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Spagna, il carbone non conviene da oggi fuochi spenti in sette centrali

Clima. Il paese verso le fonti rinnovabili. La decisione non è una conversione ecologista. Le aziende: problema di mercato





A più di sei mesi dalla conferenza Cop25 sul clima tenutasi nel dicembre 2019 a Madrid, la Spagna fa un balzo in avanti nella riduzione delle emissioni di gas serra. Da oggi chiudono ben sette centrali termiche a carbone, quasi la metà delle 15 attive nel paese.

La rapida chiusura delle centrali termiche a carbone è stata richiesta dalle compagnie gestitrici, e non è stata una decisione del governo. A motivarla, un insieme di motivi economici e nuove politiche comunitarie. Le normative europee richiedono infatti un costoso ammodernamento degli impianti a carbone per renderli meno inquinanti, e a questo si aggiunge l’innalzamento dei costi per le aziende che emettono Co2, nell’ambito del sistema europeo Ets per lo scambio delle quote di emissione. Dal 2018 è aumentato fortemente il prezzo della Co2 nel mercato comunitario, fino a sfiorare il record di 30 euro per tonnellata nel 2019, e questo ha reso non più redditizio per le grandi compagnie pagare questa elevata tassa indiretta sulle proprie emissioni di anidride carbonica.

Ha influito su queste chiusure anche l’abbassamento del prezzo del gas, in un paese come la Spagna dove le molte centrali a ciclo combinato che usano questo combustibile (con minori emissioni del carbone) rendono fattibile l’addio rapido al carbone. C’entra poi anche il fatto che le energie rinnovabili sono sempre più convenienti, un processo che va avanti da anni. La compagnia Endesa ha parlato di «profonde modifiche nel mercato», per motivare la decisione di chiusure generalizzate e la stessa decisione di chiudere è stata presa dalle altre compagnie, come Iberdrola. Nei prossimi mesi altre centrali chiuderanno e si ipotizza che non ce ne saranno più di attive entro il 2025. I media spagnoli hanno sottolineato la rapidità con cui sono avvenute queste chiusure.

Ora si apre il problema del lavoro. Secondo quanto riporta il giornale El País sono 2400 le persone impiegate nelle centrali in fase di chiusura, compreso l’indotto. Si pensa alla riconversione delle centrali termiche, come quanto proposto per quella di Teruel, dove dovrebbe sorgere un parco solare da 50 MW. Ed è proprio la riconversione in parchi rinnovabili una speranza di futuro per i lavoratori impiegati in queste aree. Al riguardo il governo Sánchez ha chiesto alle compagnie di presentare progetti di riconversione che diano impiego.

Questi giorni sono arrivate altre notizie incoraggianti sul fronte delle riduzioni delle emissioni di anidride carbonica e altri gas serra. Il ministero per la Transizione Ecologica, dicastero istituito nel giugno del 2018 dal primo governo Sánchez, ha approvato un decreto-legge con misure urgenti per facilitare l’istallazione su larga scala di energie rinnovabili, spingendo verso un sistema elettrico al 100% elettrico.

A gennaio, ne avevamo parlato sul manifesto, era stato annunciato dallo stesso governo un grande piano verde per il 2020, nel giorno in cui veniva dichiarato lo stato di emergenza climatica. La Spagna aveva appena ospitato la Cop25 di Madrid, e come nel resto d’Europa si era sviluppato il movimento Fridays for Future, che il 6 dicembre 2019 aveva portato in piazza a Madrid centinaia di migliaia di persone insieme all’attivista svedese Greta Thunberg, chiedendo misure coraggiose per far fronte alla crisi climatica. Poi la crisi del coronavirus ha portato un po’ in secondo piano quei temi.

La spinta dei movimenti per il clima degli ultimi mesi intanto non si è ancora tradotta in un maggior appoggio per i partiti politici verdi del paese, assai minoritari. Proprio ieri nella vicina Francia c’è stata l’importante affermazione dei verdi nelle elezioni amministrative, ma in Spagna l’unico partito verde a livello nazionale è Equo, che finora ha ottenuto risultati poco incoraggianti. Fino al 2019 questo piccolo partito si è presentato alle elezioni dentro la lista Unidos Podemos, ma alle elezioni generali del 10 novembre 2019 ha deciso di confluire nel nuovo partito nato da una scissione di Podemos, Màs Paìs, che non fa parte dell’attuale governo. Alle elezioni regionali del 12 luglio nei Paesi Baschi e in Galizia, Equo correrà nuovamente da solo.

fonte: https://ilmanifesto.it


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I finanziamenti mancati per i Paesi più colpiti dai cambiamenti climatici

I Paesi riuniti alla COP25 di Madrid hanno rimandato decisioni importanti sui meccanismi di “loss and damage”, ovvero i danni e le perdite causati dagli eventi estremi legati ai cambiamenti climatici. “La nostra gente sta già soffrendo”, denuncia il rappresentante dei Paesi in via di sviluppo di fronte all’inazione dei principali responsabili delle emissioni di gas climalteranti

