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Ambiente, territorio e cittadinanza attiva: il ruolo delle comunità energetiche

I cittadini possono avere un ruolo attivo nella transizione energetica



L’energia proveniente dalla fonti rinnovabili è oggi sempre più accessibile grazie allo sviluppo delle tecnologie produttive. Una prima soluzione utilizzata in Italia sono stati i sistemi di accumulo da collegare ai propri impianti fotovoltaici, così da consumare l’energia al bisogno. Oggi c'è un modo per ottimizzare lo sfruttamento dell’energia prodotta dai pannelli solari: si tratta delle Comunità energetiche previste dalla Direttiva 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili - RED II (art. 21 e 22) ed introdotte in Italia dal DL 162/2019 (art.42 bis). Il 20 aprile scorso è stata tra l'altro approvata definitivamente dal Parlamento la Legge di delegazione europea 2019-2020 che rende operative le disposizioni della Direttiva RED II e nel Recovery plan, approvato il 27 aprile dal Parlamento, sono stanziati appositi fondi (2,2 miliardi) proprio per le Comunità energetiche e l'autoconsumo.

La normativa prevede nello specifico due forme di autoconsumo collettivo:
autoconsumo collettivo, ovvero soggetti presenti all’interno dello stesso edificio (esclusi soggetti professionali del mondo energia) in cui è presente uno o più impianti alimentati esclusivamente da fonti rinnovabili; gli impianti possono essere di proprietà di soggetti terzi,
Comunità energetiche: clienti finali residenziali, pubblica amministrazione e PMI (esclusi soggetti professionali del mondo energia) che possono associarsi e autoconsumare energia prodotta da uno o più impianti da fonti energia rinnovabile; per condividere l’energia prodotta, gli utenti possono utilizzare le reti di distribuzione già esistenti e utilizzare forme di autoconsumo virtuale.

Nell'immagine che segue sono illustrate le diverse tipologie di autoconsumo (Fonte: Una guida per orientare i cittadini nel nuovo mercato dell’energia).

Per promuovere l’utilizzo di tali sistemi in Italia è stata stabilita una tariffa d’incentivo, per ripagare l’energia autoconsumata istantaneamente; per accedervi, l’impianto deve essere installato dopo il 1º marzo 2020 e la tariffa è così stabilita: per l'autoconsumo collettivo 100€ ogni MWh prodotto, per le Comunità energetiche 110 €/Mwh.

Le Comunità energetiche

Cittadini, imprese e attività commerciali possono dunque produrre, scambiare e gestire insieme l’energia elettrica prodotta da un impianto messo a disposizione da uno o più soggetti che partecipano alla Comunità; per aderire alla Comunità energetica si stipula, con i proprietari dell’impianto che condivide l’energia extra prodotta dai pannelli fotovoltaici, un contratto che stabilisce, tra le altre cose, le modalità di condivisione dell’energia stessa. Uno dei principali vincoli è ovviamente che gli utenti devono trovarsi vicino all’impianto generatore o su reti sottese alla stessa cabina di trasformazione. Gli impianti utilizzati, oltre ad essere esclusivamente alimentati da fonti rinnovabili, possono raggiungere una potenza massima complessiva di 200 kW; in ciascuna Comunità, però, ci possono essere più impianti di produzione.

Nel nostro Paese queste realtà stanno piano piano prendendo forma: ne è un esempio il caso di Magliano Alpi, in provincia di Cuneo, dove è l'amministrazione comunale che ha promosso la Comunità energetica, utilizzando un pannello fotovoltaico posizionato sul tetto del palazzo comunale. Ad oggi sono sette gli altri aderenti, quattro famiglie, uno studio tecnico e un laboratorio di falegnameria. A breve partirà anche ad Ampezzo, in provincia di Udine, un altro progetto pilota di Comunità energetica.

L'Italia, insieme ad altri 7 paesi, è partner del progetto europeo LIGHTNESS che ha proprio l'obiettivo di incentivare le Comunità energetiche a livello europeo; nell'ambito dell'iniziativa è prevista la formazione di una Comunità presso un condominio di Cagliari dove saranno effettuati interventi come l’installazione di un impianto solare e l’isolamento dell’edificio.

Secondo le stime dello studio Elemens per conto di Legambiente (“Il contributo delle Comunità Energetiche alla decarbonizzazione“), il potenziale attuale è stimato in circa 11 GW ed è relativo in gran parte allo sviluppo di impianti fotovoltaici su edifici condominiali, ma recependo a pieno la direttiva RED II il perimetro delle Comunità energetiche potrebbe allargarsi, permettendo la realizzazione di altri 6 GW di comunità (soprattutto fotovoltaico).

Sempre secondo lo studio, la diffusione delle comunità energetiche contribuirebbe a fornire un maggior impulso all’elettrificazione dei consumi nel settore termico dal momento che il minor costo dell’energia autoconsumata rispetto a quella prelevata dalla rete renderebbe ancor più conveniente l’installazione di sistemi di riscaldamento quali le pompe di calore, che verrebbero così alimentate dall’energia prodotta dagli impianti a fonti rinnovabili presenti all’interno della comunità energetica, con ulteriori benefici ambientali in termini di riduzione delle emissioni.

Per approfondimenti consulta:
We the Power”, film che racconta lo sviluppo e la diffusione delle Comunità energetiche in Europa, spiegando cosa fanno, quali principi seguono, quali sono i loro progetti e le difficoltà incontrate
Progetto Europeo GECO - Le Comunità energetiche in Italia – Una guida per orientare i cittadini nel nuovo mercato dell'energia
GSE Regole tecniche per l'accesso al servizio di valorizzazione e incentivazione dell'energia elettrica condivisa
Energy Center del Politecnico di Torino - Manifesto delle comunità energetiche



fonte: http://www.arpat.toscana.it/



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I cittadini protagonisti delle politiche

Le scelte e i comportamenti dei singoli aumentano l'efficacia delle iniziative di governo, soprattutto in campo ambientale












Che i cittadini abbiano oggi giorno un ruolo fondamentale per la buona riuscita di politiche e iniziative di governo è ormai innegabile: senza il contributo di ciascuno di noi, con i nostri stili di vita, le nostre azioni quotidiane e le nostre scelte, di consumo e di mobilità per dirne solo alcune, difficilmente si otterranno quei cambiamenti significativi che piani e programmi, internazionali, nazionali e locali, prospettano.

