Visualizzazione post con etichetta #Trentino. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #Trentino. Mostra tutti i post

Dall’alveare alla vigna: l’agricoltura resiliente affronta il clima che cambia

I cambiamenti climatici stanno già alterando i delicati equilibri annotati da decenni nei quaderni di apicoltori e vignaioli, mettendo a rischio la sicurezza alimentare. Le storie di chi si sta adattando, dal Trentino-Alto Adige alle Marche



















All’inizio degli anni Novanta l’apicoltore trentino Andrea Paternoster aveva immaginato un modello di azienda resiliente: oggi le 1.200 arnie di Mieli Thun (mielithun.it), che ha sede a Vigo di Ton (TN), in Val di Non, hanno a disposizione 60 diverse postazioni in dieci Regioni. “Non sono tutte contemporaneamente attive -racconta Paternoster-, ma così facendo credevo che sarei stato esonerato dalle ‘bizzarrie del tempo’. Non è così, però: sono tre anni, ad esempio, che non riusciamo a produrre il miele di tarassaco sull’Altipiano di Asiago, uno dei più pregiati. Quest’anno durante la fioritura, che arriva subito dopo quella del melo, intorno a metà maggio, ci sono stati tre giorni a -9 gradi. Una gelata che brucia le piante e ucciderebbe le api. Non le abbiamo nemmeno portate”. Gli eventi estremi mettono in crisi anche un modello aziendale come quello di Mieli Thun: adesso che è possibile fare un bilancio per il 2019, i numeri sono spietati: se in media Paternoster produce ogni anno 400 quintali di miele, quest’anno lo ha chiuso con appena 80.
L’apicoltura è una spia rossa che lampeggia: “L’ape è il punto di contatto tra mondo vegetale e mondo animale, un animale aereo che non tocca mai terra e vive del nettare delle piante, che è il suo nutrimento” sintetizza Paternoster. In gioco c’è la nostra sicurezza alimentare. Lo dice in modo chiaro un rapporto presentato ad agosto 2019 dal Gruppo intergovernativo di lavoro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (IPCC), e dedicato agli effetti dei cambiamenti climatici sull’agricoltura e gli ecosistemi, temi che sono al centro della COP25, la conferenza ONU sul climate change in programma a Madrid dal 2 al 13 dicembre (unfccc.int/cop25): il riscaldamento globale, aggravato dalla siccità, ha già causato una riduzione della produttività nell’Europa meridionale; il cambiamento climatico sta minacciando la sicurezza alimentare nelle zone aride del Pianeta, in particolare in Africa, e nelle regioni montuose dell’Asia e del Sud America.
L’idea di apicoltura nomade di Mieli Thun era nata con due obiettivi: il primo, qualitativo, era quello di raccontare attraverso mieli monorigine i diversi areali di produzione, “e far così emergere le speficità territoriali che siamo abituati a ricercare nelle altre produzioni agroalimentari, in particolare per il vino” spiega Paternoster; il secondo motivo anticipava ciò che oggi emerge con chiarezza: “Se avessi avuto le api in tanti luoghi diversi -racconta l’apicoltore trentino- sarei riuscito a fare quello che fanno i contadini in tutta Italia, quando scelgono di acquistare o affittare appezzamenti in zone diverse, per tenersi al riparo da una gelata, dall’esondazione di un fiume, da una grandinata”. Nel catalogo di Mieli Thun si trovano il miele di abete e quello di bosco, il miele di cardo e di coriandolo, quello di melo e di arancio.
Trent’anni dopo, Andrea Paternoster sa di non esser riuscito a proteggere la sua azienda dagli effetti del cambiamento climatico. Oggi diventa difficile, per un apicoltore, programmare il percorso dell’annata, come fa un pastore transumante. “Esistevano condizioni standard, in merito alla fioritura e allo spostamento delle api, annotate nei nostri quaderni di campagna, ma oggi capitano cose imprevedibili”. Nella primavera del 2019, ad esempio, ci sono stati ben 40 giorni di blocco di volo delle api: gli insetti non sono usciti a raccoglie il nettare per motivi legati al clima, nel periodo di fioritura dell’acacia, e secondo l’ISMEA (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) questo ha causato una riduzione della produzione del 40 per cento. “L’acacia per un apicoltore è come l’etichetta ‘base’ per un vignaiolo: è fondamentale per l’equilibrio economico aziendale” sottolinea Paternoster. La cosa assolutamente non comune, spiega, è che il blocco, e la mancata produzione, abbia coinvolto Cuneo e Pavia, Verona e Treviso, Trieste e la Sicilia, dove il vento di tramontana ha disidratato i fiori d’arancio, che non avevano nettare. “Il problema non è solo di mancata produzione: ho usato ottanta quintali di miele, quello delle prime fioriture primaverili, per alimentare le api, ed abbiamo avuto problemi comunque. Gli insetti che han subito uno stress alimentare, in un periodo dell’anno che è come l’adolescenza di un mammifero, restano in difficoltà per sempre, e così -racconta Paternoster- non hanno prodotto nemmeno nella stagione più clemente”.
“Esistevano condizioni standard, in merito alla fioritura e allo spostamento delle api, ma oggi capitano cose imprevedibili” – Andrea Paternoster
Se l’apicoltore trentino ha almeno trent’anni d’esperienza, il vignaiolo Corrado Dottori -milanese trapiantato a Cupramontana (AN), nelle Marche- ha superato nel 2019 le venti vendemmie. La sua azienda si chiama La Distesa (ladistesa.it), e insieme con altri produttori ha dato vita alla rete terroirMarche (terroirmarche.com, vedi Ae 184). A ottobre Dottori ha pubblicato un libro, in cui racconta l’ecologia vista da un vigna: s’intitola “Come vignaioli alla fine dell’estate” (DeriveApprodi). “Ormai anche gli inverni e le estati che ci sembrano in linea, sono mediamente più caldi: questo è evidente nel ciclo della vite, con le fioriture anticipate. La pianta comincia a ‘muoversi’ sempre prima, ponendoci a rischio di gelate tardive. Un altro metro per misurare i cambiamenti in atto riguarda il regime delle piogge: la nostra sarebbe una Regione temperata, nel Centro Italia, ma ci stiamo tropicalizzando: a maggio di quest’anno ci sono stati tra i 20 e i 22 giorni iniziati col beltempo al mattino, e scossi da uno ‘sciacquone’ nel pomeriggio. Poi a giugno, di colpo non ha fatto una goccia d’acqua, in tutto il mese”.

