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Nasce GASGAS, prima community delle ricariche elettriche

L’obiettivo è installare su tutto il territorio italiano, entro il 2022, 126 punti di ricarica presso locali, ristoranti, palestre, supermercati e location di interesse commerciale










La prima community europea delle ricariche elettriche è italiana. Si chiama GASGAS, founders friulani e sede milanese e ha l’ambizione di installare su tutto il territorio nazionale, entro il 2022, 126 punti di ricarica presso locali, ristoranti, palestre, supermercati e location di interesse commerciale. Nel frattempo l’azienda (PMI innovativa), nel cui capitale c’è anche Seed Money, tra i primi acceleratori e incubatori privati di startup in Italia, sta facendo il pieno di investimenti su CrowdFundMe – unica piattaforma di Crowdinvesting (Equity Crowdfunding, Real Estate Crowdfunding e Private Debt) quotata a Piazza Affari – dove ha lanciato una raccolta capitali che, in meno di 15 giorni, ha duplicato il suo primo obiettivo economico di 100mila euro e si avvia spedita verso una chiusura (a fine agosto) a quota 500mila.

“La collaborazione con CrowdFundMe ha centrato le aspettative: non solo stiamo riscuotendo grande interesse presso investitori e business angels”, dichiara Alessandro Vigilanti, CEO di GASGAS, “ma riceviamo ogni giorno decine di richieste di proprietari di attività commerciali o produttive che vogliono entrare nel nostro programma e avere una stazione GASGAS sul proprio sito: abbiamo sicuramente centrato una grande richiesta del mercato”.

GASGAS è il primo programma europeo di “community charging”, dedicato a chi guida un veicolo elettrico. La società sta sviluppando la più estesa rete di stazioni di ricarica in Europa: è in corso una attenta selezione di esercizi commerciali e attività produttive dover associare la necessità della ricarica all’opportunità di impiegare nel modo migliore il proprio tempo.

GASGAS si muove in un mercato in netta espansione: nel mese di giugno le auto alla spina Plug-in Electric Vehicle (BEV e PHEV) raggiungono le 14.105 unità, toccando un nuovo record sul singolo mese, in termini di quota di mercato pari al 9,4% e dall’inizio dell’anno si registra una quota di mercato pari al 7,7%, più che raddoppiata rispetto allo stesso semestre del 2020. (FONTE: E-MOTUS)

La community- che si rivolge a tutti i cittadini europei, coinvolgendoli in un piano di membership che offre loro la possibilità di proporre l’installazione di colonnine presso nuovi punti di interesse- sta prendendo corpo di giorno in giorno: sono più di 500 gli e-driver iscritti al programma e, quasi 300 i proprietari di attività commerciali e produttive interessati all’installazione di stazioni.

GASGAS a giugno ha inaugurato due nuovi punti di ricarica presso il Birrificio 620 Passi, a due passi dalle spiagge di Lignano Sabbiadoro e presso Spolert Winery, realtà storica di produzione di vino immersa nel paesaggio del Collio Friulano. Entrambe sono gestite tramite Nextcharge, la prima app in Italia per numero di stazioni interoperabili e utenti iscritti, con più di 400mila download, 250mila punti di ricarica e oltre 150 accordi di roaming in tutta Europa.

L’azienda ha inoltre siglato una partnership con BayWa r.e. Operation Services S.r.l., società del gruppo BayWa r.e. AG (azienda globale delle green economy con un fatturato di 2,5 miliardi di €) che fornisce servizi tecnici e di monitoraggio su impianti di produzione di energia rinnovabile e per l’infrastruttura di ricarica di veicoli elettrici. “BayWa r.e. offre la sua competenza e la sua organizzazione per agire come partner strategico per l’installazione e la manutenzione della rete GASGAS sul territorio nazionale”, dichiara Paolo Chiantore, Managing Director di BayWa r.e. Operation Services S.r.l. “Apprezziamo in particolare l’obiettivo strategico di GASGAS che non è unicamente quello di posizionarsi sul mercato dei punti di ricarica con il maggior numero di colonnine, ma soprattutto quello di proporre un elevato livello di servizio all’utente”.

Recentemente GASGAS è inoltre diventata partner per la ricerca di Energy & Strategy Group, team multi-disciplinare della School of Management del Politecnico di Milano che attraverso attività di Ricerca, Consulenza e Formazione nel campo dell’Energia e della Sostenibilità, ha istituito un Osservatorio permanente sui mercati e sulle filiere industriali afferenti anche il comparto della Smart Mobility. GASGAS è uno dei partner selezionati da Energy Strategy per la redazione del report sulla mobilità elettrica che sarà presentato a Milano dopo l’estate.

Il capitale raccolto su CrowdFundMe sarà investito per costruire la community di membri e guidatori, sviluppare una capillare rete di colonnine in tutta Italia.

Per saperne di più sulla campagna di equity crowdfunding di GASGAS: https://www.crowdfundme.it/en/projects/gasgas/

fonte: www.rinnovabili.it

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In Via Milano 59 rigenerazione urbana e socialità curano il degrado

Spese solidali, cortili aperti, laboratori e workshop, tutela dei diritti, cultura, socialità. In un quartiere periferico e multietnico di Brescia c'è un'associazione di cittadini che, dal basso, sta ricostruendo il tessuto sociale di una zona non facile, sanando anche le ulteriori ferite aperte dalla pandemia. Facciamo un giro in Via Milano 59 per conoscerla meglio.




Ascolto e partecipazione: due attività che l’associazione Via Milano 59 di Brescia ha fatto proprie fin dal momento della sua costituzione. A maggio del 2020 nasce per rispondere ad esigenze concrete – scaturite dalla pandemia – del quartiere in cui ha sede, il Quartiere Milano appunto. Questo rappresenta una delle aree più critiche e complesse della città. La multietnicità che lo anima convive con situazioni, talvolta estreme, di tensione sociale o abbandono degli spazi urbani a loro stessi, che spesso intimoriscono il resto della cittadinanza.

Prendersi cura di questo quartiere è l’obiettivo dell’associazione, che in un solo anno è cresciuta da 9 a 118 soci. Residenti e non hanno preso parte a questo progetto e da allora l’impegno volontario e la partecipazione hanno permesso di creare numerosi attività e servizi che stanno trasformando il quartiere da luogo di degrado a spazio di accoglienza e convivialità.

L’associazione ha fondato la sua operatività sul concetto di partecipazione attiva per dare risposte concrete alle necessità del quartiere. Nei primi mesi della sua attività ha così organizzato assemblee pubbliche per individuare le tematiche più sensibili e urgenti da affrontare. Da questi incontri sono emerse quattro tematiche diventate poi oggetto di quattro tavoli di lavoro, sempre condivisi e partecipati, dove da allora insieme si discute e decide. Mutualismo e solidarietà, parchi e cortili, salute e sanità, animazione e educazione sono i quattro ambiti nei quali si muove l’associazione e il quartiere.

