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La cura esiste

C’è una società fatta di relazioni, giustizia sociale, tutela ambientale, l’esatto contrario della visione e dell’agenda di un Governo e di un’Europa troppo intente e rassicurare mercati e investitori, perché il profitto non si tocca e il debito va onorato. Sabato 10 aprile, l’hanno messa in mostra, quella società, oltre 30 manifestazioni-performance tenute in 20 città italiane, da Aosta a Catanzaro, per promuovere le proposte del Recovery Planet. Per il pomeriggio del 26 aprile, in occasione del passaggio parlamentare del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la Società della Cura sarà in piazza Montecitorio per un nuovo appuntamento. L’obiettivo di questa seconda tappa di una mobilitazione che vuole crescere è far sentire dalla piazza la voce dell’Italia che non ha più voglia di aspettare e di essere considerata un simpatico orpello delle decisioni che contano

Foto tratta dal Fb 

Una cura esiste, per questa società malata di profitto, e il principio attivo sono i volti e le intelligenze di quelle donne e quegli uomini che, nella giornata del 10 aprile, hanno animato le piazze reali e virtuali del nostro Paese.

Oltre 30 presidi, manifestazioni, performance in più di 20 città italiane, da Aosta a Catanzaro, passando per Firenze, Roma, Venezia dove i movimenti italiani che animano la Società della Cura, hanno ricominciato a prendere parola nonostante le limitazioni di una pandemia che sembra non voler mollare la presa.

La cura esiste, ed è una società fatta di relazioni, giustizia sociale, tutela ambientale, l’esatto contrario della visione e dell’agenda di un Governo e di un’Europa troppo intente e rassicurare mercati e investitori, perché il profitto non si tocca e il debito va onorato.

C’è una faglia di Sant’Andrea che divide il Paese legale dal Paese reale, e si coagula in numeri, dati e decisioni politiche. Dal febbraio 2020 quasi un milione di persone hanno perso il posto di lavoro, in gran parte giovani e donne, nella migliore delle tradizioni di un sistema di valori patriarcale, arretrato, senza visione del futuro.

I giovani e le intelligenze dei Fridays for Future e di Extinction Rebellion, anche loro ad animare un’Italia disorientata, ci ricordano che viviamo tutti con un metronomo sopra la testa che si chiama cambiamento climatico, inesorabile, ma non inevitabile se solo si mettessero in campo politiche degne di questo nome.

Alle proposte della società civile e del Recovery Planet, l’agenda di società del futuro redatta grazie al lavoro certosino e continuato di centinaia di persone all’interno della convergenza, il Governo ha risposto con le nuove concessioni estrattive di metano e di petrolio, perché è business, bellezza, e prima di noi e di voi viene Eni, in caso non l’aveste ancora capito.

Quei 190 e rotti miliardi tra prestiti e finanziamenti che stanno sotto al nome pomposo di Recovery and Resilience Facility, di cui il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ne è l’italiana conseguenza, arriveranno sulla base di progetti e investimenti decisi escludendo a priori la società civile, invitata al pranzo di gala degli Stati Generali romani dello scorso luglio come semplice comparsa, e ascoltata come da prassi nelle audizioni alle Camere.



L’ascolto è dovuto, la presa in carico un po’ meno, se è vero che all’interno del PNRR troveranno conforto anche le filiere militari e quelle insostenibili, le infrastrutture e il cemento, perché il PIL deve essere nutrito, e chi se ne importa se il 91% dei Comuni italiani, e decine di milioni di persone, sono a rischio dissesto idrogeologico. Un’ipoteca sul futuro, considerata la frequenza di aumento di eventi atmosferici estremi che colpisce il nostro Paese, se non il mondo intero.

Le oltre 400 pagine del PNRR troveranno posto sugli scranni di Montecitorio e di Palazzo Madama i prossimi 26 e 27 aprile, presentate dal Presidente del Consiglio Draghi, prima del loro invio alla Commissione Europea entro il 30 aprile.