Corrado Dottori, titolare dell’azienda “La Distesa” insieme alla moglie Valeria Bochi tra le vigne di Cupramontana (AN). Con altri produttori ha dato vita alla rete “terroirMarche” – © Paula Prandini

Anche il titolo del libro, “Come vignaioli alla fine dell’estate”, rimanda a un evento estremo, la grandinata (che a fine estate distrugge il raccolto pronto per la vendemmia), un tema contadino: “Ne ho contate cinque o sei nei primi quindici anni, mentre adesso capita due o tre volte l’anno, tutti gli anni. Colpa di un atmosfera che è più calda” sottolinea Dottori.
Nel medio periodo, gli effetti già misurabili sono anche altri, e riguardano il vitigno e i vigneti: “Il Verdicchio (è il vitigno a bacca bianca più diffuso a Cupramontana, da cui si ricava il Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC) negli ultimi cinque anni ha perso un punto di acidità in media, quasi un 20 per cento dell’acido tartarico complessivo. Questo significa che puoi acidificare il vino, come fanno i produttori ‘industriali’, ma se lavori in naturale hai ben pochi margini, se non quello di anticipare un po’ le vendemmie, di piantare in zone più fresche o di affittare parcelle in zone più alte a livello altimetrico. In termini di denominazione, però, questa mutazione cambia il vino -spega Corrado Dottori-. Il clima che cambia, quindi, ha necessariamente un impatto sul concetto di terroir, sul mito del terroir, cioè l’identificazione tra vitigno e territorio. Per assurdo, non sarà più possibile coltivare con successo determinati vitigni nei luoghi dove li abbiamo conosciuti e dove siamo abituati a collocarli”.
In Emilia-Romagna c’è chi si sta misurando da un paio d’anni con la coltivazione di nuove varietà orticole “migranti” per valutarne la capacità di adattamento di fronte alla (prossima) scarsità idrica. Il progetto Semìno (semino.org) è coordinato da Kilowatt, cooperativa di lavoro e incubatore di idee ad alto impatto sociale e ambientale. In autunno nei campi ci sono pak choi, tatsoi e brassica mizuna, mentre nel ciclo di primavera c’erano gombo/okra, fagiolo dall’occhio, curcuma, edamame, shiso. Brassicacee, leguminose, radici che arrivano da Africa, America Latina, Asia e Medio Oriente. “Siamo partiti da mezzo ettaro, l’anno scorso, con la prima sperimentazione, ed oggi coltiviamo un ettaro e mezzo” racconta Samanta Musarò. Una collaborazione con la facoltà di Agraria dell’Università di Bologna permette di misurare la Water Use Efficiency (WUE), un’analisi che s’è concentrata sull’okra, originaria del continente africano. “La WUE è specifica di ogni pianta e si ottiene dal rapporto tra produzione e acqua utilizzata durante il ciclo produttivo -spiega Musarò-. Nel terreno dedicato alla sperimentazione sono state create tre aiuole diverse: una veniva irrigata con 100 litri, che è quanto consigliato dai disciplinari, le altre con 50 e 25 litri. La resa migliore l’hanno avuta le piante che hanno ricevuto il 50% di acqua”. Dopo il primo anno, con la coltivazione nei campi della cooperativa sociale Pictor, la rete s’è allargata a due altre aziende bolognesi, Floema e Holerialla, e ad una Ong di Perugia, Tamat, che ha un progetto di agricoltura sociale sul territorio. “Holerialla è una piccola azienda che si occupa di ‘microgreen’ (la coltivazione di germogli). Tra i collaboratori c’era un migrante del Pakistan, e l’ingresso nella rete permette alla titolare di rispondere a una richiesta del collaboratore, quella di poter coltivare prodotti che conosce di più”. L’inclusione sociale resiliente.
fonte: https://altreconomia.it

