Lettera aperta alle istituzioni su grandi opere e valutazione di impatto ambientale

Un ampio fronte di 200 organizzazioni nazionali e locali ha inviato una lettera aperta al Presidente Draghi, ai ministri della Transizione Ambientale e della Cultura, alla Commissione Europea e ai parlamentari di ogni schieramento per chiedere una rigorosa applicazione delle normative comunitarie sulle procedure di valutazione ambientale relative a piani e grandi progetti. Queste dovrebbero essere realmente connotate da trasparenza e partecipazione del pubblico nelle scelte come richiesto dall’Unione Europea e al contrario di quanto avviene in Italia.
Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.), Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) e Valutazione di Incidenza Ambientale (V.Inc.A.): si tratta di procedure ancora poco note al grande pubblico che invece dovrebbero essere centrali nella vita del paese visto che riguardano impianti energetici, raffinerie, gasdotti, porti, autostrade ecc..
Associazioni, comitati, reti di cittadini, da quelle nazionali come Friday For Future, Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, Italia Nostra e tante altre, alle reti “Per il Clima Fuori dal Fossile” e “Mamme da Nord a Sud” fino a una miriade di associazioni e comitati locali da tutte le regioni da anni impegnati sul territorio e che hanno esperienza diretta delle imbarazzanti procedure di VIA condotte dal Ministero dell’Ambiente, si sono ritrovate in questo appello che reclama garanzie per la tutela di diritti primari, da quello alla salute a quello della tutela del paesaggio, della biodiversità e del clima.
In Italia le grandi imprese, invece di affrontare la sfida di vedersi valutare pubblicamente i propri progetti come prevedono le leggi internazionali, vivono queste procedure come fastidiosi orpelli. È lì, invece, che si dovrebbe vagliare la qualità della progettualità di un paese. Continuano quindi a chiedere di stravolgere le regole in una continua gara ad abbassare l’asticella delle tutele, peraltro conducendo il paese a continui fallimenti. Basti pensare che le norme sulla V.I.A. sono cambiate nel 2017 con il D.lgs.104/2007 per introdurre la solita e vacua “semplificazione”.
La situazione è…peggiorata! Invece di trarre le dovute conseguenze nel 2020 si è pensato a introdurre altre modifiche nel DL “Semplificazioni”, immediatamente da noi denunciate. Dopo pochi mesi proprio chi ha pensato di beneficiare di tali leggi ora grida al loro fallimento!
Recentemente il Presidente della Commissione VIA nazionale, il Dr. Atelli, ha ammesso candidamente e autorevolmente che l’ingorgo di 600 progetti attualmente in valutazione presso il Ministero dell’Ambiente – molti da diversi anni – è dovuto al fatto che anche i progetti fatti male, superficiali o incompleti, sono incredibilmente e irritualmente ammessi alla procedura invece di essere respinti subito.
Così perdono tempo tutti, dai cittadini interessati agli enti locali impegnati in estenuanti lungaggini. Un vero e proprio “accanimento” per usare le parole del presidente Atelli che spesso finisce con l’approvazione di progetti rattoppati a furia di integrazioni con i cittadini che presentano preziose osservazioni usati nei fatti come meri “correttori di bozze” svilendo così il rapporto con le comunità.
Il 90% dei progetti alla fine ha comunque l’OK: viene da chiedersi come mai se hanno tali e tante criticità ammesse dagli stessi valutatori. Escono quindi pareri con decine o centinaia di prescrizioni che, secondo la Commissione Europea, sono un segnale di scarsa qualità di progetti che non avrebbero dovuto avere alcun seguito venendo respinti al mittente.
Addirittura da tempo associazioni e ricercatori segnalano inutilmente al Ministero casi spudorati di copia-incolla, strafalcioni, errori. Addirittura studi di impatto ambientale fatti attraverso foto e senza recarsi sul posto nonostante i progetti spesso valgano centinaia di milioni di euro. Per non parlare, poi, delle verifiche dell’ottemperanza di tali prescrizioni sui cantieri, che, quando va bene, vengono fatte da funzionari seduti a Roma sulle carte inviate dai proponenti.
È ovvia la reazione dei cittadini che si vedono arrivare progetti che mettono a rischio la qualità della vita. Il paradosso di questa corsa al ribasso è che a farne le spese sono alla fine i progetti meritevoli di attenzione che rimangono invischiati nelle lentissime e farraginose procedure ministeriali. Insomma, ci si chiede perché mai un’azienda dovrebbe puntare su una progettazione di qualità in queste condizioni.
Nella lettera aperta si avanzano numerose proposte, alcune delle quali già operative da anni in alcune regioni che paradossalmente sono più celeri nelle valutazioni della burocrazia ministeriale, a riprova che trasparenza e partecipazione e un dibattito maturo sono caratteristiche di un paese più civile e che le scorciatoie delle cosiddette semplificazioni falliscono clamorosamente quando hanno l’obiettivo di favorire i soliti noti che vedono nel solo profitto il loro orizzonte occultando le problematiche oggettive nascoste in troppi progetti.
