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Spreco alimentare: storie di inclusione e senso di comunità

 

Durante la pandemia gli italiani hanno cambiato abitudini alimentari. Hanno cucinato di più, mangiato più spesso a casa e riscoperto il rito del pranzo, tutti insieme, tutti i giorni. Secondo un sondaggio commissionato da Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability (rilevazione Ipsos), siamo stati più bravi e attenti in cucina. Nel 2020 abbiamo buttato via l’11,78 per cento di cibo in meno rispetto all’anno prima: 529 grammi a settimana.


Il numero in sé sembra incoraggiante ma le nostre abitudini raccontano una realtà diversa. Sempre secondo i dati Ipsos, infatti, nel 2020 abbiamo comprato troppo, calcolato male quello che ci serviva e lasciato deperire il cibo acquistato. Frutta e verdura sono gli alimenti che più di tutti sono finiti nei rifiuti insieme a due cibi simbolo del lockdown: il pane e la pizza.

Cresce, quindi, la consapevolezza degli italiani sul tema dello spreco alimentare. Si inizia a comprendere che ridurre le perdite significa un minore impatto ambientale e più cibo per tutti, soprattutto per chi in questa fase di emergenza sta pagando il prezzo più caro. Ma la strada è ancora lunga e le soluzioni che favoriscono un reale cambio di abitudini, cultura e mentalità, che vanno oltre la colletta alimentare e le ricette anti spreco, sono ancora poche. Ma esistono e funzionano.

Spreco alimentare: oltre la semplice beneficenza

In Italia è al Sud che si cucina di più, si mangia di più e si butta via di più. Nelle regioni meridionali finisce tra i rifiuti il 15 per cento del cibo, circa 600 grammi a settimana. Ma è anche l’area del paese che sta dimostrando maggiore sensibilità su questo tema.

Il Parlamento europeo ha chiesto l’impegno collettivo e immediato per combattere lo spreco alimentare. Ed è proprio come una grande azione collettiva che è partita da Bari la macchina di Avanzi Popolo 2.0 , associazione impegnata nella raccolta e distribuzione delle eccedenze alimentari alle persone bisognose e premiata nel 2019 dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la sua lotta allo spreco alimentare.

“Siamo un piccolo gruppo di volontari attivi nel territorio barese. La nostra missione è combattere gli sprechi ma anche diffondere la cultura del food sharing. Chi in casa ha di più può metterlo a disposizione sulla nostra piattaforma online e riempire ceste virtuali da scambiare, da privato a privato” spiega Marco Costantino, volontario e tra gli ideatori del progetto. “Oltre alle ceste virtuali abbiamo creato anche una rete che fa dialogare i luoghi dello spreco con i luoghi del bisogno. Andiamo personalmente a ritirare le eccedenze nei ristoranti, nelle aziende agricole, nei forni e nelle pasticcerie e consegniamo tutto alle comunità locali che poi distribuiscono a chi ha più bisogno. Oppure, riempiamo i nostri “frigoriferi solidali” che abbiamo attivato in luoghi strategici e controllati della provincia barese. Sono aperti a tutti, chi ha bisogno porta via cibo che altrimenti verrebbe buttato via da un supermercato o da un bar”, continua Marco che ci tiene però a precisare che non si tratta di semplice beneficenza o carità. È un meccanismo virtuoso che attraverso il recupero del cibo crea contatti, legami, condivisione e rinforza il senso di appartenenza alla comunità. Le persone costruiscono relazioni, imparano buone pratiche quotidiane che creano valore e forme di scambio e dono.
La soluzione della porta accanto

“Mi piace ricordare il caso di una sala ricevimenti e di un centro diurno”, racconta Marco. Nessuna delle due sapeva dell’esistenza dell’altro, alla porta accanto. La sala ricevimenti aveva eccedenze di cibo proveniente da eventi e banchetti e non sapeva come recuperarli. Noi li abbiamo messi in contatto e da allora le due realtà vicine dialogano, comunicano e scambiano in modo autonomo. E questa è la soddisfazione più grande. Abbiamo scoperto che a nessuno di loro piaceva buttare via il cibo ma non avevano strumenti ed esempi per fare diversamente. Creare questa rete virtuosa sul territorio è una soluzione che fa bene a tutti e crea un forte senso di comunità, fa sentire tutti parte della soluzione”, continua Marco.

