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Come prepararsi alla conversione ecologica

 

L’energia generata localmente da fonti rinnovabili e gestita da comunità energetiche. L’agricoltura, convertita al biologico, alla piccola taglia, alla multicoltura e alla prossimità. La mobilità, affidata a sistemi di trasporto condivisi e flessibili (di massa e a domanda). L’edilizia affidata alla valorizzazione del già costruito e all’efficientamento energetico. Chi mai ci

Farm to Fork, la strategia europea per armonizzare agricoltura, ambiente e salute del consumatore. Il piano in sintesi

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Messa un po’ in ombra dalla pandemia, nel maggio 2020 la Commissione europea ha pubblicato la strategia Farm to Fork, dal produttore al consumatore, un piano ambizioso che ha l’obiettivo di cambiare il sistema agroalimentare in modo tale da garantire ai cittadini europei l’accesso a cibi sani e sostenibili, affrontare i cambiamenti climatici e salvaguardare la biodiversità ed assicurare un giusto compenso alla filiera. Il tutto con un occhio di riguardo al biologico. Ecco in sintesi gli obiettivi principali della strategia Farm to Fork, da raggiungere entro il 2030.
L’uso dei pesticidi in agricoltura contribuisce a inquinare il suolo, le acque e l’aria. La Commissione adotterà misure per ridurre del 50% l’uso di pesticidi chimici e il rischio che rappresentano entro il 2030.   

  

Uno dei principali obiettivi della strategia Farm to Fork è la riduzione dell’uso di pesticidi
L’eccesso di nutrienti nell’ambiente è una delle principali cause di inquinamento dell’aria, del suolo e dell’acqua e ha un impatto negativo sulla biodiversità e sul clima. La Commissione agirà per ridurre almeno del 50% le perdite di nutrienti, senza che ciò comporti un deterioramento della fertilità del suolo e vuole ridurre almeno del 20% l’uso di fertilizzanti entro il 2030.
Si calcola che la resistenza antimicrobica collegata all’uso di antibiotici nella salute umana e animale causi 33 mila vittime nell’UE ogni anno. La Commissione ridurrà del 50% le vendite di sostanze antimicrobiche per gli animali di allevamento e per l’acquacoltura entro il 2030.
L’agricoltura biologica è una pratica che deve essere ulteriormente sviluppata. La Commissione rilancerà lo sviluppo delle aree dell’UE dedicate all’agricoltura biologica affinché il 25% del totale dei terreni agricoli sia dedicato al bio entro il 2030.   

  

Il piano prevede un aumento del 25% della superficie dedicata all’agricoltura biologica entro il 2030

Altri obiettivi del piano Farm to Fork puntano a migliorare l’informazione ai consumatori, ridurre gli sprechi e favorire l’innovazione. Per raggiungere questo traguardo bisogna portare avanti alcuni progetti.
Creare un ambiente in cui scegliere cibi sani e sostenibili sia la scelta più semplice. Si calcola che nel 2017 oltre 950 mila decessi nell’UE (una vittima su cinque) siano stati causati da abitudini alimentari malsane. Un’alimentazione corretta e a base di cibi vegetali riduce il rischio di malattie e riduce di molto l’impatto del nostro sistema alimentare sull’ambiente.
Etichettare meglio i prodotti alimentari per consentire ai consumatori di scegliere un’alimentazione sana e sostenibile. La Commissione proporrà un’etichettatura nutrizionale armonizzata obbligatoria da apporre sulla parte anteriore degli imballaggi e svilupperà un quadro per l’etichettatura dei prodotti alimentari sostenibili che copra gli aspetti nutrizionali, climatici, ambientali e sociali dei prodotti.   

  

La Commissione europea vuole proporre un’etichetta a semaforo obbligatoria e armonizzata per tutta l’UE
Intensificare la lotta contro gli sprechi alimentari. Dimezzare gli sprechi pro capite a livello di vendita al dettaglio e a livello domestico entro il 2030: entro il 2023 la Commissione proporrà obiettivi giuridicamente vincolanti per ridurre gli sprechi alimentari.
Investire 10 miliardi di euro del programma Orizzonte Europa in attività di ricerca e innovazione riguardanti i prodotti alimentari, la bioeconomia, le risorse naturali, l’agricoltura, la pesca, l’acquacoltura e l’ambiente. Il trasferimento di conoscenze sarà essenziale. I servizi di consulenza della PAC per le imprese agricole e la rete di dati sulla sostenibilità saranno fondamentali per aiutare le aziende del settore a compiere la transizione.
Promuovere la transizione globale mettendo in primo piano la sostenibilità dei prodotti alimentari europei, può fornire un vantaggio competitivo e aprire nuove opportunità commerciali. L’UE collaborerà con i paesi terzi e gli attori internazionali per sostenere una transizione globale verso sistemi alimentari sostenibili. Un quadro regolamentare per un’etichettatura di sostenibilità dei prodotti aiuterà i consumatori a scegliere meglio.


fonte: www.ilfattoalimentare.it

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Una specie che si autodistrugge in nome di una "scienza" distorta non è intelligente

Il libro “Cibo e salute”, che vede tra gli autori anche Vandana Shiva e Franco Berrino, edito dalla casa editrice Terra Nuova, è un libro completo per quello che riguarda dati e possibili soluzioni circa l’impatto che ha l’agricoltura industriale sul pianeta e sulla salute delle persone.




Il libro “Cibo e salute”, che vede tra gli autori anche Vandana Shiva e Franco Berrino, edito dalla casa editrice Terra Nuova, è un libro completo per quello che riguarda dati e possibili soluzioni circa l’impatto che ha l’agricoltura industriale sul pianeta e sulla salute delle persone.

