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L'inganno: impatti su salute ed ambiente, ma pochi benefici. Quanto vale il petrolio lucano?

Benvenuti nel Texas d'Italia















Una regione che galleggia sul petrolio, ma che a dispetto di tale supposta ricchezza non riesce a porre argine alla fuga della sua gioventù. Benvenuti in Basilicata, il “Texas d'Italia”, come è stata ribattezzata nelle ultime due decadi del secolo scorso, quando nella Val d'Agri, a una cinquantina di chilometri da Potenza, è stato scoperto il giacimento su terra ferma più ricco d’Europa. Da quel momento una delle valli più rigogliose del Meridione, famosa per la produzione di fagioli e mele, è diventata il fulcro dell'estrazione petrolifera nostrana. Nel suo cuore è stato innestato il Centro Olio Val d'Agri (COVA), che raccoglie il petrolio estratto nei pozzi sparsi nell'area (al momento quelli attivi sono 24). La produzione si aggira intorno agli 80mila barili al giorno, a fronte di un massimo previsto per concessione statale che può raggiungere le 104mila unità. Da alcuni mesi è attivo un secondo centro Olio, quello di Tempa Rossa, gestito dalla Total, che è già nell’occhio del ciclone per una serie infinita di problemi e incidenti.




Ma siamo sicuri che i benefici, sotto forma di royalties e posti di lavoro, superino i “costi”, ovvero l’inquinamento di aria, acqua e della terra e i relativi effetti sul territorio e le comunità che lo abitano? E che gli stessi benefici stiano veramente cambiando il volto della Basilicata? Quella che è storicamente una delle regioni più povere d’Italia è rimasta tale e centinaia di suoi figli continuano a cercare fortuna altrove.



fonte: inganno.recommon.org


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Dalla Regione Basilicata uno stop a Tempa Rossa

Il processo di estrazione dei primi barili di petrolio era iniziato ai primi di settembre ma è stato fermato per la mancata predisposizione di un adeguato piano di monitoraggio ambientale. L’avvio della produzione potrebbe così slittare al 2019. Per il prossimo 29 settembre a Pisticci prevista una “marcia per la verità sull’avvelenamento del territorio”
















Il mastodontico centro olio di Tempa Rossa, nell’area delle Dolomiti Lucane, non è in regola e deve subito fermare la fase di sperimentazione. Il processo di oil in, ovvero l’estrazione dei primi barili di petrolio per testare la struttura, iniziato nei primi giorni di settembre e destinato a durare tre mesi, è stato bloccato dalla Regione Basilicata perché la documentazione presentata agli uffici tecnici era insufficiente.