Diventare tutti beneficiari

Il progetto di Avanzi Popolo piace perché ha costruito una rete virtuosa che informa educa e stimola buone pratiche sul territorio e per questo ha incuriosito gruppi di volontari in altre città italiane che si stanno organizzando per replicarlo. “Lavoriamo bene con tante aziende e commercianti ma ancora facciamo molta fatica a fare comprendere ai singoli e alle famiglie che in casa abbiamo troppo e che consumare cibo del giorno prima o in scadenza non è motivo di vergogna ma deve essere la normalità. Questo è ancora un grande limite. Praticare il food sharing e diventare tutti beneficiari, e non solo donatori, dovrebbe essere un comportamento normale. Vediamo che qui c’è ancora molta resistenza su questo. Si compra e si produce ancora troppo cibo”, dice Marco.





Collaborazione e scambio interculturale

Collaborazione, educazione e coinvolgimento. Sembra essere questa la soluzione anche per Recup un progetto nato a Milano che agisce in 11 mercati rionali della città per combattere non soltanto lo spreco alimentare ma anche l’esclusione sociale. “A fine mercato un gruppo di volontari recupera il cibo dai commercianti che liberamente decidono di donare i prodotti che altrimenti butterebbero via. Il cibo recuperato viene raggruppato e ogni volontario sarà poi libero di prendere ciò che preferisce, nel rispetto delle altre persone e delle esigenze di tutti”, spiega Lorenzo Di Stasi, volontario e uno dei responsabili di Recup. “Ci sono tanti ragazzi, ma abbiamo anche molti pensionati e persone straniere che partecipano attivamente. I gruppi sono formati da circa 20 persone per mercato e sono aperti e inclusivi. Non lavoriamo in un’ottica assistenzialista e di semplice recupero ma di collaborazione e di scambio interculturale e intergenerazionale. Ognuno prende quello che gli serve e aiuta gli altri”, continua Lorenzo.

I commercianti dei mercati li conoscono e li riconoscono, sono loro stessi a raggiungerli per regalare qualcosa. Di solito sono ortaggi che dovrebbero buttare. Molti di loro, infatti, non hanno celle frigorifere per conservare la frutta e la verdura più deperibile e preferiscono regalare piuttosto che buttare. Non si tratta di un progetto di semplice economia circolare ma crea un tessuto sociale collaborativo e sensibile ai bisogni di tutti, commercianti e le persone comuni.
Funziona subito ed è replicabile

“Nel 2020 Recup ha recuperano più di 25 tonnellate di cibo ma quello che ci ha dato più soddisfazione è la partecipazione attiva di donatori e beneficiari, la collaborazione con altre associazioni milanesi e le richieste che arrivano da tutta Italia per aiutarli a replicare il progetto in altre città. Quando ci chiedono “Vogliamo fare come voi, ci aiutate?” noi siamo felici di dare il nostro supporto. Significa che hanno visto nel nostro Recup una soluzione che può funzionare.

“Il bello di Recup è che fai qualcosa nell’immediato, nell’arco di 2 ore recuperi il cibo che altrimenti verrebbe buttato e ridistribuisci tra le persone che partecipano. Il risultato lo vedi subito e hai la possibilità di interagire con altre persone molto diverse da te. È un lavoro collettivo che coinvolge piccoli commercianti e persone comuni”, racconta Beatrice, una volontaria. Uno degli obiettivi di Recup è anche di restituire dignità a quanti, per necessità, sono costretti a mettere le mani nella spazzatura per cibarsi, per vivere. Ecco perché si lavora in gruppi, nessuno viene lasciato solo in questa attività.
Non è un sistema perfetto

