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Culturaintour, comunicare i cambiamenti climatici con il teatro















Culturaintour è una piccola associazione nata una decina di anni fa in provincia di Como, che tramite laboratori didattici, gite e visite guidate, favorisce l’accesso alla cultura e all’arte. Grande spazio è dato alla tematica ambientale, stimolando la partecipazione e la cittadinanza attiva. L’ultimo video è “notizie dal 2050“. Ne parliamo con Margherita Caruso, tra le fondatrici:

Come è nata questa associazione?

È stata un’attività che mi sono creata: avendo 3 bambini piccoli mi ha consentito di stare a casa e lavorare con il pc. Alle iniziative culturali li portavo con me e si divertivano un sacco e invogliavano la partecipazione dei loro amichetti o addirittura della famiglia. Le visite guidate sono sempre in treno, perché vogliamo promuovere il turismo con mezzi pubblici. In pratica comunichiamo ai partecipanti l’orario del treno, (tratta Milano Como), e lungo la corsa le persone salgono dalla stazione a loro più comoda: ci si ritrova tutti “sullo stesso treno nella prima carrozza di seconda classe” (Questa frase per noi e chi ci segue è ormai un rito!). Assieme a mia figlia abbiamo organizzato gite per far conoscere ai cittadini realtà che hanno messo in pratica interventi sostenibili, a favore della qualità della vita e a tutela dell’ambiente e quindi le mete sono aziende oppure centri urbani che rispettano questi criteri.

Come comunicate il tema della crisi ecologica e climatica?

Da due anni come Culturaintour abbiamo deciso di dedicarci sempre di più a tutto ciò che riguarda le tematiche dell’agenda 2030 e rivolgerci principalmente alle scuole. Organizziamo gite didattiche e laboratori innovativi collaborando con il mondo del teatro. Il valore aggiunto di questo progetto è la collaborazione con l’associazione We for the Planet fondata da Lorenzo Carbone con alcuni studenti di un liceo del territorio lariano. È un’associazione studentesca di 40-50 ragazzi attiva all’interno delle scuole superiori con l’obiettivo di sviluppare piani con le dirigenze scolastiche per abbattere l’impronta carbonica all’interno delle stesse strutture. “We for the planet” fuori dalla scuola , a livello locale, si impegna ad accrescere la consapevolezza sui cambiamenti climatici. Avevamo già pronti i laboratori per le scuole e abbiamo dovuto sospendere tutto per la pandemia. Le scuole erano chiuse e quindi assieme a Lorenzo di “We for the Planet”, abbiamo pensato al fare il video “Notizie dal 2050”.




Parlaci di questo video…

L’interprete del video non aveva mai approfondito queste tematiche perciò le abbiamo fornito il materiale su cui studiare e da cui ricavare il copione. La consegna per l’attrice era: fare un testo che comunicasse la situazione climatica mantenendo una sorta di leggerezza per stemperare un po’ l’effetto ansiogeno. Pare ci sia riuscita. Una curiosità: dalla decisione di fare il video fino alla realizzazione è trascorso quasi un anno e a causa del lockdown non ci siamo mai incontrati. Abbiamo fatto tutto comunicando via mail e videochiamate. Anche la registrazione del video è stata fatta in casa di Rossella visto che chi ha curato le riprese e il montaggio è il suo compagno di vita. Il risultato ci pare interessante e crediamo proprio che ci saranno altri video perché dopo la pubblicazione sui social abbiamo ricevuto proposte di collaborazione interessanti. Intanto siamo molto soddisfatti perché il noto scienziato Antonello Pasini, che spesso ha affrontato il tema a proposito della comunicazione della crisi climatica, ha pubblicato il video “Notizie dal 2050” sulla sua pagina Facebook.

fonte: www.envi.info




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Energia: i combustibili fossili rimangono la fonte dominante

La quota di combustibili fossili nel consumo di energia non è diminuita nel 2020 per il decimo anno consecutivo e le energie rinnovabili stentano a crescere, nonostante siano sempre più vantaggiose economicamente



Il 2020 avrebbe potuto essere un anno di svolta grazie alla pandemia ma così non è stato; nonostante la domanda di energia primaria sia diminuita del 4%, infatti, i paesi del G20, i maggiori inquinatori del pianeta, hanno a malapena raggiunto o addirittura mancato i loro obiettivi di energia rinnovabile, già poco ambiziosi.

Secondo il rapporto sulle rinnovabili REN21, la quota di combustibili fossili nel mix energetico totale è rimasta alta quanto un decennio fa (80,3% contro l'80,2% di oggi) e le moderne rinnovabili, che includono idroelettrico e biomasse, sono aumentate di poco (da 8,7% a 11,2%).