Con documentazioni precise, studi e esperienze pratiche si dimostra l’assoluta insostenibilità e pericolosità di un sistema come quello dell’agrobusiness che non ha altro scopo che fare soldi attraverso il cibo, scopo da raggiungere con ogni mezzo. Da un simile obiettivo la qualità dello stesso cibo e le conseguenze sulla terra non possono che essere devastanti per persone e ambiente. Ed in tempi di pandemie vere o presunte, è interessante notare come la stessa OMS definisce le malattie non trasmissibili come la nuova epidemia globale

Ma diamo alcuni dati ed esempi tratti dal libro che rendono bene la situazione.

Cibo, malattie e agroindustria

«Come dicevano gli antichi Veda: “In questa manciata di terra c’è il tuo futuro. Prenditene cura ed essa ti sosterrà e ti darà cibo, vesti, riparo e bellezza. Distruggila ed essa ti distruggerà”».

«L’industria agrochimica e l’agrobusiness, l’industria del cibo spazzatura e quella farmaceutica ottengono grandi profitti, mentre la natura, le nazioni e le popolazioni diventano sempre più deboli e malate».

«Quando tutto il sistema dell’agroindustria assume una posizione di dominio, cominciano a diffondersi su larga scala malattie croniche legate all’alimentazione. I nativi americani chiamano questo fenomeno powaqqatsi “un essere, uno stile di vita, che consuma le forze viventi a proprio vantaggio esclusivo”».

«Il cibo che si ottiene usando sostanze chimiche rovina la salute in tre modi. Prima di tutto, contribuisce alla fame e alla malnutrizione perché si concentra su poche materie prime, gran parte delle quali è destinata a diventare biocarburante e mangime per animali. E’ ciò che accade al 90% del mais e della soia, che non va ad alimentare gli esseri umani. Solo il 30% del cibo che mangiamo proviene dalle grandi aziende agricole industriali. Il 70% proviene da piccole fattorie che usano solo il 20% della terra agricola. In secondo luogo, poiché l’agricoltura industriale produce monoculture uniformi e omogenee, contribuisce alla diffusione delle malattie correlate alla carenza di nutrienti vitali e variati nella nostra dieta».

«Il terzo punto riguarda le sostanze chimiche usate in agricoltura, che penetrano nel nostro cibo e contribuiscono all’insorgere di malattie come il cancro. Sono state create per uccidere e continuano ad uccidere».

«Le malattie non trasmissibili causano il 70% dei decessi a livello mondiale, per un totale di 40 milioni di morti all’anno, di cui circa 15 milioni di età inferiore ai 70 anni. Le principali malattie non trasmissibili comprendono le malattie cardiovascolari, il diabete, i tumori e le malattie respiratorie croniche . Gran parte delle malattie non trasmissibili sono legate alla dieta e causate da fattori biologici di rischio quali:pressione sanguigna, zucchero nel sangue, lipidi nel sangue e grasso corporeo, ateroscleorosi dei vasi sanguigni, trombosi».

«In Italia ci sono 365 mila diagnosi di tumori in Italia in anno, esclusi quelli della pelle. 1000 al giorno».

«La stessa manciata di multinazionali vende sia le sostanze agrochimiche tossiche per l’agricoltura industriale, che compromettono la salute, sia i prodotti farmaceutici pensati con lo stesso paradigma per somministrarli alle persone che si ammalano».

Pesticidi

«Un cittadino medio ha in corpo dalle 300 alle 500 sostanze chimiche in più rispetto a 50 anni fa».

«In particolare, il cervello in via di sviluppo è estremamente sensibile e i pesticidi sono tra le cause più importanti di quella che si può definire una “pandemia silenziosa”».

«L’ammasso di animali, spesso provenienti da varie parti del mondo per ricostruire la scorta delle stalle, può creare una bomba ecologica considerando che i virus di cui sono portatori, modificati dalle molecole chimiche presenti nei vari medicinali, possono dar vita, attraverso ignote ricombinazioni, a imprevedibili e devastanti epidemie».

«Il paradigma industriale agricolo, ancora oggi dominante e radicato nell’ideologia meccanicistica e riduzionista, non è in grado di affrontare l’attuale crisi sanitaria che ha contribuito a creare, poiché occuparsi dei legami fra cibo e salute è inconciliabile con i suoi principi essenziali».

Agroindustria e ambiente

«Quasi il 50% dei gas di serra è prodotto dall’agricoltura industriale e globalizzata».

«Globalmente l’agricoltura industriale è responsabile per il 75% della distruzione ecologica della biodiversità, terra e acqua, e contribuisce al 50% delle emissioni di gas di serra che causano inquinamento atmosferico e caos climatico. Quasi il 75% delle malattie croniche non trasmissibili è correlato al cibo».

Distruzione di cultura e biodiversità

«La sostituzione e lo sterminio delle cultura va a braccetto con lo sterminio e l’estinzione della biodiversità delle piante. Le specie sono spinte all’estinzione una velocità 100 – 1000 volte superiore al normale».

«In agricoltura il 93% della biodiversità vegetale è scomparsa. Le piante come gli esserei umani, sono manipolate violentemente per il profitto dell’1% degli uomini».

«Il 75% della diversità genetica è scomparso in soli cento anni. Dalle diecimila specie originarie, oggi si è arrivati a coltivarne poco più di 150 e la stragrande maggioranza del genere umano si ciba di non più di dodici specie di piante».

«Nel 2016 il mercato mondiale di semi, con un giro di affari di miliardi di dollari, risultava per il 55% nelle mani di cinque grandi multinazionali, in confronto al 10% del 1985, alcune delle quali controllano contemporaneamente una altro mercato multimiliardario, cioè quello dei pesticidi (erbicidi, insetticidi e anticrittogamici)».

«A causa del sistema produttivo industriale, le colture dal dopoguerra ad oggi, hanno perso il 25/70% delle loro sostanze nutritive».

Chi sono i veri scienziati

«Un agricoltore conosce i suoi semi, la sua terra, i suoi prodotti, gli aniamli, gli alberi, le stagioni, la comunità. E’ quindi uno scienziato».