Da lì in poi si aprirà un negoziato con l’Unione Europea, che spulcerà le proposte italiane e dei rimanenti 26 Paesi dell’Unione proponendo cambiamenti, riletture, riscritture.

Il 26 aprile, dalle 15 in poi, proprio in occasione del passaggio parlamentare, la Società della Cura sarà in piazza Montecitorio, per far sentire dalla piazza la voce dell’Italia che non ha più voglia di aspettare e di essere considerata simpatico orpello delle decisioni che contano.

La risposta alle pagine del Recovery Plan saranno i capitoli del Recovery Planet, e alle pretese dei capitani di industria verranno contrapposte le proposte e richieste per una società diversa, capace di cura e di senso.

Il 26 aprile non sarà un punto di arrivo, ma una tappa dopo le mobilitazioni di novembre, dicembre e del 10 aprile verso l’ampliamento di una convergenza di movimenti che non si vedeva da anni, e che guarda al ventennale del G8 genovese e alle piazze del prossimo autunno come passaggi necessari per rimettere le parole conflitto e alternativa al posto giusto nel dizionario della politica italiana.

fonte: comune-info.net



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Lucie Pinson - Un Nobel per L’Ambiente

 


















#TheActivist è la rubrica di XR Magazine dedicata agli attivisti del nostro tempo. Qui racconteremo della loro battaglia per la giustizia climatica, dei loro obiettivi e dei metodi che hanno trovato per raggiungerli. Se le questioni legate all’ambiente, clima, giustizia sociale e natura stanno via via prendendo il sopravvento nei tavoli dei trattati è perchè persone da tutto il mondo hanno deciso di scendere in campo e far sentire la propria voce.

Perchè non importa chi sei o da dove vieni, la lotta per un futuro migliore riguarda anche te

Lucie Pinson, 35 anni, militante e attivista per la giustizia climatica dal 2013, è stata insignita del premio Goldman per la regione Europa nel 2020.

Lucie, originaria di Nantes, svolge gli studi di storia e scienze politiche all’Università Rhodes in Sudafrica. Questa esperienza è fondamentale per le sue scelte future. Durante gli anni passati in quel paese ha modo di osservare, rimanendone fortemente colpita, le conseguenze catastrofiche del carbone sull’ambiente e sulla sanità.

Dopo un master in Relazioni Internazionali all’Università di Sorbona, Lucie avvia la sua carriera nella ONG “Amis de la Terre”.

Grazie all’esperienza maturata in seno all’organizzazione come coordinatrice della campagna “finance privée”, Lucie individua il suo bersaglio: la finanza.

Il suo ragionamento parte da una constatazione molto semplice: la transizione ecologica non può diventare realtà finché i grandi investitori continueranno a finanziare l’estrazione di combustibili fossili.

Infatti, contrariamente a quanto si legge sulla finanza sostenibile, la finanza dominante si colloca tuttora agli antipodi degli obiettivi della giustizia sociale e climatica.

Solitamente le ONG trascurano il campo della finanza, perché ritenuto erroneamente un settore troppo distante, ostico e appannaggio di esperti.

Eppure, la lotta per un mondo più giusto non può non passare dal coinvolgimento di questi grandi attori. La finanza impatta su milioni di persone.

Detto fatto.

Lucie fonda “Reclaim Finance”, con l’obiettivo di fare pressione sugli istituti creditizi per limitare i loro investimenti nelle energie fossili, specialmente il carbone, prima fonte di emissione di CO2 al mondo e causa principale del riscaldamento climatico.

Da allora non si è più fermata, raggiungendo obiettivi ambiziosi. E’ riuscita a far sì che alcune banche francesi si impegnassero a limitare i loro investimenti nel carbone. A cedere alle sue pressioni sono state: Crédit Agricole, BNP Paribas, Société générale, AXA, le Fonds de Pension Norvégien e la Banque européenne d’investissement. Non solo, ma ha convinto 29 gruppi finanziari, tra cui assicurazioni, a dotarsi di una strategia coal-exit.