© Nikolas Noonan - Unsplash


La conferenza Onu sui cambiamenti climatici (COP25) non sarà ricordata come l’occasione in cui i Paesi industrializzati avranno fatto un decisivo passo avanti verso il Sud del mondo, soprattutto per quanto riguarda le risorse economiche da mettere a disposizione per contrastare gli effetti del clima che sta cambiando.
Oltre all’assenza di reali nuove ambizioni di riduzione di emissioni di CO₂ e al mancato accordo sull’articolo 6 dell’Accordo di Parigi che deve regolare il nuovo mercato di carbonio, i Paesi riuniti a Madrid hanno rimandato alcune decisioni importanti sui meccanismi di “loss and damage”, ossia sui i danni e le perdite causati dai cambiamenti climatici. Come gli impatti di eventi meteorologici estremi o di quelli a lenta insorgenza, causati per esempio dell’innalzamento del livello del mare.

“La nostra gente sta già soffrendo per gli effetti del cambiamento climatico. Le nostre comunità in tutto il mondo sono devastate. Le emissioni globali devono essere drasticamente e urgentemente ridotte per limitare ulteriori impatti, e il sostegno finanziario deve aumentare in modo che i nostri Paesi possano affrontare meglio il cambiamento climatico e i suoi impatti”, ha commentato Sonam P. Wangdi, a capo del gruppo dei “Paesi meno sviluppati” (LDC), alla fine della sessione conclusiva della COP25.
A Madrid era programmata la revisione periodica dei meccanismi. Creati nel 2013 durante la COP16 di Varsavia proprio con lo scopo di supportare i Paesi in via di sviluppo, ogni cinque anni devono essere revisionati e aggiornati. In vista di questo appuntamento, a Madrid quei hanno chiesto che, oltre alle conoscenze, alle competenze e alle tecnologie per gestire i rischi, i Paesi sviluppati garantiscano fondi specifici dedicati solo alle perdite e ai danni, da aggiungere a quelli già previsti per il clima.

“In passato i Paesi del gruppo LDC hanno provato durante i negoziati a inserire nel testo ufficiale dei meccanismi le parole responsabilità e compensazione (liability and compensation, ndr) nella speranza di ottenere un riconoscimento legale e ufficiale del loro diritto a ottenere risarcimenti dai Paesi sviluppati, maggiormente responsabili dei cambiamenti climatici”, spiega Elisa Calliari, ricercatrice presso la London’s Global University. “Ormai non c’è possibilità che queste parole siano inserite nel testo, per questo i Paesi in via di sviluppo stanno tentando vie diverse per assicurarsi il risarcimento che chiedono”. Ma anche alla COP di Madrid il gruppo dei Paesi vulnerabili non è riuscito a ottenere risultati concreti.

Nell’ultima versione del testo non c’è alcun riferimento a nuovi fondi per “loss and damage” che devono provenire dai Paesi più industrializzati. “Il testo invita debolmente -continua Calliari- il Fondo verde per il clima a fornire le risorse economiche”. Questo fondo è stato creato durante i negoziati del 2010 per aiutare economicamente i Paesi vulnerabili ad attuare azioni di mitigazione (riduzione di emissioni inquinanti) e di adattamento ai cambiamenti del clima. Le perdite e i danni provocati da eventi legati ai cambiamenti climatici non fanno esplicitamente parte delle finalità del fondo. E per i Paesi in via di sviluppo le risorse previste non sono sufficienti a finanziare tre diversi tipi di azioni: mitigazione, adattamento, perdite e danni. Tanto più che finora sono confluiti nel fondo solo 9,8 miliardi di euro dei 100 previsti ogni anno a partire dal 2020.
Secondo Climate Action Network (CAN), una rete di più di mille associazioni che si occupano di giustizia climatica, trarre le risorse dal fondo verde significa ridurre i finanziamenti destinati a mitigazione e adattamento. Inoltre i Paesi vulnerabili denunciano che le lunghe e difficoltose procedure per accedere al fondo verde per il clima non sono adatte ad ottenere nel breve tempo le risorse per affrontare gli impatti di eventi improvvisi come tornadi, tempeste o inondazioni. Il testo finale così prevede l’istituzione di un gruppo di esperti, entro la fine del 2020, che dia assistenza tecnica ai Paesi vulnerabili anche per la parte finanziaria dei meccanismi. Non si tratta di una reale novità però: “Un gruppo di esperti dedicato al tema dei finanziamenti era già previsto nei meccanismi, semplicemente non era stato ancora realizzato”, chiarisce Elisa Calliari. Nuovo invece è il Santiago Network, una rete di organizzazioni, esperti ed enti competenti istituito su richiesta del Gruppo “G77+Cina” (il gruppo più grande di nazioni in via di sviluppo, con la partecipazione della Cina) con il compito di “prevenire, minimizzare e affrontare le perdite e i danni associati agli effetti negativi dei cambiamenti climatici”. Per Calliari, però, “non è ancora chiaro cosa questo network farà nello specifico”.

