Visualizzazione post con etichetta #RiqualificazioneTerritorio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #RiqualificazioneTerritorio. Mostra tutti i post

Ci vuole un piano nazionale per salvare la natura

Per il nostro Paese è indispensabile pensare ad un grande piano per riqualificare la natura



Tra le sfide che dovremo affrontare nel prossimo futuro, oltre al cambiamento climatico, c'è la perdita di biodiversità, tanto che anche nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) si fa riferimento al nostro "ecosistema naturale e culturale di valore inestimabile", definendolo un elemento distintivo dello sviluppo economico presente e futuro, da proteggere come patrimonio unico dell'Italia.

Nella sezione del PNRR dedicata alla transizione ecologica, uno dei pilastri, in particolare la Componente 4, si incardina sulla messa in sicurezza il territorio, intesa come:
mitigazione dei rischi idrogeologici (con interventi di prevenzione e di ripristino),
salvaguardia delle aree verde e della biodiversità (es. con interventi di forestazione urbana, digitalizzazione dei parchi, ri-naturificazione del Po),
eliminazione dell’inquinamento delle acque e del terreno (es. con bonifica siti orfani) ,
disponibilità di risorse idriche (es. infrastrutture idriche primarie, agrosistema irriguo, fognature e depurazione.

Il WWF, partendo proprio dal riferimento alla salvagardia della biodiversità, contenuto nel PNRR, ricorda che "il nostro Paese ha una delle biodiversità più ricche d’Europa" e nel documento, "Riqualificare l'Italia", chiede al Governo di redarre un Piano nazionale di ripristino ambientale che definisca le priorità d’azione, in modo da dare vita ad un’azione “straordinaria”. Il piano del WWF si concentra su:
6 aree vaste prioritarie per la connettività ecologica, ovvero le Alpi, il Corridoio Alpi Appennino, la valle del Po, l’Appennino umbro-marchigiano, l’Appennino campano centrale, la Valle del Crati - Presila Cosentina
un’azione “diffusa” sul resto del territorio.

Nel definire un piano per la conservazione e rigenerazione della biodiversità, le singole Agenzie ambientali possono dare il loro contributo, in quanto svolgono un'importante attività di monitoraggio dell'ambiente e mettono a disposizioni informazioni ambientali, attraverso dati, mappe e pubblicazioni e notizie. Questo quadro informativo si arrichicchisce, a livello nazionale, attraverso tutte le pubblicazioni realizzate dal Sistema Nazionale di Protezione Ambientale (SNPA), che racchiude ISPRA e tutte le Agenzie presenti sul territorio nazionale.

Per quanto riguarda ARPAT, pensiamo, in particolare, alla mole di informazioni presenti:
nelle sezioni del sito Web di ARPAT

nelle pubblicazioni realizzate da ARPAT, sia annualmente, come nell'Annuario dei dati ambientali, dove vengono messi a disposizione di tutti i cittadini, attraverso sei aree tematiche, aria, acqua, mare, suolo, agenti fisici e sistemi produttivi, più di 90 indicatori ambientali, con i quali si definisce la situazione ambientale in Toscana, che periodicamente, attraverso le pubblicazioni su temi ambientali e, su questo argomento nello specifico, quella dedicata alle piante aliene. La stessa Regione Toscana, basandosi sulle informazioni ambientali messe a disposizione da ARPAT, elabora la sua Relazione sullo Stato dell'ambiente.

La quantità di informazioni ambientali, frutto dell'attività svolta dalla nostra Agenzia, può aiutare a definire alcuni importanti tasselli del quadro dell'ecosistema nella nostra regione, una sorta di fotografia dello "stato di salute" del nostro habitat, grazie al quale siamo informati, ad esempio, su quale sia la qualità delle acque sia interne (superficiali, sotterranee, destinate alla potabilità) che marino-costiere oppure su PFAS e fitofarmaci nelle acque, su quanta parte di territorio sia soggetta ad un procedimento di bonifica oppure sulla biodiversità marina.

Tutti temi particolarmente interessanti per delineare una strategia per la conservazione e rigenerazione della natura, sia a livello locale che nazionale, e tutti richiamati dalla Componente 4 della strategia per la transizione ecologica contenuta nel PNRR.

Al momento non è obbligatorio definire, a livello nazionale, un piano per la biodiversità ma questo renderebbe più concreto quanto contenuto nella strategia UE per la biodiversità, il cui titolo è alquanto esemplificativo: "Riportare la natura nella nostra vita".