Come riportato in un’intervista, il metodo con cui Lucie opera consiste nel “fissarsi degli obiettivi raggiungibili e gestibili, identificare il bersaglio, trovare il suo punto debole, fare il bilancio delle proprie forze militanti, attendere un’opportunità e colpire”.

Reclaim Finance adotta un approccio molto concreto, che rispecchia le idee della sua fondatrice e direttrice. Non potendo rivoluzionare la finanza dominante, l’obiettivo dell’organizzazione è quello di limitarne gli impatti più nocivi attaccando bersagli mirati finché non si raggiunge un risultato reale e positivo.

Ci sono varie tecniche che Lucie utilizza per ottenere ciò che vuole. Dalle lunghe sessioni di advocacy alle azioni più impattanti. Ad esempio, una pratica ricorrente consiste nell’acquistare azioni di importanti società per poter partecipare alle assemblee degli azionisti e denunciare pubblicamente il loro operato.

Di certo il coraggio e la tenacia non le mancano. Come lei stessa dice “se il sorriso non basta a dissuadere, bisogna instaurare un rapporto di forza, utilizzando strumenti di denuncia plateale del “name and shame”.

Da una parte la lotta, dall’altra la formazione. Lucie passa le giornate davanti al computer a studiare nozioni di finanza, leggere database, fare calcoli e arrivare con soluzioni fattibili e alternative per gli istituti bancari.

Infatti, per convincerli non sempre le minacce alla reputazione sono la migliore strategia. Serve anche mostrare loro i rischi degli investimenti sul lungo termine, proporre un piano alternativo e altrettanto remunerativo.

In sostanza Lucie e la sua ONG fanno anche consulenza alle imprese e alle banche.

Nonostante i riconoscimenti ottenuti, la strada è tutta in salita. L’attivista lo sa bene e ha deciso fin dalle origini che la sua ONG dovesse posizionarsi in una dimensione internazionale, di qui la scelta del nome inglese. Gli obiettivi nel prossimo futuro sono di fare rete, moltiplicare le battaglie, concentrarsi sul disinvestimento da altri tipi di combustili, quali il gas e il petrolio.

fonte: extinctionrebellion.it


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Fioriscono convergenze

Mentre Friday for Future ed Extintion Rebellion preparano lo sciopero del 9 ottobre denunciando l’interdipendenza del sistema economico e i danni che arreca sull’ambiente e sulla salute, anche in Italia spuntano un po’ da ogni parte azioni e processi di convergenza tra gruppi e movimenti in vario modo associati che avviano dialoghi e processi e programmano azioni e iniziative insieme. Spesso chiamano queste forme di condivisione – in alcuni casi parziale e a breve termine, in altri di più lungo periodo – convergenze. Un concetto aperto e interessante perché evita le pastoie di confluenze, accentramenti, cartelli elettorali per mostrare invece, come insegnano i movimenti femministi, intersezionalità, condivisione, contaminazioni e tanta empatia da sperimentare nelle pratiche comuni di resistenza e di costruzione di nuove forme di relazioni sociali

Foto Tratta dal Flicker di Christian Willner

Sotto la cappa dell’orrido «distanziamento sociale» – nel mondo si chiama più propriamente confinamento fisico – qualcosa di promettente fiorisce. Fryday for Future sta preparando il Climate Strike per il 9 ottobre per denunciare «l’interdipendenza del sistema economico» e i danni che arreca sull’ambiente e sulla salute.

Nel secondo Climate Meeting di Venezia è stato varato un Manifesto di intenti su dieci punti per creare uno «spazio politico comune» di elaborazione e di azione sulla giustizia climatica, l’uscita dal fossile, l’equa redistribuzione della ricchezza sociale, il riconoscimento dei diritti fondamentali.

Il Forum sociale mondiale delle economie trasformative sta organizzando un mese di iniziative per avviare un processo di confluenza di esperienze e movimenti che praticano forme di economie alternative, locali, fuori dalla logica del profitto e del mercato e capaci di rispondere alla crisi economica seguita alla pandemia.

Da qualche tempo le associazioni e i gruppi impegnati sulla decrescita del sistema economico hanno elaborato un documento e proposto un «forum delle convergenze comunitarie».