Ecco che il coinvolgimento del cittadino deve necessariamente diventare un obiettivo della pubblica amministrazione che quei piani e programmi mette in pratica. Per fare ciò è sicuramente prioritario che la PA si metta in ascolto del cittadino, andandogli incontro e facilitando il più possibile la relazione; assunto del resto richiamato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che tra gli obiettivi indica proprio una "Pubblica Amministrazione efficiente, digitalizzata, ben organizzata e sburocratizzata, veramente al servizio del cittadino".

Senza scomodare l'attualità, non possiamo non dimenticare poi che sono ormai diversi anni che l’ordinamento comunitario e le norme internazionali prevedono diritti e obblighi partecipativi dei cittadini, che le istituzioni sono tenuti a garantire. Su Arpatnews abbiamo più volte parlato dell'esperienza a tal proposito della Regione Toscana.

Dal canto loro, i cittadini, se non attivati dall'ente pubblico, si muovono anche in maniera autonoma, rendendosi sempre più parte attiva della cosa pubblica, realizzando, nel proprio contesto locale o su una scala anche più ampia, dei cambiamenti tangibili. Stiamo parlando di persone che si rimboccano le maniche per risolvere un problema che affligge il territorio o la comunità, diventando a tutti gli effetti corresponsabili del buon andamento del bene comune.

Da parte delle amministrazioni invece, al di là delle norme e dei coinvolgimenti più o meno formali, quanto è davvero messa in pratica e realmente sentita la partecipazione del cittadino? Quanto quest'ultimo è considerato un partner irrinunciabile per raggiungere gli obiettivi di governo e delle amministrazioni in generale, in particolare in campo ambientale?

Le iniziative forse più interessanti da questo punto di vista sono quelle che esulano dalla consuetudine e dalla concezione stereotipata della PA, composta di tavoli ed organismi più o meno formali: ne è un esempio la nascita, negli ultimi anni, dell'assessore alla gentilezza, una figura cioè che dovrebbe favorire proprio lo sviluppo di pratiche costruttive condivise, coinvolgendo le istituzioni e i cittadini in un’organizzazione allargata e partecipativa, stimolando quindi soluzioni per rendere la società più aperta, inclusiva e rispettosa. L'iniziativa, nata nel 2019 su impulso dell'associazione Cor et Amor e del Movimento Mezzopieno, porta con sé anche il principio secondo cui con la gentilezza si possano raggiungere proprio quei cambiamenti di cui parlavamo all'inizio.

Le amministrazioni e i decisori politici hanno a tal proposito a disposizione da qualche tempo uno strumento che utilizza i risultati dell'economia cognitiva applicata attraverso l'introduzione di una regolamentazione basata sul nudge, concetto nato dal lavoro dell’economista Richard Thaler e del giurista Cass Sunstein. Si tratta, tradotte in italiano, delle “spinte gentili” (rinforzi positivi, suggerimenti, aiuti indiretti..), adatte a orientare e cambiare i comportamenti dei cittadini, rendendoli armonici e incanalati verso il bene collettivo, senza però proibire o sanzionare in alcun modo le altre possibili opzioni. La teoria del nudge sostiene quindi che si possano indirizzare le scelte dei cittadini attraverso stimoli più o meno impliciti, piuttosto che tramite il canale rigido e burocratico delle norme.

Le spinte gentili, come racconta in un'intervista a Il cantiere delle donne Irene Ivoi, esperta di sostenibilità ed anche di nudge, inducono a risultati positivi anche nel campo delle buone pratiche ambientali poiché possono orientare il comportamento e incidere fortemente sulla sostenibilità.

Nell'intervista si racconta, ad esempio, l'esperienza del muro della gentilezza, nata nel 2015 in Iran con lo scopo di offrire cappotti e coperte ai senzatetto per proteggersi dal freddo e arrivata oggi a riguardare non solo vestiti, ma anche libri ed altri oggetti, un esempio di atto gentile che risponde al concetto di condivisione e rimessa in circolo, nel segno del rispetto per il prossimo e l'ambiente. Anche ARPAT, nella sua Pillola di sostenibilità dedicata a Vestirsi in modo sostenibile, ha indicato proprio questa buona pratica come una delle possibili azioni per ridurre l'impronta ecologica del nostro stile di vita.

I muri della gentilezza sono sparsi in tutto il mondo, anche in Italia, alcuni hanno avuto successo, altri meno, come quello di Roma, che era purtroppo diventato una sorta di discarica. Per evitare il fallimento di questa bella idea di solidarietà una delle risposte messe in campo, ad esempio in Svezia, a Uppsala, è quella di far diventare il muro un’istallazione artistica che, oltre a offrire un servizio, abbellisce anche la città.

La stessa Ivoi è coautrice del recente studio Ref Ricerche La “spinta gentile”: riforma a costo zero in cui vengono analizzati in particolare i servizi pubblici locali, come la gestione delle acque e dei rifiuti, in quanto terreni importanti di sperimentazione di questi strumenti.

A tal proposito lo studio riporta l'esperimento condotto nel 2014 presso il collegio Sant’Anna di Pisa dove è stato misurato il numero di bicchierini presenti nei cestini dedicati alla raccolta differenziata posizionati nei paraggi delle macchinette del caffè. L'esperimento ha previsto due interventi che utilizzavano due diverse leve comportamentali: da una parte la facilità, ovvero l’utilizzo di cestini più grandi e più accessibili in cui correttamente smaltire i bicchierini usati, dall'altra la pressione sociale stimolata tramite una serie di cartelli che stimolavano una competizione con prestigiose università estere. Un primo trattamento prevedeva l’utilizzo esclusivo della pressione sociale, un secondo invece prevedeva l’implementazione anche del nudge con il re-design dei conferimenti. L’esito dell'esperimento è stato molto significativo: in assenza di nudge la percentuale di bicchierini correttamente conferiti era pari a circa il 4%, l’uso esclusivo della pressione sociale ha fatto crescere la percentuale a circa il 35% e l’uso integrato dei due stimoli ha invece fatto crescere questa percentuale sino a quasi il 100%.