Ad esempio, è letteralmente scandaloso che un punto cardine delle norme europee, la cosiddetta “inchiesta pubblica” sui progetti più controversi, prevista dal Testo Unico dell’Ambiente fin dal 2006, non sia mai stata attuata dal Ministero dell’Ambiente al contrario di diverse regioni che l’hanno avviata sugli interventi di loro competenza. Evidentemente, vista la qualità dei progetti, dobbiamo pensare che nelle stanze ministeriali si ritenga opportuno evitare qualsiasi dibattito pubblico.
Le proposte delle associazioni vanno dalla pubblicizzazione degli ordini del giorno della Commissione V.I.A. nazionale alla possibilità di fare audizioni, cosa prevista in alcune regioni (purtroppo ancora poche) e che garantisce in tempi certi un sereno confronto tra le parti, con i media che potrebbero approfondire ad horas i pro e i contro dei progetti in questione.
Tutto a costo zero, tra l’altro. Necessario, poi, un controllo reale sul campo sui cantieri, che sia trasparente e partecipato. Indispensabile rivedere i pareri di opere approvate dieci anni fa che per un incredibile gioco di leggi e leggine hanno provvedimenti V.I.A. “highlander”, senza scadenza, in palese contrasto con i principi comunitari visto che oggi le condizioni ambientali e sociali e le conoscenze scientifiche sono radicalmente cambiate.
Nel DL “Semplificazioni”, paradossalmente, invece di rafforzare le strutture esistenti e aprirle alla trasparenza, hanno pensato bene di introdurre una seconda commissione, per i progetti del Piano Clima Energia. Altra complicazione più che semplificazione, come ammesso oggi dal Presidente della Commissione V.I.A.. Noi l’avevamo detto; ai problemi complessi come quelli propri di una procedura come la V.I.A. se si risponde pensando di dare risposte di questo tipo alla fine il sistema va in tilt come puntualmente avvenuto.
Le associazioni come sempre sono aperte al confronto sulle regole: in un momento storico così delicato la partecipazione dei cittadini nelle scelte e la trasparenza sono fondamentali. Noi ci siamo.
fonte: https://ilmanifesto.it
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Lettera aperta a Comieco
Si chiama ATICELCA 501 (da Associazione Tecnica Italiana Cellulosa e Carta) approvato nel 2019 e rappresenta la modalità per valutare i livelli di riciclabilità degli imballaggi a prevalenza in carta. Esso prevede classificazioni definite A+ quando l’imballaggio non produce più di 1,5% di impurità nel riciclo, A quando produce fino al 10% di impurità, B, quando produce fino al 20% di impurità, C, quando produce fino al 40% di impurità. In pratica, a parte la prima classificazione tutte le altre ci pongono di fronte a dei “polimateriali” o a degli “accoppiati” soprattutto con plastiche. Cosa succede? Quando questi materiali vanno differenziati con la carta, nelle operazioni di riciclo, i maceri derivanti producono uno scarto plastico che va a formare lo scarto di pulper che nell’area della piana di Lucca (tra Capannori e Lucca) che assorbe circa il 40% di tutti i maceri italiani, produce circa 100.000 tonnellate di questo scarto.
OCCORRE MODIFICARE QUESTI CRITERI, in quanto essi appaiono troppo permissivi a produrre imballaggi che quasi fino a metà della loro composizione producono scarti plastici per i quali l’industria cartaria (incredibilmente responsabile per aver approvato i criteri di cui sopra) invoca gli inceneritori. CHE SIA IL COMIECO A FARSI CARICO DI QUESTA REVISIONE per evitare che l’attuale passaggio da parte di molte imprese dall’utilizzo di imballaggi plastici ad imballaggi a prevalenza cellulosica non significa passare di nuovo da plastica a…plastica! SI ABOLISCA almeno la “fascia C” (vedi imballaggi del tipo biscotti Balocco) di fatto praticamente in plastica ma che può essere conferito nella raccolta differenziata della carta. Ma anche molti imballaggi cellulosici che il Centro Ricerca RZ di Capannori sta studiando in particolare per quanto riguarda gli imballaggi per frutta appaiono del tutto fuorvianti in quanto mentre all’esterno risultano in cartoncino all’interno sono rivestite in polietilene (PE) provocando almeno il 20% del peso in scarto. Passare dagli imballaggi in plastica ad imballaggi in carta…plastificata E’ INACCETTABILE!Mentre tutto questo avviene, che dire poi di imballaggi misti carta e plastica come quelli adoperati da Pasta Rummo, Tortellini Rana, Emiliane Barilla ed addirittura da marche del biologico come Alce Nero che devono essere conferiti nell’indifferenziato? Dov’è la Responsabilità Estesa del Produttore? Non è più accettabile questa “esternalizzazione” dei costi ambientali! Nonostante l’evidente iniquità di questo i Governi che si succedono si occupano d’altro, salvo parlare…di “sostenibilità”. BASTA RETORICA E FALSITA’! Occorre una svolta vera. Poichè ormai i cittadini italiani hanno imparato la raccolta differenziata, anche le aziende devono fare la loro parte. Presto il Centro Ricerca RZ di Capannori e Zero Waste Italy intraprenderanno iniziative clamorose come rispedire al mittente questi imballaggi. A meno che non si apra un tavolo vero.