La Rete dei beni comuni emergenti e degli usi civici si è riunita nei giorni scorsi a Mondeggi, «fattoria senza padroni», stringendo un rapporto tra decine di realtà che stanno concretamente restituendo alla funzione sociale immobili e proprietà in disuso. Da ultimo un gruppo numerosissimo di associazioni ha proposto un manifesto: «Uscire dall’economia del profitto, costruire la società della cura».

Dall’Arci ad Attac, dalla Casa delle donne di Milano al Controsservatorio Val di Susa, da Navdanya International alle Botteghe del mondo. Propongono una conversione ecologica, il diritto al reddito, la riforma del credito, una democrazia di prossimità, l’accoglienza e la solidarietà.

Chiedono la condivisione delle vertenze e una mobilitazione comune. L’auspicio che accomuna tanti sforzi è la convergenza dei movimenti che operano in settori diversi. Un bisogno profondo, non tattico, che emerge dalle riflessioni maturate in questi anni sulle connessioni tra i sistemi socioeconomici e la loro dipendenza dalla biosfera.

Foto tratta dal Fb di @FridaysItalia

L’insegnamento che viene dal surriscaldamento globale e dalla pandemia è evidente. Vi è la convinzione che la convergenza tra tante diverse esperienze nei più svariati campi della vita può riuscire solo se emergerà un’idea forte di nuove relazioni sociali agibili e desiderabili.

Un sistema economico semplice, elementare, in cui tutte e tutti abbiano abbastanza per poter vivere bene, in pace con gli/le altri/e, in equilibrio con la natura. É davvero questa un’idea così romantica e utopica?

O, all’opposto, troppo rivoluzionaria? La sfida al decrepito sistema economico che sta acuendo le sofferenze umane e portando alla catastrofe planetaria potrebbe partire dal chiedere conto ai governi del mondo il rispetto di due semplici criteri.

Primo, il rispetto della precondizione della preservazione della vita sul pianeta. Secondo, la condivisione solidale, equa e premurosa delle ricchezze che si possono produrre tramite una cooperazione sociale responsabile.

In altre parole, bisognerebbe costringere i governi a prendere sul serio il paradigma della sostenibilità (intesa come rispetto invalicabile dei limiti naturali delle condizioni di rigenerazione dei cicli vitali) e a non impedire l’accesso ai beni fondamentali della vita (beni comuni) a nessun abitante della terra.

Che i movimenti chiamano «giustizia climatica e sociale». Un percorso non facile: entra in conflitto con le forme esistenti di relazioni di potere asimmetriche, oppressive e discriminatorie sul piano politico, sessista, classista, razzista, specista.

La convergenza – è bene ricordarlo – non contempla confluenze, accentramenti, cartelli elettorali. Ma, come insegnano i movimenti femministi, intersezionalità, condivisione, contaminazioni e tanta empatia da sperimentare nelle pratiche comuni di resistenza e di costruzione di nuove forme di relazioni sociali.

Articolo pubblicato anche su Il manifesto

fonte: www.comune-info.net

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Extinction Rebellion: dal 7 al 13 ottobre ribellione per il pianeta

Non ci sono solo i Fridays For Future a mobilitarsi per chiedere ai governi misure drastiche per uscire dall’emergenza ecologica e climatica in cui versa il pianeta. Extinction Rebellion, movimento trasversale di disobbedienza civile nonviolenta, è arrivato anche in Italia e si sta organizzando: dal 7 al 13 ottobre sarà la settimana della ribellione internazionale.