Un altro esperimento riportato nello studio riguarda lo spreco alimentare ed è stato condotto nel 2018 dalle università Tor Vergata e di Ferrara in ristoranti delle province di Torino e Rieti, in cui sono state distribuite 716 doggy bag (70% in più rispetto a quanto distribuito normalmente negli stessi locali). I clienti dei ristoranti interessati sono stati sottoposti a due tipi di comunicazione: da una parte cartellini sui tavoli con il messaggio “Sempre più Italiani utilizzano la doggy bag per portare via il cibo non consumato. Qui, se vuoi, puoi farlo anche tu. Chiedi la doggy bag al tuo cameriere”, con lo scopo di ridurre il senso di vergogna e stimolare l'azione attraverso il comportamento degli altri. Dall'altra i cartellini avevano il messaggio “Alla fine del pasto ti consegneremo la doggy bag con il cibo che non hai consumato. Se oggi non la vuoi, fallo sapere al tuo cameriere. Grazie!”, prevedendo che fosse il cliente a dover chiedere la doggy bag in caso di avanzi. Tra i due gruppi quello che ha dato i risultati migliori è stato il primo: potersi sentire simili ad altri cittadini nella richiesta della doggy bag ha generato un beneficio maggiore rispetto all’ottenerla in modo automatico.

Un'interessante rassegna di altre esperienze di nudging condotte in ambito ambientale è stata anche realizzata dalla Fondazione Cariplo e disponibile on line.

Gli studiosi sono concordi nel riconoscere che attraverso il nudging e la gentilezza in generale, lasciando il cittadino sempre libero di decidere, a differenza delle norme, delle disposizioni e delle direttive, si possa dar vita a tanti piccoli comportamenti sostenibili, armonici e coerenti; non saranno cambiamenti repentini e di grande portata, ma la loro somma potrà generare, poco alla volta, quel "salto di specie" che si rende sempre più necessario. Le Pillole di sostenibilità di ARPAT, dal canto loro vorrebbero fare proprio questo: nessun medico le prescrive e le impone, sono piccole azioni, da applicarsi in contesti differenti della nostra quotidianità, che ciascuno può scegliere, "assumere" e mixare secondo le proprie attitudini e i propri tempi.

fonte: www.www.arpat.toscana.it/


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Lettera aperta alle istituzioni su grandi opere e valutazione di impatto ambientale

La denuncia. La tutela di salute, clima, biodiversità e paesaggio passi per valutazioni ambientali di piani e progetti svolte con rigore, trasparenza e partecipazione: ecco le nostre proposte. Da Friday For Future al Forum dell'Acqua, da Italia Nostra a centinaia di comitati locali



Un ampio fronte di 200 organizzazioni nazionali e locali ha inviato una lettera aperta al Presidente Draghi, ai ministri della Transizione Ambientale e della Cultura, alla Commissione Europea e ai parlamentari di ogni schieramento per chiedere una rigorosa applicazione delle normative comunitarie sulle procedure di valutazione ambientale relative a piani e grandi progetti. Queste dovrebbero essere realmente connotate da trasparenza e partecipazione del pubblico nelle scelte come richiesto dall’Unione Europea e al contrario di quanto avviene in Italia.

Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.), Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) e Valutazione di Incidenza Ambientale (V.Inc.A.): si tratta di procedure ancora poco note al grande pubblico che invece dovrebbero essere centrali nella vita del paese visto che riguardano impianti energetici, raffinerie, gasdotti, porti, autostrade ecc..
Associazioni, comitati, reti di cittadini, da quelle nazionali come Friday For Future, Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, Italia Nostra e tante altre, alle reti “Per il Clima Fuori dal Fossile” e “Mamme da Nord a Sud” fino a una miriade di associazioni e comitati locali da tutte le regioni da anni impegnati sul territorio e che hanno esperienza diretta delle imbarazzanti procedure di VIA condotte dal Ministero dell’Ambiente, si sono ritrovate in questo appello che reclama garanzie per la tutela di diritti primari, da quello alla salute a quello della tutela del paesaggio, della biodiversità e del clima.

In Italia le grandi imprese, invece di affrontare la sfida di vedersi valutare pubblicamente i propri progetti come prevedono le leggi internazionali, vivono queste procedure come fastidiosi orpelli. È lì, invece, che si dovrebbe vagliare la qualità della progettualità di un paese. Continuano quindi a chiedere di stravolgere le regole in una continua gara ad abbassare l’asticella delle tutele, peraltro conducendo il paese a continui fallimenti. Basti pensare che le norme sulla V.I.A. sono cambiate nel 2017 con il D.lgs.104/2007 per introdurre la solita e vacua “semplificazione”.

La situazione è…peggiorata! Invece di trarre le dovute conseguenze nel 2020 si è pensato a introdurre altre modifiche nel DL “Semplificazioni”, immediatamente da noi denunciate. Dopo pochi mesi proprio chi ha pensato di beneficiare di tali leggi ora grida al loro fallimento!

Recentemente il Presidente della Commissione VIA nazionale, il Dr. Atelli, ha ammesso candidamente e autorevolmente che l’ingorgo di 600 progetti attualmente in valutazione presso il Ministero dell’Ambiente – molti da diversi anni – è dovuto al fatto che anche i progetti fatti male, superficiali o incompleti, sono incredibilmente e irritualmente ammessi alla procedura invece di essere respinti subito.

Così perdono tempo tutti, dai cittadini interessati agli enti locali impegnati in estenuanti lungaggini. Un vero e proprio “accanimento” per usare le parole del presidente Atelli che spesso finisce con l’approvazione di progetti rattoppati a furia di integrazioni con i cittadini che presentano preziose osservazioni usati nei fatti come meri “correttori di bozze” svilendo così il rapporto con le comunità.

Il 90% dei progetti alla fine ha comunque l’OK: viene da chiedersi come mai se hanno tali e tante criticità ammesse dagli stessi valutatori. Escono quindi pareri con decine o centinaia di prescrizioni che, secondo la Commissione Europea, sono un segnale di scarsa qualità di progetti che non avrebbero dovuto avere alcun seguito venendo respinti al mittente.

Addirittura da tempo associazioni e ricercatori segnalano inutilmente al Ministero casi spudorati di copia-incolla, strafalcioni, errori. Addirittura studi di impatto ambientale fatti attraverso foto e senza recarsi sul posto nonostante i progetti spesso valgano centinaia di milioni di euro. Per non parlare, poi, delle verifiche dell’ottemperanza di tali prescrizioni sui cantieri, che, quando va bene, vengono fatte da funzionari seduti a Roma sulle carte inviate dai proponenti.

È ovvia la reazione dei cittadini che si vedono arrivare progetti che mettono a rischio la qualità della vita. Il paradosso di questa corsa al ribasso è che a farne le spese sono alla fine i progetti meritevoli di attenzione che rimangono invischiati nelle lentissime e farraginose procedure ministeriali. Insomma, ci si chiede perché mai un’azienda dovrebbe puntare su una progettazione di qualità in queste condizioni.