APPA Trento pubblica la nuova guida alle proposte di educazione ambientale “A scuola di ambiente e stili di vita”

















La nuova guida alle proposte di educazione ambientale e alla sostenibilità di APPA Trento contiene più di sessanta proposte didattiche rivolte alla scuola di ogni ordine e grado del Trentino per l’anno scolastico 2019/2020. Un’offerta completa con percorsi educativi che affrontano le grandi sfide ambientali, legate alla conservazione delle risorse del nostro Pianeta, in modo trasversale, interdisciplinare, con propri linguaggi, metodologie e tipologie di azione. Attraverso un profondo cambio di mentalità che coinvolga istituzioni, imprese e singole persone, sarà possibile operare scelte orientate ad una società che rispetti l’ambiente: e questa consapevolezza non può che iniziare dalla scuola.
La nuova guida è consultabile interamente online, sulle pagine web di APPA Trento, all’indirizzo:
http://www.appa.provincia.tn.it/educazioneambientale/guidascuola
fonte: http://www.snpambiente.it

Il supermercato dove la plastica è vietata

La novità a Ossana, in val di Sole. Due giovani agricoltori aprono un supermercato plastic-free con i prodotti della loro terra















Bisogna prendere l'insalata, metterla nel sacchetto di carta e pesarla. Si pesa e si porta via quello che effettivamente si mangia".
Comprare senza plastica si può: lo conferma Patrizia, che a Ossana, in Trentino, alterna le sue giornate tra l'orto della sua azienda agricola e il supermercato biologico dove rivende il raccolto.

Sugli scaffali, solo prodotti locali e certificati, proprio come i piccoli frutti di Giacomo, socio non ancora trentenne del supermercato: "Abbiamo deciso di trovare il lavoro che ci desse la possibilità di rimanere legati al nostro territorio".



Con loro, c'è Marina, più esperta ma non meno entusiasta: "Ho trovato la ricetta dell'aceto che si faceva in casa con le mele coltivate. Se uno va a cercare su internet le proprietà dell'aceto di mela selvatica e sono l'unica in Italia a farlo".

Il primo a crederci è stato il Comune, che ha indetto un bando ad hoc. "L'abbiamo fortemente voluto perché aprisse una strada verso il biologico, il sano, il consumo di energia minimo e la plastica assolutamente vietata".