Nonviolenza, decentralizzazione, empatia, mettersi in gioco lasciando le proprie comfort zone sono solo alcuni dei dieci principi di Extinction Rebellion, il movimento trasversale di disobbedienza civile nonviolenta che sta già entrando negli slogan urbani come XR e che è approdato alla ribalta delle cronache con il blocco della città di Londra nell'aprile scorso. XR si sta organizzando anche in Italia, ci sono gruppi in alcune decine di città e in tutte le regioni. E, pur sostenendo i Fridays For Future nella settimana d’azione per il clima di settembre, organizzano una loro identitaria protesta: dal 7 al 13 ottobre sarà la settimana della Ribellione Internazionale, con una mobilitazione a livello mondiale che nel nostro paese vedrà manifestazioni e azioni di disobbedienza civile a Roma.
«Sia chiaro, non c’è contrapposizione tra noi e i FFF, anzi» spiegano Gianluca Esposito e Asia Manzari, coordinatori rispettivamente dei gruppi XR di Venezia e Padova e membri dei gruppi di lavoro a livello nazionale. «Loro appoggeranno noi e noi appoggiamo loro; semplicemente abbiamo connotazioni e strategie differenti ed esprimiamo le nostre rivendicazioni in modi diversi».

La settimana di ribellione per il pianeta

Dal 7 ottobre inizierà quella che XR ha definito la settimana di ribellione internazionale, che simbolicamente terminerà il 13 ottobre. Azioni sceniche e molto altro, come il disturbo del traffico stradale, poi «dall’8 ottobre ci saranno attivisti che faranno lo sciopero della fame a oltranza davanti alla sede del Parlamento a Roma – spiegano Gianluca e Asia – e che sosteranno lì tutto il giorno, per poi trovare una sistemazione alternativa durante la notte. Ci sarà anche un team di medici, psicologi e avvocati a darci supporto. A fine settimana si terrà una critical mass in bicicletta con la collaborazione di molte ciclofficine di Roma. Le spese che dobbiamo affrontare per la settimana di ottobre sono molte, pertanto abbiamo avviato una raccolta fondi online su Gofundme, chiamata "Sostieni la Ribellione!"».
La settimana di mobilitazione sarà preceduta, il 5 e 6 ottobre, da incontri di formazione e preparazione specifici degli attivisti a Roma, con facilitatori, esperti di comunicazione e azione diretta nonviolenta, nonché legali.  «Ci teniamo a creare un contatto con le forze dell’ordine, in modo da instaurare un rapporto di reciproca fiducia ed evitare reazioni violente. Da parte nostra garantiamo non violenza e auspichiamo sia così anche nei nostri confronti» aggiungono Gianluca e Asia.

Azioni di disruption

«Extinction Rebellion sta crescendo in Italia, ha una visione condivisa tra i suoi membri riguardo la strategia da seguire e siamo convinti che, in questa fase assolutamente emergenziale, occorra arrivare ad azioni di disruption vere e proprie per bloccare le capitali di tutto il mondo per giorni, settimane se necessario, in modo da causare un danno economico e spingere i governi ad agire ora. Il tempo che ci rimane è poco e questa volta dobbiamo metterci in gioco davvero. La nostra è l'ultima generazione che può fare realmente qualcosa per invertire rotta».
XR ha tre richieste fondamentali intorno alle quali sta costruendo la propria mobilitazione. «Innanzitutto “Dire la verità” – proseguono Gianluca e Asia – È necessario che i governi e gli enti locali e territoriali arrivino alla dichiarazione di emergenza ecologica e climatica. Sì, anche ecologica, perché la crisi in corso riguarda anche la biodiversità e gli ecosistemi terrestri ed oceanici, gravemente minacciati. Al secondo punto c’è “Agire ora”: chiediamo che si arrivi allo zero netto di emissioni di gas serra entro il 2025, non oltre. È ambizioso ma noi valutiamo a livello scientifico cosa è necessario, non tanto cos’è facilmente attuabile. Poi occorre andare “oltre la politica”, il terzo punto. E secondo noi ci si arriva tramite assemblee cittadine che i governi devono istituire, riconoscendo loro poteri deliberativi sulla base delle migliori evidenze scientifiche, in modo da stabilire insieme le strategie e i percorsi da attuare per trasformare la società in chiave di neutralità di emissioni e rispetto dei sistemi ecologici, in equità con tutti gli esseri viventi».
Gli obiettivi di XR sono coraggiosi e ambiziosi: «Puntiamo ad arrivare a mobilitare il 3,5% della popolazione, e non è una percentuale dettata a caso. La si ricava da uno studio condotto da un team di ricercatori della Columbia University che ha esaminato oltre 350 tra conflitti violenti e nonviolenti, giungendo a concludere che il metodo nonviolento permette di raggiungere più facilmente gli obiettivi e che basterebbe mobilitare il 3,5% della popolazione, facendo scendere in piazza le persone».