I cinque membri del G20 con obiettivi di energia rinnovabile per il 2020 (UE, Italia, Francia, Germania, UK) hanno lottato per raggiungere i loro obiettivi mentre gli altri 15 non ne avevano nemmeno uno.

Non siamo dunque affatto vicini al necessario cambiamento di paradigma verso un futuro energetico pulito, più sano e più equo.

Lo scorso mese di giugno, i membri del G7 hanno dichiarato che non destineranno più finanziamenti internazionali a progetti che prevedano l'uso del carbone come combustibile, a meno che non garantiscano allo stesso tempo tecnologie per la cattura e lo stoccaggio delle emissioni. Tuttavia, il G7 non è stato chiaro su tempi e modi della transizione energetica, non specificando, ad esempio, obiettivi precisi e limiti temporali.

La stessa Agenzia internazionale per l'energia (AIE), nel delineare la tabella di marcia per abbattere le emissioni e raggiungere l'obiettivo di zero emissioni derivanti dal settore energetico nel 2050, aveva già previsto esplicitamente l'esclusione di investimenti in nuovi progetti di fornitura di combustibili fossili e nessuna ulteriore decisione di investimento in nuove centrali a carbone.

È chiaro però che non basta annunciare traguardi per il 2050 se poi non si agisce in modo coerente con queste affermazioni e con i previsti scenari di azzeramento delle emissioni.

Questa strada è necessaria ed anche possibile. I combustibili fossili sono infatti responsabili del cambiamento climatico e contribuiscono pesantemente anche alla perdita di biodiversità e all'inquinamento. Passare dai combustibili fossili alle energie rinnovabili è un passo necessario da fare e rendere le rinnovabili la norma non è una questione di tecnologia o di costi.

Il settore energetico ha già fatto grandi progressi. Oggi, quasi tutta la nuova capacità energetica è rinnovabile (83%). Nel 2020 sono stati aggiunti globalmente oltre 256 GW, superando il record precedente di quasi il 30%. In sempre più regioni, comprese parti della Cina, dell'UE, dell'India e degli Stati Uniti, è ora più economico costruire nuovi impianti eolici o solari fotovoltaici piuttosto che far funzionare le centrali elettriche a carbone esistenti.

Secondo le stime di Irena, nel 2020 è infatti proseguita la tendenza al calo dei costi per l'energia solare ed eolica, nonostante l'impatto della pandemia e le interruzioni causate dalla diffusione del virus. Nel 2020, il costo dell'elettricità derivante da nuovi impianti eolici onshore è diminuito del 13%, rispetto al 2019, l'energia solare a concentrazione del 16%, l'eolico offshore del 9% e del solare fotovoltaico su scala industriale del 7%.

I costi di generazione di energia rinnovabile sono diminuiti drasticamente nell'ultimo decennio, grazie anche a tecnologie in costante miglioramento ed alle economie di scala. I costi per l'elettricità da fotovoltaico su scala industriale sono diminuiti dell'85% tra il 2010 e il 2020. Il costo dell'elettricità da energia solare ed eolica è sceso, a livelli però molto bassi.

Dal 2010, a livello globale, è stato aggiunto un totale cumulativo di 644 GW di capacità di generazione di energia rinnovabile con costi stimati inferiori rispetto all'opzione più economica di combustibili fossili in ogni rispettivo anno. Nelle economie emergenti, i 534 GW aggiunti a costi inferiori ai combustibili fossili ridurranno i costi di generazione dell'elettricità fino a 32 miliardi di dollari quest'anno.

I nuovi progetti solari ed eolici stanno minando sempre di più anche le centrali elettriche a carbone più economiche e meno sostenibili. L'analisi Irena suggerisce che 800 GW di capacità esistente a carbone hanno costi operativi superiori rispetto al nuovo solare fotovoltaico su larga scala e all'eolico onshore. La sostituzione di questi impianti a carbone ridurrebbe i costi annuali di 32 miliardi di dollari all'anno e ridurrebbe le emissioni annuali di CO2 di circa 3 Gigatonnellate.

Ma come mai nonostante questi vantaggi provenienti dall'implementazione delle rinnovabili non si osserva un trend ci crescita più incisivo?

Il rapporto sulle rinnovabili REN21 rileva come nel 2020 ci sia stata un'ondata di impegni più forti per contrastare la crisi climatica; invece di guidare però la trasformazione anche verso l'energia rinnovabile, i piani di risanamento avrrebbero portato ad investimenti sei volte superiori sui combustibili fossili rispetto alle energie rinnovabili, nonostante tutte le promesse fatte durante la crisi indotta da Covid-19.

La maggior parte dei governi non ha quindi sfruttato l'opportunità unica offerta dalla pandemia per condurre una trasformazione e ridurre ulteriormente l'inquinamento da carbonio, abbattendo la resistenza degli operatori storici dei combustibili fossili.