Il primo grande tema affrontato è il diritto alla salute talvolta negato alle famiglie. La ricerca attivata ha permesso di giungere alla soluzione del problema: il Difensore Civico, una figura che è stata promossa e spiegata nel quartiere tramite la divulgazione di volantini in doppia lingua che permettono a tutti di comprendere e attivarsi.

Bambini e adolescenti sono l’altro tema che interessa il quartiere. Dal tavolo su animazione ed educazione è emersa la necessità di creare attività per i giovanissimi, che dopo mesi di chiusura in situazioni spesso disagevoli, avevano estrema necessità di fare attività all’aperto. Così maestre e docenti in pensione o ancora nella scuola, nell’estate 2020 hanno programmato un palinsesto di attività gratuite che hanno coinvolto più di cento bambini e adolescenti. Quest’anno per organizzare il nuovo calendario l’associazione ha coinvolto direttamente i ragazzi della scuola media del quartiere chiedendo a loro quali attività realizzare.




Il mutualismo e la solidarietà hanno dato luogo, durante il lockdown, a una dispensa alimentare (per 90 nuclei familiari) che agisce diversamente dal classico mutualismo caritatevole. Alle famiglie che accedono viene chiesto infatti di partecipare alle attività dell’associazione prestando aiuto alle persone in difficoltà o contribuendo al servizio della dispensa stessa, partecipando in base alle possibilità. La dispensa si trasforma così in uno strumento di coinvolgimento per quelle persone che ne usufruiscono, spesso poco partecipi alle iniziative.

La dispensa sociale ha dato poi origine al progetto “Negozi Solidali”, per vendere altro oltre ai viveri. Sono stati coinvolti 23 negozi tramite un sistema di buoni spesa che, pagati da altri residenti, possono essere utilizzati dalle famiglie in difficoltà assicurando loro beni che, seppur non di prima necessità, aiutano a migliorare la qualità della vita.

Il quartiere è uno spazio ricco di aree non utilizzate spesso diventate sedi di spaccio e malavita. Il tavolo spazi e parchi affronta questo problema cercando di rivitalizzare quegli spazi pubblici che potenzialmente potrebbero trasformarsi in aree gioco e di socialità. La prima idea nata dal tavolo di lavoro è la riapertura dei cortili del quartiere, spazi di condivisione fino agli anni ’70 e divenuti oggi parcheggi e zone di transito.



Così, nell’estate del 2020, ha preso il via il progetto il “Treno dei Desideri”, spettacolo teatrale itinerante che vede come protagonista un treno “viaggiatore” che sosta nei cortili dei palazzi offrendo ai residenti divertimento e, per molti, un’esperienza unica. Le persone del quartiere si spostano per seguire il Treno, e così facendo si incontrano, si conoscono e creano legami. Oggi l’impegno del tavolo è riportare in vita un’area verde abbandonata per offrire al quartiere uno spazio verde – rinominato “Parco del Sole Autogestito” – dove giocare e, come sempre, incontrarsi.

Questi sono i primi dodici mesi di vita di Associazione Via Milano 59, una realtà esplosiva che considera la cultura e la socialità come “cure” in grado di migliorare la vita delle persone. Stare insieme per stare bene, star bene stando insieme, questo il filo rosso che muove con successo l’associazione.

fonte: www.italiachecambia.org


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"L'inquinamento da plastica è un problema di giustizia sociale", avverte il nuovo rapporto

 

L'inquinamento da plastica non è solo una minaccia per la vita non umana come le tartarughe e le balene. È anche un grave problema di giustizia ambientale .


Questa è la conclusione di un nuovo rapporto pubblicato martedì dal Programma ambientale delle Nazioni Unite e Azul senza scopo di lucro per la giustizia oceanica, intitolato Neglected: Environmental Justice Impacts of Plastic Pollution.

"L'inquinamento da plastica è un problema di giustizia sociale", ha detto in un comunicato stampa il coautore del rapporto e fondatore e direttore esecutivo di Azul, Marce Gutiérrez-Graudiņš . "Gli sforzi attuali, limitati alla gestione e alla riduzione dell'inquinamento da plastica, sono inadeguati per affrontare l'intera portata dei problemi che la plastica crea, in particolare i disparati impatti sulle comunità colpite dagli effetti dannosi della plastica in ogni punto, dalla produzione allo spreco".



Il rapporto fornisce diversi esempi di come la plastica danneggia le comunità vulnerabili, secondo UN News .

Produzione: la plastica proviene dal petrolio e l'estrazione del petrolio può essere un processo altamente dannoso e inquinante. Le comunità indigene sono sfollate per trivellazioni petrolifere, il fracking inquina l'acqua potabile e le raffinerie di petrolio rappresentano un rischio per la salute delle comunità afroamericane lungo la costa del Golfo degli Stati Uniti.

Uso: le donne hanno maggiori probabilità di essere esposte alle tossine derivanti dall'uso della plastica, che è predominante nei prodotti domestici e femminili.

Smaltimento: la plastica smaltita in modo improprio finisce negli ecosistemi marini, dove minaccia il sostentamento di coloro che si affidano alla pesca per sopravvivere e minaccia la salute di coloro che la consumano per errore nei loro frutti di mare. Inoltre, le persone che si guadagnano da vivere raccogliendo rifiuti sono esposte in modo sproporzionato alle sue tossine.


"L'impatto della plastica sulle popolazioni vulnerabili va ben oltre i sistemi di gestione dei rifiuti inefficienti e talvolta inesistenti", ha dichiarato nel comunicato stampa Juliano Calil, autore principale del rapporto e ricercatore senior presso il Centro per l'economia blu. "Inizia con questioni relative all'estrazione di petrolio, attraverso ambienti tossici ed emissioni di gas serra, e ha anche un impatto sulle politiche di distribuzione dell'acqua".

Gli autori del rapporto hanno notato che l'uso della plastica è aumentato solo dall'inizio della pandemia COVID-19 e sta diventando parte di una "tripla emergenza" insieme alla crisi climatica e alla perdita di biodiversità, ha detto UN News.

Per affrontare questi problemi, la relazione ha privilegiato diverse soluzioni. Questi includevano più studi sugli impatti sulla salute della plastica; migliore monitoraggio dei rifiuti di plastica; divieti di plastica monouso; e maggiori investimenti nella gestione dei rifiuti, nel riciclaggio e nel riutilizzo.