Nella lettera aperta si avanzano numerose proposte, alcune delle quali già operative da anni in alcune regioni che paradossalmente sono più celeri nelle valutazioni della burocrazia ministeriale, a riprova che trasparenza e partecipazione e un dibattito maturo sono caratteristiche di un paese più civile e che le scorciatoie delle cosiddette semplificazioni falliscono clamorosamente quando hanno l’obiettivo di favorire i soliti noti che vedono nel solo profitto il loro orizzonte occultando le problematiche oggettive nascoste in troppi progetti.

Ad esempio, è letteralmente scandaloso che un punto cardine delle norme europee, la cosiddetta “inchiesta pubblica” sui progetti più controversi, prevista dal Testo Unico dell’Ambiente fin dal 2006, non sia mai stata attuata dal Ministero dell’Ambiente al contrario di diverse regioni che l’hanno avviata sugli interventi di loro competenza. Evidentemente, vista la qualità dei progetti, dobbiamo pensare che nelle stanze ministeriali si ritenga opportuno evitare qualsiasi dibattito pubblico.

Le proposte delle associazioni vanno dalla pubblicizzazione degli ordini del giorno della Commissione V.I.A. nazionale alla possibilità di fare audizioni, cosa prevista in alcune regioni (purtroppo ancora poche) e che garantisce in tempi certi un sereno confronto tra le parti, con i media che potrebbero approfondire ad horas i pro e i contro dei progetti in questione.

Tutto a costo zero, tra l’altro. Necessario, poi, un controllo reale sul campo sui cantieri, che sia trasparente e partecipato. Indispensabile rivedere i pareri di opere approvate dieci anni fa che per un incredibile gioco di leggi e leggine hanno provvedimenti V.I.A. “highlander”, senza scadenza, in palese contrasto con i principi comunitari visto che oggi le condizioni ambientali e sociali e le conoscenze scientifiche sono radicalmente cambiate.

Nel DL “Semplificazioni”, paradossalmente, invece di rafforzare le strutture esistenti e aprirle alla trasparenza, hanno pensato bene di introdurre una seconda commissione, per i progetti del Piano Clima Energia. Altra complicazione più che semplificazione, come ammesso oggi dal Presidente della Commissione V.I.A.. Noi l’avevamo detto; ai problemi complessi come quelli propri di una procedura come la V.I.A. se si risponde pensando di dare risposte di questo tipo alla fine il sistema va in tilt come puntualmente avvenuto.

Le associazioni come sempre sono aperte al confronto sulle regole: in un momento storico così delicato la partecipazione dei cittadini nelle scelte e la trasparenza sono fondamentali. Noi ci siamo.

fonte: https://ilmanifesto.it


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La scienza vola in una scatola di biscotti

 













Tra le ultime esperienze di Citizen Science realizzate da Arpa Valle D’Aosta, quella effettuata da 5 studenti del V anno dell’Istituto Manzetti, Michel Ferrod, André Ramolivaz, Erik Sacchet, Fabio Scali e Federico Zappia, nel corso di uno stage di tre settimane svolto presso la propria sede, merita sicuramente di essere “raccontata” in quanto esempio di particolare creatività e ingegno.

Spesso si rimprovera agli adolescenti di essere passivi e privi di iniziativa: in realtà, se adeguatamente stimolati e incuriositi, i giovani mostrano di essere pronti a rispondere alle sfide, mettendo in campo vivaci risorse intellettive e avanzate competenze tecniche. E questo è quello che hanno fatto i 5 giovani volontari cui Arpa VdA ha “commissionato” la creazione di un sistema per la misura delle polveri sottili, pericolosi inquinanti presenti nell’aria che respiriamo.

I giovani studenti, partendo da una serie di materiali low cost e utilizzando la piattaforma Arduino, hanno messo a punto un sensore di più parametri (temperatura, umidità e polveri) collegandolo a un processore. Il tutto è stato inserito in una scatola di biscotti vuota e montato su un drone: ed ecco realizzato un valido e ingegnoso strumento, capace di monitorare, con la variazione della quota, più grandezze nello stesso momento! I dati ottenuti durante un percorso aereo effettuato dal drone sull’area verde Croux di Saint Christophe sono stati raccolti, analizzati e riportati in una lunga e dettagliata relazione scientifica.


Il lavoro realizzato è stato presentato al pubblico nel corso della conferenza “Riscaldamento a legna tra cambiamenti climatici e qualità dell’aria: quanto ne sappiamo?”, moderata da Luca Mercalli e realizzata da Arpa il 15 ottobre scorso presso la sala conferenze della BCC Valdostana (link video conferenza Mercalli Arpa). L’esperienza svolta è risultata positiva sia per gli studenti, sia per il personale tecnico di ARPA.

La realizzazione concreta di un progetto ha arricchito la formazione degli stagisti, consolidando le conoscenze acquisite a scuola e testando sul campo le loro attitudini. Inserendoli in un ambiente dove si fa ricerca, Arpa ha dato ai ragazzi la possibilità di confrontarsi con tutto ciò che implica la realizzazione di un progetto scientifico, creando il contesto che ha stimolato le loro competenze tecniche e che li ha spinti a collaborare e a confrontarsi tra loro per risolvere le numerose difficoltà della cui esistenza, quando ci si ferma solo alla teoria, spesso non si ha la percezione.

Dal canto suo, Arpa, lavorando con i giovani grazie a diverse proposte didattiche e ad esperienze di alternanza scuola-lavoro, ha avuto, oltre all’occasione di far conoscere ciò di cui si occupa, anche la possibilità di affrontare, secondo un approccio scientifico, temi di attualità tra i giovani. E questa è risultata essere una modalità vincente di coinvolgimento e sensibilizzazione del mondo giovanile sulle tematiche ambientali del nostro secolo.