Gli autori del rapporto suggeriscono un modo per accelerare il passaggio alle energie rinnovabili, ovvero rendere tali energie un indicatore chiave di prestazione per i processi decisionali sia pubblici che privati verso gli obiettivi climatici ed energetici, consentendo alle persone di misurare i progressi e garantire il coinvolgimento a livello globale, nazionale, regionale e locale, in qualsiasi settore economico.

Per approfondimenti leggi
Renewables Global Status Report
Renewable power generation costs in 2020

fonte: www.arpat.toscana.it


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Emergenza climatica, rinnovabili e paesaggio: tutte le contraddizioni da affrontare

Le preoccupazioni sull’alterazione dei territori in Italia con l’inserimento delle rinnovabili. Un delicato equilibrio tra la preservazione della bellezza del paesaggio e gli interventi volti a limitare i rischi della crisi climatica che colpisce gli stessi territori.



Parlare di cambiamenti climatici e di paesaggio obbliga ad una doppia lettura.

L’emergenza climatica sta infatti aggredendo i territori, in alcuni casi in modo evidente e progressivamente più drammatico.

Tutti ricordiamo le decine di milioni di alberi abbattuti dalla tempesta Vaia nel Nord-est italiano, i disastri legati alla forza devastante di uragani e cicloni, gli incendi che hanno distrutto migliaia di chilometri quadrati di foreste in California, in Australia, in Brasile, in Siberia, in Congo… con la natura ferita e milioni di animali bruciati vivi; le coste erose dall’innalzamento del livello degli oceani e dei mari, la desertificazione che avanza, la Groenlandia e l’Antartide che si sgretolano….

Si deve dunque intervenire, e rapidamente!

D’altra parte, alcune azioni per ridurre le emissioni e affrontare la sfida climatica possono comportare un’alterazione dei paesaggi.

Si tratta di modifiche che si aggiungono a quelle apportate dall’uomo con l’abusivismo, le cave, le discariche illegali di rifiuti, le raffinerie e le acciaierie sulle coste e con la costante sottrazione di spazio alla natura.

Proprio questo modello di sviluppo comporta anche una impressionante crescita delle emissioni climalteranti.

Non stupisce quindi la sollecitazione di coloro che propongono la rivisitazione di un modello non più sostenibile.

Resta il fatto che occorre agire da subito sul fronte climatico. Gli accordi internazionali, come quello di Parigi del 2015, rappresentano un risultato importante. Ma poi servono urgentemente soluzioni da attivare per contenere le emissioni.

Fra queste, diviene sempre più importante il contributo delle fonti rinnovabili. Certo, in un contesto di maggiore efficienza che include anche cambiamenti degli stili di vita.

Naturalmente l’installazione di impianti solari ed eolici può comportare un’alterazione del paesaggio e il loro inserimento va dunque pianificato con attenzione, cosa che non sempre è stata fatta in passato. Vanno inoltre coinvolte le comunità locali, e anche questo non sempre è avvenuto.

Per quanto riguarda il paesaggio, le reazioni dal punto di vista estetico variano molto in relazione alle diverse sensibilità.

Nel “sorriso di Angelica” di Andrea Camilleri, ad esempio, si legge:

“… un mari di bocche di lioni supra al quali, a ‘ntervalli regolari, si slanciavano altissime pale eoliche. Livia ne ristò affatata. Certo che avete dei paesaggi…”.

Ma nella società ci sono anche posizioni di netta chiusura.

Resta il fatto che, per arrivare alla neutralità climatica entro il 2050, obiettivo dell’Italia e degli altri paesi europei, il contributo delle rinnovabili dovrà crescere notevolmente.

Concentriamoci sul solare, che in Italia rappresenterà la tecnologia regina del sistema energetico sul lungo periodo.

Sono state effettuate diverse valutazioni sul potenziale legato alla parziale occupazione delle superfici degli edifici.

In un recente documento di Eurach si è stimata la potenza installabile utilizzando il 2,5% dell’area occupata dalle diverse tipologie di edifici. Si arriverebbe a 45 GW, poco sotto i 52 GW previsti dal Piano nazionale energia clima del governo al 2030 (A Strategic Plan for Research and Innovation to Relaunch the Italian Photovoltaic Sector).

Un Piano, che però andrà rapidamente rivisto per adeguarsi alla decisione della UE di portare l’obiettivo di riduzione dei gas climalteranti al 2030 dal -40% rispetto ai valori del 1990 al -55%.

In questo nuovo quadro, secondo Elettricità Futura che raccoglie i vari produttori elettrici del paese, il 70% dei consumi elettrici lordi dovrà essere soddisfatto da energie rinnovabili (oggi siamo al 36-38%).

Il Ministro Cingolani ha parlato di una quota pari al 72%. È dunque probabile che la potenza fotovoltaica al 2030 dovrà arrivare a valori attorno ai 70 GW (oggi siamo a 21 GW).