In un invito alla stampa che annunciava il rapporto, gli autori si sono anche espressi a favore di un trattato internazionale per porre fine all'inquinamento e alla produzione di plastica, come riportato da Gizmodo . David Azoulay, il direttore del programma sanitario del Center for International Environmental Law che non ha aiutato a scrivere il rapporto, ha affermato che la sua enfasi sui diritti umani potrebbe aiutare a fornire un quadro per un simile trattato.

"Considerare approcci basati sui diritti", ha detto a Gizmodo, "è un passo molto importante per lo sviluppo di un trattato che sviluppi effettivamente soluzioni".

fonte: www.ecowatch.com


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Proxima: una sartoria sociale dove ricucire tessuti e vite

Persone che hanno alle spalle un vissuto difficile e doloroso, vittime di tratta e sfruttamento, si ritrovano in questo laboratorio nel cuore della Sicilia per dare nuovo senso alla propria esistenza. Grazie a Proxima si incontrano, imparano un mestiere, vengono aiutate e formate dando corpo a un futuro che sembrava irrimediabilmente compromesso.



Persone ad alta vulnerabilità che hanno un vissuto di grave sfruttamento, con il dovuto sostegno maturano competenze personali importanti per il proprio percorso di autonomia, rafforzando anche l’integrazione e la collaborazione all’interno di un gruppo.

Sono loro le protagoniste delle attività di Proxima, una cooperativa sociale che in Sicilia lavora ogni giorno per aiutare gli ultimi, dando loro una seconda possibilità attraverso la valorizzazione del “saper fare”, del lavoro manuale, capace di unire, far sognare e ridare speranza.

La Cooperativa sociale Proxima nasce alla fine degli anni ’90 in provincia di Ragusa, gestendo un servizio per minori rivolto ai figli dei profughi Kosovari. Dal 2003 realizza progetti rivolti a vittime di tratta, offrendo un’opportunità di fuga, cambiamento, relazione, crescita personale e dando loro la possibilità di frequentare luoghi sicuri e adeguati.

Due sono i progetti principali sui quali la cooperativa fonda la propria attività: una sartoria e un orto, entrambi sociali. Già, perché la socialità e la condivisione di esperienze sono una risorsa fondamentale per ricominciare a sperare. Letizia Blandino, referente del progetto, comincia a raccontarci la storia del laboratorio sartoriale.

Quali sono le attività in cui sono coinvolte le persone che seguite?

La sartoria è un luogo di formazione, produzione, apprendimento e scambio continuo di esperienze. Attraverso il riciclo tessile, con la supervisione di una sarta specializzata, i ragazzi trasformano questo hobby creativo in una competenza sempre più professionalizzante, costruendosi così un’opportunità di lavoro e riscatto personale. La tecnica maggiormente usata in laboratorio è quella del patchwork, grazie al quale si ottengono creazioni artigianali uniche che spaziano da accessori per la persona ad oggettistica per la casa, con un occhio sempre attento all’etica ed all’ecologia. Dando vita nuova a questi tessuti, con la realizzazione di oggetti unici, questi ragazzi tessono i fili per un nuovo percorso di rinascita, dove le ferite passate si trasformano in autodeterminazione.

Come nasce l’idea di un laboratorio di Sartoria Sociale all’interno della cooperativa Proxima?

L’idea di avviare un laboratorio di Sartoria Sociale è nata per assecondare un particolare interesse dimostrato nei confronti dell’attività sartoriale da parte dei beneficiari dei progetti della Cooperativa Sociale Proxima, vittime di tratta e grave sfruttamento, con il fine di offrire un opportunità di riscatto sociale, integrazione ed autonomia.

In che modo, attraverso il cucito e all’interno di un gruppo, i ragazzi accrescono la propria autonomia e proseguono lungo il loro percorso?

Il laboratorio si configura simbolicamente come mezzo per “RI-CUCIRE le ferite”. Infatti, durante l’attività, i partecipati hanno la possibilità di confrontarsi, condividere idee ed esperienze e crescere insieme attraverso un costante apprendimento e formazione sulle tecniche sartoriali utilizzate per creare manufatti artigianali che poi vengono immessi nel mercato mediante e-commerce e punto vendita.



Ci sono stati ragazzi o ragazze che, pur uscendo dai progetti della cooperativa, hanno portato avanti lavori e passioni che si avvicinano alla vostra mission?

C’è stato qualche caso di ragazzi che una volta usciti dai nostri programmi di protezione hanno deciso di acquistare in autonomia una macchina da cucire e portare avanti la propria passione creando dei prodotti tessili in proprio. Ad ogni modo, l’attività di sartoria, oltre a offrire una formazione relativa al settore sartoriale, è organizzata mediante un regolamento specifico pensato anche per fornire ai beneficiari dei nostri progetti delle linee guida da seguire nella vita di tutti i giorni ed in particolar modo in ambiente lavorativo. Pertanto, credo che i ragazzi che fuori escono dai nostri progetti hanno comunque la possibilità di mettere in pratica i nostri insegnamenti e così soddisfare a pieno la nostra mission.

Quali progetti avete in mente per il futuro?

Per il futuro, speriamo di poter ampliare la nostra attività continuando a soddisfare sempre al meglio le richieste che ci arrivano, riuscire a cambiare location creando un punto vendita in sinergia con il laboratorio e magari specializzarci anche nel settore delle riparazioni sartoriali e degli indumenti e accessori personalizzati.

Puoi raccontarci qualcosa anche dell’orto sociale?

Questo progetto nasce nel 2017 ed è una tra le più recenti attività di Proxima. È un luogo dove terre, energie, tradizioni e innovazioni si fondono dando vita a un progetto ambizioso, che si pone l’obiettivo di riqualificare un terreno in totale stato d’abbandono, dove la cittadinanza ragusana può acquistare e assaporare prodotti carichi di passione che rispettano ogni ciclo stagionale. Frutta e verdura vengono selezionate con la massima cura e le eccedenze di produzione non vengono sprecate ma trasformate in golosissime conserve.

fonte: www.italiachecambia.org

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L’inquinamento da plastica è una questione di giustizia ambientale

Il rapporto di UNEP e dell’ong Azul legge l’impatto dell’inquinamento causato dalla plastica, in tutte le fasi del suo ciclo produttivo, come una questione che colpisce in modo sproporzionato le comunità più vulnerabili









L’inquinamento causato dalla plastica colpisce in modo sproporzionato le comunità più vulnerabili. Un problema di giustizia ambientale che riguarda tutte le fasi del ciclo di vita della plastica. Dall’estrazione delle materie prime necessarie alla produzione, fino al consumo e allo smaltimento. Lo sottolinea l’Unep, l’agenzia per la protezione ambientale delle Nazioni Unite, in un report scritto insieme alla Ong Azul dal titolo Neglected: Environmental Justice Impacts of Plastic Pollution.