Nelle negoziazioni sul tema dei meccanismi di Varsavia (altra espressione per indicare i meccanismi di “loss and damage”) ha giocato un ruolo fondamentale l’opposizione degli Stati Uniti. Da sempre il Paese guidato oggi da Donald Trump si è opposto a riconoscere i danni e le perdite provocati dai cambiamenti climatici come responsabilità dei Paesi ricchi. Durante le ultime negoziazioni, però, gli USA hanno tentato di spostare la gestione dei meccanismi di Varsavia (WIM) sotto l’Accordo di Parigi, da cui usciranno entro un anno, per sottrarlo dalle competenze della COP di cui invece continueranno a far parte. Lo ha denunciato anche il rappresentante di Tuvalu, Ian Fry, durante la sessione conclusiva della COP25: “Nel corso delle consultazioni delle ultime due settimane, una parte ha insistito affinché il WIM operi esclusivamente nel quadro dell’Accordo di Parigi. Ironicamente o strategicamente, questa parte non sarà più parte dell’Accordo tra 12 mesi. Questo significa che (gli USA, ndr) se ne laverà le mani rispetto a qualsiasi azione per assistere i Paesi colpiti dagli impatti dei cambiamenti climatici”. Il diplomatico dell’isola del Pacifico ha definito l’atteggiamento degli USA una farsa e insieme una tragedia per i Paesi in via di sviluppo.
“II passaggio di fase cui andiamo incontro richiederebbe solidarietà e cooperazione a scala globale -ha commentato a Madrid Francesco Paniè, attivista dell’associazione italiana Terra! Onlus-. Ma, mentre il Pianeta brucia, i Paesi industrializzati continuano a difendere sterili rendite di posizione. Un atteggiamento inaccettabile perché l’attuale situazione climatica mondiale richiede azioni concrete nell’immediato”.

La decisione sulla gestione del WIM è stata rimandata alla prossima COP, segnando una parziale vittoria per gli Stati Uniti che si sono anche assicurati che non ci siano ulteriori finanziamenti per i danni e per le perdite. “Si può dire che le negoziazioni sull’aspetto economico legato ai danni e alle perdite siano iniziati sostanzialmente con questa COP, per questo era molto difficile aspettarsi risultati migliori. I lavori su questo punto erano troppo indietro -conclude Calliari-. Quello fatto a Madrid è il primo vero passo verso negoziazioni che che avverranno solo da qui ai prossimi anni”.

fonte: https://altreconomia.it

Cambiamenti climatici: UE fissa Carbon Neutrality al 2050

L'Unione Europea fissa al 2050 il tempo limite per raggiungere la propria Carbon Neutrality: commento positivo del WWF, che chiede di anticipare al 2040.




L’Unione Europea ha approvato i nuovi obiettivi in termini di lotta ai cambiamenti climatici. Secondo quanto stabilito dall’UE il nuovo target per il raggiungimento della “Carbon Neutrality” è fissato per il 2050, anziché la prevista riduzione di CO2 emessa dell’80%. Dalle istituzioni comunitarie anche la richiesta, in occasione della COP25 di Madrid, di fissare (entro la COP26 in programma a Glasgow) traguardi più ambiziosi per il periodo 2020-2030 e in linea con la “neutralità” entro 30 anni.

All’interno dell’Unione Europea soltanto la Polonia non si è dimostrata in grado di impegnarsi sul fronte di una più ambiziosa lotta ai cambiamenti climatici e le discussioni in merito sono state rimandate, limitatamente allo Stato polacco, a giugno 2020. Ungheria e Repubblica Ceca hanno accolto con soddisfazione la decisione della Commissione UE di creare un meccanismo “di giusta transizione”, con fondi a supporto del percorso verso la decarbonizzazione.

Decarbonizzazione che secondo il WWF dovrebbe essere anticipata, in virtù dei dati scientifici pubblicati e dell’impronta di carbonio UE, al 2040. Ha dichiarato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia WWF Italia:


Finalmente i Capi di Stato e di Governo hanno deciso sulla neutralità climatica, un obiettivo che sembra lontano nel tempo, ma che deve informare tutte le politiche europee da oggi in poi. Dobbiamo seguire una traiettoria di accelerazione dell’azione e di innalzamento degli obiettivi intermedi per mantenere l’impegno assunto questa notte. Riconosciamo il merito ai Paesi della UE che hanno sostenuto l’obiettivo di neutralità climatica, inclusa l’Italia, e alla Commissione Europea per il suo tempestivo e necessario riferimento a un imminente meccanismo di giusta transizione.

