Visualizzazione post con etichetta #SenzaPlastica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #SenzaPlastica. Mostra tutti i post

24 ore senza plastica













Si può vivere un giorno intero senza utilizzare o persino toccare oggetti di plastica? Due youtuber ci provano e l'esito non è scontato...




fonte: www.polimerica.it



#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enter your email address:

Delivered by FeedBurner

“Perché una vita senza plastica è più felice”. Intervista a Chantal Plamondon e Jay Sinha

I due attivisti canadesi hanno aperto 14 anni fa il portale “Life without plastic”, che poi è diventato un libro, ora tradotto in Italia. Sono impegnati nel diffondere le buone pratiche che, collettivamente oltre che come singoli, possiamo praticare per ridurre il nostro impatto ambientale. E far conoscere lo stretto legame tra la produzione di plastica e il riscaldamento globale

















Convinti dell’importanza di fare rete tra i tanti attivisti e studiosi che si stanno occupando del tema della plastica e del suo impatto sul Pianeta, abbiamo incontrato a Ferrara, durante il festival di Internazionale, i canadesi Chantal Plamondon e Jay Sinha, promotori da 14 anni del progetto Life Without Plastic (LWP) -che il prossimo novembre arriverà anche in Europa- e autori nel 2017 dell’omonimo librotradotto in italiano dalla casa editrice Sonda (“Vivere felici senza plastica”, 2019). Li abbiamo intervistati.
Chantal, Jay, quali sono le ultime news canadesi in tema di plastica?
LWP 
La notizia principale, dello scorso giugno, è che il Governo di Justin Trudeau ha annunciato la volontà di bandire dal 2021 le plastiche monouso “dannose”, con un provvedimento simile a quello europeo (la direttiva sulle plastiche monouso dello scorso maggio, ndr). Oltre al bando dei sacchetti di plastica, le cannucce, le posate, i piatti e i bastoncini in plastica usa-e-getta, il governo prevede di collaborare con i territori per introdurre nuove per le aziende che fabbricano prodotti in plastica, al fine di accrescere il loro senso di responsabilità. È un provvedimento molto incoraggiante, ma il 21 ottobre ci aspettano le elezioni federali e se il governo che l’ha annunciato non sarà rieletto temiamo che non possa avere futuro, poiché il tema della riduzione della plastica non è attualmente nell’agenda dei conservatori.
D’altra parte, si sta diffondendo un movimento globale sull’economia circolare, che sta richiamando l’attenzione sull’Extended Producer Responsibility (la responsabilità estesa del produttore, EPR, ndr) e propone di ripensare il design stesso degli oggetti in plastica e il packaging in particolare. È un tema importante perché sottolinea la necessità di avere una maggiore attenzione a un riciclo efficace della plastica, che secondo noi non è la principale soluzione -siamo per la riduzione a monte dei rifiuti, prima di tutto-, ma resta comunque una parte della soluzione. Attualmente, meno del 10% della plastica utilizzata in Canada viene riciclata, è proprio il Governo a dirlo.
Come funziona il sistema di riciclaggio in Canada? 
LWP Non molto bene. Non è prevista una divisione dei rifiuti a monte; mettiamo tutti i rifiuti in un unico grande cestino. Solo a livello industriale i rifiuti sono divisi con delle macchine, ma questo processo produce una bassa qualità nel riciclo. Ogni anno i canadesi buttano via oltre 3 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica; circa un terzo viene da prodotti e imballaggi monouso o con una vita molto breve. Di questi, solo poche tipologia di plastica possono essere riciclate efficacemente: il PET (Polietilene tereftalato), il Polietilene ad alta densità (PEHD) e il Polipropilene (PP). Altri tipi sono troppo contaminate con pezzi di carta e altri materiali, e non si riescono a riciclare. Il risultato è che, ora che la Cina non importa più i nostri rifiuti plastici, una grande quantità di questi rifiuti finisce in discarica. Da un lato quindi dobbiamo continuare a sensibilizzare le persone sul tema del riciclo, ma dall’altro serve un investimento in ricerca e tecnologia per aumentare la raccolta differenziata e riuscire a trasformare la plastica in qualcosa di buono.
La narrazione “anti-plastica” oggi è costruita attorno agli oceani. Come possiamo spostare l’attenzione anche sugli altri ecosistemi?
LWP Quando abbiamo iniziato questo percorso, la nostra attenzione non era tanto sull’inquinamento da plastiche, ma sull’impatto dell’inquinamento sulla salute umana e sugli animali. La transizione della nostra attenzione dagli oceani all’ambiente nella sua globalità dovrebbe ripartire da qui. Presto le microplastiche e le nanoplastiche occuperanno un posto sempre più grande tra i temi dell’agenda globale. Sono ovunque: nel mare, nell’aria, nell’acqua, nell’acqua in bottiglia, nel miele, nella birra. E non possiamo vederle. La plastica negli oceani è quello che vediamo con i nostri occhi ed è un grave problema, ma è solo la punta dell’iceberg. Le conseguenze delle microplastiche sulla salute umana sono sempre più evidenti. Gli studi sono chiari: lo scorso giugno l’università di Victoria, in Canada, ha pubblicato uno studio sulla dieta americana che stima che il consumo annuale di microplastiche varia da 39mila a 52mila particelle, a seconda dell’età e del sesso. Stime che salgono a 74mila e 121mila se si considera anche l’inalazione. E chi beve solo acqua in bottiglia può arrivare a ingerire altre 90mila microplastiche. Ora, la domanda è: quali sono gli effetti sulla nostra salute? La plastica assorbe ed espelle sostanze chimiche e tossiche, come pesticidi o metalli pesanti; inoltre contiene sostanze chimiche che agiscono da interferenti endocrini. Vedremo nei prossimi anni gli effetti sulla salute dei bambini, delle donne in gravidanza e degli adolescenti.
Festival di Internazionale 2019, Ferrara. Chantal Plamondon (al centro) e Jay Sinha, autori di “Life without plastic” con Chiara Spadaro, autrice insieme a Elisa Nicoli di “Plastica addio” (Altreconomia, 2019)
Vi definite “attivisti”. In che modo siete in contatto con i movimenti canadesi e globali?LWP Mi ritengo un’attivista nel mio lavoro quotidiano, proponendo con Life Without Plastic delle alternative concrete e delle soluzioni, aiutando le persone a cambiare in modo sostenibile le proprie abitudini. In questi 14 anni di attività, inoltre, abbiamo sostenuto numerose associazioni e organizzazioni dal basso che sensibilizzano la popolazione e creano consapevolezza su questi temi. E noi stessi, grazie al libro, stiamo tenendo numerose conferenze e incontri nei quali trasmettere questi messaggi.
Abbiamo creato connessioni con la Plastic Pollution Coalition, basata a Berkeley in California, e con il 5 Gyre Institute di Los Angeles, un’organizzazione senza scopo di lucro che ha uno status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite.
In che modo possiamo partire dalla plastica per far crescere una sensibilità sul Pianeta che abitiamo nella sua complessità?
LWP 
Rendendo evidenti le connessioni tra la plastica e il riscaldamento globale, che per alcuni sono già chiare, ma è sempre bene ricordarne almeno due. La prima è che la plastica è prodotta da fonti fossili come il petrolio, il gas naturale e il carbone, che a loro volta emanano gas a effetto serra. La seconda è che anche la plastica rilascia gas serra, in particolare metano ed etilene, e il Polipropile (PP), la plastica più diffusa, è quella che ne rilascia in concentrazioni più alte. Partire dalla plastica è utile perché è un ambito nel quale ciascuno di noi può fare la sua parte. Ed è un tema nel quale oggi i giovani sono i veri protagonisti: con un effetto esponenziale di coinvolgimento degli adulti in un cambiamento possibile.
fonte: https://altreconomia.it