PRESENTAZIONE DEGLI STUDENTI




I ragazzi di V dell’Ist. Scolastica Manzetti che hanno partecipato al progetto di Alternanza scuola – lavoro




Alcuni momenti dell’esperienza di volo del misuratore low cost




Alcuni momenti dell’esperienza di volo del misuratore low cost

fonte: www.snpambiente.it

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Come garantire la partecipazione dei cittadini: l'esperienza toscana

La partecipazione dei cittadini non è un ostacolo, ma un supporto per decisioni pubbliche più sostenibili ed efficaci



L’ordinamento comunitario e le norme internazionali, dopo la riforma costituzionale del 2001, sono entrati più direttamente nell’ordinamento italiano, introducendo una visione democratica del procedimento amministrativo, e quindi del procedimento di pianificazione territoriale, e prevedendo diritti e obblighi partecipativi che il legislatore statale e regionale è stato chiamato a declinare. Da questo quadro normativo sono emersi per tutte le Regioni alcuni principi a partire dai quali prevedere un regime giuridico della partecipazione democratica all’interno del procedimento di pianificazione e quindi:
la necessità di prevedere non solo l’informazione e la comunicazione, ma anche la partecipazione dei soggetti interessati e dei soggetti portatori di interessi collettivi e diffusi, all’interno dei procedimenti di pianificazione territoriale, urbanistica, paesaggistica e ambientale;
l’introduzione della partecipazione nella fase iniziale del processo decisionale, anteriore all’adozione, quando sono ancora possibili e praticabili più alternative, perché la partecipazione possa avere una influenza effettiva sul processo decisionale dell’amministrazione;
l’obbligo di motivazione della decisione dell’amministrazione sui risultati della partecipazione a garanzia della effettiva incidenza della partecipazione nel processo.

Per attuare pienamente questi principi la Regione Toscana, con la Legge regionale 65/2014, ha disciplinato nel dettaglio la partecipazione all’interno del procedimento pianificatorio. In realtà in Toscana già la legge 5/95 e la 1/2005 erano state all’avanguardia nel panorama nazionale dell’epoca, poiché includevano la partecipazione nel governo del territorio, anche se in entrambe il rapporto tra cittadini e amministrazione si declinava sostanzialmente nell’essere “adeguatamente informati”.

Con la 65 il legislatore regionale ha quindi completamente riscritto la disciplina, estendendo gli obblighi partecipativi e andando oltre la sola informazione, per ottenere una partecipazione effettiva ed efficace all’interno del processo decisionale dell’amministrazione, rafforzando quindi gli effetti del coinvolgimento dei cittadini nelle diverse fasi di formazione degli atti di governo del territorio.

Negli obiettivi della legge trovano posto dunque gli stessi principi che avevano precedentemente animato il legislatore con la Legge regionale 46/2013 che detta una disciplina generale sulla partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali, legge anch’essa all’avanguardia nel panorama nazionale, essendo l’unica in Italia ad essere ispirata al concetto di partecipazione come una “fase” ordinaria del processo decisionale e all’idea che per migliorare la qualità delle decisioni sia necessario che le istituzioni tengano conto e motivino le proprie decisioni rispetto all’esito del processo partecipativo. La stessa legge definisce poi un’Autorità specifica regionale per la partecipazione (già prevista in realtà con la precedente legge 69/2007).

Grazie a queste norme regionali, in Toscana sono dunque addirittura due gli organi istituzionali di garanzia sui processi partecipativi, ovvero l’Autorità per la garanzia e la promozione della partecipazione di cui alla 46/2013 e il Garante dell’informazione e della partecipazione previsto dalla 65/2014; si tratta di due figure non confondibili in quanto
l’Autorità vede stabilita la propria indipendenza esterna al procedimento amministrativo, ha il compito di promuovere la partecipazione dei cittadini nei processi di costruzione delle politiche regionali e locali, un aspetto dell'ordinamento toscano sancito dallo Statuto regionale. L’Autorità è un organo collegiale, composto da tre persone nominate dal Consiglio regionale e dura in carica cinque anni;
il Garante non è un’autorità indipendente ma un organo della pubblica amministrazione che deve assicurare ai cittadini informazione e partecipazione all’interno di procedimenti amministrativi dati, certi e temporalmente predefiniti. In questo senso, è un organo che dispone di una sua autonomia e discrezionalità ma al servizio di un’azione amministrativa predefinita, di cui deve presidiare la qualità informativa e partecipativa, e la tempistica procedurale. La Legge ne prevede l’istituzione in Regione, nelle province, nella città metropolitana e nei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti. Il Garante regionale è nominato dal Presidente della Giunta regionale e resta in carica per la durata della legislatura.

Quali sono i rapporti formali tra le due istituzioni? Il Garante regionale, in merito all’esame delle domande di sostegno a processi partecipativi da parte dell’Autorità, redige un parere non vincolante.


Tra gli strumenti partecipativi previsti nella nostra Regione tramite la LR 46/2013 troviamo il dibattito pubblico; in questo caso la partecipazione è intesa come intervento nella discussione, ma non alla decisione. Nonostante questa limitazione, è chiaro comunque come la nostra regione abbia previsto e sperimentato prima di altri questo strumento, anticipando di molto quanto poi introdotto a livello nazionale con il decreto attuativo dell’Art.22 del Codice dei contratti pubblici che ha previsto un ruolo di cittadini e territori nelle procedure di «informazione, partecipazione e confronto pubblico sull’opportunità, le finalità e le soluzioni progettuali di opere, progetti o interventi pubblici».

Nel mese di settembre 2020, con la pubblicazione della Legge 120/2020, sono entrate in vigore le modifiche al Codice contenute nel Decreto legge 76/2020 (cd Decreto semplificazioni). Si tratta per lo più di modifiche a tempo e quindi non strutturali e, tra queste, una riguarda proprio il dibattito pubblico. Data l'emergenza sanitaria in atto e le conseguenti esigenze di accelerazione dell'iter autorizzativo di grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale aventi impatto sull'ambiente, sulla città o sull'assetto del territorio, il Decreto 76 prevede che sino al 31 dicembre 2023, su richiesta delle amministrazioni aggiudicatrici, le regioni possono autorizzare la deroga alla procedura di dibattito pubblico, previo parere favorevole della maggioranza delle amministrazioni provinciali e comunali interessate.

La disposizione, che consente quindi alle amministrazioni aggiudicatrici di procedere direttamente agli studi di prefattibilità tecnico economica nonché alle successive fasi progettuali, nel rispetto delle norme del codice dei contratti pubblici, prevede tale possibilità di deroga laddove le regioni ritengano le opere di particolare interesse pubblico e rilevanza sociale.

Questa novità normativa, se pur non strutturale ma a tempo, ha destato preoccupazione tra gli studiosi ed esperti di partecipazione che hanno firmato l’appello promosso dall’Associazione Italiana per la Partecipazione Pubblica, che richiede il ritiro della misura. In generale i firmatari della petizione denunciano l’errore di comprensione che ha mosso l’approvazione della norma, ovvero quello di considerare il dibattito pubblico, e in generale l’apertura del processo decisionale, qualcosa che complica e rallenta.