La Total, leader del consorzio che gestisce Tempa Rossa e in cui sono soci minoritari anche la giapponese Mitzuo e l’anglo-olandese Shell, non ha predisposto un adeguato piano di monitoraggio ambientale, che doveva comprendere tra le altre cose anche la distribuzione delle centraline di rilevamento, né un piano di emergenza esterno, così come mancano un quadro della sismicità dell’area e l’aggiornamento delle tecnologia e del trattamento delle emissioni. Tutti punti che i dirigenti della multinazionale transalpina avevano illustrato lo scorso marzo alla popolazione di Corleto Perticara (Potenza), il centro abitato più vicino all’impianto. In quella fredda serata di fine inverno, tante erano state le rassicurazioni degli esponenti della Total, con parole che disegnavano un quadro idilliaco del progetto.
La realtà dei fatti è ben differente. Tornando a Tempa Rossa poche ore dopo l’annuncio di richiesta di stop pronunciato dall’assessore all’Ambiente della Basilicata Francesco Pietrantuono, pare evidente che una seppur minima produzione sia in atto, a giudicare dal forte odore di uova marce a qualche centinaio di metri dal perimetro della struttura. Gli stessi miasmi che fuoriescono dal Centro Olio di Viggiano, da dove l’Eni produce oltre 80mila barili di petrolio al giorno da più di 20 anni. E poi nella macchia di luci accecanti che anche alle 9 di sera illuminano a giorno questo intrico di tubi, camini e depositi, spiccano le fiammelle della torre di 130 metri – “alta metà della Torre Eiffel”, come tiene a sottolineare la Total – che troneggia sull’impianto. Questo “intoppo” molto probabilmente farà slittare l’inizio della produzione a pieno regime di circa 55mila barili al giorno da fine 2018 ai primi mesi del 2019. L’ennesimo ritardo, visto che i rinvii (l’ultimo da fine 2017) non si contano più.Sullo sfondo aleggiano intanto le elezioni regionali, forse il vero motivo di questa prova di forza dell’assessore della giunta guidata fino al suo arresto da Marcello Pittella (ancora agli arresti domiciliari con accusa di falso e abuso d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta sulla sanità lucana). Le voci sui possibili candidati in vista del voto, in programma a gennaio 2019, si rincorrono da tempo e non danno per tagliato fuori nemmeno lo stesso Pittella.
In attesa che la politica sbrogli la sua intricata matassa e che la Total faccia meglio i compiti a casa, le emergenze ambientali in Basilicata non accennano a diminuire. Il prossimo 29 settembre è in programma la marcia per la verità sull’avvelenamento del territorio promossa da don Giuseppe Ditolve, vicario parrocchiale della chiesa Cristo Re di Pisticci. Proprio Pisticci a pochi chilometri dal Tecnoparco, il centro di trattamento delle acque reflue del Centro Olio di Viggiano fonte di polemiche e inchieste giudiziarie. “Basta ad una Basilicata groviera petrolifera, perché il petrolio non ha portato nessun beneficio alla nostra popolazione lucana, ma solamente alle multinazionali. Sappiamo bene, come il Re Nero, che non è solo benzina, ma anche plastica, tessuti sintetici ed energia elettrica, è il bene più prezioso del mondo, ma anche quello che crea più conflitti” si legge nell’appello di don Ditolve, da anni in prima linea contro l’inquinamento e gli impatti dell’estrattivismo nella sua regione.