«In realtà, tutta l’agricoltura tradizionale e la selezione delle sementi poggiano sul sapere dei contadini. Il sistema industriale ha da offrire solo veleni all’agricoltura».

«Una nonna, una madre, una ragazza che sanno come trasformare il cibo proveniente dai nostri campi in un pasto delizioso e nutriente sono scienziate dell’alimentazione. Un medico ayurvedico è uno scienziato, così come lo sono i popoli indigeni e le donne. Incarnano il sapere interattivo e dinamico. Il loro sapere è la capacità di vivere nell’unità, sapendo che siamo uno. Gli insegnamenti di un universo interconnesso, vibrante e abbondante, si ritrovano nelle culture indigene, oltre che in tutti gli insegnamenti spirituali».

L'agricoltura biologica conviene a tutti

«I redditi netti degli agricoltori che praticano l’agricoltura biologica aumentano ulteriormente perché è eliminato, evitato e risparmiato l’uso di apporti esterni costosi, come semi , fertilizzanti, pesticidi e irrigazione intensiva. Se consideriamo il beneficio netto per la società, oltre al reddito degli agricoltori, l’agricoltura biologica si dimostra ancora di molto superiore all’agricoltura convenzionale».

Chi sfama davvero il mondo

«L’agricoltura industriale, nonostante l’ingente consumo di risorse, non è in grado di garantire la sicurezza alimentare dei popoli. Al contrario la maggior parte del cibo che mangiamo è ancora prodotta da piccoli e medi agricoltori, mentre la stragrande maggioranza delle colture provenienti dal settore industriale, come mais e soia, è utilizzata principalmente come mangime per gli animali o per produrre biocarburanti».

«La pretesa che l’agricoltura industriale sia necessaria a risolvere il problema della fame nel mondo è totalmente priva di fondamento, oltre che smentita nei fatti».

«I piccoli agricoltori sono in proporzione più produttivi delle grandi aziende industriali: pur avendo a disposizione solo il 25% della terra arabile, riescono a fornire il 70% del cibo a livello mondiale».

«La presunta maggiore produttività dell’agricoltura industriale richiede una quantità di input dieci volte superiori in termini di energia rispetto a quanto produca successivamente in termini di alimenti. Il sistema agricolo industriale ha dunque una produttività negativa, e non potrebbe sostenersi senza le enormi sovvenzioni pubbliche».

Il cibo chimico non conviene

«Si sostiene spesso che i prodotti alimentari abbiano il vantaggio di essere “economici”. I costi di produzione, trasformazione e distribuzione sono in realtà molto elevati e la convenienza è solo apparente. Questa impressione di convenienza è ottenuta artificialmente sopratutto grazie a ingenti sussidi pubblici, all’esternalizzazione dei costi sociali, ambientali e sanitari, e attraverso la manipolazione dei mercati».

«L’industria rifiuta sistematicamente di assumersi le responsabilità dei danni causati dalla malnutrizione, dai pesticidi e dalle malattie croniche».

Chi paga i danni

«I cittadini di tutto il mondo stanno pagando di tasca loro miliardi di sovvenzioni che si trasformano in profitti per le stesse società che causano l’aumento delle malattie attraverso la produzione di cibo tossico e vuoto dal punto di vista nutrizionale. Con questo sistema i redditi delle piccole e medie aziende agricole crollano, i profitti dell’industria aumentano e la qualità del cibo crolla. Lo scopo del sistema attuale non è quindi quello di garantire una adeguata nutrizione e il benessere umano, ma quello di massimizzare i profitti di Big Food».

La transizione necessaria

«Una transizione verso un sistema alimentare sano richiede un cambiamento di paradigma, da una scienza riduzionista a una scienza dei sistemi. Richiede un cambiamento dell’agricoltura industriale ad alta intensità chimica all’agricoltura biologica ad alta intensità ecologica. Necessitiamo tutti di un passaggio dalle economie estrattive a quelle circolari e di solidarietà, da un’economia riduzionista basata sui prezzi a una vera contabilità dei costi. Occorre abbandonare le regole inique del libero scambio, basate su rivendicazioni non scientifiche, per passare ad un commercio equo, basato su di una economia democratica. E’ necessario fermare e regolare la macchina del potere delle multinazionali dell’agroindustria che realizza i suoi straordinari profitti speculando sul bisogno essenziale dell’alimentazione per affermare invece il diritto ad un cibo per tutti gli abitanti del pianeta, che sia sano per le persone e la natura».

Paolo Ermani

fonte: https://www.ilcambiamento.it


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Greenpeace per una nuova politica agricola in Europa che non favorisca solo i modelli intensivi

















La Commissione europea ha pubblicato il 20 maggio la strategia “Farm to Fork“, dedicata al sistema agroalimentare, e “Biodiversità 2030”, due documenti considerati elementi portanti del Green Deal europeo. Greenpeace chiede che questa diventi l’occasione per allineare le politiche agricole comunitarie agli obiettivi di tutela della salute e dell’ambiente. La crisi legata al Covid-19 ha messo in luce la necessità di un profondo cambiamento del sistema agroalimentare, per fronteggiare l’emergenza climatica in corso e scongiurare nuove epidemie. L’associazione chiede anche una profonda revisione dell’attuale Pac (Politica agricola comune), che finora ha favorito un modello di agricoltura e allevamento intensivi, destinando un terzo dei sussidi complessivi all’1% delle aziende del settore, in relazione alle grandi estensioni di terre che controllano, mentre le aziende agricole di piccole dimensioni tendono a scomparire.
Il sistema agroalimentare europeo si caratterizza per una forte produzione di alimenti di origine animale, al punto che circa il 70 per cento dei terreni agricoli dell’Ue viene utilizzato per l’alimentazione del bestiame, e assorbe circa un quinto del bilancio totale dell’Ue. “Bisogna smettere di finanziare ciecamente un sistema non più sostenibile, aiutando gli agricoltori a produrre alimenti sani e rispettosi dell’ambiente” dichiara Federica Ferrario di Greenpeace Italia. “Per farlo è necessario infrangere il tabù dell’aumento di produzione ad ogni costo, soprattutto di prodotti che hanno un maggiore impatto ambientale come quelli di origine animale. È il momento per iniziare a produrre e consumare meno e meglio, utilizzando i fondi disponibili per sostenere i produttori e i consumatori in questo cambiamento e smettendo di finanziare il sistema degli allevamenti intensivi”. Anche la scienza è ormai concorde nell’indicare una drastica diminuzione della produzione e del consumo di carne come uno degli interventi chiave per proteggere la salute umana, l’ambiente e il clima.