“Giustizia ambientale significa istruire coloro che sono in prima linea sull’inquinamento da plastica e sui suoi rischi, includendoli nelle decisioni sulla sua produzione, sull’utilizzo e sullo smaltimento, e garantire loro l’accesso a un sistema giudiziario credibile”, puntualizza Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’Unep.

Una questione, quello dell’inquinamento causato dalla plastica, che ha una geografia particolare. Secondo il rapporto, a essere colpite sono le comunità più vulnerabili a prescindere dal livello socio-economico e gli indici di disuguaglianza di un paese. Così, ad esempio, paesi così distanti e diversi come gli Stati Uniti e il Sudan condividono diversi aspetti legati all’impatto negativo delle materie plastiche. Succede con il fracking, la tecnica di fratturazione idraulica per estrarre idrocarburi da scisto, che contamina l’acqua potabile in entrambi i paesi.

Il rapporto mette poi in guardia sui problemi di salute tra le comunità afroamericane che vivono vicino alle raffinerie di petrolio nel Golfo del Messico, anche queste negli Stati Uniti. Così come sui rischi affrontati da circa due milioni di raccoglitori di rifiuti in India.

“L’inquinamento da plastica è una questione di giustizia sociale”, afferma Marce Gutiérrez-Graudiņš, coautrice e fondatrice e direttrice esecutiva di Azul. “Gli sforzi attuali, limitati alla gestione e alla riduzione dell’inquinamento da plastica, sono inadeguati per affrontare l’intera portata dei problemi che la plastica crea, in particolare i disparati impatti sulle comunità colpite dagli effetti dannosi della plastica in ogni punto, dalla produzione allo spreco”.

Il rapporto affronta il problema anche attraverso il prisma della dimensione di genere. A questo proposito, nota che sono le donne, in particolare, a soffrire del rischio di tossicità correlato alla plastica, a causa della maggiore esposizione complessiva alla plastica a casa e nei prodotti per la cura femminile.

fonte: www.rinnovabili.it


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Emergenza climatica, rinnovabili e paesaggio: tutte le contraddizioni da affrontare

Le preoccupazioni sull’alterazione dei territori in Italia con l’inserimento delle rinnovabili. Un delicato equilibrio tra la preservazione della bellezza del paesaggio e gli interventi volti a limitare i rischi della crisi climatica che colpisce gli stessi territori.



Parlare di cambiamenti climatici e di paesaggio obbliga ad una doppia lettura.

L’emergenza climatica sta infatti aggredendo i territori, in alcuni casi in modo evidente e progressivamente più drammatico.

Tutti ricordiamo le decine di milioni di alberi abbattuti dalla tempesta Vaia nel Nord-est italiano, i disastri legati alla forza devastante di uragani e cicloni, gli incendi che hanno distrutto migliaia di chilometri quadrati di foreste in California, in Australia, in Brasile, in Siberia, in Congo… con la natura ferita e milioni di animali bruciati vivi; le coste erose dall’innalzamento del livello degli oceani e dei mari, la desertificazione che avanza, la Groenlandia e l’Antartide che si sgretolano….

Si deve dunque intervenire, e rapidamente!

D’altra parte, alcune azioni per ridurre le emissioni e affrontare la sfida climatica possono comportare un’alterazione dei paesaggi.

Si tratta di modifiche che si aggiungono a quelle apportate dall’uomo con l’abusivismo, le cave, le discariche illegali di rifiuti, le raffinerie e le acciaierie sulle coste e con la costante sottrazione di spazio alla natura.

Proprio questo modello di sviluppo comporta anche una impressionante crescita delle emissioni climalteranti.

Non stupisce quindi la sollecitazione di coloro che propongono la rivisitazione di un modello non più sostenibile.

Resta il fatto che occorre agire da subito sul fronte climatico. Gli accordi internazionali, come quello di Parigi del 2015, rappresentano un risultato importante. Ma poi servono urgentemente soluzioni da attivare per contenere le emissioni.

Fra queste, diviene sempre più importante il contributo delle fonti rinnovabili. Certo, in un contesto di maggiore efficienza che include anche cambiamenti degli stili di vita.

Naturalmente l’installazione di impianti solari ed eolici può comportare un’alterazione del paesaggio e il loro inserimento va dunque pianificato con attenzione, cosa che non sempre è stata fatta in passato. Vanno inoltre coinvolte le comunità locali, e anche questo non sempre è avvenuto.

Per quanto riguarda il paesaggio, le reazioni dal punto di vista estetico variano molto in relazione alle diverse sensibilità.

Nel “sorriso di Angelica” di Andrea Camilleri, ad esempio, si legge:

“… un mari di bocche di lioni supra al quali, a ‘ntervalli regolari, si slanciavano altissime pale eoliche. Livia ne ristò affatata. Certo che avete dei paesaggi…”.

Ma nella società ci sono anche posizioni di netta chiusura.

Resta il fatto che, per arrivare alla neutralità climatica entro il 2050, obiettivo dell’Italia e degli altri paesi europei, il contributo delle rinnovabili dovrà crescere notevolmente.

Concentriamoci sul solare, che in Italia rappresenterà la tecnologia regina del sistema energetico sul lungo periodo.

Sono state effettuate diverse valutazioni sul potenziale legato alla parziale occupazione delle superfici degli edifici.

In un recente documento di Eurach si è stimata la potenza installabile utilizzando il 2,5% dell’area occupata dalle diverse tipologie di edifici. Si arriverebbe a 45 GW, poco sotto i 52 GW previsti dal Piano nazionale energia clima del governo al 2030 (A Strategic Plan for Research and Innovation to Relaunch the Italian Photovoltaic Sector).

Un Piano, che però andrà rapidamente rivisto per adeguarsi alla decisione della UE di portare l’obiettivo di riduzione dei gas climalteranti al 2030 dal -40% rispetto ai valori del 1990 al -55%.

In questo nuovo quadro, secondo Elettricità Futura che raccoglie i vari produttori elettrici del paese, il 70% dei consumi elettrici lordi dovrà essere soddisfatto da energie rinnovabili (oggi siamo al 36-38%).

Il Ministro Cingolani ha parlato di una quota pari al 72%. È dunque probabile che la potenza fotovoltaica al 2030 dovrà arrivare a valori attorno ai 70 GW (oggi siamo a 21 GW).

Ma, soprattutto, va ricordato che per il 2050 la strategia di lungo termine del Governo (pdf) prevede una potenza solare di 240 GW, oltre dieci volte superiore all’attuale.