Ma, soprattutto, va ricordato che per il 2050 la strategia di lungo termine del Governo (pdf) prevede una potenza solare di 240 GW, oltre dieci volte superiore all’attuale.

Aumenteranno quindi notevolmente le installazioni decentrate, oggi oltre 800.000, anche grazie alla diffusione delle Comunità energetiche. Troveremo nuove soluzioni, magari si diffonderanno le vetrate solari, i moduli solari flessibili… Ma non c’è dubbio che dovremo installare anche molti impianti fotovoltaici a terra.

Di che superficie parliamo? Considerando un utilizzo delle superfici degli edifici quadruplo rispetto a quello considerato dallo studio Eurach, a metà secolo il mix di centrali solari convenzionali e agrovoltaiche occuperebbe una superficie pari a quella di un quadrato di una cinquantina di chilometri di lato, naturalmente grazie ad una molteplicità di interventi opportunamente distribuiti sui territori.

Parliamo di un’area inferiore al 2% dei 3,5 milioni di ettari della superficie agricola inattiva nel paese.

Le contraddizioni su paesaggio e lotta climatica

Partiamo dalla preoccupazione sull’alterazione del paesaggio perché consente di riflettere sulla necessità di affrontare un tema, quello dell’inserimento delle rinnovabili, che diventerà la principale, anche se non l’unica, criticità da affrontare nel processo di decarbonizzazione dei prossimi anni e decenni.

E consideriamo due casi emblematici delle contraddizioni che emergono.

Il Club Alpino Italiano (Cai) ha preso posizione contro la proposta di inserire nel Piano nazionale di recupero e resilienza la realizzazione di 1.000 piccoli invasi sulle zone di montagna e di alta collina, vista invece di buon occhio da Coldiretti.

I laghetti dovrebbero infatti servire come riserva d’acqua per l’agricoltura e contribuirebbero a ridurre il rischio di alluvioni. Inoltre, l’abbinamento tra laghetti a quote diverse consentirebbe di creare sistemi di pompaggio utili alla gestione della rete elettrica in presenza della futura larga diffusione di solare ed eolico.

Ma questa opposizione viene dallo stesso Cai che più volte ha lanciato l’allarme sulla progressiva scomparsa dei ghiacciai. In effetti, negli ultimi 50 anni la loro riduzione nelle Alpi è stata pari al 35-40%, con preoccupanti implicazioni.

Diceva Herman Hesse che “le lacrime sono il frutto del ghiaccio dell’anima che si scioglie“.

In tutto l’arco alpino nei mesi tra novembre e maggio, sotto i 2000 metri, dove cinquant’anni fa lo spessore medio della neve era di 1 metro oggi si misurano 60 cm e si è perso un mese di innevamento.

Ghiacci, neve, rocce che si frantumano sono solo alcuni degli impatti del cambiamento climatico sul paesaggio alpino…

Ma anche gli agricoltori stanno subendo gravi conseguenze dal riscaldamento globale. Coldiretti, ad esempio, ha più volte richiesto negli ultimi anni lo stato di calamità naturale per zone colpite da siccità, alluvioni, incendi…

La stessa associazione ha però finora contestato la realizzazione di grandi impianti fotovoltaici a terra.

Gli amanti della montagna e gli agricoltori sono, insomma, degli attenti sensori dei cambiamenti del clima in atto. Ma al tempo stesso si oppongono ad alcune importanti misure volte ad evitare un’evoluzione catastrofica del riscaldamento globale.

Questi due esempi illustrano il delicato equilibrio tra la preservazione della bellezza e della ricchezza del paesaggio e gli interventi volti a limitare i rischi dell’emergenza climatica.

Naturalmente andranno trovate soluzioni attente anche per aumentare il consenso sociale, decisivo per raggiungere obiettivi così ambiziosi.

E vanno definite con chiarezza aree di esclusione e limitazioni alla taglia delle centrali solari.

Significativamente, si iniziano a considerare opzioni nuove, come l’agrivoltaico che consiste nell’istallazione dei moduli ad un’altezza e ad una interdistanza tale da consentire di coltivare, in alcuni casi migliorando la qualità dei prodotti grazie all’ombreggiamento. Un risultato che si è apprezzato in alcune sperimentazioni su vigneti nella Francia meridionale. In un futuro che vedrà giornate sempre più calde, soluzioni come questa potrebbero essere apprezzate.

Si dirà, che questi interventi, se possono essere considerate validi perché consentono di mantenere o di incrementare i posti di lavoro agricoli, alterano comunque il paesaggio.

Ma va ricordato che il paesaggio si è sempre evoluto ed è la risultanza tra l’azione dell’uomo e la natura. Come dice il filosofo Rosario Assunto: “… il paesaggio è natura nella quale la civiltà rispecchia sé stessa”.