agricoltura bio biologico campi coltivare Greenpeace
Greenpeace chiede una sostanziale revisione dell’attuale politica agricole europea

Produciamo troppa carne per questo parte dei fondi stanziati dal governo e di quelli che saranno resi disponibili con il Decreto Rilancio sono destinati a far fronte a una “crisi di sovrapproduzione”, attraverso misure come lo stoccaggio delle carni o l’ammasso di formaggio e cagliate. Per questi motivi è necessaria una visione ampia e strategica su come utilizzare le risorse, incoraggiando modelli di produzione e consumo ecologici.
Per questi motivi Greenpeace chiede di
-Valutare una serie completa di misure per incoraggiare l’adozione di diete più ricche di alimenti di origine vegetale.
– Stabilire limiti legalmente vincolanti per la densità massima negli allevamenti – un numero massimo di animali per ettaro che un’azienda può allevare – che devono essere rispettati da tutte le aziende agricole dell’Ue.
– Stabilire obiettivi vincolanti per ridurre del 50% la quantità di pesticidi sintetici entro il 2025 e dell’80% entro il 2030.
– Adottare una serie di misure atte a garantire alle aziende agricole il necessario sostegno economico per una transizione ecologica dei metodi di allevamento e delle pratiche agricole.
– Rafforzare la direttiva Ue sull’uso dei pesticidi e stabilire requisiti legali per l’applicazione dei principi per la gestione integrata dei parassiti (IPM), compresi i criteri per le pratiche raccomandate (ad esempio rotazioni delle colture, colture di copertura, fasce tampone e siepi) e per quelle non ammesse (ad es. concia delle sementi, calendari delle irrorazioni, uso di colture resistenti agli erbicidi).
– Rafforzare le norme sul benessere animale per rispettare le esigenze e i diritti degli animali allevati e garantire il rigoroso rispetto delle vigenti e future normative Ue sul benessere degli animali.
fonte: www.ilfattoalimentare.it


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Report EFSA: per le associazioni ambientaliste e del biologico è un maldestro tentativo di assoluzione dei pesticidi e dell’attuale modello di agricoltura non più sostenibile




















Dichiarazione di ISDE, WWF, Legambiente, FederBio, Slow Food, Apab, Aiab, Lipu, Pro Natura

Le scorse settimane è stato pubblicato un rapporto di EFSA (l’agenzia europea che si occupa della sicurezza alimentare) dal titolo “Cumulative dietary risk characterisation of pesticides that have chronic effects on the thyroid”.

Il report, riguardante i risultati di due studi pilota retrospettivi su rischi per la salute umana da esposizione cumulativa a multiresiduo di pesticidi per via alimentare, è giunto alla rassicurante conclusione che da tale esposizione non vi sarebbero conseguenze negative per alcuni effetti cronici sulla tiroide e per due effetti acuti sul Sistema Nervoso Centrale (gli unici indagati)

Lo studio affronta un problema di cruciale importanza per la salute pubblica, data la presenza di residui di uno o più pesticidi nel 40.6% degli alimenti, come riportato da EFSA in un report del 2018, in cui però non si faceva distinzione fra multiresiduo e singolo residuo. Dagli ultimi controlli eseguiti in Italia il multiresiduo è in aumento, sono presenti più di un pesticida nel 40% dei campioni di frutta e nel 15% delle verdure, con un massimo di 9 diversi pesticidi nelle fragole e 6 nell’uva da tavola.

Le associazioni ISDE, WWF, Legambiente, FederBio, Slow Food, Apab, Aiab, Lipu e Pro Natura ritengono che questo report dell’EFSA sia solo un esercizio di tipo matematico-statistico, costruito su un modello gravemente lacunoso, in cui si è ricercato solo quello che a priori era prevedibile non trovare, senza invece indagare su ciò che la comunità scientifica da tempo segnala. Per le Associazioni il report di EFSA è un grande “castello di carta”, le cui rassicuranti conclusioni non possono essere in alcun modo condivise. Esistono, infatti, numerose criticità sia di ordine generale che metodologico bene evidenziate nel documento di analisi prodotto dalle stesse Associazioni ambientaliste: Considerazioni sul report EFSA “Cumulative dietary risk characterisation of pesticides that have chronic effects on the thyroid”.

“Il report appare, più che uno studio finalizzato a tutelare la salute pubblica, un maldestro tentativo di assoluzione dei pesticidi e dell’attuale modello agricolo dipendente dalle sostanze chimiche di sintesi – dichiarano le Associazioni – la presenza di multiresiduo negli alimenti rappresenta un problema di grande rilievo per la salute pubblica ed è fonte di preoccupazione nella comunità scientifica e nella società civile, specie per gli effetti sulle componenti più sensibili della popolazione come i bambini, anche perché si assiste ad un aumento della percentuale di campioni con multiresiduo e del numero dei pesticidi presenti”.

