Visualizzazione post con etichetta #BeneficiAmbientali. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #BeneficiAmbientali. Mostra tutti i post

L'inganno: impatti su salute ed ambiente, ma pochi benefici. Quanto vale il petrolio lucano?

Benvenuti nel Texas d'Italia















Una regione che galleggia sul petrolio, ma che a dispetto di tale supposta ricchezza non riesce a porre argine alla fuga della sua gioventù. Benvenuti in Basilicata, il “Texas d'Italia”, come è stata ribattezzata nelle ultime due decadi del secolo scorso, quando nella Val d'Agri, a una cinquantina di chilometri da Potenza, è stato scoperto il giacimento su terra ferma più ricco d’Europa. Da quel momento una delle valli più rigogliose del Meridione, famosa per la produzione di fagioli e mele, è diventata il fulcro dell'estrazione petrolifera nostrana. Nel suo cuore è stato innestato il Centro Olio Val d'Agri (COVA), che raccoglie il petrolio estratto nei pozzi sparsi nell'area (al momento quelli attivi sono 24). La produzione si aggira intorno agli 80mila barili al giorno, a fronte di un massimo previsto per concessione statale che può raggiungere le 104mila unità. Da alcuni mesi è attivo un secondo centro Olio, quello di Tempa Rossa, gestito dalla Total, che è già nell’occhio del ciclone per una serie infinita di problemi e incidenti.




Ma siamo sicuri che i benefici, sotto forma di royalties e posti di lavoro, superino i “costi”, ovvero l’inquinamento di aria, acqua e della terra e i relativi effetti sul territorio e le comunità che lo abitano? E che gli stessi benefici stiano veramente cambiando il volto della Basilicata? Quella che è storicamente una delle regioni più povere d’Italia è rimasta tale e centinaia di suoi figli continuano a cercare fortuna altrove.



fonte: inganno.recommon.org


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Zero Waste Circular Economy: un solido investimento per la finanza sostenibile

Zero Waste Europe ha pubblicato un rapporto che sottolinea l'importanza della finanza sostenibile per un'economia circolare a rifiuti zero nel recupero post-COVID-19.




Fonte: Peter Smola; pixelio.de


Il rapporto “Finanza sostenibile per un'economia circolare a rifiuti zero” affronta l'attuale mancanza di chiarezza sul concetto di economia circolare a rifiuti zero (ZWCE), che è stata spesso dominata da un'agenda aziendale. Fornisce criteri chiari sulle attività che devono essere incluse, considerate ammissibili e prioritarie nella tassonomia della finanza sostenibile dell'UE sotto l'egida di un'economia circolare a rifiuti zero, esaminando i benefici sociali, economici, climatici e ambientali.

Analizza inoltre il ruolo proposto dell'incenerimento della termovalorizzazione e di altre false soluzioni - come il riciclaggio chimico e l'incenerimento del combustibile derivato da rifiuti nei cementifici - nell'economia circolare; ed espone gli effetti altamente controproducenti di questa tecnologia sugli scopi e gli obiettivi della finanza sostenibile, ribadendone quindi l'esclusione.

Neil Tangri, Science & Policy Director presso Global Alliance for Incinerator Alternatives (GAIA), ha dichiarato: `` Sebbene l'UE mostri una leadership positiva a livello regionale, resta da vedere come questa tendenza positiva possa avvantaggiare altre regioni mondo. La finanza sostenibile ha l'opportunità di dimostrare che i doppi standard non sono accettabili e che l'UE può parlare a livello internazionale nello stesso modo in cui lo fa a casa. In definitiva, l'UE può svolgere un ruolo visionario incoraggiando altre istituzioni finanziarie internazionali e agenzie di assistenza a soddisfare gli standard dell'economia circolare a rifiuti zero. ''

Mariel Vilella, Direttore della Strategia Globale presso Zero Waste Europe, ha aggiunto: “Zero Waste Circular Economy è un solido investimento per la finanza sostenibile. La ZWCE offre opportunità di investimento positive per la nostra società, l'ambiente, l'economia e, in particolare, la ripresa post-COVID-19. I nuovi modelli di business a rifiuti zero e le iniziative pubbliche a rifiuti zero dimostrano che investire nei livelli superiori della gerarchia dei rifiuti - prevenzione, riprogettazione, riutilizzo, riciclaggio e compostaggio dei rifiuti - offre un ritorno molto maggiore in termini di creazione di posti di lavoro, ripresa economica e resilienza rispetto al convenzionale alternative industriali end-of-pipe guidando l'agenda di sostenibilità e offrendo una riduzione netta delle emissioni di gas serra e dell'inquinamento atmosferico. Dare a queste soluzioni il supporto che meritano può essere un punto di svolta per il mondo della finanza sostenibile ".