E la risposta dei clienti è sorprendente: "Piace molto anche alle persone anziane eravamo un po' in dubbio che capissero questo sistema ma in realtà loro lo sanno già perché qua cinquant'anni fa si faceva così".


fonte: https://www.rainews.it/

CicloCinema, il primo festival di cinema sostenibile

l Festival ideato da due ventenni trentini si svolgerà dal 16 ed il 20 giugno e farà tappa a Riva del Garda, Molveno, Cles, Merano e Bolzano. Sarà l’energia delle pedalate di dieci bici ad alimentare le proiezioni nelle varie città










Bicicletta, borraccia e pop corn: ecco tutto quello che vi servirà per partecipare al Ciclocinema (www.ciclocinema.org), il primo festival di cinema itinerante del Trentino-Alto Adige interamente alimentato dall’energia delle pedalate! Il CicloCinema si svolgerà tra il 16 ed il 20 giugno e farà tappa a Riva del Garda, Molveno, Cles, Merano e Bolzano. L’idea è di un gruppo di ragazzi che ha puntato sulla passione per la bicicletta, per il cinema e per la sostenibilità.
Gli intraprendenti organizzatori del festival, entrambi trentini, sono due giovani appassionati di biciclettaAndrea Bertoldi, che ha 23 anni ed è studente alla Zelig e Federico Bertoldi, ingegnere elettronico di 25 anni. Il team del di CicloCinema percorrerà 40-50 km al giorno e sarà ospitato presso strutture che sostengono il progetto o in sistemazioni come parrocchie o palestre. A bordo delle loro dieci bici i ragazzi del team trasporteranno l’attrezzatura per le proiezioni all’aperto. Gli spettatori, dandosi il cambio su due delle dieci bici, potranno prendere parte al Festival pedalando e rendendo l’evento energicamente autosufficiente. Le dieci bici infatti, agganciate a ciclo-generatori offriranno fino a 1000 watt di potenza, sufficiente per sostenere una proiezione per circa 50 persone.

Si partirà da Trento in direzione di Riva del Garda dove la sera del 16 giugno ci sarà la prima proiezione alla centrale idroelettrica di Wonderful Losers – A different world di Arunas Matelis. Il 17 giugno la ciclabile fino a Castel Toblino porterà alla strada per Ranzo da cui si percorrerà la strada forestale fino al lago di Molveno (43km). Qui, in Piazza San Carlo sarà proiettato Funne – Le ragazze che sognavano il mare di Katia Bernardi. Il 18 giugno si andrà verso la valle di Non scendendo fino a Sporminore per poi risalire la valle fino a Cles. Al Dos di Pez a Cles ci sarà la proiezione di Papà Dario! di Thomas Saglia. Da qui il 19 giugno si salirà per 27 km fino al passo delle Palade per poi arrivare a Merano, luogo della quarta serata (50km). Al Schloss Kallmünz sullo schermo sarà presentato Unfinished Italy di Benoit Felici. Infine si scenderà per scendere lungo la ciclabile che costeggia il fiume Adige per arrivare a Bolzano, tappa finale del ciclo viaggio. Il 20 giugno al parco dei Cappuccini di Bolzano sarà presentato Bar Mario di Stefano Lisci.

fonte: www.rinnovabili.it

Gli eventi in Trentino saranno sostenibili e rispettosi dell’ambiente
























“Eco-Eventi Trentino” è il nuovo marchio che certificherà la sostenibilità ambientale degli eventi organizzati in provincia di Trento. Spetterà all’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente (Appa) definire le modalità attraverso cui sarà possibile richiedere la certificazione e le azioni richieste agli organizzatori dell’evento così da rientrare nel disciplinare. 
La creazione del marchio Eco-Eventi Trentino nasce – come sottolineato dall’assessore provinciale trentino Mauro Gilmozzi – dalla necessità di garantire la qualità globale alle manifestazioni sportive, turistiche e culturali. Tra le novità della delibera si segnala anche la creazione in prospettiva di un sistema per cui l’adesione e il rispetto del disciplinare permetterà agli organizzatori di beneficiare di un punteggio premiante al fine dell’erogazione di contributi in ambito sportivo, turistico e culturale. Una misura che premierebbe così le manifestazioni e gli eventi più virtuosi.
fonte: https://ambienteinforma-snpa.it/

Pesticidi, in un docufilm l’avvelenamento ‘a norma di legge’: “Così arrivano nel sangue, nel miele e perfino sui ghiacciai”