fonte: https://altreconomia.it

Bomba ecologica in Basilicata: scoperti centinaia di sacchi di amianto abbandonati


















Una vera e propria bomba ecologica in Basilicata. Centinaia di sacchi contenenti amianto sono stati ritrovati all'interno dello stabilimento ex Materit a Ferrandina.
Per la prima volta dopo anni, le porte della fabbrica abbandonata sono state aperte e a entrare sono stati Caterina Dall'Olio e le telecamere del Tg2000, il telegiornale di Tv2000.
Oltre 600 sacchi pieni di amianto tossico erano conservati all'interno dello stabilimento, con una superficie di 77mila metri quadri.
La fabbrica, situata nel comune della Val Basento, in Basilicata, tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta, produceva manufatti in amianto. Grazie all'inchiesta portata avanti da Caterina Dall’Olio, è stato scoperto che al suo interno potevano essere presenti ancora residui di amianto. E la scoperta lo ha purtroppo confermato: numerosi sacchi pieni di amianto soprattutto allo stato friabile, il più nocivo e mortale, sono stati filmati dalle telecamere.
“E’ la prima volta che qui entra una telecamera – ha detto il vicesindaco di Ferrandina, Maria Murante, entrando anch’essa per la prima volta nello stabilimento insieme alle telecamere del Tg2000 – devo dire che sono impressionanti, non li avevo mai visti. Quei sacchi dovrebbero essere sicuri. Alcuni pastori hanno rotto le recinzioni per far pascolare le proprie pecore all’interno dell’area contaminata andando così a intaccare tutto il ciclo alimentare. Qualcuno sostiene anche che ci possano essere delle lastre di amianto sotto il terreno. Ma è un’ ipotesi su cui nessuno ha mai fatto una verifica”.
Le immagini girate con un drone hanno mostrato anche che da alcuni sacchi, teoricamente sigillati, fuoriusciva della polvere di amianto. A poco sono serviti i sigilli visto che la ex Materit confina con il fiume Basento che sfocia nel Mar Ionio.
Anche il sindaco di Ferrandina, Gennaro Martoccia, non ha nascosto le proprie paure per la salute della popolazione. Molti cittadini infatti sono stati colpiti da tumore causato proprio dall’amianto.
“Non mi sento assolutamente tranquillo. La comunità e le aziende circostanti oggi non sono al sicuro. La responsabilità della bonifica ce l’ha la Regione che d’accordo con il ministero deve fare la bonifica”.
Secondo un accordo tra Regione e Ministero dell’Ambiente nel 2013, la Basilicata ha a disposizione circa 3,5 milioni di euro per la bonifica di Materit. Purtroppo è tutto fermo visto che la gara d’appalto per l’affidamento dei lavori è stata invalidata con una sentenza dal Tar, confermata dal Consiglio di Stato, perché l’ azienda arrivata prima non era stata ritenuta idonea.
Il risultato è che oggi, a distanza di 40 anni, la polvere di amianto è ancora lì, pronta a uccidere.
I dati della strage di Amianto
Proprio nelle stesse ore della terribile scoperta lucana, a Roma veniva presentato “Il libro Bianco delle morti di amianto in Italia” firmato dal presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, Ezio Bonanni, che ha tracciato i dati della strage che, ogni anno, causa 6 mila morti nel nostro Paese e 107 mila nel mondo.
“L’amianto è un killer silenzioso cancerogeno che provoca con assoluta certezza scientifica mesotelioma, tumore del polmone, tumore della laringe, dello stomaco e del colon. Per non parlare dei danni respiratori che causa, anche quando non insorge il cancro (placche pleuriche, ispessimenti pleurici, asbestosi e complicanze cardiocircolatorie)” – ha spiegato Bonanni, che ha dettagliato le morti per patologia - “1.900 di Mesotelioma, 600 per Asbestosi (stima conforme a quella dell’INAIL)3.600 per Tumori polmonari (40.000 nuovi casi ogni anno in Italia, circa 33.000 decessi).
Affatto rassicuranti sono i dati relativi all’amianto ancora da bonificare in Italia: i dati rivelano che ci sono ancora 32 milioni di tonnellate di amianto compatto(di cui 36,5 milioni di metri quadrati di coperture - stima per difetto perché la mappatura è ancora in corso) e 8 milioni di tonnellate di amianto friabile. Altrettanto allarmanti il numero dei siti, 50.000 siti industriali rilevanti, 1 milione di siti contaminati, tra i quali edifici pubblici e privati, 40 siti di interesse nazionale tra i quali ce ne sono 10 che sono solo di amianto (come la Fibronit di Broni e di Bari; l’Eternit di Casale Monferrato, etc.); 2.400 scuole(stima 2012 per difetto perché tiene conto solo di quelle censite da ONA in quel contesto - la stima è stata confermata dal CENSIS - 31.05.2014).
Esposti più di 352.000 alunni e 50.000 del personale docente e non docente; 1.000 biblioteche ed edifici culturali (stima per difetto perché è ancora in corso di ultimazione da parte di ONA); 250 ospedali (stima per difetto perché la mappatura ONA è ancora in corso). La nostra rete idrica rivela presenza di amianto per ben 300.000 km di tubature (stima ONA), inclusi gli allacciamenti, con presenza di materiale contenenti amianto rispetto ai 500.000 totali (tenendo conto che la maggior parte sono stati realizzati prima del 1992, quando l’amianto veniva utilizzato in tutte le attività edili e costruttive).
fonte: www.greenme.it

Basilicata tra le Regioni più povere d’Italia. Il petrolio arricchisce solo gli altri

Le situazioni più gravi si osservano tra le famiglie residenti in 
Calabria (26,9%), Basilicata (25,5%) e Sicilia (25,2%),
dove oltre un quarto delle famiglie è 
relativamente povero.
Rapporto Istat, per il 2014