Le Associazioni evidenziano inoltre che “la letteratura dispone ormai di consolidate conoscenze che attestano i vantaggi per la salute derivanti da una alimentazione biologica il cui incremento comporta riduzione nella incidenza di infertilità, malformazioni, allergie, otite media, ipertensione in gravidanza, sindrome metabolica, elevato indice di massa corporea, linfomi non Hodgkin. La salute dell’uomo non si può disgiungere da quella degli ecosistemi del Pianeta e sempre più si afferma, anche nel mondo accademico un modello agricolo che rigetta l’uso della chimica e si fonda su un paradigma completamente diverso, quello dell’agricoltura biologica che è l’implementazione pratica dei principi dell’Agroecologia”

In definitiva con questo report, l’EFSA, ha perso una buona occasione per recuperare credibilità e riconquistare la fiducia dei cittadini europei, valori già pesantemente offuscati dalla vicenda glifosate e dai pesanti conflitti d’interesse che hanno caratterizzato il percorso autorizzativo dell’erbicida per il suo utilizzo fino al 2022.


CLICCA QUA PER SCARICARE IL DOCUMENTO COMPLETO 

fonte: www.isde.it


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A Seregno c’è l’anti-supermercato: «Market equo e senza sprechi»

La scelta controcorrente di Francesco Setti, di Mandello Lario, che a Seregno ha aperto “l’anti-supermercato”, cioè l’alternativa alla grande distribuzione: «Salto gli intermediari».










Tra le diverse serrande che si sono abbassante, nell’ultimo periodo, nel centro di Seregno, c’è una mosca bianca in periferia che ha aperto i battenti. Si tratta del “Laboratorio cibo vivo”, le cui vetrine si trovano nell’ultimo tratto di via Giusti, che si affaccia su via Parini, quartiere San Rocco.

Dal 14 dicembre Francesco Setti, 30 anni di Mandello Lario, ha puntato su Seregno per proporre un’attività che lui definisce “l’anti-supermercato”, cioè l’alternativa alla grande distribuzione. Un supermercato controcorrente. Al suo fianco la 20enne colombiana Valeria Sanchez.

«La mia idea è stata di aprire un punto - ha detto - in cui io posso proporre i prodotti di aziende agricole scelte da me e non imposte. Questo perché intendo supportare le piccole aziende agricole coi loro eccellenti prodotti che stentano a stare in piedi, in quanto trascurate o strangolate dalla grande distribuzione. Io acquisto i prodotti e pago subito e permetto alle aziende di vivere e non a 120 giorni come i grandi supermercati».

«Salto gli intermediari - ha proseguito Setti - così posso offrire dei prodotti di qualità superiore ai supermercati a prezzi eguali. Il vantaggio della mia attività è che acquistando da noi non c’è spreco in quanto il cliente può acquistare piccole quantità. Il necessario. Che so, mezzo chilo di pasta, o un etto di fagioli, due etti di ceci, due etti di caffè, per fare degli esempi, e non pacchetti già confezionati. Ognuno può venire col suo sacchetto o barattolo a fare la spesa».


La scelta della piazza di Seregno non è casuale: «Avevo dei contatti con medici, naturopati e nell’ambito della nutrizione che capiscono il valore della mia selezione e mi mandano i loro pazienti che hanno delle particolari necessità alimentari: chi non tollera il lattosio, il glutine, o gli zuccheri, ma soprattutto gli sportivi che hanno bisogno di alimenti ricchi di proteine. Seregno era il crocevia naturale dei miei clienti che provengono da Lecco, Como, Milano e dalla Brianza».

Sugli scaffali si trovano delle vere e proprie “chicche”. Francesco Setti ha alle spalle 7 anni di lavoro in aziende agricole biologiche e di biodinamica. Dapprima in Molise per 6 mesi alle “Terre di Eco”, poi in Toscana a Scansano, quindi San Sepolcro (Arezzo), Volterra al Pomarance, podere santa Bianca, per la produzione di oli essenziali, ma anche un corso pratico di agricoltura a Missaglia.

