oggi che ci sono le condizioni culturali, politiche e governative, si può fare ed è necessario fare questo salto di qualità”.

“Il diritto alla riparazione si fonde ad altri diritti nell’ambito dell’economia circolare che cambiano il paradigma produttivo”, spiega Costa, “una visione nella quale nel resto della legislatura vogliamo costruire questo sistema”.

l ministro ha ricordato che nel 2018, poco dopo il suo insediamento al ministero dell’Ambiente, è stata assegnata al suo dicastero la competenza sull’economia circolare, insieme al ministero dello Sviluppo economico. Inoltre, nel 2020 è stata creata la Direzione generale per l’economia circolare. “Questo va di pari passo – ha osservato – con il quadro Ue”, al quale ha fatto riferimento la direttrice generale del ministero Laura D’Aprile.

Costa ha ricordato che “nell’ambito del regolamento Ue sulla tassonomia, abbiamo costruito gli indici della green finance, tra cui l’indice della circolarità della materia: coloro che vi investono hanno un indice di rischio più basso. Siamo i primi in Europa ad applicare tutto questo in via sperimentale”.

fonte: http://esper.it

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CS PRESENTAZIONE FIRME: ”UMBRIA: UNA STRATEGIA “VERSO RIFIUTI ZERO” A TUTELA DI AMBIENTE, SALUTE ED EQUITA' “

Il giorno 25 Gennaio 2021 con il Protocollo numero 13551/25012021 vengono consegnate all’apposito ufficio della Regione Umbria le firme raccolte sulla petizione ”UMBRIA: UNA STRATEGIA “VERSO RIFIUTI ZERO” A TUTELA DI AMBIENTE, SALUTE ED EQUITA' “

 




4198 firme non sono poche, ogni mille residenti in Umbria 5 hanno firmato questa petizione e noi abbiamo raccolto anche quelle di chi ci ha voluto dimostrare solidarietà vivendo in altre regioni.

La petizione doveva rafforzare la nostra richiesta di incontrare i referenti politici e tecnici della regione per discutere la nostra proposta di gestione regionale dei rifiuti secondo la strategia rifiuti zero presentata ad AURI e REGIONE il 7 e 8 Aprile 2020.

Dopo dieci mesi dispiace che né l’Assessore Morroni né AURI abbiano trovato il modo e il tempo per un incontro, mentre il primo va ripetendo in tutte le interviste che la fase di partecipazione è prevista dall’iter, che non dobbiamo essere ideologici sull’incenerimento e intanto registriamo che il punto 12 della nostra proposta cioè: “Scartare l’ipotesi di produrre CSS da utilizzare come combustibile nei cementifici” sta per essere bruciato (è proprio il caso di usare questo termine) dalla richiesta avanzata dai cementifici. Inoltre è ormai assodato che la “valorizzazione” energetica dei rifiuti non è più in linea con l’economia circolare, che richiede il massimo recupero dei materiali da reinserire nei cicli produttivi. D’altronde, Paesi europei che hanno da sempre fatto ampio uso dell’incenerimento, come la Danimarca, da tempo hanno cambiato rotta. E non per motivi ideologici bensì economici; misure di cui una Regione povera e soggetta a forte spopolamento, come l’Umbria, ha certamente bisogno.

Ora, non vorremmo che ci venisse accordato l’incontro quando non c’è da decidere più niente e visto che l’iter burocratico è stato già individuato. A cominciare dalla fotografia delle stato attuale, e da quello che si legge sulla stampa sembra tutto convergere nella direzione del CSS da produrre e bruciare. Che vorrebbe dire ribaltare la nostra proposta di economia circolare (fortemente raccomandata anche dalle normative europee) verso la solita economia lineare con vantaggio di pochi e svantaggi per gli altri.

Vogliamo ancora credere che sia possibile il confronto per questo insistiamo per averlo, oggi protocolliamo le firme, domani 26 gennaio ore 10 appuntamento al sit-in di fronte a Palazzo Cesaroni. Non siamo soli a sostenere la nostra proposta.

I 17 PUNTI - PROPOSTE LINEE GUIDA PER IL PIANO D'AMBITO REGIONALE

PROPONENTI Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero - Movimento Difesa del Cittadino - Osservatorio Borgogiglione - Gruppo Ecologista il Riccio - ISDE- Medici Per l’Ambiente - Comitato di via Protomartiri Francescani di S. Maria degli Angeli - Comitato Molini di Fortebraccio - Comitato Antipuzza Villa Pitignano Bosco Ponte Felcino e Ramazzano – Comitato Inceneritori Zero - Comitato No Inceneritori di Terni - Rifiuti Zero Spoleto - Comitato Gubbio Salute Ambiente – Ecologicpoint – Comitato per la tutela ambientale della conca eugubina - Comitato Salute Ambiente Calzolaro Trestina Altotevere Sud - Comitato per la Salvaguardia della salute e dell’ambiente di Fossato di Vico - Comitato di Monteluiano - Comitato Soltanto la Salute - Comitato Rio Fergia - WWF Umbria - Zero Waste Italy

Le foto della protocollazione firme petizione in Regione Umbria





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Economia circolare, Italia 2/a Europa per occupati

Ma è 20/ma nell’indice globale di sostenibilità ambientale




L’Italia è al secondo posto in Europa per tasso di occupazione nel settore dell’Economia Circolare (riparazione, riutilizzo e riciclo), con il 2,06% rispetto al dato totale, preceduta dalla Polonia che registra il 2,2% (la media europea è dell’1,7%). A livello globale, però, il ‘BelPaese’ è solo 20/o, insieme a Repubblica Ceca e Malta, nell’indice globale di sostenibilità ambientale. Se ne parla su www.economiacircolare.com, il nuovo web magazine interamente dedicato alle sfide della transizione ecologica, realizzato da CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali in Italia – in collaborazione con Erion – Sistema multi-consortile per la gestione dei rifiuti associati ai prodotti elettronici (Raae).

“A fronte di una produzione di Raee che, entro il 2030, raggiungerà a livello mondiale un peso stimato di 74.7 milioni di tonnellate – spiega Andrea Fluttero, presidente di Erion Compliance Organization – riteniamo che l’economia circolare sia la chiave per introdurre un nuovo paradigma nella gestione e nel trattamento dei rifiuti. Inoltre, adottando strategie circolari in almeno cinque settori (alluminio, ferro, cemento, plastica e alimenti), le emissioni annuali di gas serra a livello europeo si ridurrebbero di 9,3 miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2050”.

Il lancio di una nuova testata dedicata all’economia circolare, afferma Marica Di Pierri, fondatrice del CDCA e Direttrice Responsabile di EconomiaCircolare.com, “è per noi il modo di contribuire alla promozione di nuovi modelli economici e sociali. Attraverso notizie, approfondimenti, interventi, interviste e rubriche, offriremo aggiornamenti quotidiani sulle tendenze, le scoperte, gli indicatori, i progetti innovativi, le storie e le pratiche che rendono il campo dell’economia circolare un campo fertile, che vale la pena contribuire a dissodare e seminare”.

fonte: www.ansa.it


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