Con questo documento la Commissione evidenzia i forti legami tra la nostra salute e quella degli ecosistemi e sottolinea come la difesa della biodiversità abbia anche un valore economico, in quanto oltre la metà del PIL mondiale dipende dalla natura e dai servizi che ci offre, soprattutto nei settori dell'edilizia, dell'agricoltura e degli alimenti e bevande.

La Commissione europea afferma che in Europa "la natura versa in uno stato critico" e 5 risultano essere le cause principali della perdita di biodiversità:
cambiamenti dell'uso del suolo e del mare
sfruttamento eccessivo delle risorse
cambiamenti climatici
inquinamento
presenza di specie esotiche invasive.

L'obiettivo della strategia europea per la biodiversità è proprio quella di "riportare la biodiversità in Europa sulla via della ripresa entro il 2030 a beneficio delle persone, del pianeta, del clima, dell'economia". Gli ecosistemi giocano, infatti, un ruolo cruciale nel fornire cibo, acqua, energia, materiali, medicinali e risorse genetiche, regolano il nostro clima, garantiscono la qualità dell’acqua e riducono l’inquinamento.

Le azioni principali individuate a livello europeo sono:
ripristinare vaste superfici di ecosistemi degradati e ricchi di carbonio
invertire la tendenza alla diminuizione degli impollinatori
ridurre del 50% i rischi e l'uso dei pesticidi chimici
destinare almeno il 10% delle superfici agricole ad elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità
destinare almeno il 25% dei terreni agricoli all'agricoltura biologica ed aumentare le pratiche agroecologiche
piantare tre miliardi di nuovi alberi nell'Unione Europea
aumentare la bonifica dei terreni contaminati
riportare almeno 25 000 km di fiumi a scorrimento libero
ridurre del 50% il numero di specie della lista rossa minacciate dalle specie esotiche invasive
limitare le perdite dei nutrienti contenuti nei fertilizzanti di almeno il 50% ottenendo una riduzione di alemno il 20% nell'uso dei fertilizzanti
dotare le città con almeno 20 000 abitanti di un piano ambizioso di inverdimento urbano
eliminare l'uso dei pesticidi chimici nelle zone sensibili, come le aree verdi urbane dell'UE
mitigare gli effetti negativi della pesca e delle attività estrattive sulle specie e sugli habitat sensibii, compresi i fondali marini al fine di riportarli ad un buono stato ecologico
eliminare le catture accessorie o ridurle a un livello che consenta il ripristino e la conservazione della specie.

fonte: www.arpat.toscana.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Micropolis: L'Ecodistretto, un modello di prevenzione primaria territoriale di Carlo Romagnoli

 













fonte: Micropolis


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Nei territori del caos climatico

Le frane, le tempeste e gli incendi che hanno causato gravissimi danni nei giorni scorsi dal Veneto alla Sicilia orientale mostrano una dinamica nuova e aggravata del dissesto. La questione territoriale italiana oggi evidenzia un fenomeno inedito nella storia del capitalismo: il realizzare profitto non produce più anche una creazione “generale” di beni e ricchezza, se non in misura irrilevante, ma danni immediati e futuri, specie in Italia. Eppure si insiste ostinatamente con le cosiddette Grandi Opere che mangiano ettari ed ettari di suolo verde, si abbandonano alle frane chilometri di terre incolte e si lascia deperire l’immenso patrimonio immobiliare di paesi e villaggi che si vanno spopolando nelle cosiddette aree interne. Quei territori, nei decenni a venire, quando il disastro climatico si aggraverà, potrebbero essere la nostra salvezza. Urge una svolta politica e culturale per porre vincoli al cemento, cambiare in profondità la PAC dell’Unione Europea e varare misure radicali e concrete come, ad esempio, un reddito di base per ogni contadino che non solo produce ma fa manutenzione del territorio










I disastri provocati in Veneto e in Lombardia da improvvise tempeste scatenatesi nei giorni scorsi e i violenti incendi che hanno distrutto interi boschi della Sicilia occidentale, rientrano solo in parte, come qualcuno ha già osservato, nel quadro consueto dei dissesti italiani. Li comprendono certamente, ma entro una dinamica nuova e più grave. Alluvioni ed incendi, frane e distruzioni di boschi hanno legami invisibili che vanno ricordati.