trivelle 675 









Come sempre, i numeri non possono mentire. Il rapporto Istat sulla povertà in Italia, pubblicato il 15 luglio 2015 con i dati relativi al 2014, vede in cima alla lista la Calabria con il 26,9% delle famiglie in stato di povertà. Seguono la Basilicata con l’indice di povertà familiare al 25,5% e la Sicilia al 25,2%.
Ma come può essere? La Basilicata, la regione petrolizzata per antonomasia da quasi venti anni, è una delle più povere d’Italia? Ma, non doveva il petrolio portare ricchezza e benessere e sviluppo? E dove sono andati a finire?
Analizzando tutte le annate messe in rete dall’Istat dal 2003 al 2014, viene fuori che ad eccetto che nel 2012, la Basilicata è sempre stata fra le prime tre regioni più povere d’Italia, alternandosi con Sicilia e Calabria. In più tranne che nel 2011, la Basilicata è sempre stata più povera della media delle altre regioni del sud Italia. Per la serie: il petrolio porta ricchezza agli altri.
Nel 2010 addirittura, la Caritas, nel suo rapporto “Povertà ed esclusione” scriveva: “La situazione appare particolarmente negativa in Basilicata”. Segno che il più grande giacimento petrolifero d’Europa tutta questa ricchezza non l’ha portata e non la porterà.
E così, nonostante le trivelle abbiano ingoiato buona parte del territorio lucano, nonostante le roboanti promesse di royalties, progesso e sviluppo che l’Istituto Luce non potrebbe far meglio, nonostante addirittura la scuola del petrolio Assoil – “Advanced Skills for Services in Oil and Gas” – un quarto dei lucani vive in povertà. Secondo l’Istat e non secondo la D’Orsogna. Ecco qui, tutti i dati dai rapporti Istat online dal 2003 ad oggi. Il numero in parentesi indica il posto nella classifica delle regioni.
2003: Basilicata (1): 25.6% – Sud-Italia: 21.6%
2004: Basilicata (2): 28.5% – Sud-Italia: 25.0%
2005: Basilicata (3): 24.5% – Sud-Italia: 24.0%
2006: Basilicata (3): 23.0% – Sud-Italia: 22.6%
2007: Basilicata (2): 26.3% – Sud-Italia: 22.5%
2008: Basilicata (1): 28.8% – Sud Italia: 23.8%
2009: Basilicata (2): 25.1% – Sud-Italia: 22.7%
2010: Basilicata (1): 28.3% – Sud-Italia: 23.0%
2011: Basilicata (3): 23.3% – Sud-Italia: 23.3%
2012: Basilicata (5): 24.5% – Sud Italia: 26.2%
2013: Basilicata (2): 24.3% – Sud-Italia: 21.4%
2014: Basilicata (2): 25.5% – Sud Italia: 21.1%
La media nazionale è del 10,3% di famiglie in povertà. In Basilicata siamo a più del doppio. Proprio il Texas d’Italia.
Chissà se il governatore Marcello Pittella voglia prendere atto di questi dati, chiedere scusa e chiedersi se continuare a fare buchi, centro oli, oleodotti e raddoppi sia proprio la cosa saggia per la sua gente.  Ammesso che gli interessi la sua gente.
Qui Assoil, la scuola del petrolio, per addolcire la pillola ai lucani

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it



La Basilicata punta a produrre Cdr/Css per inceneritori e cementifici

Il Piano rifiuti regionale: altro che strategia rifiuti zero!