E, di fronte ai rischi gravissimi dell’emergenza climatica, bisogna rapidamente attrezzarsi.

È significativo che le tre più importanti associazioni ambientaliste, Legambiente, Wwf e Greenpeace stiano convergendo sulla necessità di accelerare la diffusione delle rinnovabili. Rilevante, ad esempio, l’ultimo documento comune sul parco eolico off-shore al largo delle coste della Sicilia.

Considerato che nei prossimi anni e decenni si dovranno installare molti impianti green in Italia, in Europa e nel resto del mondo, occorrerà pervenire ad una posizione equilibrata, per quanto possibile condivisa, sul loro inserimento nel territorio.

fonte: www.qualenergia.it



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Chi saprà guidare la battaglia per il clima?

Oggi nessun paese ha la forza politico-economica di guidare l’agenda internazionale verso obiettivi comuni. Cambiamenti climatici e rischi geopolitici del 2021 nel rapporto di Eurasia Group.



La lotta contro il cambiamento climatico porterà verso una maggiore cooperazione tra governi, o sarà un nuovo terreno di scontro e competizione?

Al netto della pandemia, il clima figura tra i principali rischi geopolitici del 2021 secondo il rapporto annuale Top Risks (allegato in basso) elaborato da Eurasia Group, la società di consulenza fondata e presieduta dal politologo americano Ian Bremmer.

Il 2020 intanto si è chiuso come l’anno più caldo della storia insieme con il 2016, afferma il Copernicus Climate Change Service (C3S): si è registrato un incremento della temperatura media di circa 1,25 gradi a livello globale in confronto al periodo preindustriale (1850-1900) e di 0,6 gradi in confronto al 1981-2010.

Nell’Artico e in Siberia ci sono state deviazioni delle temperature annuali molto consistenti: fino a +6 gradi rispetto alla media in alcune zone della Siberia settentrionale, mentre la concentrazione di anidride carbonica è continuata a salire, nonostante il temporaneo calo delle emissioni durante il lockdown.

Il 2020 è stato l’anno, scrive Eurasia Group, in cui si sono moltiplicati gli annunci net-zero di vari paesi: Unione europea, Cina, Corea del Sud, Giappone, si sono impegnati ad azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro metà secolo (2060 per la Cina).

Ecco perché la società di consulenza parla delle complesse relazioni tra obiettivi net-zero e scenario “G-Zero”, dove G-Zero è la teoria del vuoto politico (sostenuta da Bremmer) in cui nessun paese ha la forza politico-economica di guidare l’agenda internazionale verso obiettivi comuni. G-Zero è anche un modo per dire che i gruppi tradizionali di potere industriale e finanziario, come il G7, sono ormai obsoleti.

L’impegno climatico potrebbe cambiare questa situazione di vuoto, grazie anche al nuovo presidente americano, Joe Biden, il cui insediamento alla Casa Bianca avverrà il 20 gennaio, al termine del mandato di Trump.

Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti torneranno dentro l’accordo di Parigi sul clima e ha puntato la sua campagna elettorale su una maxi ondata di investimenti nelle energie rinnovabili.

Tuttavia, afferma Eurasia Group, c’è il rischio di sovrastimare la nuova era di cooperazione globale sul clima, perché i nuovi piani su energia e clima potrebbero essere meno coordinati ed efficaci di quanto si creda oggi.

La transizione energetica, si legge nel rapporto, sarà dominata dalla competizione e da una mancanza di coordinamento internazionale, con il rischio di accentuare le fratture tra stati e governi.

Definire politiche globali sul clima, come una carbon tax, è sempre stato difficile, tanto per usare un eufemismo.

E un’analisi di Carbon Brief evidenzia che solamente 45 Paesi, alla scadenza fissata dalle Nazioni Unite in base all’accordo di Parigi (il 2020), hanno trasmesso i rispettivi piani con impegni rafforzati per ridurre le emissioni inquinanti.

Troppo poco, anche perché mancano all’appello colossi come Cina, India, Stati Uniti.

Il rischio allora è che gli annunci net-zero per il 2050 restino annunci vuoti, o solo in parte riempiti con gli investimenti necessari per realizzare un’economia a zero emissioni.

Greta Thunberg, su Twitter, con riferimento alla recente decisione del governo inglese di non intervenire contro il progetto di aprire una nuova miniera di carbone, West Cumbria Mining (il carbone servirà per la produzione di acciaio), ha scritto (traduzione nostra dall’inglese, in corsivo): “Questo mostra il vero significato del cosiddetto ‘net zero nel 2050’. Questi obiettivi vaghi, insufficienti e proiettati nel futuro, fondamentalmente non significano nulla oggi”.