Il cosiddetto riscaldamento globale non si esaurisce nell’innalzamento medio della temperatura, ma si esprime anche nel caos climatico, nella ricorrenza accentuata dei fenomeni estremi, caterratte d’acqua in poche ore e perfino trombe d’aria, accanto a prolungate siccità, che offrono ai criminali, la possibilità di appiccare incendi alle foreste con sicuro successo.

Un mutamento nella storia della natura, dovuto all’azione umana, che si inscrive, in questo caso, nella vecchia storia d’Italia, lo stato nel quale il territorio acquista valore quando viene ricoperto da edifici, se si trasforma nello scenario della propria distruzione attraverso le cosiddette grandi opere.

In Italia, il paese più franoso e fragile d’Europa, le campagne necessiterebbero di una manutenzione costante, di una presenza operosa di figure umane, di lavori di controllo e sistemazione continua delle frane, dei corsi d’acqua, di pulizia e vigilanza sui boschi – come ricordava Tonino Perna a proposito degli incendi – di monitoraggio insomma del suolo, la base delle nostre vite e delle nostre economie, ormai sempre più esposta a drammatiche rotture.

Ma l’indifferenza inveterata del ceto politico e della cultura italiana nei confronti dei fenomeni naturali e della sorte del territorio oggi valica una soglia di gravità che potremmo definire storica.

Il riscaldamento globale non comporta solo caos climatico, alluvioni e frane, siccità e incendi, i disastri dell’oggi, ma, in una prospettiva non lontana, l’innalzamento dei mari.

Lo scioglimento dei ghiacciai, che ha sorpreso anche gli scienziati per la sua recente accelerazione, comporterà l’invasione delle acque marine di vaste aree costiere e vallive, in tempi che nessuno può prevedere, ma che non saranno tempi geologici.

E qui mi torna in mente una definizione fisica dell’Italia da parte da un grande commis d’état del primo ‘900, Meuccio Ruini, il quale, volendo rilevare il carattere prevalentemente montuoso-collinare della Penisola, disegnava un quadro che oggi ha colori inquietanti:

“Se il mare, alzandosi di pochi metri, ricoprisse quel golfo di terra che è la Valle Padana, l’Italia sarebbe una sola e grande montagna”. Quei pochi metri, come ognuno può comprendere, sarebbero sufficienti a cancellare l’Italia dal novero dei paesi industrializzati, con perdite immense di beni e ricchezza.

Ora, non voglio indulgere in prospettive catastrofiche, ma se i fenomeni presenti e quelli futuri prossimi minacciano in maniera così rilevante e rovinosa il nostro habitat, non dovrebbe mutare radicalmente la nostra attenzione e la nostra cura per il territorio, già oggi e sempre più bene scarsissimo e prezioso?

E allora, com’è possibile che ancora si cementifichino le periferie urbane – Lombardia e Milano, capitale morale, in testa – anziché ristrutturare edifici abbandonati, restaurare quartieri, valorizzare il già costruito?


Perché si insiste con le cosiddette grandi opere che mangiano ettari ed ettari di suolo verde? Perché si abbandonano alle frane chilometri di terre incolte, si lascia deperire l’immenso patrimonio immobiliare dei paesi e villaggi, che si vanno spopolando nelle cosiddette aree interne?

Quando è evidente a tutti che questi territori diventeranno la nostra salvezza nei prossimi decenni, allorché il disordine climatico si aggraverà, tante aree costiere diventeranno inabitabili, come appare inevitabile di fronte alla colpevole inanità delle classi dirigenti dei paesi ricchi.

Eppure, sul piano politico si può ancora agire per avviare una svolta, non solo coi vincoli da porre al cemento, ma gia, ad esempio, con un salto culturale della Politica Agricola Comunitaria.

Ad esempio, tra l’altro, con l’assegnazione di un reddito di base ad ogni piccolo contadino europeo, che non solo produce, ma fa manutenzione del territorio.

La questione territoriale italiana oggi mostra un fenomeno inedito nella storia del capitalismo. Da quando esiste questo modo di produzione la realizzazione del profitto da parte del capitalista ha coinciso anche con la creazione generale di beni e ricchezza.