Scarica il report
Fonte: Zero Waste Europe


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Clima, ecco come cambierebbe l’economia italiana introducendo la carbon tax

Il prezzo del carbone aumenterebbe del 134%, quello dell’elettricità del 18% e quello della benzina del 12%, ovvero sui livelli già toccati sei anni fa. In compenso avremmo benefici ambientali, sanitari e oltre 14 miliardi di euro l’anno per compensazioni e sviluppo sostenibile





















La carbon tax, ovvero una tassa sui prodotti energetici il cui consumo comporta l’emissione di biossido di carbonio (CO2) nell’atmosfera, è ancora un grande tabù per il sistema fiscale italiano: nonostante una tassa di questo tipo sia già presente in 56 Stati al mondo di cui 10 europei, il nostro Paese è sempre rimasto finora impermeabile alle crescenti proposte di introdurla (avanzate ormai anche dai sindacati Cgil, Cisl e Uil) come prezioso strumento di lotta ai cambiamenti climatici. I contrari all’ipotesi sventolano lo spauracchio delle ricadute economiche, che attraverso importanti rincari dei prodotti energetici colpirebbero pesantemente i cittadini e alcune categorie economiche, ignorando al contempo i benefici – non solo ambientali – legati alla carbon tax. Le cose stanno davvero così? L’analisi appena prodotta dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani aiuta non poco a fare chiarezza sul tema.
Mettendo in fila i più recenti studi prodotti dal Fondo monetario internazionale (Fmi) in merito alla carbon tax, l’Osservatorio sottolinea innanzitutto che i combustibili fossili continuano a essere sussidiati più che tassati: si parla di 5.200 miliardi di dollari al 2017, che si stima siano cresciuti negli ultimi due anni fino ad arrivare a 8.100 miliardi di dollari, erogati per quasi il 50% dalla Cina in sovvenzioni all’industria del carbone. A seguire troviamo Stati Uniti, Russia e India mentre «l’Italia si conferma, tra i paesi avanzati, quello più in linea con la tassazione ottimale: i tax subsidy per elettricità, benzina e gasolio sono infatti nulli, mentre sono positivi ma contenuti quelli per carbone e gas». Occorre però sottolineare che, all’atto pratico, questo significa comunque che secondo il Fmi l’Italia destina ogni anno agevolazioni fiscali per 4,99 miliardi di dollari al carbone e per 11,29 miliardi di dollari al gas, per un totale di 16,28 miliardi di dollari l’anno (per il ministero dell’Ambiente italiano i sussidi ambientalmente dannosi garantiti ai combustibili fossili arrivano invece a 16,8 miliardi di euro l’anno, 18,8 secondo Legambiente).
Si tratta di un contesto ampiamente sfavorevole alla salute dell’ambiente e di quella umana. A livello globale «se i prezzi dell’energia fossero stati pari a quelli efficienti, cioè se avessero tenuto conto di tutte le esternalità negative generate, le emissioni globali di CO2 sarebbero state del 28% più basse e le morti per inquinamento dell’aria inferiori del 46%», sottolineano al proposito dall’Osservatorio.
Cosa accadrebbe se venisse introdotta una carbon tax al livello utile per raggiungere l’obiettivo fissato dall’Accordo di Parigi sul clima, ovvero contenere il riscaldamento globale a +2°C rispetto all’era preindustriale (mentre la traiettoria attuale ci proietta a circa +3-4°C)?
Per il Fmi, questo significa una carbon tax pari a 75 dollari per tonnellata di CO2, da introdurre gradualmente entro il 2030. Considerando anche altri due scenari meno ambiziosi, con tasse a 50 e 25 dollari, i «diversi livelli di tassazione (carbon tax uniformi al 25, 50 o 75 dollari per tonnellata) ridurrebbero le emissioni di CO2, rispettivamente, di 19, 29 e 35%, nei paesi del G20». Parallelamente, secondo il Fondo «i prezzi dell’elettricità aumenterebbero in media del 45%, e quelli della benzina del 15%», ma estrapolando i dati per il nostro Paese dall’Osservatorio dettagliano che in Italia «il prezzo di carbone aumenterebbe del 134%, quello dell’elettricità del 18%. Per la benzina, l’aumento di prezzo sarebbe di circa il 10%». Un cataclisma? Non sembra: «Si arriverebbe dunque a livelli dei prezzi già registrati in passato (si pensi al biennio 2012-2013)».
È comunque vero, come sottolineano dall’Osservatorio, che «l’imposizione di una tassa sulla CO2 avrebbe grande impatto su determinate categorie di lavoratori e settori industriali, in particolare quelle legate al carbone, il cui livello di occupazione è già previsto scendere in ogni caso. L’introduzione della carbon tax velocizzerebbe questi processi, aggravando così il conflitto di breve periodo tra obiettivi occupazionali e obiettivi ambientali. Come conciliare l’introduzione di una carbon tax con queste considerazioni? La chiave di volta sta nello sfruttare in maniera efficiente ed efficace le risorse derivanti dalla carbon tax». Come in Svezia, dove la carbon tax introdotta nel 1991 a 127 dollari per tonnellata (quasi il doppio di quella proposta dal Fmi) è stata inclusa in un pacchetto di riforme volto a ridurre la pressione fiscale su lavoro e capitale, compensando il peso che la carbon tax avrebbe avuto sulle famiglie a basso e medio reddito.
Per l’Italia, una carbon tax di 75 dollari a tonnellata «genererebbe un gettito dello 0,8% del Pil nel 2030», che misurato sul Pil del 2018 si tradurrebbe in oltre 14 miliardi di euro l’anno. Soldi che non solo compenserebbero gli svantaggi legati alla carbon tax, ma darebbero nuove possibilità di sviluppo: «Il lavoro del Fondo spiega, per esempio, che una misura che compensi il 40% più povero della popolazione (piuttosto che l’intero spettro dei cittadini) e le categorie di lavoratori più vulnerabili lascerebbe comunque tre quarti del gettito per altri interventi come investimenti o tagli alle tasse sul lavoro».
fonte: www.greenreport.it