fonte: https://www.ilcittadinomb.it

Lo stato indiano completamente senza pesticidi, divenuto modello mondiale


















Un angolo di verde incastonato nel cuore dell'Himalaya, completamente libero dai pesticidi e sempre più ricco. È il Sikkim, il primo stato indiano che ha detto addio alle sostanze che avvelenano le terre ricorrendo esclusivamente al biologico.
Al confine con Nepal, Tibet e Bhutan, lo stato da 15 anni ha vietato l'uso dei pesticidi, facendo letteralmente rifiorire il turismo e la fauna selvatica. Il piccolo stato indiano nel 2003 lanciò un esperimento radicale: i suoi leader, guidati dal primo ministro, Pawan Kumar Chamling, decisero di eliminare gradualmente i pesticidi in ogni azienda agricola dello stato, una mossa senza precedenti in Indi, e probabilmente nel mondo.
Un cambiamento rivoluzionario e importante per l'India, un paese i cui progressi nell'agricoltura sono stati guidati da un uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi per incrementare rapidamente la produzione di cibo in tutto il paese, riducendo la dipendenza dagli aiuti esteri.
Anche se finalizzato a ridurre le carestie, l'uso indiscriminato di pesticidi negli anni 70-80 si è fatto presto sentire, sotto forma di un picco nei livelli di cancro nelle aree agricole industriali ma anche fiumi inquinati e suolo sterile.
I residui di pesticidi - inclusi quelli di alcuni prodotti chimici vietati in altri paesi - stavano contaminando pesce, verdure e riso. Preoccupati dalla situazione, i leader politici del Sikkim capirono che non si poteva più continuare in quel modo e occorreva un cambiamento di rotta. Decisero così di affidarsi all'agricoltura biologica.
Oggi, a distanza di 15 anni, questo stato himalayano avvolto dalle nuvole sta raccogliendo tanti frutti. Negli anni successivi al passaggio al biologico, il Sikkim ha bandito pesticidi e fertilizzanti chimici, aiutato gli agricoltori a certificare circa 760mila ettari di terreni agricoli come biologici e dal 1° aprile ha vietato l'importazione di molte verdure non organiche provenienti da altri stati.
La transizione non sempre è stata facile: alcuni agricoltori si sono lamentati del calo dei raccolti e dello scarso sostegno del governo ma la salute generale è notevolmente migliorata.
sikkim agricoltura
Questo è un grande momento per l'India”ha detto Radha Mohan Singh, ministro dell'agricoltura.
La domanda di alimenti biologici è elevata in India e in rapida crescita. La preoccupazione per i pesticidi e il desiderio di cibo privo di sostanze chimiche stanno alimentando un mercato che sta crescendo del 25% all'anno, più del 16% a livello mondiale, secondo un recente studio delle Camere di commercio e industria dell'India. Il mercato del paese per i prodotti biologici confezionati ha raggiunto quasi gli 8 milioni di dollari si prevede che raggiungerà i 12 milioni entro il 2020.
E il merito è anche del primo ministro del Sikkim, Pawan Kumar Chamling, che ha creduto in questa rivoluzione divenendone il principale motore.
Quando abbiamo deciso di dedicarci all'agricoltura biologica nel Sikkim, abbiamo affrontato tante sfide. Agricoltori o coltivatori non avevano idea di cosa fosse l'agricoltura biologica, quindi l'educazione era la nostra prima priorità. Lentamente, le persone hanno cominciato a capirci e a sostenerci”.
Ma l'ordine esecutivo a marzo di vietare l'importazione di prodotti non biologici dagli Stati vicini ha gettato lo stato in tumulto, con prezzi a volte triplicati nei mercati e i commercianti in rivolta.
Lo stato ha anche vietato l'uso di oggetti in plastica e le bancarelle lungo le strade utilizzano piatti modellati dalle foglie. La transizione, che ha richiesto più di un decennio, non è stata facile.
Ad aprile, i funzionari statali hanno aperto due mercati in cui gli agricoltori possono vendere i loro prodotti direttamente ai consumatori e hanno aggiunto più di due dozzine di veicoli di trasporto per aiutarli a spostare più facilmente le merci.
La scelta di puntare sul biologico ha fatto bene anche al turismo che ha subito un'impennata, soprattutto con gli eco-tour e le vacanze in fattorie e campagne. Tra il 2016 e il 2017 il settore ha contribuito al prodotto interno lordo dello Stato passando dal 5% all'8%.
Il consumo di soli prodotti biologici ha generato benefici per la salute dei Sikkimesi, che ricevono cibo più nutriente, ha “ringiovanito” il suolo, salvaguardato la fauna e le popolazioni di api, minacciate dai pesticidi.
Un piccolo paradiso nel cuore delle montagne che dovrebbe essere considerato come esempio in tutto il mondo.
fonte: www.greenme.it

Pesticidi, in un docufilm l’avvelenamento ‘a norma di legge’: “Così arrivano nel sangue, nel miele e perfino sui ghiacciai”

Nuovo documentario di Andrea Tomasi, già coautore del libro inchiesta ‘La farfalla avvelenata’ e del docufilm ‘Veleni in paradiso’, sull'agricoltura intensiva, in particolare delle mele in Trentino: "L'Italia può e deve fare di più. Ma possiamo partire da noi stessi, prendendo consapevolezza del fatto che ogni volta che scegliamo qualcosa al supermercato è come se votassimo: decidiamo noi cosa il mercato offrirà domani"















Avvelenati a norma di legge. Ci tocca lo stesso destino di Biancaneve, solo che stavolta non ci sarà nessun principe azzurro a cavallo che verrà a salvarci, dovremo vedercela da soli. Perché i pesticidi utilizzati in agricoltura sono nel sangue delle donne in gravidanza, nello sterco degli orsi, nel miele e persino sui ghiacciai. Lo racconta ‘Pesticidi, siamo alla frutta’, sottotitolo ‘Biancaneve non è sola’, il nuovo documentario di Andrea Tomasi, già coautore del libro inchiesta ‘La farfalla avvelenata’ e del docufilm ‘Veleni in paradiso’, sul traffico di rifiuti tossici che da mezza Italia arrivano in Trentino, affiancato in quest’avventura dal videomaker Leonardo Fabbri, titolare di Envyda. E di avventura si tratta, dato che l’intero lavoro, che parla degli effetti dell’agricoltura intensiva in Italia, è stato autoprodotto e autofinanziato. In questi giorni, dopo le tappe in Trentino, altre proiezioni sono previste in tutta Italia, da Roma a Taranto, da Bologna alla Terra dei fuochi







DAI DATI AGLI ALLARMI DEGLI ESPERTI Si parte dai dati dell’Ispra (Istituto superiore per la Protezione e la ricerca ambientale). Nel docufilm si mostrano quelli sulle vendite delle varie tipologie di fitofarmaciregione per regione. D’altro canto nel nuovo ‘Rapporto nazionale pesticidi nelle acque 2018’ appena pubblicato l’Ispra certifica che il Trentino resta a livelli altissimi ed è il peggiore, in Italia, secondo solo al Veneto. In Provincia di Trento, infatti, sono stati rilevati 9,3 chilogrammi per ettaro di superficie agricola utilizzata, un livello altissimo rispetto alla media nazionale che è di 4,9 chilogrammi a ettaro e molto lontano dalla vicina provincia di Bolzano che si ferma a 4,4. Il Veneto è l’unico territorio che riesce a fare peggio con 11,7 chilogrammi di pesticidi per ettaro di superficie agricola utilizzata. “Ma se nel docufilm il baricentro è proprio in Trentino, con l’agricoltura intensiva delle mele golden a farla da padrona  – spiega a ilfattoquotidiano.it Andrea Tomasi – affrontiamo una questione che interessa tutto il nostro Paese, da Nord a Sud. E riguarda produttoriconsumatoriistituzioni”. Si dà la parola a oncologi, pediatri, nutrizionisti, contadini bio e non, per cercare di capire qual è la situazione nel nostro Paese, ma anche quali sono gli effetti dell’agricoltura intensiva e dell’utilizzo dei pesticidi sui consumatori e, soprattutto, sui bambini. Da queste testimonianze emerge che pur trattandosi di farmaci a norma di legge “come spiega  il pediatra Leonardo Pinelli – aggiunge Tomasi – non viene calcolato l’effetto del mix dei fitofarmaci, sul quale non ci sono neppure studi approfonditi. Dunque si sceglie cosa mangiare, senza avere una vera consapevolezza sugli effetti che l’assunzione di una serie di prodotti avrà sul nostro organismo”.