La Basilicata punta a produrre Cdr/Css per inceneritori e cementifici 

Con la citazione “orientare il sistema verso impianti termici ad alta efficienza” il piano regionale dei rifiuti che nelle intenzioni dichiara di essere in linea con la Strategia Rifiuri Zero, al contrario non fa altro che confermare le scelte strategiche della Regione Basilicata a restare ancora legata all’inceneritore di San Nicola di Melfi (Potenza) ed alla produzione di CDR/CSS da inviare ai due cementifici di Potenza e Matera! Altro che rifiuti zero !!!! Si sbandiera un sedicente “Modello lucano alternativo agli Ato” che si traduce nell’accettazione dell’Ato unico regionale che comprende la Gestione Rifiuti e la Gestione Idrica, che garantisce una gestione accentrata sulla Regione e che ha delegittimato i precedenti ATO provinciali: dove sarebbe la citata “alternativa”? Se si parla di futuribili “Ambiti di Raccolta” occorre chiarire che questi non cambieranno assolutamente il modello impiantistico ma saranno “contenitori vuoti” come altri già sperimentati in Puglia ed in Sicilia. Dai dati Ispra 2014 presentati nel piano, sembrerebbe che i rifiuti inceneriti in Basilicata non siano solo le 30.000 t/a smaltite nell’inceneritore Fenice-Edf-Rendina, ma che siano oltre 52.000 t/a , tra cui quelle incenerite presso i cementifici di provenienza extra regionale di cui sarebbe interessante conoscere la provenienza. Nel piano non viene MAI messa in discussione la prosecuzione dell’attività dell’inceneritore Fenice-Edf-Rendina di San Nicola di Melfi, salvo le balbettanti dichiarazioni iniziali sulla sua “transitorietà” di cui infatti non viene stabilito assolutamente la eventuale data di chiusura. La soluzione “alternativa” all’inceneritore sembra essere, secondo la Strategia adottata, con il concorso di Rifiuti Zero, quella del co-incenerimento presso il Cementificio Costantinopoli di Barile (Potenza) per 60.000 t/a e presso il Cementificio Italcementi di Matera per altre 60.000 t/a = 120.000 t/a da estrarre da Rifiuti Indifferenziati pari a circa 360.000 che saranno ovviamente importati visto che la Basilicata ne produce solo 200.000 circa in totale. La sintesi del sistema impiantistico conferma la scelta di puntare sulla produzione di CDR/CSS da inviare per 30.000 t/a all’inceneritore di San Nicola di Melfi (Pz) e per eventuali altre 120.000 t/a ai cementifici di Barile (pz) e di Matera! Altro che rifiuti zero! Si vuole portare a proprio beneficio la chiusura di un inceneritore nel Comune di Potenza, rilevando che tale “impianto non esiste in quanto mai autorizzato”, a differenza dell’ inceneritore di San Nicola di Melfi (Pz) che continuerà tranquillamente la sua attività di contaminazione irreversibile dell’area nord Basilicata! 

Massimo Piras coordinatore nazionale  Movimento Legge Rifiuti Zero
Nicola Abbiuso Comitato Diritto alla Salute Movimento Legge Rifiuti Zero

fonte: http://basilicata.basilicata24.it



Lo scandalo petrolio, spiegato bene


Ci sono il Centro Olio di Viggiano -di Eni- e il progetto Tempa Rossa -di Total-, entrambi in Basilicata, nei due filoni dell'inchiesta coordinata dalla Direzione nazionale antimafia e dalla Procura di Potenza che ha portato il 31 marzo all'arresto di 7 persone e alle dimissioni del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. Sessanta, in tutto, gli indagati. Tra le ipotesi, anche quella di disastro ambientale. Facciamo il punto

 
Sessanta indagati, sette arresti, un divieto di dimora, impianti petroliferi e di smaltimento rifiuti sequestrati, sospesa la produzione di idrocarburi. Sono questi i numeri e gli avvenimenti della maxinchiesta coordinata dalla Direzione nazionale antimafia e dalla Procura di Potenza che dal 31 marzo 2016 sta facendo tremare multinazionali, imprenditori, amministratori locali, ministri e sottosegretari. 
Ad emettere i provvedimenti cautelari - eseguiti nelle province di Potenza, Roma, Caltanissetta, Genova, Chieti e Grosseto - è stato il gip del Tribunale di Potenza, Tiziana Petrocelli. L’inchiesta - partita nel febbraio del 2014 - è divisa in due filoni.

"Siamo di fronte a una organizzazione criminale di stampo mafioso, organizzata su base imprenditoriale": queste la parole del Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, a commento dell’inchiesta, che a partire dal petrolio si sta espandendo a macchia d’olio. Sono emersi, infatti, presunti coinvolgimenti del capo di Stato maggiore della Marina e collaboratori della Camera di Commercio. Guardiamo, in dettaglio, ai due filoni principali.