A dicembre, in due distinti rapporti, il programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep, United Nations Environment Programme) ha evidenziato l’enorme divario tra “dove si sta andando” e “dove si dovrebbe andare” in tema di cambiamenti climatici.

In sostanza, scriveva l’Unep, l’attuale modello di sviluppo economico-energetico è totalmente incompatibile con gli obiettivi per il clima al 2030 e 2050, perché i governi stanno pianificando di incrementare la produzione di carbone, petrolio e gas del 2% l’anno in media da qui al 2030, anziché ridurla.

Quindi le azioni dei governi su scala mondiale contraddicono gli annunci di obiettivi net-zero per azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro metà secolo.

Inoltre, come spiegava già Luca Mercalli in questa intervista a QualEnergia.it dello scorso maggio, il calo annuale della CO2, se rimarrà circoscritto al 2020 (circa -7% sul 2019 “grazie” agli effetti del lockdown), avrà una conseguenza trascurabile sulla tendenza del clima di lungo periodo.

Ecco perché diventa fondamentale utilizzare i piani di ripresa economica per investire nella transizione “verde”: fonti rinnovabili, efficienza energetica, tutela degli ecosistemi, auto elettriche, in modo da ridurre velocemente e costantemente le emissioni di CO2.

fonte: www.qualenergia.it


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La Spagna propone una legge per azzerare le emissioni entro il 2050

Il disegno di legge è stato appena trasmesso dal governo al parlamento. Si punta alla neutralità climatica e al 100% di rinnovabili nel mix elettrico per metà secolo.




















Il governo spagnolo ha appena varato un progetto di legge per portare il paese alla neutralità climatica entro il 2050: un obiettivo molto ambizioso che la stessa Commissione europea ha posto al centro del Green Deal per trasformare il mix energetico degli Stati membri e ridurre gradualmente l’uso di fonti fossili.
È il proyecto de Ley de Cambio Climático y Transición Energetica riassunto nell’acronimo PLCCTE.
Su proposta del ministero della Transizione ecologica, guidato da Teresa Ribera, il Consiglio dei Ministri spagnolo ha trasmesso la proposta di legge al parlamento nella giornata di ieri, martedì 19 maggio 2020.
La Spagna punta così ad azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro la metà di questo secolo; per sviluppare un’economia completamente de-carbonizzata, cioè capace di rinunciare ai combustibili fossili, il paese dovrà innanzi tutto costruire un sistema elettrico con il 100% di fonti rinnovabili.
Difatti, spiega una nota governativa, si prevede di raggiungere gli obiettivi della nuova proposta di legge attraverso le misure inserite nei Piani nazionali per l’energia e il clima (PNIEC): il primo di questi piani copre il periodo 2021-2030 ed è stato presentato nella sua versione definitiva lo scorso gennaio dal governo Sánchez-bis, poche settimane dopo l’accordo politico tra socialisti e Unidas Podemos per formare il primo esecutivo tutto di sinistra della storia spagnola.
Tra le indicazioni più importanti del PNIEC spagnolo al 2030, riprese nella nota che illustra i contenuti del disegno di legge sulla neutralità climatica, troviamo:
  • 74% di fonti rinnovabili nel mix elettrico;
  • 23% di riduzione delle emissioni di CO2 rispetto al 1990;
  • 42% di fonti rinnovabili nei consumi energetici finali;
  • 39,5% di riduzione dei consumi energetici primari grazie a misure di efficienza.
Va precisato però che la proposta di legge al 2050 fissa obiettivi per il 2030 che sono leggermente più bassi in confronto a quelli stabiliti nel PNIEC, specificando però che tali obiettivi potranno essere rivisti solamente al rialzo; ad esempio, si parla di ridurre “almeno del 20%” le emissioni di CO2 in confronto ai livelli del 1990 e di portare le rinnovabili “almeno al 70%” del mix elettrico.
Nel disegno di legge ci sono vari capitoli dedicati allo sviluppo delle rinnovabili elettriche tramite aste, alla diffusione di veicoli a zero emissioni (e dei punti per la ricarica), alla riqualificazione energetica degli edifici, al divieto di nuove autorizzazioni per la ricerca e l’estrazione di petrolio e gas sul territorio nazionale, compreso il fracking.
fonte: www.qualenergia.it




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“Ormai è tardi: sfida poveri-ricchi per le regioni con un clima sano”

Il summit Cop25 - Dati dell’Onu sempre più allarmanti. Il climatologo Mercalli: “Anche arrivando a emissioni zero avremo conseguenze gravi”





Quasi mezzo milione di vittime e danni per 3,5 miliardi di dollari. È il bilancio degli oltre 12mila eventi meteorologici estremi (cicloni, siccità, ondate di calore) che hanno colpito il pianeta tra il 1999 e il 2018, secondo i numeri del Climate Risk Index presentato alla Cop25 di Madrid dalla ong tedesca Germanwatch. E le catastrofi ambientali non sono più un’esclusiva del Sud del mondo: in cima alla lista dei Paesi più colpiti nel 2018, dice il rapporto, ci sono Giappone e Germania. L’Italia, invece, è al sesto posto per numero di morti nell’ultimo decennio. “Il cambiamento climatico presto sarà un’ emergenza sociale visibile a chiunque”, dice al Fatto Luca Mercalli, climatologo e docente, il più noto divulgatore italiano su questo tema.