PESTICIDI OVUNQUEPartendo proprio dal Trentino Alto Adige, nel docufilm viene intervistato un contadino biologico che, insieme al ‘Comitato per il diritto alla salute’ della Val di Non ha raccolto dei campioni, fatti poi analizzare in un laboratorio di Firenze. Ebbene, sono state trovate tracce di pesticidi nello sterco dell’orso e nel favo di ceradi un alveare dal quale, quindi, passa direttamente nel miele che consumiamo. E se non può essere considerato un campione statisticamente rilevante quello che riguarda le analisi fatte in Germania e in Italia su 14 donne in gravidanza, è comunque significativo che nel 100 per cento dei casi siano state trovate tracce di fitofarmaci nelle urine. Al lavoro ha contribuito anche il meteorologo Luca Mercalli (che tiene una rubrica sul nostro mensile FqMillenniuM, ndr), che parla della presenza di sostanze chimiche anche sui ghiacciai dell’arco alpino, ad alta quota. La nutrizionista Renata Alleva ha affrontato la questione degli effetti della presenza di pesticidi sul Dna, parlando delle analisi che lei stessa ha fatto eseguire in Val di Non su una trentina di abitanti tra uomini, donne e bambini.
IL BIOLOGICO: UN SISTEMA IMPERFETTONel docufilm c’è anche un cameo dell’attore e regista Marco Paolini. Ricco di ironia il contributo di Velia Lalli, volto noto di Comedy Central di Sky e del programma Sbandati di Raidue, che prende in giro un certo modo di produrre e consumare biologico. A riguardo si giunge alla conclusione che, nonostante produrre biocosti troppo e ad oggi non rappresenti un sistema perfetto, forse è quella l’unica alternativa all’avvelenamento ‘a norma di legge’. Sulla strada opposta, lo racconta il docufilm, ci sono le contraddizioni dell’agricoltura intensiva. Un esempio è proprio quello della coltura intensiva delle mele golden in Trentino. In Italia molti sono invece i comuni che hanno aderito al progetto europeo ‘Città libere dai pesticidi’, azzerando o riducendo al minimo l’uso dei pesticidi sul loro territorio in favore di alternative sostenibili: Varese, Ragusa, Malles (Bolzano), Occhiobello (Rovigo), Volvera (Torino), Bastida Pancarana (Pavia), Robilante, Morozzo e Barge (tutti in provincia di Cuneo) e Lozzolo (Vercelli).


Andrea Tomasi

IL MESSAGGIOSecondo l’autore del docufilm “l’Italia può e deve fare molto di più, a maggior ragione in un momento nel quale anche la percezione dei consumatori sta cambiando. Siamo tutti più prudenti, soprattutto per i nostri figli”. Eppure, nonostante a livello europeo l’Italia avesse assunto una posizione favorevole alla messa al bando del glifosato, per esempio, tutto è stato frenato da Bruxelles. Gli interessi in ballo sono tanti. “Prima di rimuovere gli ostacoli politici, sia nazionali sia a livello europeo – conclude Tomasi – possiamo partire da noi stessi, prendendo consapevolezza del fatto che ogni volta che scegliamo qualcosa al supermercato è come se votassimo. Decidiamo noi cosa il mercato offrirà domani”.
fonte: www.ilfattoquotidiano.it


Il 13 maggio tutti in marcia per dire: Stop Pesticidi

Contro l’uso della chimica di sintesi e per un’agricoltura biologica che protegga salute e ambiente il prossimo 13 maggio scendono in campo le associazioni, gli ambientalisti, i cittadini: Marcia Stop Pesticidi.
















Il 13 maggio sarà una intensa giornata, in cui ci saranno tre diverse marce accomunate dagli stessi obiettivi. Da Cison a Follina in provincia di Treviso, si muoverà la Marcia Stop Pesticidi; tra le vie di San Pietro in Cariano in provincia di Verona si svolgerà una manifestazione parallela; intorno al lago di Caldaro, in  provincia di Bolzano, sfilerà Stop Pestizides.
Le marce attraverseranno territori messi a dura prova dalle coltivazioni intensive di mele e di vitigni e dal conseguente uso della chimica di sintesi che inquina il suolo, l’acqua, l’aria determinando la scomparsa di molte specie, la perdita di biodiversità, la contaminazione delle falde idriche, il depauperamento del paesaggio avvilito dalla monocoltura.
“In alternativa a questo modello – affermano i promotori della Marcia Stop Pesticidi – sosteniamo esperienze agricole come l’agricoltura biologica,  i biodistretti e le filiere corte, che in questi anni hanno dimostrato di saper coniugare il rispetto per la salute pubblica e l’ambiente, producendo alimenti sani e posti di lavoro, valorizzando la varietà dei prodotti locali e tutelando la salute pubblica.”
Se a mobilitarsi prima di tutto sono le popolazioni che vivono in queste aree, consapevoli di essere fortemente esposte ai pesticidi rischiando la salute, le adesioni arrivano da ogni parte d’Italia: da gruppi di cittadini, da associazioni e comitati.
“Le tre marce del 13 maggio – dicono i promotori della Marcia Stop Pesticidi –  sono accomunate dal fatto di avere gli stessi obiettivi, di lanciare lo stesso appello. E se lo scorso anno alla nostra marcia hanno aderito più di 120 associazioni attive a livello locale, regionale e anche nazionale, quest’anno contiamo di fare anche meglio visto che al momento – e mancano ancora parecchi giorni al 13 maggio – abbiamo già raccolto complessivamente più di 100 adesioni. Tra queste ci sono quella del Comune di Feltre e il patrocinio del Comune di Revine Lago:  speriamo che si aggiungano altri Comuni sensibili a questi temi”.
L’appello che gli organizzatori delle marce rivolgono alla Commissione europea è di rivedere la recente autorizzazione concessa all’uso del glifosato per altri 5 anni; riformare la procedura con cui viene approvato l’impiego dei pesticidi; fissare alcuni obiettivi obbligatori di riduzione delle sostanze chimiche di sintesi nei campi.
“A governo, Regione e Comuni chiediamo – aggiungono i promotori della marcia – di applicare il principio di precauzione vietando l’utilizzo dei pesticidi, attivando controlli e sanzioni idonee, proibendo definitivamente le sostanze sottoposte a deroghe. Ma anche di potenziare gli strumenti di controllo e salvaguardia del territorio per evitare sbancamenti, deturpazione del paesaggio, possibili discariche abusive e cambiamenti delle destinazioni d’uso; di disincentivare le produzioni agricole industriali e le monocolture; di favorire e finanziare l’agricoltura biologica e la costituzione di biodistretti, nel rispetto della biodiversità e delle tipicità tradizionali locali”.