L’Eni, i rifiuti e le emissioni

Il primo "itinerario nell'inchiesta" ci porta al Centro olio Eni di Viggiano, in provincia di Potenza, localizzato nella valle dell’Agri. Qui attualmente la multinazionale di San Donato Milanese estrae una media giornaliera di 82mila barili di greggio, ma ha già ottenuto le autorizzazioni necessarie all’aumento della produzione, fino ad un massimo di 104 mila barili di greggio al giorno. 
La concessione è denominata “Val d’Agri”. Le indagini, affidate al Nucleo operativo ecologico (Noe) dell’Arma dei carabinieri, riguardano il presunto smaltimento illecito di rifiuti industriali (comprese le acque di strato derivanti dalle attività produttive, non accuratamente trattate e re-iniettate nel pozzo Costa Molina 2) presso alcuni impianti, compresa l’azienda Tecnoparco di Pisticci scalo, in provincia di Matera. 
L’accusa è di aver gestito illecitamente questi rifiuti "pericolosi" come "non pericolosi", con il fine di ottenerne un vantaggio economico. “Condotte ed attività - si legge nell’ordinanza di applicazione della misura cautelare del 29 marzo 2016 - che in definitiva, attraverso sia il risparmio dei costi ottenuto grazie alla reiniezione dei reflui nel pozzo Costa Molina 2 che quello raggiunto smaltendo i rifiuti liquidi con un CER non corretto, permettevano all’azienda petrolifera di incamerare un profitto ingiusto di valore compreso tra i 44.282.0711 euro ed i 114.216.971 euro”. 
Inoltre, l’altra contestazione riguarda la falsificazione dei dati sulle emissioni in atmosfera prodotte dal Centro olio. In base a quanto accertato da parte dei Noe di Potenza, e dalla lettura delle intercettazioni, “i vertici del Centro olio […] decidevano deliberatamente ed in diverse occasioni di comunicare agli organi pubblici di controllo l’avvenuto superamento dei parametri, usando una condotta fraudolenta consistente nel fornire una giustificazione tecnica non corrispondente al vero e diversa da quella (effettiva) utilizzata nelle precedenti comunicazioni. Tanto, al fine evidente di nascondere le reali cause del problema e celare le inefficienze dell’impianto”.

Per questo filone d’inchiesta gli indagati sono 37, gli arresti 5 e un divieto di dimora nel capoluogo lucano per Salvatore Lambiase, dirigente dell’Ufficio compatibilità ambientale della Regione Basilicata. Al momento risultano sotto sequestro alcune parti del Centro olio di Viggiano e il pozzo Costa Molina 2. Provvedimenti che di fatto bloccano la produzione del greggio lucano. La Procura indaga anche per l'ipotesi di disastro ambientale.  

La Total, gli appalti e il ministro Federica Guidi

Il secondo filone d’inchiesta riconduce, invece, all’altro giacimento lucano - quello di Tempa Rossa -  localizzato nella valle del Sauro. Titolare della concessione - denominata “Gorgoglione” - è la Total, che a Corleto Perticara, in provincia di Potenza, sta realizzando un nuovo Centro olio, per il trattamento di 50 mila barili di greggio da estrarre quotidianamente a partire dal 2017. 
Ed è proprio in conseguenza di questa inchiesta che, il 31 marzo 2016, il ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi, ha rassegnato le proprie dimissioni. Dalle intercettazioni emerge il coinvolgimento del suo compagno, l’imprenditore e commissario di Confindustria Siracusa, Gianluca Gemelli. Dall’ordinanza di applicazione della misura cautelare del 23 marzo 2016 emerge che Gianluca Gemelli avrebbe sfruttato la “convivenza che aveva con il ministro allo Sviluppo economico” al fine di ottenere da Giuseppe Cobianchi  - dirigente della Total - le qualifiche necessarie per entrare nella “bidder list delle società di ingegneria” della multinazionale francese, ovvero tra i fornitori ammessi, e “partecipare alle gare di progettazione ed esecuzione dei lavori per l’impianto estrattivo di Tempa Rossa”. 
Per questo filone d’inchiesta gli indagati sono 23, gli arresti 2, tra cui l’ex primo cittadino di Corleto Perticara, Rosaria Vicino. Secondo l’accusa gli amministratori locali coinvolti avrebbero chiesto e ottenuto dalle aziende coinvolte nel progetto Tempa Rossa assunzioni varie. Clientele insomma. 
Ricordiamo che i vertici Total sono già stati al centro di un’inchiesta del 2006 - il famoso Totalgate, del pm Henry John Woodcook - che ha visto rinvii a giudizio, condanne, ricorsi, sospensioni dei lavori per illeciti, blocco e ripresa degli espropri dei terreni per “pubblica utilità”. 
Tempa Rossa  - secondo le stime fatte dal sito inglese della Mitsui, co-titolare del progetto - è un investimento da 1,6 miliardi di euro. Già quasi completamente coperti grazie all’intervento del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica), che con una deliberazione del marzo 2012 (n.18 del 23 marzo 2012) ha stilato un programma d’investimenti pari a 1,3 miliardi di euro. In quanto considerato “strategico”. Tempa Rossa non è solo Basilicata, però. Anche Puglia, e soprattutto Taranto. Scelta come terminale del progetto: nella città dell'Ilva, infatti, dovrebbe arrivare il greggio estratto in Basilicata, da stoccare e da inviare a diversi impianti di raffinazione. Proprio dal fronte pugliese negli ultimi anni si sono registrate le maggiori opposizioni alla Total che hanno provocato diversi ritardi nell’esecuzione dei lavori. Evidentemente da sbloccare, con l’aiuto del ministro allo Sviluppo economico. 