Durante l’emergenza Covid, Recup ha partecipato al programma Dispositivo Aiuto Alimentare messo in campo dal Comune di Milano e ha lavorato nei centri di raccolta in cui vengono convogliati diversi generi alimentari destinati a chi per effetto dell’emergenza è in situazioni di fragilità sociale ed economica. Recup ha partecipato all’assemblaggio dei pacchi all’Ortomercato di Milano e ha salvato la frutta e la verdura che rischiavano di essere buttate per distribuirle a chi ne ha bisogno. “Questo sistema sta funzionando. Finora ha supportato oltre 6.300 nuclei familiari in difficoltà, movimentando complessivamente oltre 616 tonnellate di cibo ogni settimana ed effettuando quasi 50.000 consegne di aiuti alimentari. Ma sicuramente in un periodo così difficile a livello di inclusione si potrebbe fare di più. La distribuzione del cibo che raccogliamo, infatti, non tiene conto di tante persone meno visibili, senza fissa dimora, che spesso restano esclusi. Non riusciamo a raggiungere tutti, non è un sistema ancora perfetto”, sottolinea Lorenzo.

Le attività di queste associazioni, attive da Nord a Sud, possono aiutare a maturare la consapevolezza sul cibo, sull’ambiente e quindi sui problemi sociali generati e collegati allo spreco alimentare. Dimostrano anche che la strada più efficace non è solo quella della beneficenza, del dono e delle ricette per recuperare gli avanzi in casa, ma passa soprattutto dalla creazione di luoghi di scambio, di relazione, convivialità che valorizzano il cibo come strumento di dialogo e inclusione.

fonte: news48.it


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IPSOS: sostenibilità ed economia circolare

L’indagine si è focalizzata sui temi dell’economia circolare e dello sviluppo sostenibile intervistando sia cittadini sia rappresentanti di aziende sul territorio

L'indagine Ipsos su sostenibilità ed economia circolare evidenzia come le preoccupazioni degli italiani, a livello nazionale, siano focalizzate sull'andamento dell'economia e dell'occupazione, seguiti da welfare, immigrazione, funzionamento delle istituzioni, sicurezza e solo al 6° posto troviamo l'ambiente.
Diversa, invece, la percezione a livello locale dove l'ambiente risale, collocandosi al 3°posto delle questioni che stanno a cuore ai cittadini.
Cambiamento climatico, inquinamento dell'aria e gestione dei rifiuti i temi ambientali più attenzionati.
Temi ambientali maggiormente sentiti _ Ipsos
Inoltre i ricercatori hanno chiesto agli intervistati a chi, a loro parere, spetti promuovere ed attuare un sistema di economia circolare efficace e rispettosa dell’ambiente.
È emerso che la conoscenza e l’interesse verso il tema della sostenibilità sta aumentando in maniera esponenziale. Due sono i numeri che balzano agli occhi dei ricercatori: ben il 72% degli intervistati ha dichiarato di conoscere l’argomento, un dato percentuale in costante crescita di anno in anno. Conoscenza che si traduce in una maggiore sensibilità e cambiamenti degli stili di vita degli italiani diventati più propensi ad adottare comportamenti virtuosi a partire dalla quotidianità: risparmio di carta, riutilizzo e riciclo degli oggetti di uso comune in plastica.
Questa spinta del consumatore però è inibita, in parte, dal fatto che incontra difficoltà nel comprendere come gestire al meglio il rifiuto, dall’altra perché è difficile individuare le aziende sostenibili.
La ricerca Ipsos ha altresì evidenziato che, secondo gli italiani, le amministrazioni e governi dovrebbero adottare misure penalizzanti nei confronti dei prodotti non sostenibili: il 30% si è dichiarato favorevole a tassare negozi e prodotti non eco-friendly (33%). I cittadini intervistati, oltre a rivolgersi alla PA, chiedono alle imprese che producono e vendono prodotti di largo consumo di fare di più per ridurre la quantità di materiali non sostenibili presenti sul mercato.
Sul versante delle aziende, molti dei rappresentanti delle stesse intervistati si mostrano attenti al fattore green visto come un driver di miglioramento dell’immagine dell’impresa verso il cliente oltre che in grado di generare una riduzione dei costi aziendali ed un conseguente miglior profitto.
Approfondisci la notizia, guardando la presentazione dei dati Ipsos
fonte: http://www.arpat.toscana.it/