Tale coincedenza, per via della produzione di beni sempre più imposti e superflui, si è da tempo indebolita. Ma oggi, specie in Italia, la creazione del profitto, religione dell’imprenditoria occidentale, ha perso i suoi fondamenti metafisici, come le religioni rivelate, e in vasti ambiti dell’economia, con crescente evidenza, non produce più vantaggi e benessere, ma danni, per il presente e per l’avvenire.

Piero Bevilacqua

Articolo pubblicato anche su il manifesto

fonte: www.comune-info.net


RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542


=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

A Torino una vecchia fabbrica si trasforma in orto urbano per le api

Nel quartiere di Mirafiori sud, a Torino, sorge un vecchio edificio industriale, da molti anni dismesso. Dal suo recupero sta nascendo il progetto Orto Wow, non un semplice orto urbano, bensì un’oasi naturale dove si coltivano piante mellifere capaci di attirare le api, che qui potranno contribuire a creare biodiversità in città e stimolare l’apicultura urbana, coinvolgendo i residenti nella cura di questo splendido angolo di natura.




Nel bel mezzo del quartiere di Mirafiori sud, circondata da palazzi ed edifici industriali sorgerà una nuova casa che, a differenza di quelle del circondario, avrà delle ospiti d’eccezione: le api. Ci troviamo in via Onorato Vigliani e proprio qua si trova un vecchio complesso abbandonato, precedentemente adibito alla meccanizzazione agricola e ora in fase di riconversione, che ci dimostra come anche le zone più industriali possono diventare un luogo dove la natura riconquista i suoi spazi.

Tutto questo grazie al contributo di Elena Carmagnani ed Emanuela Saporito, fondatrici di Orti Alti, associazione che, come vi abbiamo raccontato in un precedente articolo, stanno diffondendo a Torino la cultura del verde, attraverso la realizzazione di orti urbani sui tetti di edifici e palazzi.

Qui sta nascendo Orto Wow, con uno speciale giardino in cassoni per piante impollinatrici, un tetto verde coltivato a prato naturale e un grande apiario, per diffondere l’apicoltura nelle nostre città. Il pezzo forte del progetto è il “pollinator garden”, un giardino formato da 16 cassoni in legno disposti a creare percorsi e zone di sosta. Come ci spiegano Elena ed Emanuela, «In questi cassoni è in corso la semina e la piantumazione di piante mellifere, ovvero piante che, insieme al tetto verde, costituiranno il “pascolo” delle api e di altri insetti impollinatori».

Le piante mellifere coltivate, definite in collaborazione con il dipartimento di agronomia dell’Università di Torino, prevedono la semina di molteplici varietà di piante molto apprezzate dalle api come salvia, calendula, tarassaco, borraggine, papavero, senape selvatica, giglio, fiordaliso e iperico, oltre che il trapianto di timo, erba cipollina e menta. «Al suo interno si sperimenta l’utilizzo del “new soil”, un nuovo suolo rigenerato e creato per inserire terreno fertile nei parchi urbani che sono nati dall’abbandono di aree industriali, spesso di scarsa qualità e inadatto a qualsiasi uso».




La realizzazione di Orto Wow rientra nell’ambito di ProGiReg, un progetto europeo finalizzato a sperimentare soluzioni “nature based” per la rigenerazione urbana e sociale delle città. Questi primi interventi infatti vanno nella direzione di avviare la riqualificazione di un complesso abbandonato che può essere rigenerato a partire da una sua nuova vocazione green.

L’apiario è poi parte integrante del progetto e sarà curato dall’associazione Parco del Nobile che da molti anni si occupa di apicultura urbana. L’integrazione dell’allevamento di api per la produzione di miele urbano con la realizzazione di orti e giardini melliferi è fortemente perseguita da OrtiAlti in molte sue realizzazioni. Come ci viene spiegato da Elena ed Emanuela, «Le piante mellifere si combinano perfettamente con le piante orticole e nel caso dell’Orto Wow l’inserimento delle attività di apicultura rientra anche in un programma di Science Education che riguarda tutto il progetto. Inoltre, la presenza del mercato dei produttori di Coldiretti che qui si svolge, può essere messa in relazione con la produzione del miele WOW per innescare micro-economie di quartiere».