Aumenteranno quindi notevolmente le installazioni decentrate, oggi oltre 800.000, anche grazie alla diffusione delle Comunità energetiche. Troveremo nuove soluzioni, magari si diffonderanno le vetrate solari, i moduli solari flessibili… Ma non c’è dubbio che dovremo installare anche molti impianti fotovoltaici a terra.

Di che superficie parliamo? Considerando un utilizzo delle superfici degli edifici quadruplo rispetto a quello considerato dallo studio Eurach, a metà secolo il mix di centrali solari convenzionali e agrovoltaiche occuperebbe una superficie pari a quella di un quadrato di una cinquantina di chilometri di lato, naturalmente grazie ad una molteplicità di interventi opportunamente distribuiti sui territori.

Parliamo di un’area inferiore al 2% dei 3,5 milioni di ettari della superficie agricola inattiva nel paese.

Le contraddizioni su paesaggio e lotta climatica

Partiamo dalla preoccupazione sull’alterazione del paesaggio perché consente di riflettere sulla necessità di affrontare un tema, quello dell’inserimento delle rinnovabili, che diventerà la principale, anche se non l’unica, criticità da affrontare nel processo di decarbonizzazione dei prossimi anni e decenni.

E consideriamo due casi emblematici delle contraddizioni che emergono.

Il Club Alpino Italiano (Cai) ha preso posizione contro la proposta di inserire nel Piano nazionale di recupero e resilienza la realizzazione di 1.000 piccoli invasi sulle zone di montagna e di alta collina, vista invece di buon occhio da Coldiretti.

I laghetti dovrebbero infatti servire come riserva d’acqua per l’agricoltura e contribuirebbero a ridurre il rischio di alluvioni. Inoltre, l’abbinamento tra laghetti a quote diverse consentirebbe di creare sistemi di pompaggio utili alla gestione della rete elettrica in presenza della futura larga diffusione di solare ed eolico.

Ma questa opposizione viene dallo stesso Cai che più volte ha lanciato l’allarme sulla progressiva scomparsa dei ghiacciai. In effetti, negli ultimi 50 anni la loro riduzione nelle Alpi è stata pari al 35-40%, con preoccupanti implicazioni.

Diceva Herman Hesse che “le lacrime sono il frutto del ghiaccio dell’anima che si scioglie“.

In tutto l’arco alpino nei mesi tra novembre e maggio, sotto i 2000 metri, dove cinquant’anni fa lo spessore medio della neve era di 1 metro oggi si misurano 60 cm e si è perso un mese di innevamento.

Ghiacci, neve, rocce che si frantumano sono solo alcuni degli impatti del cambiamento climatico sul paesaggio alpino…

Ma anche gli agricoltori stanno subendo gravi conseguenze dal riscaldamento globale. Coldiretti, ad esempio, ha più volte richiesto negli ultimi anni lo stato di calamità naturale per zone colpite da siccità, alluvioni, incendi…

La stessa associazione ha però finora contestato la realizzazione di grandi impianti fotovoltaici a terra.

Gli amanti della montagna e gli agricoltori sono, insomma, degli attenti sensori dei cambiamenti del clima in atto. Ma al tempo stesso si oppongono ad alcune importanti misure volte ad evitare un’evoluzione catastrofica del riscaldamento globale.

Questi due esempi illustrano il delicato equilibrio tra la preservazione della bellezza e della ricchezza del paesaggio e gli interventi volti a limitare i rischi dell’emergenza climatica.

Naturalmente andranno trovate soluzioni attente anche per aumentare il consenso sociale, decisivo per raggiungere obiettivi così ambiziosi.

E vanno definite con chiarezza aree di esclusione e limitazioni alla taglia delle centrali solari.

Significativamente, si iniziano a considerare opzioni nuove, come l’agrivoltaico che consiste nell’istallazione dei moduli ad un’altezza e ad una interdistanza tale da consentire di coltivare, in alcuni casi migliorando la qualità dei prodotti grazie all’ombreggiamento. Un risultato che si è apprezzato in alcune sperimentazioni su vigneti nella Francia meridionale. In un futuro che vedrà giornate sempre più calde, soluzioni come questa potrebbero essere apprezzate.

Si dirà, che questi interventi, se possono essere considerate validi perché consentono di mantenere o di incrementare i posti di lavoro agricoli, alterano comunque il paesaggio.

Ma va ricordato che il paesaggio si è sempre evoluto ed è la risultanza tra l’azione dell’uomo e la natura. Come dice il filosofo Rosario Assunto: “… il paesaggio è natura nella quale la civiltà rispecchia sé stessa”.

E, di fronte ai rischi gravissimi dell’emergenza climatica, bisogna rapidamente attrezzarsi.

È significativo che le tre più importanti associazioni ambientaliste, Legambiente, Wwf e Greenpeace stiano convergendo sulla necessità di accelerare la diffusione delle rinnovabili. Rilevante, ad esempio, l’ultimo documento comune sul parco eolico off-shore al largo delle coste della Sicilia.

Considerato che nei prossimi anni e decenni si dovranno installare molti impianti green in Italia, in Europa e nel resto del mondo, occorrerà pervenire ad una posizione equilibrata, per quanto possibile condivisa, sul loro inserimento nel territorio.

fonte: www.qualenergia.it



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Spreco alimentare: storie di inclusione e senso di comunità

 

Durante la pandemia gli italiani hanno cambiato abitudini alimentari. Hanno cucinato di più, mangiato più spesso a casa e riscoperto il rito del pranzo, tutti insieme, tutti i giorni. Secondo un sondaggio commissionato da Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability (rilevazione Ipsos), siamo stati più bravi e attenti in cucina. Nel 2020 abbiamo buttato via l’11,78 per cento di cibo in meno rispetto all’anno prima: 529 grammi a settimana.


Il numero in sé sembra incoraggiante ma le nostre abitudini raccontano una realtà diversa. Sempre secondo i dati Ipsos, infatti, nel 2020 abbiamo comprato troppo, calcolato male quello che ci serviva e lasciato deperire il cibo acquistato. Frutta e verdura sono gli alimenti che più di tutti sono finiti nei rifiuti insieme a due cibi simbolo del lockdown: il pane e la pizza.

Cresce, quindi, la consapevolezza degli italiani sul tema dello spreco alimentare. Si inizia a comprendere che ridurre le perdite significa un minore impatto ambientale e più cibo per tutti, soprattutto per chi in questa fase di emergenza sta pagando il prezzo più caro. Ma la strada è ancora lunga e le soluzioni che favoriscono un reale cambio di abitudini, cultura e mentalità, che vanno oltre la colletta alimentare e le ricette anti spreco, sono ancora poche. Ma esistono e funzionano.