fonte: www.ilcambiamento.it

Bio-Distretto della Via Amerina e delle Forre: Che cos’è un Bio-Distretto

















Che cos’è un Bio-Distretto

È un’area geografica naturalmente vocata al biologico dove agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni stringono un accordo per la gestione sostenibile delle risorse, partendo proprio dal modello biologico di produzione e consumo (filiera corta, gruppi di acquisto, mense pubbliche bio). Nel Bio-Distretto la promozione dei prodotti biologici si coniuga indissolubilmente con la promozione del territorio e delle sue peculiarità al fine di raggiungere un pieno sviluppo delle proprie potenzialità economiche, sociali e culturali con la partecipazione diretta dei cittadini.
I comuni del biodistretto sono impegnati a realizzare obiettivi e strategie nel campo del ciclo dei rifiuti, dell’uso dei fitofarmaci, del risanamento delle cave, delle risorse energetiche e della manifattura in coerenza con uno sviluppo sostenibile del territorio. Infatti tra le priorità del Bio-Distretto oltre allo sviluppo agricolo acquista rilevante importanza l’implementare politiche a livello locale che sappiamo potenziare progetti e attività volte ad un riutilizzo dei rifiuti, alla creazione di energie alternative, alla riconversione delle attività industriali coerentemente con un’azione di protezione e riqualificazione del territorio.

Gli impegni ed i vantaggi

Con la nascita di un Bio-Distretto sono messe in rete le risorse naturali, culturali e produttive di un territorio con l’obiettivo di valorizzare quelle politiche locali che sono orientate alla salvaguardia dell’ambiente, alla valorizzazione delle tradizioni e dei saperi locali e a uno sviluppo che abbia al centro la salute dei cittadini e la coesione socialeLa spinta propulsiva alla costituzione di un Bio-Distretto proviene in primo luogo dagli agricoltori biologici che ricercano mercati locali in grado di apprezzare le loro produzioni, dai cittadini, sempre più interessati alla qualità dei prodotti agricoli e un’ambiente non inquinato, e da tutti quegli operatori economici che possono trarre opportunità e vantaggi da una valorizzazione delle risorse naturali, storiche e culturali del territorio.
Altri, ancora, i sono i soggetti e le organizzazioni che partecipano alla costruzione e alla gestione di un Bio-Distretto, a partire dalle pubbliche amministrazioni e dalle scuole che, con le loro attività e le loro scelte sempre più “verdi”, possono orientare le abitudini dei consumatori e dei mercati locali. Così come gli operatori turistici che a loro volta, attraverso gli eco-itinerari ed il turismo rurale, possono puntare alla riqualificazione ed alla destagionalizzazione dell’offerta turistica.

Perché il Bio-Distretto della Via Amerina e delle Forre

I comuni dell’area che interessa il Bio-Distretto costituiscono un territorio rurale in cui l’agricoltura biologica rappresenta una scelta strategica condotta già da molti produttori locali in modo consapevole. L’agricoltura biologica è un metodo di coltivazione e di allevamento che permette di sviluppare un modello di produzione che eviti lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, in particolare del suolo, dell’acqua e dell’aria, utilizzando invece tali risorse all’interno di un modello di sviluppo che possa durare nel tempo.Nell’area del Bio-Distretto della Via Amerina e delle Forre si contano, ad oggi, diverse centinaia di produttori agricoli impegnati nelle filiere ortofrutticole, vinicole, zootecniche e di trasformazione di altri prodotti di eccellenza. La loro offerta si rivolge al mercato interno, tuttavia per alcune produzioni, come olio d’oliva e vino, i mercati più accessibili sono quelli esteri.
Il patrimonio dei Comuni dell’area si caratterizza anche per l’esistenza di beni ambientali e paesaggistici. Nella sola area di Corchiano, ad esempio, sussistono il Monumento Naturale delle Forre, che si estende su 44 ettari, e il Monumento Naturale Pian Sant’Angelo, che si sviluppa su 262 ettari. A Calcata invece, per citare solo un secondo e ultimo esempio, è di straordinaria importanza e unicità il Parco Regionale della Valle del Trejia. L’area della Via Amerina e delle Forre si connota poi fortemente per le scelte responsabili di gestione delle risorse idriche e nelle gestione integrata dei rifiuti.Il progetto Bio-Distretto si inserisce perfettamente nell’esperienza del “Comprensorio della VIA AMERINA e delle FORRE” nella quale erano già protagonisti diversi comuni della zona (Civita Castellana, Castel Sant’Elia, Corchiano, Fabrica di Roma, Faleria, Gallese, Nepi, Orte, Vasanello, Calcata, Vignanello, Vallerano e Canepina). L’idea del Bio-Distretto è inclusiva nei confronti di altri comuni dell’area che decidessero di aderire al progetto, da qui l’importanza dell’adesione nel 2017 di tre comuni dei monti Cimini : Canepina, Vallerano e Vignanello.



fonte: http://biodistrettoamerina.com