La fabbrica dismessa diventerà in questo modo un vero e proprio corridoio ecologico per favorire nuove connessioni e contribuire a riequilibrare gli ecosistemi naturali. Come ci viene spiegato, «Un corridoio ecologico è un’area verde studiata per preservare specie di animali e di piante, permettendo il passaggio graduale di animali e semi da un habitat all’altro. La possibilità di realizzare queste infrastrutture verdi all’interno delle città è fondamentale poichè permette di ripristinare la biodiversità biologica, cioè la variabilità di tutti gli organismi viventi e degli ecosistemi di cui fanno parte».

E saranno proprio gli abitanti del quartiere a prendersi cura e a mantenere il pollinator garden, occupandosi dei cassoni e dell’area dedicata all’orto, utilizzando lo spazio verde per lo svolgimento di attività ludiche. Il tutto grazie alla Fondazione Mirafiori che a pochi passi gestisce la Casa nel Parco, casa del quartiere di Mirafiori sud.



«Purtroppo la situazione Covid ha impedito di partire con il calendario di attività programmate da questo giugno e le iniziative sono state rinviate alla prossima primavera. Intanto però è iniziato un lavoro per la proposta di un patto di collaborazione per la cura dell’area che mette insieme la Fondazione Mirafiori, l’associazione Parco del nobile (che si occupa delle api), Coldiretti e un gruppo informale di cittadini appassionati di api e biodiversità che si chiama Comunità degli Impollinatori Metropolitani».

L’obiettivo è di arrivare nei prossimi mesi alla firma di un patto con la Città per la gestione del giardino in cassoni, avendo a disposizione anche dei locali dell’edificio dove svolgere attività formative intorno ai temi della biodiversità e dell’apicultura urbana.

fonte: https://www.italiachecambia.org

#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

Gli alberi sono diventati un bosco

Nella Terra dei Fuochi c’è una bella storia da far conoscere prima che diventi una storia triste



















Questa è una storia d’impegno, di amore e di bellezza. C’era una area fortemente avvelenata a San Giuseppiello, Giugliano, in Campania, terra dei fuochi. Poi c’era un progetto di bonifica, come tanti altri, tanti milioni di euro, denaro pubblico. Ne sarebbe risultato un lavoro enorme, di asportazione di terra e veleno per portarlo chissà dove, con costi enormi. Bruttura su bruttura, devastazione su devastazione, distruzione su distruzione che avrebbe arricchito solo la camorra. Sappiamo che è così che funziona, la camorra inquina, la camorra si occupa delle bonifiche.

Invece è successo che il commissario alle bonifiche e un gruppo di studiosi della facoltà di agraria dell’università di Napoli, coordinato dal professor Massimo Fagnano hanno realizzato un progetto differente, improntato all’attenzione e alla cura della terra. E così nei terreni sequestrati ai clan, dov’erano stati sotterrati veleni e rifiuti industriali è stata attivata un’opera di recupero totalmente affidata alla tecnologia e alla Natura. Un intervento alternativo, pulito, a basso costo: sono stati piantati 20.000 pioppi, le cui radici stanno assorbendo i metalli pesanti in profondità. Il terreno è stato cosparso di compost arricchito con batteri capaci di metabolizzare gli idrocarburi. Il tutto è costato “solo” 900.000 euro rispetto ai molti milioni di euro che prevedeva il progetto iniziale. In questi anni gli alberi sono diventati un bel bosco, sono ritornati gli animali selvatici e gli uccelli, arrivano gli alunni delle scuole, le macchine monitorano la diminuzione dei veleni, un vero miracolo.

Eppure l’area non è stata affidata, il commissario da qualche settimana è in pensione e la Regione Campania non ha ancora individuato né il successore né un organismo a cui affidare il bene bonificato. Intanto da qualche mese è già cominciata la devastazione degli uffici e delle apparecchiature. Un modello virtuoso, efficace ed efficiente, una sperimentazione ecosostenibile, un esempio di legalità che si potrebbe replicare nelle mille terre avvelenate del nostro Paese rischia di essere dimenticato e, fatto gravissimo, di essere distrutto e le persone che vi hanno lavorato lasciate sole. Persone che hanno avuto il coraggio di intraprendere percorsi differenti, di non utilizzare denaro pubblico per opere costose e inutili, di occuparsi della nostra terra con cura per recuperare natura e bellezza.