Spreco alimentare: oltre la semplice beneficenza

In Italia è al Sud che si cucina di più, si mangia di più e si butta via di più. Nelle regioni meridionali finisce tra i rifiuti il 15 per cento del cibo, circa 600 grammi a settimana. Ma è anche l’area del paese che sta dimostrando maggiore sensibilità su questo tema.

Il Parlamento europeo ha chiesto l’impegno collettivo e immediato per combattere lo spreco alimentare. Ed è proprio come una grande azione collettiva che è partita da Bari la macchina di Avanzi Popolo 2.0 , associazione impegnata nella raccolta e distribuzione delle eccedenze alimentari alle persone bisognose e premiata nel 2019 dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la sua lotta allo spreco alimentare.

“Siamo un piccolo gruppo di volontari attivi nel territorio barese. La nostra missione è combattere gli sprechi ma anche diffondere la cultura del food sharing. Chi in casa ha di più può metterlo a disposizione sulla nostra piattaforma online e riempire ceste virtuali da scambiare, da privato a privato” spiega Marco Costantino, volontario e tra gli ideatori del progetto. “Oltre alle ceste virtuali abbiamo creato anche una rete che fa dialogare i luoghi dello spreco con i luoghi del bisogno. Andiamo personalmente a ritirare le eccedenze nei ristoranti, nelle aziende agricole, nei forni e nelle pasticcerie e consegniamo tutto alle comunità locali che poi distribuiscono a chi ha più bisogno. Oppure, riempiamo i nostri “frigoriferi solidali” che abbiamo attivato in luoghi strategici e controllati della provincia barese. Sono aperti a tutti, chi ha bisogno porta via cibo che altrimenti verrebbe buttato via da un supermercato o da un bar”, continua Marco che ci tiene però a precisare che non si tratta di semplice beneficenza o carità. È un meccanismo virtuoso che attraverso il recupero del cibo crea contatti, legami, condivisione e rinforza il senso di appartenenza alla comunità. Le persone costruiscono relazioni, imparano buone pratiche quotidiane che creano valore e forme di scambio e dono.
La soluzione della porta accanto

“Mi piace ricordare il caso di una sala ricevimenti e di un centro diurno”, racconta Marco. Nessuna delle due sapeva dell’esistenza dell’altro, alla porta accanto. La sala ricevimenti aveva eccedenze di cibo proveniente da eventi e banchetti e non sapeva come recuperarli. Noi li abbiamo messi in contatto e da allora le due realtà vicine dialogano, comunicano e scambiano in modo autonomo. E questa è la soddisfazione più grande. Abbiamo scoperto che a nessuno di loro piaceva buttare via il cibo ma non avevano strumenti ed esempi per fare diversamente. Creare questa rete virtuosa sul territorio è una soluzione che fa bene a tutti e crea un forte senso di comunità, fa sentire tutti parte della soluzione”, continua Marco.

Diventare tutti beneficiari

Il progetto di Avanzi Popolo piace perché ha costruito una rete virtuosa che informa educa e stimola buone pratiche sul territorio e per questo ha incuriosito gruppi di volontari in altre città italiane che si stanno organizzando per replicarlo. “Lavoriamo bene con tante aziende e commercianti ma ancora facciamo molta fatica a fare comprendere ai singoli e alle famiglie che in casa abbiamo troppo e che consumare cibo del giorno prima o in scadenza non è motivo di vergogna ma deve essere la normalità. Questo è ancora un grande limite. Praticare il food sharing e diventare tutti beneficiari, e non solo donatori, dovrebbe essere un comportamento normale. Vediamo che qui c’è ancora molta resistenza su questo. Si compra e si produce ancora troppo cibo”, dice Marco.





Collaborazione e scambio interculturale

Collaborazione, educazione e coinvolgimento. Sembra essere questa la soluzione anche per Recup un progetto nato a Milano che agisce in 11 mercati rionali della città per combattere non soltanto lo spreco alimentare ma anche l’esclusione sociale. “A fine mercato un gruppo di volontari recupera il cibo dai commercianti che liberamente decidono di donare i prodotti che altrimenti butterebbero via. Il cibo recuperato viene raggruppato e ogni volontario sarà poi libero di prendere ciò che preferisce, nel rispetto delle altre persone e delle esigenze di tutti”, spiega Lorenzo Di Stasi, volontario e uno dei responsabili di Recup. “Ci sono tanti ragazzi, ma abbiamo anche molti pensionati e persone straniere che partecipano attivamente. I gruppi sono formati da circa 20 persone per mercato e sono aperti e inclusivi. Non lavoriamo in un’ottica assistenzialista e di semplice recupero ma di collaborazione e di scambio interculturale e intergenerazionale. Ognuno prende quello che gli serve e aiuta gli altri”, continua Lorenzo.

I commercianti dei mercati li conoscono e li riconoscono, sono loro stessi a raggiungerli per regalare qualcosa. Di solito sono ortaggi che dovrebbero buttare. Molti di loro, infatti, non hanno celle frigorifere per conservare la frutta e la verdura più deperibile e preferiscono regalare piuttosto che buttare. Non si tratta di un progetto di semplice economia circolare ma crea un tessuto sociale collaborativo e sensibile ai bisogni di tutti, commercianti e le persone comuni.
Funziona subito ed è replicabile

“Nel 2020 Recup ha recuperano più di 25 tonnellate di cibo ma quello che ci ha dato più soddisfazione è la partecipazione attiva di donatori e beneficiari, la collaborazione con altre associazioni milanesi e le richieste che arrivano da tutta Italia per aiutarli a replicare il progetto in altre città. Quando ci chiedono “Vogliamo fare come voi, ci aiutate?” noi siamo felici di dare il nostro supporto. Significa che hanno visto nel nostro Recup una soluzione che può funzionare.

