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La #Pandemia in #Umbria: Non sia pretesto per abbassare la guardia nella tutela ambientale



Con determinazione  dirigenziale della Regione Umbria n. 2578 del 23 marzo 2020, il dirigente del Servizio Ambiente Dott. Monsignori, unitamente all'istruttore Dott. Casagrande e al Responsabile Dott. Grigioni, ha disposto, sino al 30 maggio 2020, la sospensione degli autocontrolli e della trasmissione delle schede informative nei confronti dei gestori degli impianti industriali autorizzati, che operano in regime di prevenzione e riduzione integrata dell'inquinamento (IPPC).
Si tratta di controlli periodici di estrema importanza, perché volti a garantire il rispetto, da parte del gestore dell'impianto, delle migliori tecniche disponibili (BAT) ovvero di quelle norme fondamentali, che garantiscono di mantenere le emissioni inquinanti (a titolo esemplificativo non esaustivo: Pm 2,5,  Pm10, policlorobifenili, furani, diossine ecc. ...) entro i parametri autorizzati, di ottimizzare i consumi delle matrici ambientali e di evitare gli incidenti. 
Possiamo comprendere che l'emergenza sanitaria, tra le più gravi della storia, possa determinare una carenza del personale tecnico impegnato in tali controlli e monitoraggi, ma, più che mai, in un momento come questo, ove proprio l'elevato inquinamento atmosferico potrebbe agevolare la diffusione del virus, non possiamo rallentare i controlli nei confronti, soprattutto, di chi tratta rifiuti, anche pericolosi (pensiamo, ad esempio, ai rifiuti ospedalieri). Non dobbiamo mai dare l'impressione di allentare la rete della vigilanza, in un settore, più che mai oggi, da tutelare, quello ambientale, tutt'uno con la pubblica salute (!).
Vogliamo, inoltre, rammentare alle forze dell'ordine, alla Regione, ad Arpa e Usl,  che esistono anche i controlli effetto sorpresa. 
Per  le autorizzazioni alle emissioni in atmosfera, l'articolo 269, comma 9, testo unico dell'ambiente dispone chiaramente che: "L'autorita' competente per il controllo è autorizzata ad effettuare presso gli impianti tutte le ispezioni che ritenga necessarie per accertare il rispetto dell'autorizzazione".
Cominciamo a parlare di sanità e pubblica salute nell'ottica della prevenzione ambientale, partendo da più controlli, anche a sorpresa: questo è il monito dell'attuale congiuntura sanitaria.

WWF Umbria

Comitato Antipuzza Villa Pitignano Ponte Felcino Bosco e Ramazzano

Comitato Salute Ambiente Calzolaro Trestina Altotevere Sud

Molini di Fortebraccio

Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero

Gruppo Ecologista il Riccio di Città della Pieve

Italia Nostra Orvieto

In morte di Giorgio Nebbia

Per Giorgio Nebbia, ricorda Pier Paolo Poggio, direttore della Fondazione Micheletti, era sì necessario contestare la fabbrica per il suo impatto sulla salute e sull’ambiente ma bisognava studiare i cicli produttivi, sapere esattamente cosa produceva e quali erano gli scarichi inquinanti, cosa aveva prodotto nel corso dei suoi cento anni di attività. E questo non per una pur meritevole conoscenza storica ma per poter intervenire in modo efficace, in termini di bonifica, di risanamento dell’ambiente e di controllo sulla salute dei lavoratori e della popolazione




Per tributare un riconoscimento che non potrebbe certo ripagare il debito incommensurabile che la mia generazione ha nei confronti di Giorgio Nebbia, forse con Laura Conti il più straordinario innovatore tra quanti hanno colto nella capacità trasformativa del lavoro assoggettato al capitale il pericolo più grave di minare irreversibilmente la natura, la sua integrità, la sua indiscutibile attitudine di alimentare una vita buona sulla Terra, rubo le parole ad una nota con cui un amico mio e di Giorgio – Pier Paolo Poggio – ha annunciato una scomparsa purtroppo da tempo messa in un conto doloroso.

“Sapevo – scrive Gian Paolo – di Giorgio Nebbia attraverso i suoi articoli, in particolare i contributi, molto originali, che apparivano nel bollettino di Italia Nostra. L’ho conosciuto di persona verso la fine degli anni ’80, in occasione della vicenda dell’Acna di Cengio (Savona). Il suo approccio era assolutamente non convenzionale, non era più giovane ma partecipava direttamente agli incontri in alta Valle Bormida, e con lui la moglie Gabriella, sobbarcandosi un lungo viaggio. La sua impostazione del problema era chiarissima e, nello stesso tempo, molto impegnativa. Andava bene contestare la fabbrica per il suo impatto sulla salute e sull’ambiente ma bisognava studiare i cicli produttivi, sapere esattamente cosa produceva e quali erano gli scarichi inquinanti, cosa aveva prodotto nel corso dei suoi cento anni di attività. E questo non per una pur meritevole conoscenza storica ma per poter intervenire in modo efficace, in termini di bonifica, di risanamento dell’ambiente e di controllo sulla salute dei lavoratori e della popolazione. Da allora è stato per me e per la Fondazione Micheletti, l’interlocutore principale, un infaticabile e inflessibile stimolatore di attività, iniziative, il più delle volte invisibili perché dedicate alla salvaguardia degli archivi che hanno a che fare con la produzione, le manifatture, il lavoro, l’energia. Gli studi più rilevanti sono quelli che ha dedicato al ciclo delle merci, definendosi sempre orgogliosamente merceologo, anche quando la merceologia veniva abolita, un po’ come se si potessero abolire le merci. Di cui, anche un po’ per provocazione intellettuale, metteva sempre in evidenza la dimensione materiale, naturale, il carico quantitativo sulle matrici ambientali.”

Per quanto mi riguarda ho goduto della sua amicizia e di una curiosità quasi stupita per l’attenzione che un sindacalista – quale ero io allora – dedicava non tanto all’incidente clamoroso sul lavoro, che faceva notizia, quanto alla ricostruzione degli effetti irreversibili che i cicli di trasformazione di materie e energia, fagocitate nel vortice di produzioni spinte alla massimizzazione del profitto, producevano “normalmente e quotidianamente” su un ambiente degradato e sui cambiamenti della biosfera, mai presa seriamente in considerazione come spazio vitale, luogo di riproduzione, bene comune da conservare.

“Giorgio – conclude il nostro comune amico – era persona estremamente avvertita, libera da schemi ideologici, appassionato ma estremamente consapevole delle debolezze umane, e però ostinatamente aperto alla speranza. Occorrerà molto tempo per conoscere Giorgio Nebbia nelle sue molteplici dimensioni”. Oggi lo ricordiamo con lo smarrimento che solo l’affetto più intenso può in minima parte colmare.

fonte: https://comune-info.net/