Vorrei portare a conoscenza i grandi movimenti ambientalisti italiani di questa storia. Non vorrei apparire troppo esigente se affermo che se ne dovrebbe occupare la Politica, Libera, la Magistratura, le Associazioni, Cittadinanza Attiva, i giornalisti sensibili e attenti al tema e che non si lasciasse solo chi ha provato a costruire un modello di risanamento della nostra terra in maniera seria, attenta e naturale, mettendosi anche contro il grande potere della camorra. Ecco, si tratta di far conoscere questa bella storia prima che diventi una storia triste.

Maria de Biase

fonte: https://comune-info.net/

Che fine ha fatto il Green new deal? La legge di Bilancio vista dal Wwf

«Le risorse realmente disponibili per il Green new deal al 2020 sono complessivamente 1.688 milioni di euro»



















Il disegno di legge di Bilancio 2020-2022 ha iniziato il suo iter parlamentare (qui il testo approdato al Senato), e una volta varato le ambizioni del tanto annunciato Green new deal italiano potranno finalmente iniziare a essere misurate: nel frattempo sono già arrivate le osservazioni al ddl del Wwf, che si è concentrato su otto punti nel corso dell’audizione svoltasi alla commissione Bilancio del Senato. Osservazioni che spaziano dalla plastic tax al Green new deal, abbracciando la messa in sicurezza del territorio, la riqualificazione urbana, la tutela del capitale naturale, i sussidi ambientalmente dannosi, l’efficientamento energetico degli edifici e l’imponibile sui veicoli aziendali inquinanti.
Per quanto riguarda uno dei provvedimenti più discussi della legge di Bilancio, ovvero la plastic tax sui manufatti in plastica monouso,  secondo il Wwf – in accordo con quanto già affermato nei giorni scorsi da altre associazioni ambientaliste, come Legambiente – occorre «distinguere gli oggetti riciclabili e non riciclabili con una tassazione differenziata che incentivi le produzioni virtuose. Analogo incentivo andrebbe previsto anche per tutti quegli oggetti realizzati con percentuali consistenti di materiale riciclato, mentre la norma presentata al Senato premia solo quelli realizzati in plastica riciclata al 100%».  Il Panda nazionale suggerisce inoltre di ampliare la plastic tax «anche a quegli oggetti che non sono necessariamente imballaggi ma che fanno parte della nostra vita quotidiana (cancelleria, penne, spazzolini da denti, rasoi, etc.) e che ad oggi non sono avviati al riciclo», in quanto proprio non essendo imballaggi esulano sin dalla fase di raccolta differenziata.
Uno dei punti più importanti affrontati dall’associazione ambientalista al Senato riguarda poi il Green new deal, che dovrebbe improntare la quarta rivoluzione industriale. In attesa che venga redatto uno dei 23 collegati alla legge di Bilancio che – come preannunciato dal NaDef approvato a ottobre dal Governo giallorosso – sarà dedicato nello specifico al tema, dall’esame della legge di Bilancio emerge che «le risorse realmente disponibili per il Green new deal al 2020 sono complessivamente 1.688 milioni di euro (685 milioni di cui all’art. 7; 500 milioni di cui all’art. 8, c. 1; 470 milioni di cui all’art. 11, c. 1; 33 milioni di cui all’art. 11, c. 12)».
Secondo gli stessi articoli di legge il grosso dei finanziamenti arriverà più lontano negli anni: «Il complesso delle risorse assegnate ai nuovi fondi o al rifinanziamento di vecchi o a contribuiti per il Green new deal, ad un orizzonte massimo del 2034 è di 29.404 milioni di euro». Dal Wwf lo definiscono «un impegno estremamente rilevante, che andrà confermato nei prossimi anni che però risulta essere sensibilmente diverso da quanto annunciato nel NaDef con riguardo all’istituzione di due fondi di investimento quindicennali da 50 miliardi di euro, assegnati rispettivamente allo Stato (confermato) e agli Enti locali (da confermare)». Una differenza non da poco, dato che al momento si misura in oltre 30 miliardi euro in meno rispetto a quanto inizialmente annunciato, che pone l’Italia in una condizione di minoranza rispetto a quanto messo in campo ad esempio dalla Germania (che prevede una carbon tax e investimenti da 54 miliardi di euro entro il 2030 contro i cambiamenti climatici).
Rispetto alla manutenzione del territorio e al rischio idrogeologico, il Wwf segnala invece che per il 2020 «saranno disponibili solamente 85 milioni di euro (mentre negli anni successivi, fino al 2034, sono previsti investimenti per oltre 12 miliardi di euro) che risultano oggi assolutamente insufficienti in un Paese, come l’Italia, dove nel 2013 il ministero dell’Ambiente aveva calcolato che fossero necessari 40 miliardi di euro in 15 anni per mettere in sicurezza il nostro territorio».
Da sottolineare infine come sia «praticamente assente la valorizzazione e tutela del nostro capitale naturale», con il Wwf a denunciare che «per la difesa dei beni naturali (difesa mare, aree protette, commercio di specie a rischio, controlli ambientali) nel disegno di legge di Bilancio per il 2020 siano stati al momento stanziati soltanto 232 milioni di euro, equivalenti allo 0,8% dell’ammontare complessivo della manovra». Se dunque qualcosa di positivo per la sostenibilità è arrivato in legge di Bilancio, rimane ancora molto da migliorare.
fonte: www.greenreport.it