Dottor Mercalli, siamo ancora in tempo?

Il processo ormai è irreversibile. Se arriviamo allo zero netto di emissioni entro il 2050, come ha chiesto la Commissione Ue, possiamo evitare la catastrofe. Ma anche riuscissimo a mantenere il riscaldamento globale sotto i 2 gradi, vedremo comunque effetti molto pesanti nei prossimi decenni.

Per esempio?
Le migrazioni. Avremo una fuga di massa dai Paesi caldi dove vivere sarà diventato impossibile. Al contrario ci saranno isole per ricchi, zone con temperature ancora accettabile dove si farà a gara per stabilirsi. In Italia, ad esempio, immagino una fuga dalle grandi città verso i borghi dell’Appennino. E poi nuove forme di sfruttamento: i privilegiati che lavorano in ufficio se la caveranno con i condizionatori. Ma chi accetterà di lavorare all’aria aperta? I disperati, chi non può permettersi altro. Saranno gli schiavi del prossimo futuro.

Come valuta i primi giorni della Conferenza Onu sul clima a Madrid?

Le prime giornate sono sempre uguali: appelli ogni volta più allarmati, che condivido al 100%. Ma di appelli ne ascoltiamo da trent’anni e restiamo sempre in questo stato d’inerzia estenuante.

Ci sono Stati più responsabili di altri?


Gli Usa di Trump, che ha scelto di uscire dagli accordi di Parigi comunicando un pericoloso messaggio di negazione. E poi Cina, India e gli Stati del sud-est asiatico, tra i più restii a limitare le emissioni.

Non è comprensibile, visto che i Paesi occidentali hanno inquinato per anni senza limitazioni?

Se siamo tutti su un aereo che precipita è inutile stare a litigare. I governi dei Paesi in via di sviluppo sanno bene che gli effetti del riscaldamento globale sarebbero devastanti anche per loro. Cercano di negoziare in modo da non uscirne “cornuti e mazziati”, e d’altra parte è a questo che servono le Cop.

Il Global Risk Index propone uno strumento finanziario specifico dell’Onu per i danni climatici, una specie di assicurazione.

Può certamente aiutare, ma solo fino a un certo punto. Con la frequenza che hanno assunto gli eventi estremi negli ultimi anni, alcuni Paesi rischiano di non risollevarsi più. Si creano effetti a lungo termine sull’economia e anche sulla psicologia delle persone. Prenda Venezia: un’acqua alta al mese è accettabile, due o tre lo sono meno, quando diventano quattro o cinque allora te ne vai. Nel resto del mondo è lo stesso.


fonte: www.ilfattoquotidiano.it

La Svizzera annuncia l’obiettivo zero emissioni per il 2050

L’annuncio pubblicato dal Consiglio federale della Confederazione svizzera: sfruttando tecnologie già disponibili e risorse rinnovabili possibile tagliare del 95% le emissioni in alcuni settori chiave

















Il Consiglio federale della Confederazione svizzera ha annunciato l’approvazione di un programma per raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050: il Paese elvetico diventa così il quarto Stato europeo dopo Francia, Regno Unito e Svezia, a fissare l’obiettivo di neutralità climatica entro metà secolo.

Secondo quanto riportato nel comunicato stampa del Consiglio federale svizzero, la stesura del programma sarebbe stata avviata in risposta al report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change dello scorso ottobre secondo cui erano necessarie azioni più incisive per limitare il riscaldamento globale entro gli 1,5°C, così come fissato dall’Accordo di Parigi.

“Dobbiamo tagliare le nostre emissioni di gas serra in maniera più rapida e incisiva– ha commentato il Ministro dell’Ambiente svizzero, Simonetta Sommaruga – In quanto nazione innovativa, la Svizzera è nelle migliori condizioni per raggiungere questo obiettivo”.

Nel 2016, la Confederazione elvetica aveva fissato l’obiettivo di ridurre del 70-85% rispetto ai valori registrati nel 1990, le proprie emissioni di carbonio entro il 2050. Gli allarmanti report dell’IPCC hanno però indotto il Governo svizzero ad alzare l’asticella e puntare alla neutralità di carbonio per la stessa data.
Una scelta che lo stesso Consiglio federale collega anche all’imminente summit sul clima delle Nazioni Unite che si terrà a New York il prossimo 23 settembre: un’occasione in cui, come sottolineato dal Segretario ONU, Antonio Guterres, solo i rappresentati di nazioni che abbiano manifestato l’intenzione a mettere in atto programmi ambiziosi di contrasto al cambiamento climatico saranno invitati a intervenire davanti all’assemblea plenaria.