Nuovo documentario di Andrea Tomasi, già coautore del libro inchiesta ‘La farfalla avvelenata’ e del docufilm ‘Veleni in paradiso’, sull'agricoltura intensiva, in particolare delle mele in Trentino: "L'Italia può e deve fare di più. Ma possiamo partire da noi stessi, prendendo consapevolezza del fatto che ogni volta che scegliamo qualcosa al supermercato è come se votassimo: decidiamo noi cosa il mercato offrirà domani"















Avvelenati a norma di legge. Ci tocca lo stesso destino di Biancaneve, solo che stavolta non ci sarà nessun principe azzurro a cavallo che verrà a salvarci, dovremo vedercela da soli. Perché i pesticidi utilizzati in agricoltura sono nel sangue delle donne in gravidanza, nello sterco degli orsi, nel miele e persino sui ghiacciai. Lo racconta ‘Pesticidi, siamo alla frutta’, sottotitolo ‘Biancaneve non è sola’, il nuovo documentario di Andrea Tomasi, già coautore del libro inchiesta ‘La farfalla avvelenata’ e del docufilm ‘Veleni in paradiso’, sul traffico di rifiuti tossici che da mezza Italia arrivano in Trentino, affiancato in quest’avventura dal videomaker Leonardo Fabbri, titolare di Envyda. E di avventura si tratta, dato che l’intero lavoro, che parla degli effetti dell’agricoltura intensiva in Italia, è stato autoprodotto e autofinanziato. In questi giorni, dopo le tappe in Trentino, altre proiezioni sono previste in tutta Italia, da Roma a Taranto, da Bologna alla Terra dei fuochi







DAI DATI AGLI ALLARMI DEGLI ESPERTI Si parte dai dati dell’Ispra (Istituto superiore per la Protezione e la ricerca ambientale). Nel docufilm si mostrano quelli sulle vendite delle varie tipologie di fitofarmaciregione per regione. D’altro canto nel nuovo ‘Rapporto nazionale pesticidi nelle acque 2018’ appena pubblicato l’Ispra certifica che il Trentino resta a livelli altissimi ed è il peggiore, in Italia, secondo solo al Veneto. In Provincia di Trento, infatti, sono stati rilevati 9,3 chilogrammi per ettaro di superficie agricola utilizzata, un livello altissimo rispetto alla media nazionale che è di 4,9 chilogrammi a ettaro e molto lontano dalla vicina provincia di Bolzano che si ferma a 4,4. Il Veneto è l’unico territorio che riesce a fare peggio con 11,7 chilogrammi di pesticidi per ettaro di superficie agricola utilizzata. “Ma se nel docufilm il baricentro è proprio in Trentino, con l’agricoltura intensiva delle mele golden a farla da padrona  – spiega a ilfattoquotidiano.it Andrea Tomasi – affrontiamo una questione che interessa tutto il nostro Paese, da Nord a Sud. E riguarda produttoriconsumatoriistituzioni”. Si dà la parola a oncologi, pediatri, nutrizionisti, contadini bio e non, per cercare di capire qual è la situazione nel nostro Paese, ma anche quali sono gli effetti dell’agricoltura intensiva e dell’utilizzo dei pesticidi sui consumatori e, soprattutto, sui bambini. Da queste testimonianze emerge che pur trattandosi di farmaci a norma di legge “come spiega  il pediatra Leonardo Pinelli – aggiunge Tomasi – non viene calcolato l’effetto del mix dei fitofarmaci, sul quale non ci sono neppure studi approfonditi. Dunque si sceglie cosa mangiare, senza avere una vera consapevolezza sugli effetti che l’assunzione di una serie di prodotti avrà sul nostro organismo”.