A Ferrara RemTech Expo 2019 e post Conferenza Snpa

Dal 18 al 20 settembre a Ferrara Fiere l'evento specializzato su bonifiche dei siti contaminati, rischi ambientali, riqualificazione e rigenerazione del territorio, chimica circolare. Il Sistema nazionale di protezione dell'ambiente (Snpa), formato dalle Agenzie ambientali Arpa/Appa e Ispra propone e partecipa a diversi convegni ed eventi in programma. 















Torna RemTech Expo 2019 a Ferrara Fiere, che quest’anno si svolgerà dal 18 al 20 settembre, realizzata in stretta sinergia con il ministero dell’Ambiente e il Sistema nazionale di protezione dell’ambiente (Snpa), formato dalle Agenzie ambientali Arpa/Appa e Ispra. La manifestazione si compone di diversi segmenti:
– RemTech e RemTech Europe (bonifiche dei siti contaminati)
– Coast ClimeTech (tutela della costa e porti sostenibili)
– Esonda ClimeTechGeosismica (dissesto idrogeologico e frane, rischio sismico)
– Inertia (sostenibilità delle opere e riutilizzo dei materiali)
– RigeneraCity (rigenerazione urbana e social housing)
– ChemTech (industria chimica sostenibile).
Snpa propone e partecipa a diversi convegni ed eventi in programma. Sono quattro i tavoli permanenti di confronto pubblico-privati, e un quinto in arrivo, promossi dal Sistema nazionale di protezione dell’ambiente (Snpa) e RemTechExpo (Bonifiche e sedimenti, Rischi naturali e clima, Economia circolare e gestione rifiuti, Industria e innovazione).
In particolare, giovedì 19 settembre dalle 9,30 si svolge un’iniziativa di aggiornamento su alcuni temi al centro della Conferenza nazionale del sistema Snpa (febbraio 2019). I saluti istituzionali e l’apertura dei lavori sono affidati a Stefano Laporta (presidente Snpa e Ispra) e a Giuseppe Bortone (direttore generale Arpae Emilia-Romagna), intervengono inoltre Chiara Braga della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati e Giuseppe Battarino (magistrato consulente della stessa Commissione).
Alle 10.30 Fabio Pascarella (Ispra) presenta il quadro della situazione Snpa sulla bonifica siti contaminati. Di seguito sarà presentato lo stato di avanzamento delle attività di Gruppi di lavoro Snpa in merito alle tematiche:
– Amianto
– Procedure e metodi per la validazione dei dati
– Valutazione del mercurio nelle matrici ambientali
– Sedimenti e acque interne
– Il database nazionale SNPA dei siti oggetto di procedimento di bonifica
Saranno poi illustrati esempi di collaborazione tra Agenzie e Ispra. 

Prima delle conclusioni, affidate a Alessandro Bratti (direttore generale Ispra), si svolgerà un confronto tra soggetti interessati in merito alle linee guida soilgas.
fonte: http://www.snpambiente.it/