Plastica e inquinamento: 7 italiani su 10 si sentono colpevoli

Un dossier Ipsos fa il punto sulla considerazione dei cittadini rispetto alle proprie abitudini: cresce del 65% la consapevolezza ambientale, la plastica al vertice delle preoccupazioni.
















Lo stato di salute del pianeta, l’assedio della plastica, la sostenibilità ambientale, il ribaltamento delle abitudini, le responsabilità individuali e delle organizzazioni. Sono temi finalmente al centro del dibattito pubblico con la giusta importanza grazie alla mobilitazione internazionale targata Greta Thunberg, certo, ma anche, e ormai da anni, in virtù di una parabola crescente e dei preoccupanti dati scientifici che si accumulano. Come quelli sul riscaldamento globale, la riduzione delle superfici dei ghiacciai o l’allarme dell’Onu per il milione di specie animali e vegetali a rischio estinzione.
Ipsos ha presentato da poco al convegno “The third moment of truth: il packaging sostenibile è il nuovo tsunami?” un dossier di dati interamente dedicato al tema della plastica realizzato grazie all’analisi di numerosi studi e indagini di mercato condotte dall’istituto su tematiche come appunto la responsabilità sociale d’azienda e la sostenibilità ambientale. Non solo: le cifre che ne escono misurano il grado di crescente consapevolezza delle persone sullo stato di salute del pianeta e delineano le aspettative dei consumatori nei confronti delle aziende, grandi e piccole, in tema di impatto ambientale.
Il “plastic free” è una tendenza fondamentale del momento: un’opportunità ma anche una scelta strategica e quasi obbligata. Ben l’80% degli italiani dichiara infatti di temere un disastro ambientale incombente e, con sorpresa, nessuno si tira fuori dal banco degli imputati: il 74% pensa infatti di aver contribuito personalmente alla creazione delle surreali isole dei rifiuti che vorticano negli oceani. “Oggi, l’emergenza ecologica non è più percepita come priorità solo per una élite ma diviene problema vissuto dalla gran parte delle persone che se ne fanno carico attraverso, prima di tutto, un’acquisizione di conoscenza qualificata – spiega Andrea Alemanno, Ipsos Senior client officer – basti pesare che negli ultimi quattro anni l’attenzione e la volontà di apprendere nozioni specifiche in materia ambientale è cresciuta del 65%”. La sensibilità, insomma, sta esplodendo. Così come, finalmente, la responsabilizzazione.
Secondo il dossier preparato da Ipsos, infatti, sempre più spesso le persone adottano uno stile di vita attento e rispettoso, sono sensibili all’impatto ambientale delle proprie scelte di consumo, quindi più inclini al sacrificio personale (dalla carta al riciclo dei materiali pregiati che è delittuoso disperdere in ambiente ma anche sbagliato conferire nell’indifferenziato) e disposte ad affrontare anche qualche sacrificio economico. Ad esempio, il 20% dichiara di adottare abitualmente comportamenti sostenibili e un altro 50% si considera aperto nei confronti di una condotta più attenta. La riserva degli incivili e degli insensibili si ferma al 13% degli scettici o al 17% degli indifferenti. Comunque non poco.
Proprio la plastica, si diceva, è al vertice delle preoccupazioni. Per il 50% degli italiani è un problema molto serio, per il 46% è un allarme risolvibile (per il 26%) o legato a un riciclo inadeguato (20%). Fortunatamente solo l’1% considera il dibattito sulla plastica frutto di allarmismi inutili e il 2% che non lo vive come preoccupazione. I negazionisti non mancano mai, neanche quando messi faccia a faccia con testimonianze, dati, immagini, numeri.