“Il bello di Recup è che fai qualcosa nell’immediato, nell’arco di 2 ore recuperi il cibo che altrimenti verrebbe buttato e ridistribuisci tra le persone che partecipano. Il risultato lo vedi subito e hai la possibilità di interagire con altre persone molto diverse da te. È un lavoro collettivo che coinvolge piccoli commercianti e persone comuni”, racconta Beatrice, una volontaria. Uno degli obiettivi di Recup è anche di restituire dignità a quanti, per necessità, sono costretti a mettere le mani nella spazzatura per cibarsi, per vivere. Ecco perché si lavora in gruppi, nessuno viene lasciato solo in questa attività.
Non è un sistema perfetto

Durante l’emergenza Covid, Recup ha partecipato al programma Dispositivo Aiuto Alimentare messo in campo dal Comune di Milano e ha lavorato nei centri di raccolta in cui vengono convogliati diversi generi alimentari destinati a chi per effetto dell’emergenza è in situazioni di fragilità sociale ed economica. Recup ha partecipato all’assemblaggio dei pacchi all’Ortomercato di Milano e ha salvato la frutta e la verdura che rischiavano di essere buttate per distribuirle a chi ne ha bisogno. “Questo sistema sta funzionando. Finora ha supportato oltre 6.300 nuclei familiari in difficoltà, movimentando complessivamente oltre 616 tonnellate di cibo ogni settimana ed effettuando quasi 50.000 consegne di aiuti alimentari. Ma sicuramente in un periodo così difficile a livello di inclusione si potrebbe fare di più. La distribuzione del cibo che raccogliamo, infatti, non tiene conto di tante persone meno visibili, senza fissa dimora, che spesso restano esclusi. Non riusciamo a raggiungere tutti, non è un sistema ancora perfetto”, sottolinea Lorenzo.

Le attività di queste associazioni, attive da Nord a Sud, possono aiutare a maturare la consapevolezza sul cibo, sull’ambiente e quindi sui problemi sociali generati e collegati allo spreco alimentare. Dimostrano anche che la strada più efficace non è solo quella della beneficenza, del dono e delle ricette per recuperare gli avanzi in casa, ma passa soprattutto dalla creazione di luoghi di scambio, di relazione, convivialità che valorizzano il cibo come strumento di dialogo e inclusione.

fonte: news48.it


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Orti Dipinti, il giardino condiviso che coltiva socialità e consapevolezza

In un'ex pista di atletica nel cuore di Firenze ha preso vita per iniziativa di Giacomo Salizzoni il progetto Orti Dipinti, community garden e orto urbano e didattico dove si coltivano relazioni e scelte alimentari consapevoli, scoprendo il giardinaggio urbano biologico e le sue applicazioni nella vita quotidiana e nella valorizzazione degli spazi cittadini.

Nel cuore di Firenze, più precisamente in via Borgo Pinti 76, c’è un orto urbano nel quale, oltre agli ortaggi e ai frutti, si coltivano relazioni sociali e idee, si scambiano conoscenze e si sperimentano nuove soluzioni. Stiamo parlando di Orti Dipinti – Community Garden 2.0 nata nel 2013 su iniziativa dell’architetto Giacomo Salizzoni.



Giacomo, dopo aver militato per alcuni anni nel Guerrilla Gardening, movimento di giardinaggio d’assalto che vede i comuni cittadini “assalire” le zone urbane in stato d’abbandono armati di vanghe, semi e piante, ha sentito la necessità di dare maggiore continuità al proprio impegno. «Volevo creare una sorta di presidio che rendesse possibile educare ad una maggiore consapevolezza della natura e ho visto nel format del Community Garden dei modelli interessanti da sperimentare e implementare», ci ha raccontato.

Scovato lo spazio – un’ex pista atletica – e trovato un accordo con l’amministrazione comunale e con la cooperativa Barberi che ne era fruitrice, Giacomo ha dunque iniziato a dare vita ad uno spazio verde laddove di terra non ce n’era, facendo uso di letti rialzati. In linea con lo stile Community Garden, ad oggi perlopiù luoghi d’incontro e di cultura, la socialità è stato un ingrediente fondamentale nell’esperienza di Orti Dipinti. Dunque pranzi, merende e aperitivi sociali, proiezioni e conferenze, laboratori e degustazioni – perché è vero che oggi le persone cercano luoghi nuovi nei quali incontrarsi e intessere relazioni sociali.

Allo stesso tempo, la didattica e la coltivazione di conoscenze hanno rivestito un ruolo centrale sotto forma di lezioni di orticoltura, ambiente e alimentazione, sperimentazioni sulla trasformazione degli scarti o sulle piante. Un prodotto che ad oggi ha sicuramente dato grandi soddisfazioni è stata l’ampolla sub-irrigante di terracotta, che sepolta nel terreno lo idrata dall’interno, consentendo un risparmio idrico fino al 70% senza sprechi – un sistema antichissimo e in uso ancora oggi in paesi come la Cina, il Pakistan, l’India e il Messico che Orti Dipinti ha saputo rispolverare.




Attualmente in Borgo Pinti 76 c’è fermento attorno alla cosiddetta “Erba della Madonna”, pianta dalle notevoli proprietà curative che ancora oggi non si sa bene come estrarre e replicare attraverso creme, gel o magari infusi. Nel Green Market di Orti Dipinti, fra sali aromatici, bombe di semi e vari altri prodotti originali, è già presente il sapone della madonna, e siamo fiduciosi che presto verranno collaudati ulteriori prodotti, sintesi della ricerca e del lavoro di coloro che animano Orti Dipinti. Ma le esperienze di ricerca e le sperimentazioni, in questo laboratorio a cielo aperto, non si fermano certo ai prodotti.

Giacomo, che stima molto il lavoro del botanico e scienziato di prestigio mondiale Stefano Mancuso, ci ha infatti raccontato l’aneddoto che si cela dietro alla più rigogliosa delle piante di limone presenti nel giardino. «Anni fa una nostra vicina ce la portò che non buttava foglie da due anni. Per altri due anni l’abbiamo tenuta e curata, ma è rimasta uno scheletro. Poi l’ho potata, l’ho dipinta e messa in una vasca scrivendo sotto “ALBERO DELLA GRATITUDINE: Scrivi qualcosa per cui sei grato e appendilo qui”. Le persone hanno colto l’invito, e nel giro di tre mesi la pianta si è rinvigorita e ha ricominciato a buttare le foglie, fino a diventare il limone migliore che abbiamo». Un indizio, questo, del fatto che il mondo naturale pare essere ben più sensibile di quanto siamo abituati a credere.

Interrogato sul futuro, Giacomo sembra avere le idee chiare: «La mia ambizione è quella di strutturare il più possibile questo luogo, cercando di fornirgli quella sostenibilità economica che permetterebbe il diffondersi e il consolidarsi di più realtà di questo tipo, così da generare di riflesso lavoro, buone pratiche e valori».

fonte: www.italiachecambia.org


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Studenti e cittadini valorizzano il quartiere con l’economia circolare

Cultura ed economia circolare si incontrano a Mirafiori all’interno del progetto “Mirafiori Cultura in Circolo” che per tutto l’anno coinvolgerà studenti e cittadini del quartiere in processi artistici volti a sperimentare pratiche di sostenibilità che coinvolgono la comunità locale con lo scopo di migliorare la qualità della vita nel quartiere



A Torino c’è un quartiere che si sta facendo portatore di un messaggio di sostenibilità e di un insegnamento da diffondere per promuovere una cultura condivisa all’insegna della circolarità. Siamo a Mirafiori sud e qui l’Istituto Primo Levi, vincitore del bando “Cultura Futuro Urbano” del MiBACT, ha avviato il progetto “Mirafiori Cultura in Circolo”, trasformandosi in un punto di riferimento per il quartiere sui temi del riuso, del riciclo e dell’economia circolare.