Ora dobbiamo rimboccarci le maniche e lavorare per varare una forte strategia italiana di decarbonizzazione, davvero coerente con il Green New Deal e la decisione a livello europeo, nonchè migliorare il Piano Energia Clima (PNIEC) per prepararci all’innalzamento dell’obiettivo di riduzione al 2030.

È assolutamente necessario che l’Unione Europea assuma una decisione al piu presto, a questo riguardo, impegnandosi a ridurre le emissioni del 65% entro il 2030. In questo modo si potrà anche influire nel modo giusto, vale a dire con l’esempio e non con la retorica, sulla conferenza sul Clima COP26 del prossimo anno, conferenza che peraltro vedrà l’Italia protagonista.

fonte: www.greenstyle.it

10 punti fermi dagli scienziati sul clima










Clima: nel rapporto “10 New Insights in Climate Science 2019”, presentato oggi a COP25 e consegnato alla segretaria esecutiva dell’UNFCCC Patricia Espinosa, si legge chiaramente, al primo punto, che il cambiamento climatico è più veloce e potente di quanto avessimo mai previsto: “Il ritmo dell’aumento contemporaneo delle concentrazioni di gas a effetto serra non ha precedenti nella storia del clima negli ultimi 66 milioni di anni e le concentrazioni di metano sono ora a un livello record del 257% dei livelli preindustriali. Un aumento della temperatura globale di 1,5 ° C al di sopra dei livelli preindustriali potrebbe essere raggiunto già nel 2030, anziché nel 2040 come è la proiezione media dell’IPCC”.

Il report- non certo l’unico proveniente dal mondo della ricerca presentato alla conferenza ONU sul clima – è in 10 punti chiave.

Secondo punto: non andiamo per niente bene. “Nonostante i fattori trainanti della riduzione delle emissioni, come la crescita dell’energia verde, le istituzioni che disinvestono dai combustibili fossili e alcuni paesi che eliminano gradualmente il carbone, l’industria fossile è ancora in crescita e i leader globali non si stanno ancora impegnando per i necessari tagli alle emissioni. Non siamo sulla buona strada per raggiungere l’accordo di Parigi”.

Terzo risultato del report: tutte le montagne saranno devastate con danni per tutto il pianeta. “Le montagne sono in prima linea per l’impatto dei cambiamenti climatici. I ghiacciai, la neve, il ghiaccio e il permafrost stanno diminuendo, il che influenzerà la disponibilità di acqua e aumenterà i pericoli naturali come frane e cascate, che potenzialmente colpiscono più di un miliardo di persone in tutto il mondo. Il cambiamento climatico influenzerà anche in modo irreversibile gli ecosistemi montani e la loro biodiversità, riducendo l’area dei punti di crisi della biodiversità, facendo estinguere le specie e compromettendo la capacità delle montagne di fornire servizi ecosistemici chiave. Dobbiamo riconoscere che la conoscenza locale e indigena nelle regioni montane svolge un ruolo chiave nella loro conservazione e gestione”.

Anche le foreste sono minacciate, con conseguenze globali. “Le foreste del mondo sono un importante pozzo di anidride carbonica, assorbendo circa un terzo delle emissioni antropogeniche di anidride carbonica. Gli incendi boschivi causati dall’uomo però hanno ridotto questi pozzi e il cambiamento climatico amplifica globalmente gli incendi boschivi selvatici. L’aumento degli incendi è stato osservato negli Stati Uniti occidentali e in Alaska, Canada, Russia e Australia a causa della prolungata siccità. Enormi emissioni sono state registrate dai cambiamenti nel terreno dell’Etiopia occidentale e dell’Africa tropicale occidentale. La perdita di foreste influenza sia il clima locale che quello globale. Combattere la deforestazione e incoraggiare la riforestazione, insieme alla gestione sostenibile delle foreste e altre soluzioni climatiche naturali, sono opzioni importanti per ridurre le emissioni nette”.

“Le condizioni meteorologiche estreme sono la “nuova normalità” nel 2019”, scrivono i ricercatori. Il cambiamento climatico ci sta costringendo a riconsiderare l’idea che abbiamo di un evento estremo. Ciò che una volta era considerato improbabile o raro – sia in termini di intensità che di frequenza – sta diventando parte di una “nuova normalità”. Gli eventi meteorologici e climatici estremi da record hanno continuato a dominare i titoli nel 2019, con l’impatto di eventi che vanno al di là della semplice registrazione e del danno ambientale: i costi materiali e umani sono particolarmente elevati. Sempre più le società dovranno adattarsi ad eventi “composti”, che possono amplificare in modo significativo il rischio di gravi impatti, e ad eventi “a cascata”, che non lasciano abbastanza tempo alle società di riprendersi prima che ne arrivi un altro. Gli estremi persistenti delle piogge e le ondate di calore, i modelli meteorologici insoliti dovuti al mutamento del flusso di correnti nell’emisfero settentrionale, così come i mari più caldi e più alti, influenzeranno tutte le regioni del mondo in modi diversi. Una mitigazione ambiziosa può contenere i rischi se manteniamo il riscaldamento a 1,5 ° C, ma a livello regionale verranno comunque raggiunti livelli pericolosi”.