Analoghe preoccupazioni erano state già denunciate da 170 associazioni, comitati e reti che hanno sottoscritto il dossier “Decreto semplificazioni, così sono devastazioni. L’attacco a bonifiche, acqua, partecipazione dei cittadini, valutazione di impatto ambientale e clima”.

fonte: www.arpat.toscana.it


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Prendersi cura dell’ambiente: l’impegno dei giovani nei video vincitori del concorso #ARPAVIDEO 2020



Sono sei i video premiati al contest promosso da Arpav dedicato alle scuole secondarie di I e II grado. I brevi filmati girati dagli studenti promuovono la sensibilizzazione ai temi e agli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu partendo da problematiche del territorio o dell’ambiente scolastico vissute dai ragazzi. I video raccontano il rispetto per l’ambiente e per le persone affrontando temi come la salute e il benessere per tutti, obiettivo 3 dell’Agenda Onu, la parità di genere, obiettivo 5, la necessità di garantire modelli di consumi sostenibili, obiettivo 12, tutti interconnessi tra di loro e con gli altri obiettivi globali che insieme concorrono a migliorare la vita sul pianeta entro il 2030 attraverso uno sforzo collettivo e trasversale
.

Al concorso hanno aderito 20 classi per un totale di 400 studenti di tutto il territorio veneto.

I ragazzi hanno dimostrato la capacità di comunicare con le immagini l’importanza di cambiare stili di vita e di prendersi cura dell’ambiente proponendo azioni concrete. I video, realizzati in parte durante l’emergenza sanitaria da covid-19 e nel periodo della didattica a distanza, testimoniano il periodo di isolamento vissuto dai ragazzi, che nonostante le difficoltà sono riusciti a portare a termine con impegno e creatività il progetto.

Il concorso #arpaVideo, promosso da Arpav in collaborazione con la Regione del Veneto e con l’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, si è concluso con la premiazione delle scuole vincitrici e la pubblicazione e diffusione dei video sul canale youtube dell’Agenzia.
Le scuole premiate:
Sezione Scuola Secondaria di I grado
1° premio Scuola A. Fogazzaro di Noventa Vicentina (VI) con il video Postapernonni

2° premio Scuola Francesco Venezze di Rovigo (RO) con il video Ali in pericolo…

3° premio Scuola Santa Giovanna D’Arco di Vittorio Veneto (TV) con il video Green week

Sezione Scuola Secondaria di II grado
1° premio Scuola ITE P. F. Calvi, di Belluno (BL) con il video We are green school

2° premio ISIS Florence Nightingale – Liceo delle scienze umane di Castelfranco Veneto (TV) con il video Si forma la terra, nasce la vita


3° premio Liceo delle Scienze Applicate Cardinal Cesare Baronio di Vicenza (VI)con il video Le parole hanno un peso


Le scuole prime classificate ricevono in premio 2000 € per l’acquisto di materiale e servizi didattici. Le seconde e terze classificate rispettivamente 800 € e 600 € quali contributi per escursioni in aree naturali e parchi o visite a musei naturalistici, etnografici, archeologici, civici o altre strutture museali del Veneto.

Regolamento e organizzazione del concorso

fonte: https://www.snpambiente.it/


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Senza bonifiche Il decreto Semplificazioni si è dimenticato dell’ambiente e della partecipazione pubblica

Un dossier redatto da 160 associazioni e comitati di livello nazionale e interregionale denuncia le storture del testo approdato in Senato in materia di risanamento dei territori, impatto ambientale e coinvolgimento dei cittadini

















«Il decreto-legge Semplificazioni contiene norme che ritardano o addirittura annullano le bonifiche dei siti inquinati e dimezzano i tempi già oggi molto risicati per la partecipazione dei cittadini nelle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale». Sono questi i due punti più criticati dal dossier “Decreto Semplificazioni, così sono devastazioni” redatto da 160 associazioni e comitati di livello nazionale e interregionale (tra cui Isde-Associazione Medici per l’Ambiente e Medicina democratica Onlus) e inviato a tutti i parlamentari italiani.

L’analisi comprende anche 34 proposte di modifica delle criticità riscontrate nel testo. Criticità che in primis, secondo quanto sottolineato dalle associazioni ambientaliste, indeboliscono la legislazione specifica per le bonifiche dei siti gravemente inquinati in Italia (41 di competenza del Ministero dell’Ambiente e 17 di competenza regionale).
«Con l’articolo 53 comma 4-quater la bonifica delle acque sotterranee può sostanzialmente venire addirittura bypassata con la previsione di poter ottenere il certificato di avvenuta bonifica anche per il solo suolo» spiega a Linkiesta Augusto De Sanctis, del Forum H20. «Questo significa che un azienda o un privato che inquina un‘area può bonificare soltanto il terreno in superficie, procedimento meno costoso di quello per le falde sotterranee, con contestuale svincolo delle garanzie finanziarie. Ovvero in caso di fallimento degli inquinatori si rischia che sia lo Stato a doversi accollare i costi della bonifica totale» continua De Sanctis.
Al principio “chi inquina paga” con il decreto-legge Semplificazioni si preferisce dunque una bonifica parziale e certamente meno costosa. Vengono infatti annullate anche le procedure di semplificazione già approvate nel 2014: «Non importa quindi se stiamo parlando dei Siti di interesse nazionale (Sin), dei luoghi riconosciuti come i più inquinati d’Italia – dice De Sanctis -, il decreto prevede che si agisca come se si trattasse di un sospetto di inquinamento in qualsiasi altra area del paese.