Gli obiettivi del progetto sono da una parte promuovere la cultura per favorire il benessere e migliorare la qualità della vita degli abitanti di Mirafiori Sud, puntando sulla partecipazione dei cittadini e sul coinvolgimento di persone con un bagaglio culturale differente. Dall’altra si tratta di valorizzare la storia e la vocazione dell’Istituto Primo Levi offrendosi al territorio come possibile presidio culturale, istituzionale e sociale destinando i propri spazi al quartiere e avviando collaborazioni con diversi attori sul territorio.

E in questo percorso studenti e cittadini saranno accompagnati dai veri protagonisti dell’economia circolare: l’associazione Offgrid Italia, la Cooperativa Triciclo, Mercato Circolare e il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, ovvero realtà che in diversi modi, risvegliando le coscienze, si impegnano quotidianamente nella diffusione di buone pratiche per ridurre gli impatti ambientali e mettere in atto la sostenibilità nella nostra società.

Il percorso si svilupperà attraverso diversi laboratori durante il corso dell’anno, i quali affronteranno in chiave circolare i temi del cibo, della musica, della danza, dell’edilizia e del digital storytelling. L’obiettivo è aprire una riflessione condivisa sul valorizzare ciò che fino a ieri era considerato rifiuto, per estendere il valore dei beni lungo tutto il ciclo di vita e per promuovere il principio dell’uso in contrapposizione a quello di possesso.

In questi giorni il progetto si è aperto al quartiere e proponendo lo spettacolo teatrale “Blue Revolution – L’economia ai tempi dell’usa e getta” di Pop Economix con Alberto Pagliarino, che percorre gli ultimi tre secoli per mostrare come il nostro mondo sia vicino al collasso e ci sia bisogno di una nuova alleanza tra l’uomo e l’ambiente per salvarlo.


Come riportato sul comunicato stampa dell’iniziativa, i laboratori che coinvolgeranno studenti e cittadini saranno:

L’Uovo di Colombo Lab

Con L’Uovo di Colombo Lab, a partire dal 24 gennaio, si sperimenteranno i temi dell’eccedenza alimentare e del suo recupero attraverso un approccio di food design grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino. Il cibo di scarto verrà trasformato in nuovi prodotti di consumo nel corso di un ciclo di workshop che si svolgeranno presso i locali della scuola e che coinvolgeranno i cittadini di Mirafiori.

Edilizia Circolare Lab

A cura di OffGrid Italia, “Edilizia Circolare Lab” offre agli studenti un’esperienza di economia circolare: si partirà dall’ideazione di un progetto che valorizzi e crei nuove funzionalità nella scuola alla sua realizzazione pratica. Il tutto coinvolgendo la comunità locale nel reperimento dei materiali di recupero e nell’auto-costruzione. Il primo dei quattro progetti di Edilizia Circolare avrà luogo il 29 gennaio ed ogni progetto vedrà cittadini e studenti lavorare insieme per riqualificare e rigenerare un diverso spazio della scuola.

Balla con Noi 2.0

Balla con Noi 2.0, cura di “Balletto Teatro Torino” partirà il 3 febbraio per diffondere la danza nei suoi molteplici aspetti attraverso corsi di danza aperti a tutti.







Digital Lab

Durante il progetto, a cura di Mercato Circolare, studenti e cittadini di Mirafiori sperimenteranno insieme l’utilizzo di diversi strumenti multimediali. Il laboratorio partirà il 12 febbraio e fornirà le competenze per strutturare e gestire una strategia social e, attraverso l’utilizzo di foto e video, costruire una narrazione multimediale dell’intero percorso.

Home Music Lab

Il progetto, avviato dalla Cooperativa Triciclo, unisce le capacità di aggregazione e di coinvolgimento della musica ai temi del recupero e del riuso. Si esplorerà il mondo degli oggetti di casa e dei suoni dei diversi materiali attraverso l’esercitazione dell’“orecchio specializzato” che permette di sviluppare le innate attitudini musicali dei bambini e la concretezza dell’agire inventando gli strumenti.

fonte: https://www.italiachecambia.org

Autorizzazione Integrata Ambientale negli impianti di trattamento acque reflue e rifiuti liquidi - 20 anni di attività del GDL

56^ Giornata di Studio di Ingegneria Sanitaria-Ambientale

















Locandina e programma completo: Scarica Pdf
PROGRAMMA in SINTESI:

M A T T I N O: Aula Magna
8:00 REGISTRAZIONE DEI PARTECIPANTI
9:00 Indirizzi di saluto
9:15 Presentazione della Giornata di Studio - Carlo Collivignarelli
9:30 L'AIA: il quadro delle norme
9:30 L’AIA negli impianti di trattamento acque e rifiuti liquidi: contenuti tecnici
9:30 Procedure dell’AIA e loro applicazione
10:30 PAUSA
10:50 PANEL: Esperienze dei gestori
11:50 TAVOLA ROTONDA: L'AIA: Aspetti critici e proposte di ottimizzazione
12:50 CONCLUSIONI
13:00 PAUSA BUFFET

P O M E R I G G I O: Aula Consiliare
20 anni di attività del GdL
14:15 Introduzione al pomeriggio
14:30 Le tematiche dei 20 anni di attività e i “nuovi” argomenti
14:50 La metodologia di lavoro: passato e futuro
15:10 L’attività del GdL e le ricadute sulla gestione degli impianti
15:30 PANEL: IL PUNTO DI VISTA DEI SOGGETTI INTERESSATI
16:30 Discussione con interventi dal pubblico
17:00 CONCLUSIONI



DOMANDE E RISPOSTE:
La mia registrazione o il mio biglietto è trasferibile?
No, se non puoi intervenire cancellati e invita il tuo collega a registrarsi. SOLO se avrai annullato per tempo riceverai in seguito il materiale della giornata di studio.
Devo portare i biglietti stampati all'evento?
Porta il tuo biglietto stampato su carta.
Il nome sulla registrazione o sul biglietto non corrisponde a quello del partecipante. Ci sono problemi?
Si, dovrai compilare un modulo con i dati che registreremo a sistema, e attendere presso il desk dell'evento che abbiamo prima verificato i partecipanti registrati.

fonte: https://www.eventbrite.it