D’altra parte, la Svizzera è uno degli Stati europei in cui la crisi climatica sta agendo con maggiore evidenza: nel documento presentato dal Consiglio federale si legge che le temperature stanno aumentando a un ritmo doppio in Svizzera rispetto alla media globale.

Il programma elvetico prevede di tagliare il 95% delle emissioni in settori come trasporti, edilizia e industria sfruttando tecnologie già attualmente disponibili e utilizzando risorse rinnovabili: “C’è anche il potenziale di ridurre i gas serra, in particolare metano e protossido di azoto prodotti dall’agricoltura – si legge nel comunicato della Confederazione svizzera –  Inoltre, la riduzione delle emissioni prodotte in altri Paesi farà parte della strategia”.
Un ruolo importante è affidato anche ai pozzi naturali di CO2, come foreste e terreni umidi, che dovranno essere tutelati ed estesi il più possibile secondo quanto annunciato dal Consiglio federale svizzero. Allo stesso tempo, il programma guarda con fiducia alle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2, un settore in cui la Svizzera sta portando avanti progetti all’avanguardia: solo pochi mesi fa, ad esempio, è stato avviato il primo esperimento mondiale di stoccaggio di CO2 in un sito sotterraneo nei pressi di un centro abitato.

fonte: www.rinnovabili.it

L’Europa vuole un “impatto climatico zero” nel 2050

Presentata la strategia per azzerare o quasi le emissioni inquinanti entro metà secolo.


















Sviluppare un’economia europea “a impatto climatico zero” è l’ambizioso traguardo della strategia 2050 appena presentata dalla Commissione Ue.
Il documento è stato preceduto, in queste settimane, dalle richieste di alcuni Stati membri e poi di alcune multinazionali che hanno sollecitato Bruxelles a includere almeno uno scenario per l’azzeramento totale delle emissioni inquinanti nei prossimi decenni.
Non sarà facile: l’Europa al momento non è ancora in linea per centrare i nuovi obiettivi su rinnovabili, emissioni ed efficienza energetica al 2030, come evidenziano le ultime proiezioni dell’agenzia europea per l’ambiente.
Così la strategia, spiega una nota della Commissione (testi allegati in basso) comprende diversi possibili percorsi compatibili con gli obiettivi fissati dagli accordi di Parigi nel 2015: limitare l’aumento medio delle temperature “ben sotto” 2 gradi centigradi entro la fine di questo secolo (vedi anche QualEnergia.it con il rapporto pubblicato oggi dall’Unep).
Scenari che, ci tiene a precisare Bruxelles, non sono previsioni sul futuro ma evidenziano quello che potrebbe succedere – “what if-scenarios” – con determinate combinazioni di politiche per l’energia, l’ambiente e il clima.
Al centro della strategia c’è la riduzione delle emissioni di gas-serra: si va dal -80% nel 2050 in confronto ai livelli registrati nel 1990, a quel bilancio netto pari a zero (net zero emissions) che prevede di rimuovere dall’atmosfera una certa quantità di anidride carbonica, in modo da compensare l’inquinamento residuo delle attività umane.
In particolare, i diversi scenari convergono su un punto: la maggior parte dell’elettricità in Europa nel 2050 dovrà essere prodotta con fonti rinnovabili (nel memo si parla dell’80%), con uno sforzo enorme per trasformare l’attuale mix energetico ancora ampiamente costituito da combustibili fossili.
L’elettrificazione giocherà un ruolo fondamentale nei trasporti, negli edifici (soprattutto per la climatizzazione estiva/invernale) e nei processi industriali.
Quasi tutte le nostre case, chiarisce la Commissione nel suo memo, dovranno utilizzare energia rinnovabile per il riscaldamento, tra cui anche biogas e idrogeno o metano prodotti con elettricità “verde” (vedi anche QualEnergia.it).
E ora arriva la parte forse più difficile: aprire il dibattito istituzionale, coinvolgendo il Consiglio – proprio il Consiglio, lo scorso marzo, aveva invitato la Commissione a definire un piano climatico con orizzonte al 2050 – e il Parlamento, per passare dalla visione complessiva a misure concrete, lungimiranti, realizzabili dai vari Stati membri.
Vedremo già nelle prossime settimane quali saranno le reazioni dei diversi paesi, partendo dal vertice Onu sul clima che inaugurerà lunedì prossimo, 3 dicembre.
fonte: www.qualenergia.it