Lo Sblocca-Italia, l’emendamento alla legge di Stabilità e il progetto Tempa Rossa

Ad inguaiare il ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi, sono alcune intercettazioni aventi oggetto l’inserimento di un emendamento alla legge di Stabilità 2015, “che avrebbe agevolato l’iter autorizzativo necessario alla completa realizzazione del progetto Tempa Rossa”. 
A tal proposito, in una comunicazione intercettata con il suo compagno Gianluca Gemelli, il ministro Guidi riferiva che “[…] poi dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato se è d’accordo anche Maria Elena (Boschi, ministro per le Riforme costituzionali, ndr) quell’emendamento che mi hanno fatto uscire quella notte, alle quattro di notte! Rimetterlo dentro alla legge con l’emendamento alla legge di Stabilità e a questo punto se riusciamo a sbloccare anche Tempa Rossa […] dall’altra parte di muove tutto!”. 
Appresa la notizia l’imprenditore Gianluca Gemelli comunicava il tutto all’ingegner Giuseppe Cobianchi, di Total, che “pare che oggi riescano ad inserirlo (l’emendamento, ndr) nuovamente al Senato […] ragion per cui se passa […] e pare che ci sia l’accordo con Boschi e compagni […] perché la Boschi ha accettato di inserirlo […] è tutto sbloccato!”. E Giuseppe Cobianchi chiede “lei mi sta parlando di Taranto? […] quella situazione di Taranto? […] ah, ah bene!”.

L’emendamento in questione è il 223-bis, riguardante la semplificazione della realizzazione di opere strumentali alle infrastrutture energetiche strategiche, tra le quali inserire anche "le opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali alo sfruttamento di titoli concessori esistenti, comprese quelle localizzate al di fuori del perimetro di concessioni di coltivazione […]”. Tempa Rossa, versante Taranto, appunto.



L’impressione è che l’inchiesta partita dal capoluogo lucano sia destinata ad allargarsi ulteriormente. Secondo l’Ansa, i magistrati di Potenza si recheranno a Roma per ascoltare i ministri Guidi e Boschi. E risulta coinvolto anche l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, il capo di Stato maggiore della Marina, “indagato con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze e per concorso in abuso d’ufficio in un filone siciliano dell’inchiesta sul petrolio in Basilicata. La notizia - riporta l'ANSA - ha trovato conferme in ambienti giudiziari. Secondo quanto si è appreso, De Giorgi è indagato nell’ambito di accertamenti sull’attività dell’Autorità portuale di Augusta insieme a Gianluca Gemelli, al dirigente Total, Giuseppe Cobianchi, all’ex sindaco di Corleto Perticara, Rosaria Vicino, all’imprenditore Pasquale Criscuolo, a Nicola Colicchi, collaboratore della Camera di Commercio di Roma, e al presidente del Collegio dei Revisori dei conti della stessa Camera di Commercio, Valter Pastena (ex direttore generale della Ragioneria di Stato)".
 
fonte: www.altraeconomia.it