PESTICIDI OVUNQUEPartendo proprio dal Trentino Alto Adige, nel docufilm viene intervistato un contadino biologico che, insieme al ‘Comitato per il diritto alla salute’ della Val di Non ha raccolto dei campioni, fatti poi analizzare in un laboratorio di Firenze. Ebbene, sono state trovate tracce di pesticidi nello sterco dell’orso e nel favo di ceradi un alveare dal quale, quindi, passa direttamente nel miele che consumiamo. E se non può essere considerato un campione statisticamente rilevante quello che riguarda le analisi fatte in Germania e in Italia su 14 donne in gravidanza, è comunque significativo che nel 100 per cento dei casi siano state trovate tracce di fitofarmaci nelle urine. Al lavoro ha contribuito anche il meteorologo Luca Mercalli (che tiene una rubrica sul nostro mensile FqMillenniuM, ndr), che parla della presenza di sostanze chimiche anche sui ghiacciai dell’arco alpino, ad alta quota. La nutrizionista Renata Alleva ha affrontato la questione degli effetti della presenza di pesticidi sul Dna, parlando delle analisi che lei stessa ha fatto eseguire in Val di Non su una trentina di abitanti tra uomini, donne e bambini.
IL BIOLOGICO: UN SISTEMA IMPERFETTONel docufilm c’è anche un cameo dell’attore e regista Marco Paolini. Ricco di ironia il contributo di Velia Lalli, volto noto di Comedy Central di Sky e del programma Sbandati di Raidue, che prende in giro un certo modo di produrre e consumare biologico. A riguardo si giunge alla conclusione che, nonostante produrre biocosti troppo e ad oggi non rappresenti un sistema perfetto, forse è quella l’unica alternativa all’avvelenamento ‘a norma di legge’. Sulla strada opposta, lo racconta il docufilm, ci sono le contraddizioni dell’agricoltura intensiva. Un esempio è proprio quello della coltura intensiva delle mele golden in Trentino. In Italia molti sono invece i comuni che hanno aderito al progetto europeo ‘Città libere dai pesticidi’, azzerando o riducendo al minimo l’uso dei pesticidi sul loro territorio in favore di alternative sostenibili: Varese, Ragusa, Malles (Bolzano), Occhiobello (Rovigo), Volvera (Torino), Bastida Pancarana (Pavia), Robilante, Morozzo e Barge (tutti in provincia di Cuneo) e Lozzolo (Vercelli).


Andrea Tomasi

IL MESSAGGIOSecondo l’autore del docufilm “l’Italia può e deve fare molto di più, a maggior ragione in un momento nel quale anche la percezione dei consumatori sta cambiando. Siamo tutti più prudenti, soprattutto per i nostri figli”. Eppure, nonostante a livello europeo l’Italia avesse assunto una posizione favorevole alla messa al bando del glifosato, per esempio, tutto è stato frenato da Bruxelles. Gli interessi in ballo sono tanti. “Prima di rimuovere gli ostacoli politici, sia nazionali sia a livello europeo – conclude Tomasi – possiamo partire da noi stessi, prendendo consapevolezza del fatto che ogni volta che scegliamo qualcosa al supermercato è come se votassimo. Decidiamo noi cosa il mercato offrirà domani”.
fonte: www.ilfattoquotidiano.it


Fare una società diversa

10661673_889880631040271_5838330465187340365_o
La Provincia Autonoma di Trento, grazie ai suoi poteri speciali e ad una antica consuetudine in materia di solidarietà sociale (lo si è visto anche per gli aiuti ai terremotati nelle Marche e Lazio), è una delle prime istituzione italiane (assieme a Lazio ed Emilia Romagna) a varare una normativa che riconosce la specificità e favorisce la diffusione dell’economia solidale. Ma ci sono voluti ben sei anni per entrare nella fase operativa che prevede la iscrizione degli operatori nei tredici settori economici stabiliti dalla Legge Provinciale n.13 del 17 giugno 2010.
Un lungo lavoro svolto dal Tavolo provinciale istituito dalla legge (che si compone di undici membri di nomina mista, sei dei quali eletti dal mondo dell’associazionismo, delle imprese, delle aziende agricole, delle cooperative, e che si avvale di una segreteria tecnica, oltre che degli uffici provinciali) per stabilire con appositi disciplinari i requisiti di ingresso e i criteri di accreditamento. In pratica i 43 soggetti economici (imprese, cooperative, enti o altro) che fino ad oggi hanno passato l’esame si sono impegnati a svolgere la loro attività soddisfacendo a requisiti (codici etici di condotta e modalità organizzative interne) molto stringenti in materia di trasparenza informativa e gestionale, trattamento e formazione del personale, inserimenti lavorativi di persone che vivono forme di disagio, apertura al servizio civile europeo, chiusura dei cicli dell’energia e dei materiali impiegati nei cicli produttivi, eco-compatibilità e tracciabilità, governace e molto altro ancora declinato nei vari ambiti: prodotti agricoli e agroalimentari biologici e biodinamici; commercio equo e solidale; welfare di comunità; filiera corta e garanzia della qualità alimentare; edilizia sostenibile e bioedilizia; risparmio energetico ed energie rinnovabili; finanza etica; mobilità sostenibile; riuso e riciclo di materiali e beni; sistemi di scambio locale; software libero; turismo responsabile e sostenibile; consumo critico e gruppi di acquisto solidale.
Agli operatori viene richiesto molto di più della normale “responsabilità sociale di impresa” e dei certificati standard Iso 14.000, Ecolabel, Eco-bio. In particolare gli indirizzi della Provincia spingono gli operatori in direzione della creazione di associazioni di secondo grado per meglio rispondere ai sistemi territoriali locali, distretti e filiere di produzione.
Manuela e Mario sono i pilastri della segreteria tecnica. Hanno appena finito di organizzare a Trento la settimana dell’economia solidale. Una fucina di idee e progetti: corsi per i Gruppi di acquisto solidale, una filiera corta del grano, l’uso delle bici per le consegne delle merci dentro la città, corsi di formazione e conferenze sull’economia circolare, sull’ospitalità green e molto altro. Anche il Comune di Trento partecipa alla sfida dell’economia solidale. L’assessore comunale Roberto Stanchina elenca i progetti: un asilo “passivo” in bioedilizia, il mercato solidale del giovedì in Piazza Santa Maria Maggiore, le feste del riuso e del riciclo e consegne con cargobike.