Chi ha inquinato deve solo presentare, invece dell’analisi approfondita e puntuale dell’area, una più semplice e blanda “indagine preliminare”, con un campionamento a maglie larghe per valutare i livelli di contaminazione». Il che paradossalmente complica l’iter di bonifica, introducendo un nuovo passaggio (quello dell’indagine preliminare) ed escludendo le procedure semplificate introdotte nel 2014 all’art.242bis, che per definizione prevedono la velocizzazione delle bonifiche.
I rilievi, si legge nel documento, nella pratica verranno realizzati con sezioni di centinaia di metri, per cui in alcuni siti vi è pure il rischio che lotti contaminati possano sfuggire. «Basta scavare 20 metri più in là rispetto ad una fossa in cui sono stati sotterrati rifiuti per non accorgersi della loro presenza, dichiarando così non contaminata un’area che invece lo è» aggiunge l’attivista.
Questo vale anche per l’Ilva di Taranto, l’ex Sitoco di Orbetello o le ex discariche di Poggio ai venti a Piombino: tutti siti di interesse nazionale che nonostante il loro livello di inquinamento verranno trattati «come una qualsiasi pompa di benzina». Le modifiche alle normative sono però state accolte con entusiasmo dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che sui social si dice soddisfatto di questo decreto che permetterà bonifiche più veloci. «Forse sarà così, ma non saranno vere bonifiche» ritiene invece De Sanctis.
Quanto alla partecipazione pubblica,secondo le associazioni più impegnate nei territori locali come le Mamme NoPfas del Veneto il decreto legge riduce gli spazi di azione di cittadini e comitati accorciando i termini temporali per presentare le osservazioni. Tempi di fatto dimezzati da 60 a 30 giorni, ad esempio, nel caso della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) nazionale tramite conferenza dei servizi simultanea. «Per analizzare e commentare documenti lunghi e complessi i cittadini devono trovare tempo, competenze e un’organizzazione per intraprendere quest’attività. Così facendo si elimina questo diritto» assicura De Sanctis.
Il decreto semplificazioni andrà convertito in legge per metà settembre, con in mezzo il “buco” della pausa estiva. Il dossier propone quindi alcune modifiche da fare in extremis, come abrogare gli articoli e i commi che lasciano agli inquinatori campo aperto e allo Stato nessuna garanzia economica, e l’introduzione di «norme operanti da anni in alcune regioni che rendano le procedure di bonifica e di valutazione ambientale realmente efficaci ed efficienti».

fonte: https://www.linkiesta.it



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Alla scoperta dell’Agenda 2030

Un video di Arpa Umbria spiega in modo immediato e comprensibile l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, che è un insieme di linee guida e di azioni firmato nel settembre 2015 dai governi di 193 Paesi membri dell’ONU.




È un quadro di riferimento per riorientare l’umanità verso uno sviluppo sostenibile attraverso 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile o SDG (Sustainable Development Goals) suddivisi in 169 target o traguardi in un grande programma d’azione.

L’avvio ufficiale degli obiettivi è avvenuto all’inizio del 2016, guidando i Paesi del mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030.

L’agenzia produrrà altri video di questo tipo per illustrare i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile, che saranno disponibili a questo indirizzo



Studenti e cittadini valorizzano il quartiere con l’economia circolare

Cultura ed economia circolare si incontrano a Mirafiori all’interno del progetto “Mirafiori Cultura in Circolo” che per tutto l’anno coinvolgerà studenti e cittadini del quartiere in processi artistici volti a sperimentare pratiche di sostenibilità che coinvolgono la comunità locale con lo scopo di migliorare la qualità della vita nel quartiere



A Torino c’è un quartiere che si sta facendo portatore di un messaggio di sostenibilità e di un insegnamento da diffondere per promuovere una cultura condivisa all’insegna della circolarità. Siamo a Mirafiori sud e qui l’Istituto Primo Levi, vincitore del bando “Cultura Futuro Urbano” del MiBACT, ha avviato il progetto “Mirafiori Cultura in Circolo”, trasformandosi in un punto di riferimento per il quartiere sui temi del riuso, del riciclo e dell’economia circolare.

Gli obiettivi del progetto sono da una parte promuovere la cultura per favorire il benessere e migliorare la qualità della vita degli abitanti di Mirafiori Sud, puntando sulla partecipazione dei cittadini e sul coinvolgimento di persone con un bagaglio culturale differente. Dall’altra si tratta di valorizzare la storia e la vocazione dell’Istituto Primo Levi offrendosi al territorio come possibile presidio culturale, istituzionale e sociale destinando i propri spazi al quartiere e avviando collaborazioni con diversi attori sul territorio.

E in questo percorso studenti e cittadini saranno accompagnati dai veri protagonisti dell’economia circolare: l’associazione Offgrid Italia, la Cooperativa Triciclo, Mercato Circolare e il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, ovvero realtà che in diversi modi, risvegliando le coscienze, si impegnano quotidianamente nella diffusione di buone pratiche per ridurre gli impatti ambientali e mettere in atto la sostenibilità nella nostra società.

Il percorso si svilupperà attraverso diversi laboratori durante il corso dell’anno, i quali affronteranno in chiave circolare i temi del cibo, della musica, della danza, dell’edilizia e del digital storytelling. L’obiettivo è aprire una riflessione condivisa sul valorizzare ciò che fino a ieri era considerato rifiuto, per estendere il valore dei beni lungo tutto il ciclo di vita e per promuovere il principio dell’uso in contrapposizione a quello di possesso.

In questi giorni il progetto si è aperto al quartiere e proponendo lo spettacolo teatrale “Blue Revolution – L’economia ai tempi dell’usa e getta” di Pop Economix con Alberto Pagliarino, che percorre gli ultimi tre secoli per mostrare come il nostro mondo sia vicino al collasso e ci sia bisogno di una nuova alleanza tra l’uomo e l’ambiente per salvarlo.


Come riportato sul comunicato stampa dell’iniziativa, i laboratori che coinvolgeranno studenti e cittadini saranno:

L’Uovo di Colombo Lab

Con L’Uovo di Colombo Lab, a partire dal 24 gennaio, si sperimenteranno i temi dell’eccedenza alimentare e del suo recupero attraverso un approccio di food design grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino. Il cibo di scarto verrà trasformato in nuovi prodotti di consumo nel corso di un ciclo di workshop che si svolgeranno presso i locali della scuola e che coinvolgeranno i cittadini di Mirafiori.

Edilizia Circolare Lab

A cura di OffGrid Italia, “Edilizia Circolare Lab” offre agli studenti un’esperienza di economia circolare: si partirà dall’ideazione di un progetto che valorizzi e crei nuove funzionalità nella scuola alla sua realizzazione pratica. Il tutto coinvolgendo la comunità locale nel reperimento dei materiali di recupero e nell’auto-costruzione. Il primo dei quattro progetti di Edilizia Circolare avrà luogo il 29 gennaio ed ogni progetto vedrà cittadini e studenti lavorare insieme per riqualificare e rigenerare un diverso spazio della scuola.

Balla con Noi 2.0

Balla con Noi 2.0, cura di “Balletto Teatro Torino” partirà il 3 febbraio per diffondere la danza nei suoi molteplici aspetti attraverso corsi di danza aperti a tutti.