La trasversalità

Una caratteristica che XR rivendica è quella della trasversalità delle fasce di età: «da bambini, figli di attivisti, a nonni ultraottantenni e l'età media varia città in città. Per esempio, a Roma è di 35 anni, a Venezia di 25. Stiamo anche lavorando per far partire XR Families e XR Youth, per famiglie e giovani».
XR si è data e sta affinando una struttura organizzativa che «punta a creare le basi per un ambiente sano per gli attivisti stessi, attraverso una cultura detta "rigenerativa"» aggiungono ancora Gianluca e Asia. «Ci sono professionisti che formano, che si occupano di ascolto attivo, team building, benessere generale; insomma l’ambiente è accogliente, privilegiamo la qualità delle relazioni e la condivisione in piccoli gruppi di lavoro specifici in modo che ciascuno sia impegnato con una progettualità definita sfruttando appieno le proprie attitudini».
Dunque, appuntamento per chi volesse aggregarsi dal 7 al 13 ottobre.
fonte: https://www.terranuova.it

Guido Viale: Il tempo è adesso

foto pxhere.com


Amazzonia, Siberia, Groenlandia, Artico e Antartico, India…Gli effetti devastanti dei cambiamenti del clima si scatenano ovunque. Perfino da queste parti, a scala certo minore, non mancano, è soprattutto l’agricoltura che comincia a risentirne: 14 miliardi di danni, secondo la Coldiretti, negli ultimi dieci anni. Certo, in queste “drammatiche” settimane d’agosto, media e parlamento italiano avevano ben altro a cui pensare. Eppure, piuttosto lontano dai riflettori, c’è un gran numero di persone che ha compreso bene la gravità della minaccia e si muove di conseguenza. Sono quelli della rete Extinction Rebellion, ad esempio, e poi i ragazzi di Fridays for future, i movimenti contadini e, naturalmente, i popoli indigeni dell’Amazzonia e di quasi ogni altra zona del pianeta. Dovranno rafforzare i legami con chi è già impegnato, da diverse prospettive, a cambiare in profondità la rotta autodistruttiva del sistema dominante: chi si batte contro il patriarcato, per la libertà di migrare, la difesa dei beni comuni e dei territori, l’affermazione della dignità di ogni persona ed essere vivente. Dalla capacità di affrontare qui e ora la questione della crisi climatica dipende, in fondo, anche la possibilità di ricondurre la politica al suo significato originario, che è quello di autogoverno. Cosa che non potrà mai realizzare una manovra chiusa nel quadro dell’attuale sistema politico, tutto legato al mito fasullo e ormai palesemente devastante della “crescita”, magari con qualche ipocrita postilla sullo sviluppo “sostenibile”. Il tempo per agire è ora, quello delle promesse è scaduto

L’Amazzonia brucia, liberando milioni di tonnellate di CO2. La Siberia brucia, emettendo altro CO2 e immense quantità di metano. I ghiacci della Groenlandia si sciolgono a ritmo vertiginoso e così anche la banchisa polare, le calotte glaciali dell’Artico e dell’Antartico e tutti i ghiacciai del mondo. In India, in preda alla siccità, muoiono di sete migliaia di persone e in tutto il mondo, Mediterraneo e Italia compresi, si moltiplicano i fenomeni metereologici estremi: ondate di calore, tempeste tropicali, gelate fuori stagione. Sono tutti effetti della crisi climatica in corso e al tempo stesso cause del suo rapido aggravamento.

Di tutto questo non c’é alcun riflesso nel Parlamento italiano né nelle manovre per formare un nuovo governo. Le istituzioni del nostro paese non si sono solo allontanate dai cittadini (e viceversa). Sono ormai lontane mille miglia dalla realtà (come lo sono i media che si occupano delle loro vicende). Ma è così anche in quasi tutto il resto del mondo.