Paolo Cacciari

fonte: http://comune-info.net

La primavera Trentina delle mele avvelenate

La primavera Trentina delle mele avvelenate
Il Trentino è la terra dei sogni, delle alte montagne e dei grandi laghi, una regione ricca di storia, di tradizioni e di paesaggi mozzafiato. 
Il Trentino dovrebbe essere una favola, infatti ricorda molto bene quella di Biancaneve: dove delle aziende in cerca della mela perfetta, preferiscono avvelenare territorio, animali e cittadini con un consumo spropositato di pesticidi, protetti spesso dallo specchio magico delle autorità che non intervengono per proteggere gli interessi più grandi del reame.
Dalla favola alla realtà: la regione autonoma risulta essere una delle regioni Italiane che utilizza più fitofarmaci in assoluto: (qui il rapporto Ispra)  in un Paese, l’Italia, che risulta essere a sua volta uno dei più grandi consumatori di fitofarmaci a livello Europeo (Fonte WWF e Ispra).
Infine non si può non tenere in considerazione, il rapporto Ispra 2016, pubblicato da pochi giorni, il quale ha segnalato un aumento dei pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee in tutta Italia.
Certamente, la questione più dibattuta del momento è quella riguardante i reali rischi a lungo termine di questi prodotti. Di recente, medici, esperti, cittadini e contadini si sono riuniti in Val di Non, dove il consumo di fitofarmaci è consistente da ormai molti anni, per via delle ben note coltivazioni di mele. Il dibattito tenutosi in marzo ha portato ad interessanti discussioni riguardo temi forti e dati piuttosto allarmanti, come riportano questi passaggi dell’articolo di un giornale locale: «Il dibattito sui pesticidi c’è ed è pure molto acceso».
Nell’affollatissima sala dell’Istituto comprensivo di Cles, si è svolto il convegno «Ambiente è salute: esposizione cronica a pesticidi e Dna umano», presentazione della prima ricerca scientifica su alcuni residenti della Val di Non ed organizzata dal Comitato per il diritto alla salute. In quel frangente Il dottor Marco Tomasetti dell’università politecnica delle Marche ha spiegato l’azione dei pesticidi sul Dna umano: «anzitutto essi - ha spiegato - creano una rottura del genoma, poi inibiscono la naturale funzione ricostruttiva e, proprio per questo, obbligano la cellula a riprodursi in maniera errata. Questo non significa certo malattia istantanea, ma è comunque una premessa a tumori o malattie neurodegenerative.»  
Evidentemente qualche rischio c’è, o per lo meno c’è qualcosa di cui parlare, qualcosa della quale assicurarsi: i pesticidi a quale distanza da persone, case, scuole e strade dovrebbero essere irrorati per non causare danni in modo assoluto? Certo le fonti di inquinamento chimico sono molte, ma il tema in questione non vuole essere una lotta diretta verso una categoria, ma piuttosto una tutela verso tutti, anche chi si trova ad utilizzare questi prodotti per lavoro.
Dal punto di vista dei cittadini qualche legge a riguardo già esiste, con un regolamento che stabilisce le distanze minime da abitazioni, scuole, strade, etc.. e degli orari consentiti per l’irrorazione di sostanze pericolose.
Non sempre però queste leggi vengono rispettate ed i cittadini Trentini lo sanno bene. Come tutelarsi allora? I vigili urbani ad esempio sono attivi solo dopo le sette del mattino, mentre le irrorazioni molto spesso avvengono molto prima, alle prime luci dell’alba. Ci si può allora rivolgere ai carabinieri, ma anche questi ultimi nella fascia oraria che precede le sette del mattino hanno poco personale attivo e spesso questo è impegnato in quelle che sono considerate operazioni di maggiore rilevanza.