Digital Lab

Durante il progetto, a cura di Mercato Circolare, studenti e cittadini di Mirafiori sperimenteranno insieme l’utilizzo di diversi strumenti multimediali. Il laboratorio partirà il 12 febbraio e fornirà le competenze per strutturare e gestire una strategia social e, attraverso l’utilizzo di foto e video, costruire una narrazione multimediale dell’intero percorso.

Home Music Lab

Il progetto, avviato dalla Cooperativa Triciclo, unisce le capacità di aggregazione e di coinvolgimento della musica ai temi del recupero e del riuso. Si esplorerà il mondo degli oggetti di casa e dei suoni dei diversi materiali attraverso l’esercitazione dell’“orecchio specializzato” che permette di sviluppare le innate attitudini musicali dei bambini e la concretezza dell’agire inventando gli strumenti.

fonte: https://www.italiachecambia.org

La democrazia energetica e l’innovazione che parte dalle comunità locali

Una cittadina tedesca esempio di come anche i piccoli comuni possono avere approcci innovativi su proprietà e governance delle infrastrutture energetiche e investire nella decarbonizzazione, senza attendere le decisioni nazionali e sovranazionali.
















Dopo 25 anni di fallimentari negoziati sul clima, un fatto è evidente: pensare di ridurre drasticamente le emissioni con un consenso internazionale vincolante tra paesi che hanno interessi ed economie non comparabili è illusorio.
Ma è sbagliato pensare che non ci possano essere delle alternative.
Se stiamo parlando di “rivoluzionare” ad esempio il sistema energetico dobbiamo basta guardare alle rivoluzioni tecnologiche avvenute negli ultimi due secoli. Nessuna è nata da un accordo internazionale e molte sono cresciute rapidamente senza il sostegno della politica, che per poi per sua natura tende sempre a proteggere le strutture economiche esistenti. Le rivoluzioni invece si sviluppano in modo autonomo e partono da esperienze individuali o, al limite, locali, insomma dal basso.
Attendere che tutti siano d’accordo per cambiare un modello di offerta e consumo dell’energia (ora limitiamoci a questo aspetto, comunque rilevante) ha insito un concetto errato e confutato dalla realtà: arrivare prima degli altri è uno sforzo inutile, se gli altri non ti seguono; anzi crea un danno economico. Invece, è esattamente il contrario.
Oggi parliamo di fotovoltaico ed eolico come tecnologie chiave per la transizione energetica grazie al fatto che circa 15 anni fa, la Germania con l’idea di un incentivo dedicato, la cosiddetta feed in tariff, avviava il motore dell’innovazione, dello sviluppo, dell’industria e delle installazioni, con la conseguente diminuzione dei costi che oggi rendono sul mercato queste tecnologie pressoché paritarie con quelle convenzionali. La Germania è partita per prima, ne ha ricavato dei vantaggi industriali, e poi l’incentivo è stato applicato in decine di altri paesi.
Bisognerebbe scatenare una miriade di iniziative e innovazioni dal basso, renderle replicabili e flessibili all’uso a prescindere dai decisori politici. I risultati saranno sicuramente più efficaci dei complessi, a volte astrusi, e pianificati strumenti tecnocratici proposti dalla burocrazia del clima.
Se ci muoviamo dalla scala globale a quella locale, scopriamo che esistono modelli innovativi di democrazia energetica stanno già dando potere alle persone di fornire soluzioni reali all’emergenza climatica.
Con il 100% della sua energia elettrica proveniente da rinnovabili (e anche con un buon margine di riserva) la città tedesca di Wolfhagen è un buon esempio di come anche i piccoli comuni possono avere approcci innovativi riguardo la proprietà e la governance delle infrastrutture energetiche. In questa cittadina di 14mila abitanti nel centro del paese già nel 2005 era stata avviato un processo di transizione energetica, cioè sei anni prima dell’entrata in vigore della legge nazionale di incentivazione delle fonti rinnovabili (Energiewende).
L’amministrazione comunale aveva a quel tempo deciso di rendersi completamente autosufficiente con le rinnovabili. Un primo passo fu di non rinnovare l’accordo di licenza per la gestione delle rete della utility privata E.ON, affidandolo invece alla società pubblica Stadtwerke Wolfhagen. Nel 2008 si definì un piano che prevedeva che entro il 2015 tutta l’elettricità consumata a livello residenziale sarebbe stata da fonti rinnovabili locali. L’obiettivo era quindi di realizzare un parco solare e uno eolico (foto in alto).
Vista la carenza di risorse finanziarie, Wolfhagen pensò ad una forma innovativa di “partecipazione cooperativa” guidata dai cittadini-utenti che diventano così comproprietari e co-beneficiari degli impianti, ma anche co-decisori su cosa fare della rete e dei progetti sull’energia, grazie anche ad una partecipazione diretta nella Stadtwerke Wolfhagen.
Infatti, la cooperativa, che venne costituita nel 2012, con i suoi oltre 800 membri, oggi possiede il 25% della compagnia energetica comunale, con un fatturato di quasi 4 milioni di euro.
C’è un controllo e un potere decisionale dei cittadini sulla Stadtwerke, quindi anche sui prezzi dell’energia e sugli investimenti in nuovi e vecchi impianti, potendo contare su due dei nove seggi nel consiglio di amministrazione.
La cooperativa ha anche un fondo per il risparmio energetico alimentato dalle entrate provenienti dalla società energetica; è gestito da un Comitato consultivo per l’energia costituito da membri della cooperativa, dell’agenzia energetica locale, della Stadtwerk e del comune. Obiettivo del fondo è di sostenere strategie e iniziative per migliorare l’efficienza energetica dei suoi membri.
Ecco come i cittadini membri della cooperativa non solo scelgono come realizzare interventi di decarbonizzazione dell’economia locale, ma hanno anche una regolare fonte di finanziamento, per giunta controllata democraticamente.
Cosa può insegnarci questa esperienza di Wolfhagen, neppure così isolata in Europa?
Forse che questi modelli ibridi di proprietà (cittadini+amministrazione locale+imprese locali) hanno la potenzialità di attrarre capitale (oltre a quello sicuramente necessario che può essere fornito dallo Stato) e di orientare i progetti nell’ottica di interesse comune. E l’obiettivo non è più quello di fare profitto.
Un’altra cosa che ci insegna è che i comuni o le regioni non dovrebbero solo affidarsi alle decisioni dello Stato centrale, ma possono superare l’inerzia dei governi nazionali e sovranazionali offrendo alternative di democrazia energetica, in grado di innescare innovazione e processi imitativi.
fonte: www.qualenergia.it