Altra questione, la biodiversità: “la custode della resilienza della terra è minacciata”. “La biodiversità sulla terra, le barriere coralline e le popolazioni ittiche vedranno perdite tra il 14 e il 99 % a un riscaldamento da 1 a 2 ° C”, figuriamoci cosa potrebbe accadere se andassimo oltre. Inoltre, “la biodiversità è una caratteristica chiave degli ecosistemi stabili, fornendo – tra molti altri servizi all’umanità – riserve e pozzi di carbonio e proteggendo in tal modo la resilienza del sistema terrestre contro l’interruzione delle emissioni antropogeniche di carbonio. Pertanto, è urgente fermare il degrado degli ecosistemi”, continuano i ricercatori.

I cambiamenti climatici minacciano la sicurezza alimentare e la salute di centinaia di milioni di persone. “La denutrizione sarà il maggior rischio per la salute a causa dei cambiamenti climatici con il calo della produttività agricola, in particolare nelle zone aride dell’Africa e delle regioni montuose dell’Asia e del Sud America. Inoltre, l’aumento delle concentrazioni di anidride carbonica ridurrà la qualità nutrizionale della maggior parte delle colture di cereali. I cambiamenti climatici stanno già influenzando la produzione alimentare riducendo i raccolti agricoli, in particolare ai tropici, e aumenteranno perdite e danni in tutto il sistema alimentare. Gli stock ittici globali sono destinati a ridursi ulteriormente con il cambiamento climatico ed è un’ulteriore pressione sulle scorte già in calo di pesci e molluschi, importanti fonti di proteine ​​e sostanze nutritive umane”.

I più poveri e vulnerabili saranno anche i più colpiti dai cambiamenti climatici. “La mancata risposta e relativo mancato adattamento ai cambiamenti climatici avranno conseguenze disastrose per centinaia di milioni di persone, principalmente le più povere, e ostacoleranno lo sviluppo nei paesi in via di sviluppo. Mentre tutti noi saremo colpiti dai cambiamenti climatici, i poveri sono più vulnerabili alla siccità, alluvioni, alte temperature e altri disastri naturali, anche per la loro scarsa capacità di adattamento. Con l’aumentare della frequenza dei pericoli naturali e climatici, sfuggire alla povertà sarà particolarmente difficile”.

Equità e uguaglianza sono fondamentali per mitigare e adattare con successo i cambiamenti climatici. “La giustizia sociale è un fattore importante per la resilienza della società di fronte ai cambiamenti climatici, vitale per la cooperazione sia locale che globale per facilitare la mitigazione e l’adattamento. L’elevata disuguaglianza è stata identificata come un fattore che contribuisce al disastro: l’esaurimento delle risorse ha spinto le civiltà a collassare in passato e minaccia la capacità della nostra attuale civiltà di sopravvivere ai cambiamenti climatici e ad altri cambiamenti ambientali. Il successo della politica climatica dipende anche dall’accettazione sociale, dalla giustizia, dalla correttezza e da un’equa distribuzione dei costi. Si tratta di fattori importanti per il sostegno pubblico alla politica e per evitare pericolosi sentimenti nazionalisti. Potrebbe essere giunto il momento per i punti di svolta sociale sull’azione per il clima”.

“I sondaggi dell’opinione pubblica indicano che un numero crescente di cittadini in vari paesi è seriamente preoccupato per i cambiamenti climatici e che le recenti massicce proteste civili si stanno avvicinando alle soglie in cui ci si potrebbe aspettare il “ribaltamento” di alcuni sistemi socioeconomici. Tuttavia, le misure politiche devono accompagnare il cambiamento comportamentale e per soddisfare l’accordo di Parigi sono necessarie trasformazioni profonde e di lungo periodo guidate da una grande varietà di attori”.

A proposito di sondaggi, anche gli italiani sono preoccupati. L’89% degli intervistati del sondaggio del XVII Rapporto “Gli Italiani, il solare e la green economy” fatto da Noto Sondaggi per Fondazione UniVerde, è preoccupato dai cambiamenti climatici, il 79% è convinto che si sta facendo poco per contenere l’aumento delle temperature entro i 2 gradi e solo il 2% crede nell’azione del Governo. Inoltre per il 34% degli italiani a mettere in campo azioni sono associazioni e società civile, seguono scienziati (25%), Università e scuole (8%). Per fermare il cambiamento climatico, la convinzione è che si stia facendo di più nel settore del riuso e riciclo dei materiali (27%) e nella produzione di energia da fonti rinnovabili (24%).