In questo senso, il ruolo delle aziende è sempre più centrale. Esiziale, si direbbe. Alla domanda “Chi ha la responsabilità di trovare una soluzione per ridurre la quantità di materiale utilizzato nelle confezioni di prodotti venduti”, il 39% pensa infatti sia dovere delle aziende, in particolare quelle che producono e vendono prodotti di largo consumo, risolvere parte della faccenda. Per questo nel brand si cerca un elemento di identificazione, una prova dell’impegno verso l’ambiente e la sua tutela. Il 52% degli italiani, quando fa la spesa, cerca marche che consentano loro di fare la differenza nel mondo ed è per questo che il tipo e l’importanza delle politiche di responsabilità sociale delle imprese è determinante per accrescere il peso percepito del brand nel suo pubblico di riferimento. Riduzione delle emissioni, condizioni di lavoro, qualità del servizio o del prodotto, investimenti in ricerca e sviluppo: questi i fronti su cui battere.
“Oggi l’azienda sostenibile viene ripagata in sostegno concreto dai consumatori. È questo il messaggio forte e chiaro che emerge dalla nostra analisi – spiega Nicola Neri, amministratore delegato di Ipsos Italia – il 68% dei cittadini italiani dichiara di essere disposto a pagare di più per un prodotto o servizio proveniente da un’azienda che attua politiche ambientali serie e rigorose; l’83% la consiglierebbe a chi è in cerca di lavoro, un ulteriore 83% sarebbe pronto ad affidarle i suoi risparmi o di investirvi del denaro e addirittura il 90% la sceglierebbe come fornitura di prodotti e servizi. La reputazione aziendale passa quindi anche attraverso l’economia circolare, anzi ne diviene conseguenza diretta. Sono le aziende più avanti nell’implementazione di processi sostenibili ad avere la reputazione più alta”.
Chi investe nel green, oltre tutto, cresce. L’analisi di Ipsos dimostra infatti l’aumento del fatturato, dell’export e dell’occupazione nelle imprese che fra 2014 e 2016 hanno puntato su quelle politiche. Nonostante si siano mosse in molte, fra i cittadini prevale la convinzione che le aziende chiamate a farsi carico del problema non stiano in generale ancora facendo abbastanza: lo pensa il 77%. Su tutti i fattori, il packaging è ritenuto oggi il primo elemento di sostenibilità su cui viene messo alla prova un brand. “Secondo gli italiani, un’azienda per essere considerata rispettosa dell’ambiente deve “utilizzare materiali da imballaggio eco-sostenibili”(41%), “ridurre al minimo gli scarti di produzione” (39%), “ridurre l’imballaggio dei prodotti” (34%) ed “essere molto efficiente riducendo gli sprechi di materiale” (33%)”, racconta Diego Persali, direttore Marketing understanding Ipsos.
Non è un caso che il 41% degli acquirenti smetta di scegliere beni con imballaggi non riciclabili, il 24% boicotti i negozi che usano troppi imballaggi di questo tipo e il 53% prediliga appunto una spesa sostenibile. In altre parole, e questo è un bene, la plastica vive oggigiorno una profonda crisi reputazionale: solo il 12%, spiega il dossier, la ritiene un materiale sostenibile. Percezione che cambia quando la plastica, grazie alle nuove tecnologie, è gestita e trasformata in bioplastica o plastica riciclabile.
Tutto bene, dunque? Non proprio. Evitare la plastica nella vita quotidiana rimane complesso. Un sacrificio non da poco, almeno nella percezione collettiva. Dall’indagine è emerso che i prodotti realizzati con materie plastiche cui gli italiani farebbero più fatica a rinunciare sono bottiglie d’acqua (33%), pellicole trasparenti per alimenti (27%); contenitori riutilizzabili per alimenti (16%), contenitori detersivi (14%), abbigliamento come pile e microfibre (13%); sacchetti di plastica (12%); posate monouso (12%), giocattoli (11%).

fonte: www.greenstyle.it