Bio-Distretto della Via Amerina e delle Forre: Che cos’è un Bio-Distretto

















Che cos’è un Bio-Distretto

È un’area geografica naturalmente vocata al biologico dove agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni stringono un accordo per la gestione sostenibile delle risorse, partendo proprio dal modello biologico di produzione e consumo (filiera corta, gruppi di acquisto, mense pubbliche bio). Nel Bio-Distretto la promozione dei prodotti biologici si coniuga indissolubilmente con la promozione del territorio e delle sue peculiarità al fine di raggiungere un pieno sviluppo delle proprie potenzialità economiche, sociali e culturali con la partecipazione diretta dei cittadini.
I comuni del biodistretto sono impegnati a realizzare obiettivi e strategie nel campo del ciclo dei rifiuti, dell’uso dei fitofarmaci, del risanamento delle cave, delle risorse energetiche e della manifattura in coerenza con uno sviluppo sostenibile del territorio. Infatti tra le priorità del Bio-Distretto oltre allo sviluppo agricolo acquista rilevante importanza l’implementare politiche a livello locale che sappiamo potenziare progetti e attività volte ad un riutilizzo dei rifiuti, alla creazione di energie alternative, alla riconversione delle attività industriali coerentemente con un’azione di protezione e riqualificazione del territorio.

Gli impegni ed i vantaggi

Con la nascita di un Bio-Distretto sono messe in rete le risorse naturali, culturali e produttive di un territorio con l’obiettivo di valorizzare quelle politiche locali che sono orientate alla salvaguardia dell’ambiente, alla valorizzazione delle tradizioni e dei saperi locali e a uno sviluppo che abbia al centro la salute dei cittadini e la coesione socialeLa spinta propulsiva alla costituzione di un Bio-Distretto proviene in primo luogo dagli agricoltori biologici che ricercano mercati locali in grado di apprezzare le loro produzioni, dai cittadini, sempre più interessati alla qualità dei prodotti agricoli e un’ambiente non inquinato, e da tutti quegli operatori economici che possono trarre opportunità e vantaggi da una valorizzazione delle risorse naturali, storiche e culturali del territorio.
Altri, ancora, i sono i soggetti e le organizzazioni che partecipano alla costruzione e alla gestione di un Bio-Distretto, a partire dalle pubbliche amministrazioni e dalle scuole che, con le loro attività e le loro scelte sempre più “verdi”, possono orientare le abitudini dei consumatori e dei mercati locali. Così come gli operatori turistici che a loro volta, attraverso gli eco-itinerari ed il turismo rurale, possono puntare alla riqualificazione ed alla destagionalizzazione dell’offerta turistica.

Perché il Bio-Distretto della Via Amerina e delle Forre

I comuni dell’area che interessa il Bio-Distretto costituiscono un territorio rurale in cui l’agricoltura biologica rappresenta una scelta strategica condotta già da molti produttori locali in modo consapevole. L’agricoltura biologica è un metodo di coltivazione e di allevamento che permette di sviluppare un modello di produzione che eviti lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, in particolare del suolo, dell’acqua e dell’aria, utilizzando invece tali risorse all’interno di un modello di sviluppo che possa durare nel tempo.Nell’area del Bio-Distretto della Via Amerina e delle Forre si contano, ad oggi, diverse centinaia di produttori agricoli impegnati nelle filiere ortofrutticole, vinicole, zootecniche e di trasformazione di altri prodotti di eccellenza. La loro offerta si rivolge al mercato interno, tuttavia per alcune produzioni, come olio d’oliva e vino, i mercati più accessibili sono quelli esteri.
Il patrimonio dei Comuni dell’area si caratterizza anche per l’esistenza di beni ambientali e paesaggistici. Nella sola area di Corchiano, ad esempio, sussistono il Monumento Naturale delle Forre, che si estende su 44 ettari, e il Monumento Naturale Pian Sant’Angelo, che si sviluppa su 262 ettari. A Calcata invece, per citare solo un secondo e ultimo esempio, è di straordinaria importanza e unicità il Parco Regionale della Valle del Trejia. L’area della Via Amerina e delle Forre si connota poi fortemente per le scelte responsabili di gestione delle risorse idriche e nelle gestione integrata dei rifiuti.Il progetto Bio-Distretto si inserisce perfettamente nell’esperienza del “Comprensorio della VIA AMERINA e delle FORRE” nella quale erano già protagonisti diversi comuni della zona (Civita Castellana, Castel Sant’Elia, Corchiano, Fabrica di Roma, Faleria, Gallese, Nepi, Orte, Vasanello, Calcata, Vignanello, Vallerano e Canepina). L’idea del Bio-Distretto è inclusiva nei confronti di altri comuni dell’area che decidessero di aderire al progetto, da qui l’importanza dell’adesione nel 2017 di tre comuni dei monti Cimini : Canepina, Vallerano e Vignanello.



fonte: http://biodistrettoamerina.com