Il nostro primo ministro dice che il governo è in azione: “L’Italia c’è, nella sfida ai cambiamenti climatici”, dichiara Giuseppe Conte: “Noi lavoriamo innanzitutto per rispettare i parametri di riduzione della Co2 così come indicato dall’Accordo di Parigi e per raggiungere gli obiettivi posti dall’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”, dice. Si tratta di “una sensibilità declinata molto puntualmente e in modo molto prospettico nel programma di governo. Va arricchita di contenuti”. Appunto. E di incisività, aggiungiamo noi.

Per Papa Francesco, “la crescente consapevolezza di un intervento sul cambiamento climatico è ancora troppo debole, incapace di rispondere adeguatamente al forte senso di urgenza di mettere in campo rapide azioni richieste dai dati scientifici a nostra disposizione”. Questo il messaggio inviato dal pontefice ai partecipanti a COP25.

fonte: https://www.pressenza.com

Il clima che si respira a Madrid. Il racconto della “conferenza delle ambizioni”

La prima settimana di incontri di Cop25 non è stata facile. Nei tavoli tecnici si è discusso degli strumenti di mercato per lo scambio delle quote di emissioni di CO₂ e del meccanismo che regola i finanziamenti ai Paesi che devono affrontare le conseguenze peggiori del climate change. Tra i padiglioni inizia a serpeggiare il timore che anche quest’anno i negoziati si possano chiudere solo con dichiarazioni di intenti



Gli attivisti del movimento dei Fridays For Future occupano la plenaria della Fiera di Madrid - © Dylan Hamilton


È stata definita la “Cop delle ambizioni”, questa venticinquesima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Eppure, dopo le molte difficoltà incontrate nei tavoli tecnici della prima settimana di incontri a Madrid, tra i padiglioni incomincia a manifestarsi la paura che anche quest’anno i negoziati si possano chiudere solo con dichiarazioni di intenti.

La Cop25 è particolarmente importante perché deve portare a termine il lavoro iniziato l’anno scorso a Katowice in Polonia, dove è stato scritto il libro delle regole che stabilisce come mettere in pratica gli accordi del trattato di Parigi della Cop21 del 2015. L’anno prossimo, durante la Cop26 che si terrà a Glasgow, nel Regno Unito, si entrerà nella fase di attuazione del trattato e le nazioni dovranno comunicare quali obiettivi di riduzione delle emissioni di CO₂ si impegnano a raggiungere.

Su questo punto gli scienziati sono chiari e lo ripetono anche a Madrid. Durante la presentazione dell’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, Emission Gap Report 2019, hanno ribadito che per impedire che la temperatura media globale aumenti di 1,5 °C bisogna ridurre le emissioni inquinanti del 7,5% all’anno, da qui al 2030. Gli obiettivi fissati con l’accordo di Parigi non bastano, anche perché le emissioni inquinanti invece di diminuire continuano a crescere. Così anche se gli Stati dovessero rispettare gli impegni presi, secondo i calcoli elaborati dagli autori del rapporto, la temperatura salirebbe di 3,2° rispetto ai livelli pre-industriali (1880-1920).

Sono stati due i temi principali discussi dai tecnici nella prima parte dei negoziati: i meccanismi di mercato per lo scambio delle quote di emissioni di CO₂, contenuti nell’articolo 6 del trattato di Parigi, e il meccanismo di Varsavia per il Loss and Damage che regola i finanziamenti ai Paesi che devono affrontare le conseguenze peggiori dei cambiamenti climatici, come eventi estremi e innalzamento del livello del mare.

L’articolo 6
I meccanismi che questo articolo deve regolare sono anche detti cooperativi perché prevedono la collaborazione tra Stati che hanno ratificato l’Accordo di Parigi per implementare i rispettivi impegni nazionali volontari (NDC) di riduzione delle emissioni. In sostanza si stabilisce un totale massimo di emissioni a livello globale e si cerca di stabilire a chi attribuire la quota di riduzione di emissioni ottenuta grazie a progetti tra Paesi che hanno collaborato. Sono stati definiti tre tipi di strumenti di cooperazione per la riduzione delle emissioni:

– ITMO (Internationally Transferred Mitigation Outcomes ): i Paesi virtuosi che emettono basse emissioni producono crediti (Itmo) e gli altri, che per qualunque motivo non riducono le emissioni, li acquistano. Si tratta di tipologie di crediti previsti dall’articolo 6.2.

– A6.4ER (Emission reduction credits), crediti derivanti da progetti sostenibili svolti in un Paese, e accreditati dall’UNFCCC, e quindi utilizzabili da altri Paesi con lo scopo di ridurre le emissioni di gas serra nei Paesi in via di sviluppo. Sostituirà il Clean Development Mechanism (CDM), stabilito dal Protocollo di Kyoto. Come previsto dall’articolo 6.4

– NMA (Non-market based approaches), previsti dall’articolo 6.8, consistono in diverse forme di finanziamenti non basati sul mercato che vengono destinati verso azioni di mitigazione e adattamento. Per fare alcuni esempi, potrebbero essere nuove tasse per disincentivare comportamenti inquinanti (come la tassa sulle emissioni, carbon tax) oppure programmi di formazione ed educazione al contrasto dei cambiamenti climatici.