C’è però in Italia e in tutto il mondo un “popolo” che quei fatti li ha messi al centro dell’attenzione, delle sue preoccupazioni e della sua iniziativa: i giovani di Fridays for future, che è un movimento mondiale la cui crescita non si fermerà più; la rete di Extinction Rebellion; i tanti movimenti contadini che difendono un’agricoltura sostenibile come Via campesina che riunisce 400 milioni di agricoltori; i popoli indigeni in lotta contro la devastazione dei loro habitat, in particolare l’Amazzonia, oggi sotto attacco, ma che sarà al centro di un sinodo voluto da Papa Francesco.

È statisticamente quasi impossibile che tra i mille parlamentari italiani non ce ne sia nemmeno uno che non si renda conto di quanto sia criminale ignorare la crisi climatica. Se anche in pochi, approfittando della visibilità che avrebbero in questo momento, formassero un raggruppamento interpartitico, non per “mettersi alla testa” dei movimenti già attivi in questo campo, magari con mire egemoniche (non ne avrebbero alcun titolo), ma per porre la crisi climatica e ambientale al centro delle loro preoccupazioni, potrebbero gettare un pesante masso nello stagno delle trattative per la formazione del nuovo governo e tutto il quadro politico potrebbe venirne scompaginato anche nel caso di 
eventuali elezioni.

Foto: Divulgação/Ibama

Si tratterebbe di mettere all’ordine del giorno, non solo del Parlamento, che su questo tema per ora è sordo, ma del pubblico più vasto possibile, non l’inserzione dell’ambiente come una postilla in programmi inconcludenti e di facciata, ma la necessità inderogabile di una svolta radicale: abbandonare al più presto i progetti, le attività e i consumi responsabili delle maggiori emissioni climalteranti per promuovere ovunque impianti, sistemi e consumi a emissioni basse o nulle. Molte misure da assumere sono impopolari e per molti inaccettabili. Ma, di fronte all’evidenza dei fatti, questi atteggiamenti non dureranno a lungo anche perché i movimenti in campo per esigere un cambiamento radicale delle politiche cresceranno mano a mano che la crisi climatica farà sentire i suoi effetti.

Inoltre quei movimenti sono già fortemente intersecati dalle altre correnti di pensiero e di azione impegnate sulla prospettiva di un mondo diverso: il movimento delle donne contro il patriarcato e le sue tante manifestazioni, la solidarietà contro l’abbandono e respingimento dei migranti, le mobilitazioni contro la devastazione di territori e comunità in nome di progetti senza avvenire come NoTav o NoTap, i movimenti contro la guerra e le armi.

Certamente più difficile, nell’immediato, sarà raccogliere adesione e rivendicazioni di chi oggi lotta o vorrebbe lottare per difendere reddito o posto di lavoro, contro disoccupazione e precariato, per la casa, la salute, l’istruzione. C’è ancora da battere una cultura – negata a parole, ma confermata dalle scelte di tutte le forze politiche – che continua a contrapporre tutte queste cose alla difesa dell’ambiente; ma è e sarà sempre più chiaro che quelle rivendicazioni non avranno più alcuna possibilità di realizzarsi nella prospettiva di una generale catastrofe climatica.

foto pixabay

Dalla capacità di affrontare qui e ora la questione della crisi climatica, senza aspettare che a muoversi siano altri paesi e altri Governi, ma con la convinzione che l’esempio ha un effetto trascinante e che chi la affronta prima si troverà in vantaggio mano a mano che gli effetti della crisi si faranno più pesanti, dipende alla fine anche la possibilità di ricondurre la politica al suo significato originario, che è quello di autogoverno. Cosa che non potrà mai realizzare una manovra chiusa nel quadro dell’attuale sistema politico, tutto legato al mito fasullo e ormai palesemente devastante della “crescita”. Il tempo per agire è ora. E se non ora, quando?

fonte: https://comune-info.net