Rossano Ercolini 3206352017
fonte: www.zerowasteitaly.org
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2058

Caro mio nipotino, ti scrivo una letterina che vorrei tu leggessi nel 2058, scadenza entro la quale i debiti dello storico Recovery Fund europeo da 270 miliardi di euro dovranno essere rimborsati. Allora io non ci sarò più. Tu invece avrai quarant’anni e sarai in piena attività e carico delle esigenze che la vita richiede. Stando alle previsioni scientifiche più attendibili e realistiche, il mondo attorno a te avrà seri problemi: la temperatura media globale sarà superiore di un altro grado centigrado, il manto ghiacciato artico, gran parte del permafrost e delle foreste primarie saranno scomparsi, un miliardo e mezzo di esseri umani si troverà ad abitare in aree la cui vita è impossibile, la distruzione degli habitat delle specie selvatiche avranno creato le condizioni per nuove epidemie di agenti patogeni. Altre crisi ecologiche minacceranno la “rete della vita” e, con essa, le stesse condizioni per una convivenza pacifica dell’umanità. Ti chiederai allora come tutto ciò – ampiamente pronosticato – sia potuto accadere senza che venissero prese misure efficaci di contrasto.
Mi preme quindi metterti in guardia da alcune possibili falsità che le autorità politiche del tuo tempo potrebbero raccontare a proposito della disastrosa pandemia che ha investito il mondo nel 2020, considerato l’anno della storica svolta nelle politiche economiche, transitate da un rozzo monetarismo di stampo neoliberista ad un “ambizioso” piano di spesa pubblica in deficit di stampo keynesiano. Il piano fu chiamato “Next Generartion Eu” a sancire enfaticamente l’intenzione di agire in nome, per conto e per il benessere delle future generazioni, cioè tuo. Un piano che avrebbe dovuto facilitare una “transizione verde e giusta” del sistema economico, causa prima dei disastri ecologici e sanitari in atto.
L’iniziativa però non avrebbe potuto funzionare, principalmente, per due ragioni. Perché i finanziamenti pubblici, le agevolazioni, gli incentivi, le defiscalizzazioni… vennero usati per espandere un consumo di merci e la costruzione di infrastrutture prive di autentica utilità, spesso dannose per la salute e pesantemente impattanti sull’ambiente. Le “condizionalità green” (non parliamo nemmeno del rispetto dei diritti civili e umani, non pervenuti) richieste dalla Ue agli stati per accedere ai finanziamenti sono rimaste evanescenti, buone tutt’al più per il marketing aziendale dell’automobile, dell’agroindustria, degli smartphone, della moda, persino degli armamenti. Secondo, perché i finanziamenti pubblici sono stati reperiti ricorrendo ai mercati dei capitali con l’emissione di bond europei a “tripla A”, super garantiti dalle Banche centrali per fare la felicità e la fortuna degli “investitori” che durante la lunga austerity avevano accumulato liquidità enormi (da rendite e da profitti) che non sapevano più come “mettere a profitto” in un mercato saturo. Per contro, non venne realizzata nessuna vera politica fiscale e patrimoniale redistributiva e nessun serio divieto all’uso esclusivo di risorse naturali limitate e non rinnovabili come il suolo, l’acqua, l’atmosfera, l’etere, i semi… e dei beni comuni cognitivi, storici e culturali. Più che alle nuove generazioni e all’ambiente naturale, il Recovery Fund è servito a rianimare i consumi meccanismi produttivi espansivi e le vecchie logiche di valorizzazione dei capitali finanziari privati, procrastinando l’agonia di un sistema economico in crisi permanente che trascina con sé la distruzione dei cicli vitali naturali e depriva l’umanità.
Tuo nonno Paolo, agosto 2020
Nota. Confesso di essere molto invidioso di Keynes che scriveva ai suoi nipoti – avrei potuto essere uno di loro – in modo del tutto diverso dal mio. Sir John Maynard nelle sue profezie e esortazioni prospettava un futuro radioso, in cui le magnifiche sorti del capitalismo avrebbero soddisfatto ogni bisogno materiale dei popoli della Terra e ridotto di molto ed equamente il tempo di lavoro necessario alla sussistenza. Una tragica illusione, in una logica di sistema perversa, dell’economia del debito globalizzato, in cui la ricerca della massimizzazione della crescita del valore monetario dei beni e dei servizi non può che condurre alla crescita dello sfruttamento dei suoi “fattori produttivi”: le risorse naturali e il lavoro vivo umano.
Tra gli ultimi libri di Paolo Cacciari, Decrescita. Un mutamento radicale (Marotta e Cafiero). Altri suoi articoli sono leggibili qui.
fonte: www.comune-info-net
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