Nelle intenzioni dei negoziatori l’articolo 6 dovrebbe spingere i Paesi ad abbassare le emissioni anche coinvolgendo il settore privato nella realizzazione dei progetti. Ma per i più critici si traduce solo in una compravendita di emissioni che rischia di abbassare le ambizioni politiche. A questo si aggiunge anche la preoccupazione per la cancellazione dalla bozza di decisione di alcuni punti con riferimenti ai diritti umani, come l’inserimento di clausole di salvaguardia ambientale e sociale o l’istituzione di un sistema indipendente per denunciare casi di abusi sulle popolazioni locali. Elementi che secondo i rappresentanti della società civile non possono essere lasciati fuori perché molti progetti di cooperazione, in passato, hanno avuto impatti sociali molto importanti.

Loss and Damage
Si tratta del meccanismo che dovrebbe garantire un risarcimento per Paesi in via di sviluppo che subiscono perdite e danni dai cambiamenti climatici, causato dai Paesi più ricchi. I Paesi in via di sviluppo considerano i fondi stanziati finora del tutto inadeguati. Su questo punto non è stato ancora trovato un accordo, è soprattutto il governo degli Stati Uniti che sta spingendo per assicurarsi di non essere ritenuto responsabile dei danni causati dai cambiamenti climatici ai Paesi vulnerabili. I lavori su questo tema continueranno negli ultimi giorni della conferenza insieme a quelli sul Piano per l’azione di genere (GAP) che ha l’obiettivo di promuovere politiche di contrasto ai cambiamenti climatici che tengano in considerazione la condizione delle donne.

I temi rimandati
Sono rimasti fuori da questi negoziati alcuni punti fondamentali, rimandati a data da definirsi. La Cina è riuscita a posticipare la discussione sulla comunicazione trasparente delle emissioni nazionali. Si doveva decidere se fare riferimento a uno schema comune che permette di calcolare il quantitativo di gas dispersi nell’ambiente da ciascuna nazione. Sono rimandate a 2020 anche la definizione delle scadenze temporali nella definizione dei futuri impegni nazionali volontari (NDC). Si doveva decidere se chiedere a ciascun governo di riferire sugli NDC ogni cinque oppure ogni dieci anni. I ministri appena arrivati a Madrid per discutere le bozze di decisioni consegnate dai tavoli tecnici avranno ancora molto da fare per raggiungere un accordo. Intanto, la mattina dell’11 dicembre, gli attivisti guidati da Greta Thunberg, la ragazza svedese leader del movimento dei Fridays For Future, hanno occupato la sala plenaria della Fiera di Madrid per denunciare che i negoziati sul clima sono ancora drasticamente indietro rispetto rispetto alla via indicata dagli scienziati.

fonte: https://altreconomia.it

“Ormai è tardi: sfida poveri-ricchi per le regioni con un clima sano”

Il summit Cop25 - Dati dell’Onu sempre più allarmanti. Il climatologo Mercalli: “Anche arrivando a emissioni zero avremo conseguenze gravi”





Quasi mezzo milione di vittime e danni per 3,5 miliardi di dollari. È il bilancio degli oltre 12mila eventi meteorologici estremi (cicloni, siccità, ondate di calore) che hanno colpito il pianeta tra il 1999 e il 2018, secondo i numeri del Climate Risk Index presentato alla Cop25 di Madrid dalla ong tedesca Germanwatch. E le catastrofi ambientali non sono più un’esclusiva del Sud del mondo: in cima alla lista dei Paesi più colpiti nel 2018, dice il rapporto, ci sono Giappone e Germania. L’Italia, invece, è al sesto posto per numero di morti nell’ultimo decennio. “Il cambiamento climatico presto sarà un’ emergenza sociale visibile a chiunque”, dice al Fatto Luca Mercalli, climatologo e docente, il più noto divulgatore italiano su questo tema.

Dottor Mercalli, siamo ancora in tempo?

Il processo ormai è irreversibile. Se arriviamo allo zero netto di emissioni entro il 2050, come ha chiesto la Commissione Ue, possiamo evitare la catastrofe. Ma anche riuscissimo a mantenere il riscaldamento globale sotto i 2 gradi, vedremo comunque effetti molto pesanti nei prossimi decenni.

Per esempio?
Le migrazioni. Avremo una fuga di massa dai Paesi caldi dove vivere sarà diventato impossibile. Al contrario ci saranno isole per ricchi, zone con temperature ancora accettabile dove si farà a gara per stabilirsi. In Italia, ad esempio, immagino una fuga dalle grandi città verso i borghi dell’Appennino. E poi nuove forme di sfruttamento: i privilegiati che lavorano in ufficio se la caveranno con i condizionatori. Ma chi accetterà di lavorare all’aria aperta? I disperati, chi non può permettersi altro. Saranno gli schiavi del prossimo futuro.