Quindi in definitiva, un cittadino che osserva un trattore irrorare pesticidi tossici alle sei del mattino a cinque metri da casa sua, sarà lasciato solo: difficilmente le autorità arriveranno in tempo per cogliere sul fatto l’irroratore e multarlo.
Sappiamo che da circa tre anni molte persone stanno vivendo in prima persona questo processo, fatto di denunce, filmati, discussioni e promesse. Nulla è ancora cambiato: a Trento Nord, in un piccolo campo di appena trenta metri per trenta, circondato dalle case, si irrora almeno una volta in settimana prima delle sei del mattino e le denunce si costruiscono sulla base di foto e filmati di pochissimi cittadini virtuosi che si espongono per vedere un loro diritto rispettato.
I vigili dicono che i cittadini hanno ragione, i carabinieri dicono che la legge da ragione a chi subisce questo trattamento iniquo che mette a rischio la salute. Eppure sono tre anni che alcune famiglie denunciamo questa situazione senza ottenere nulla. A cosa serve quindi avere una legge quando non è possibile farla rispettare?
Questi piccoli campi (nella foto uno di questi) vengono irrorati in due minuti e trenta secondi, peccato che il tempo che serve per alzare il telefono, spiegare la situazione alle autorità e aspettare che arrivino, sia molto più lungo. L’ingranaggio è bloccato, non si va avanti, non si torna indietro e nel frattempo i cittadini rischiano la salute mentre si sentono abbandonati dalle autorità e dalla regione che dovrebbe proteggerli.
Se pensate che questo sia un problema solo Trentino, vi sbagliate di grosso. Purtroppo seppur in misura minore in tutta Italia si usano pesticidi in modo intollerabile e la legge nazionale è ancora più confusa di quella regionale. Il gruppo No Pesticidi di Facebook, vanta 12.000 iscritti in 8 mesi ed ha alle spalle una petizione firmata da 11.000 persone per tutelare da pesticidi e diserbanti, chi vive in campagna.
Sul gruppo troverete una bacheca talmente fitta di testimonianze da far rabbrividire, ma vi sono anche tantissime splendide alternative naturali per garantire risultati soddisfacenti, senza distruggere la biodiversità. Troverete un dialogo acceso tra agricoltori che provano nuove tecniche, sperimentano e rischiano per salvaguardare l’ambiente e le persone che fanno parte del nostro ecosistema, ormai sin troppo fragile.
Il discorso è vecchio come il mondo, la colpa è del sistema, del consumatore che vuole belle mele, delle multinazionali dei pesticidi e del mercato che danneggia gli agricoltori. Vero, ma non possiamo dimenticare che questi fitofarmaci alla lunga danneggiano il terreno, entrano nelle falde acquifere, uccidono le api e danno origine ad un ciclo poco sostenibile.
Una regione così bella, così innovativa e così ricca come il Trentino dovrebbe essere un esempio di sostenibilità, dovrebbe tutelare agricoltori e cittadini, promuovendo l’agricoltura vera, quella di una volta, quella senza veleni. Non sarebbe bello essere il polmone verde del nostro Paese?
A Malles, in Alto Adige, cittadini e contadini sono arrivati ad un accordo soddisfacente. Il dialogo è una soluzione, il dialogo è democrazia e tutela. Proviamoci anche noi, facciamo le leggi e facciamole rispettare. Dopotutto, voi accettereste la mela avvelenata?

fonte: http://www.lavocedeltrentino.it