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L'inganno: impatti su salute ed ambiente, ma pochi benefici. Quanto vale il petrolio lucano?

Benvenuti nel Texas d'Italia















Una regione che galleggia sul petrolio, ma che a dispetto di tale supposta ricchezza non riesce a porre argine alla fuga della sua gioventù. Benvenuti in Basilicata, il “Texas d'Italia”, come è stata ribattezzata nelle ultime due decadi del secolo scorso, quando nella Val d'Agri, a una cinquantina di chilometri da Potenza, è stato scoperto il giacimento su terra ferma più ricco d’Europa. Da quel momento una delle valli più rigogliose del Meridione, famosa per la produzione di fagioli e mele, è diventata il fulcro dell'estrazione petrolifera nostrana. Nel suo cuore è stato innestato il Centro Olio Val d'Agri (COVA), che raccoglie il petrolio estratto nei pozzi sparsi nell'area (al momento quelli attivi sono 24). La produzione si aggira intorno agli 80mila barili al giorno, a fronte di un massimo previsto per concessione statale che può raggiungere le 104mila unità. Da alcuni mesi è attivo un secondo centro Olio, quello di Tempa Rossa, gestito dalla Total, che è già nell’occhio del ciclone per una serie infinita di problemi e incidenti.




Ma siamo sicuri che i benefici, sotto forma di royalties e posti di lavoro, superino i “costi”, ovvero l’inquinamento di aria, acqua e della terra e i relativi effetti sul territorio e le comunità che lo abitano? E che gli stessi benefici stiano veramente cambiando il volto della Basilicata? Quella che è storicamente una delle regioni più povere d’Italia è rimasta tale e centinaia di suoi figli continuano a cercare fortuna altrove.



fonte: inganno.recommon.org


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Dalla Regione Basilicata uno stop a Tempa Rossa

Il processo di estrazione dei primi barili di petrolio era iniziato ai primi di settembre ma è stato fermato per la mancata predisposizione di un adeguato piano di monitoraggio ambientale. L’avvio della produzione potrebbe così slittare al 2019. Per il prossimo 29 settembre a Pisticci prevista una “marcia per la verità sull’avvelenamento del territorio”
















Il mastodontico centro olio di Tempa Rossa, nell’area delle Dolomiti Lucane, non è in regola e deve subito fermare la fase di sperimentazione. Il processo di oil in, ovvero l’estrazione dei primi barili di petrolio per testare la struttura, iniziato nei primi giorni di settembre e destinato a durare tre mesi, è stato bloccato dalla Regione Basilicata perché la documentazione presentata agli uffici tecnici era insufficiente.
La Total, leader del consorzio che gestisce Tempa Rossa e in cui sono soci minoritari anche la giapponese Mitzuo e l’anglo-olandese Shell, non ha predisposto un adeguato piano di monitoraggio ambientale, che doveva comprendere tra le altre cose anche la distribuzione delle centraline di rilevamento, né un piano di emergenza esterno, così come mancano un quadro della sismicità dell’area e l’aggiornamento delle tecnologia e del trattamento delle emissioni. Tutti punti che i dirigenti della multinazionale transalpina avevano illustrato lo scorso marzo alla popolazione di Corleto Perticara (Potenza), il centro abitato più vicino all’impianto. In quella fredda serata di fine inverno, tante erano state le rassicurazioni degli esponenti della Total, con parole che disegnavano un quadro idilliaco del progetto.
La realtà dei fatti è ben differente. Tornando a Tempa Rossa poche ore dopo l’annuncio di richiesta di stop pronunciato dall’assessore all’Ambiente della Basilicata Francesco Pietrantuono, pare evidente che una seppur minima produzione sia in atto, a giudicare dal forte odore di uova marce a qualche centinaio di metri dal perimetro della struttura. Gli stessi miasmi che fuoriescono dal Centro Olio di Viggiano, da dove l’Eni produce oltre 80mila barili di petrolio al giorno da più di 20 anni. E poi nella macchia di luci accecanti che anche alle 9 di sera illuminano a giorno questo intrico di tubi, camini e depositi, spiccano le fiammelle della torre di 130 metri – “alta metà della Torre Eiffel”, come tiene a sottolineare la Total – che troneggia sull’impianto. Questo “intoppo” molto probabilmente farà slittare l’inizio della produzione a pieno regime di circa 55mila barili al giorno da fine 2018 ai primi mesi del 2019. L’ennesimo ritardo, visto che i rinvii (l’ultimo da fine 2017) non si contano più.Sullo sfondo aleggiano intanto le elezioni regionali, forse il vero motivo di questa prova di forza dell’assessore della giunta guidata fino al suo arresto da Marcello Pittella (ancora agli arresti domiciliari con accusa di falso e abuso d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta sulla sanità lucana). Le voci sui possibili candidati in vista del voto, in programma a gennaio 2019, si rincorrono da tempo e non danno per tagliato fuori nemmeno lo stesso Pittella.
In attesa che la politica sbrogli la sua intricata matassa e che la Total faccia meglio i compiti a casa, le emergenze ambientali in Basilicata non accennano a diminuire. Il prossimo 29 settembre è in programma la marcia per la verità sull’avvelenamento del territorio promossa da don Giuseppe Ditolve, vicario parrocchiale della chiesa Cristo Re di Pisticci. Proprio Pisticci a pochi chilometri dal Tecnoparco, il centro di trattamento delle acque reflue del Centro Olio di Viggiano fonte di polemiche e inchieste giudiziarie. “Basta ad una Basilicata groviera petrolifera, perché il petrolio non ha portato nessun beneficio alla nostra popolazione lucana, ma solamente alle multinazionali. Sappiamo bene, come il Re Nero, che non è solo benzina, ma anche plastica, tessuti sintetici ed energia elettrica, è il bene più prezioso del mondo, ma anche quello che crea più conflitti” si legge nell’appello di don Ditolve, da anni in prima linea contro l’inquinamento e gli impatti dell’estrattivismo nella sua regione.

fonte: https://altreconomia.it