Come valuta i primi giorni della Conferenza Onu sul clima a Madrid?

Le prime giornate sono sempre uguali: appelli ogni volta più allarmati, che condivido al 100%. Ma di appelli ne ascoltiamo da trent’anni e restiamo sempre in questo stato d’inerzia estenuante.

Ci sono Stati più responsabili di altri?


Gli Usa di Trump, che ha scelto di uscire dagli accordi di Parigi comunicando un pericoloso messaggio di negazione. E poi Cina, India e gli Stati del sud-est asiatico, tra i più restii a limitare le emissioni.

Non è comprensibile, visto che i Paesi occidentali hanno inquinato per anni senza limitazioni?

Se siamo tutti su un aereo che precipita è inutile stare a litigare. I governi dei Paesi in via di sviluppo sanno bene che gli effetti del riscaldamento globale sarebbero devastanti anche per loro. Cercano di negoziare in modo da non uscirne “cornuti e mazziati”, e d’altra parte è a questo che servono le Cop.

Il Global Risk Index propone uno strumento finanziario specifico dell’Onu per i danni climatici, una specie di assicurazione.

Può certamente aiutare, ma solo fino a un certo punto. Con la frequenza che hanno assunto gli eventi estremi negli ultimi anni, alcuni Paesi rischiano di non risollevarsi più. Si creano effetti a lungo termine sull’economia e anche sulla psicologia delle persone. Prenda Venezia: un’acqua alta al mese è accettabile, due o tre lo sono meno, quando diventano quattro o cinque allora te ne vai. Nel resto del mondo è lo stesso.


fonte: www.ilfattoquotidiano.it

COP25: sarà Madrid ad ospitare il vertice Onu sul clima

La Spagna di prepara ad ospitare le circa 25.000 persone che si prevede parteciperanno al vertice sul clima delle Nazioni Unite dal 2 al 13 dicembre di quest’anno. Oltre ai grandi entusiasmi di Sanchez e del sindaco di Madrid, non mancano però le tensioni della politica spagnola, che non sta passando uno dei suoi periodi migliori.



















Alla fine, sarà la Spagna ad ospitare la COP25, il vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà dal 2 al 13 dicembre di quest’anno. Dopo il ritiro del Cile, l’Onu ha dichiarato ufficialmente il passaggio di testimone, che solleva non poche sfide logistiche per Madrid e il governo spagnolo.

Mercoledì, infatti, il governo cileno aveva annunciato il suo dietrofront non solo per ospitare il vertice sul clima, ma anche per essere sede del vertice sulla cooperazione economica tra Asia e Pacifico in programma questo mese. Madrid sembra aver accolto questa possibilità con grande entusiasmo, come mostra il tweet del presidente spagnolo Sanchez: “Ottime notizie: Madrid ospiterà il vertice sul clima dal 2 al 13 dicembre. La Spagna sta lavorando da ora in poi per garantire l’organizzazione della COP25″. Dal canto suo, il sindaco di Madrid, Jose Luis Martinez-Almeida, ha definito la COP25 “una buona opportunità per mostrare l’impegno della città nella lotta contro l’inquinamento e dimostrare che siamo pronti ad accogliere i suoi 25.000 partecipanti”.
Alexander Saier, portavoce delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ha affermato che la Spagna contribuirà ad accelerare il rilascio dei visti e istituirà un’agenzia per aiutare a organizzare il viaggio e l’alloggio delle circa 25.000 persone che si prevedere parteciperanno al vertice“Penso che non sarebbe stato un buon segno se la conferenza fosse stata cancellata o rinviata”, ha aggiunto Saier.

Inoltre, in un tweet, Greta Thunberg ha accolto la notizia del trasferimento con una richiesta di aiuto, essendo “bloccata dalla parte sbagliata” dell’oceano Atlantico. Thunberg, infatti, si trova attualmente a Los Angeles e aveva programmato di continuare il suo viaggio in mare proprio in direzione di Santiago. In un botta e risposta, il ministro spagnolo dell’ambiente, Teresa Ribera, si è offerta di aiutarla ad arrivare a Madrid per il vertice.
Nonostante il cambio di sede, il Cile continuerà ad assumere la presidenza dei colloqui sul clima. Anche per la politica spagnola, la notizia che la COP25 si terrà a Madrid arriva in un momento di tensione, con  proteste per l’indipendenza nella regione nord-orientale della Catalogna e in attesa delle seconde elezioni parlamentari del 10 novembre. Sanchez, la cui popolarità è in calo nei sondaggi, può solo sperare che la conferenza migliori le sue credenziali a livello internazionale, soprattutto rispetto alle politiche ambientali.

fonte: www.rinnovabili.it