Il supermercato dove la plastica è vietata

La novità a Ossana, in val di Sole. Due giovani agricoltori aprono un supermercato plastic-free con i prodotti della loro terra















Bisogna prendere l'insalata, metterla nel sacchetto di carta e pesarla. Si pesa e si porta via quello che effettivamente si mangia".
Comprare senza plastica si può: lo conferma Patrizia, che a Ossana, in Trentino, alterna le sue giornate tra l'orto della sua azienda agricola e il supermercato biologico dove rivende il raccolto.

Sugli scaffali, solo prodotti locali e certificati, proprio come i piccoli frutti di Giacomo, socio non ancora trentenne del supermercato: "Abbiamo deciso di trovare il lavoro che ci desse la possibilità di rimanere legati al nostro territorio".



Con loro, c'è Marina, più esperta ma non meno entusiasta: "Ho trovato la ricetta dell'aceto che si faceva in casa con le mele coltivate. Se uno va a cercare su internet le proprietà dell'aceto di mela selvatica e sono l'unica in Italia a farlo".

Il primo a crederci è stato il Comune, che ha indetto un bando ad hoc. "L'abbiamo fortemente voluto perché aprisse una strada verso il biologico, il sano, il consumo di energia minimo e la plastica assolutamente vietata".

E la risposta dei clienti è sorprendente: "Piace molto anche alle persone anziane eravamo un po' in dubbio che capissero questo sistema ma in realtà loro lo sanno già perché qua cinquant'anni fa si faceva così".


fonte: https://www.rainews.it/

Rimini: in spiaggia dal 1° luglio 2019 niente bicchieri e cannucce in plastica usa e getta

Negli stabilimenti balneari sarà consentito vendere bevande in bicchieri di carta monouso o di materiale compostabile monouso o di materiale plastico lavabile in lavastoviglie e riutilizzabile
















"Ai fini della tutela dell’ambiente, sulle spiagge del Comune di Rimini è vietata la vendita di bevande in bicchieri di plastica usa e getta e la distribuzione ai clienti sia di bicchieri sia di cannucce in plastica usa e getta; è consentito vendere bevande in bicchieri di carta monouso o di materiale compostabile monouso o, infine, di materiale plastico lavabile in lavastoviglie e riutilizzabile nonché distribuire ai clienti bicchieri e cannucce monouso di carta o di materiale naturale o comunque compostabile". E' quanto prevede l'ordinanza Balneare comunale 1/2019 del Comune di Rimini. "A seconda della tipologia di bicchieri e cannucce monouso eventualmente utilizzati nel punto vendita (bar, ristorante o risto-bar), i concessionari interessati - si legge ancora nell'ordinanza - dovranno farsi carico di comunicare adeguatamente alla clientela la tipologia di materiale se carta o compostabile e, nel caso, di collocare negli spazi comuni dell’attività contenitori per il corretto conferimento dei rifiuti. Al fine di smaltire eventuali scorte di materiale in plastica il divieto di cui sopra decorre dall’1 luglio 2019". 

fonte: www.ecodallecitta.it

Borracce e caffè in tazza, le Università aderiscono alla campagna contro la plastica monouso

Protocollo d'intesa tra Marevivo, Conisma e Crui, che prevede negli atenei dispenser d'acqua senza bicchieri di plastica, borracce personalizzate, macchine del caffè con bicchieri di carta o tazze personali. Previsti premi per chi abbandona la plastica monouso nella ristorazione












Da oggi (martedì 29 gennaio, ndr) anche le università italiane aderiscono alla campagna #StopSingleUsePlastic, lanciata da Marevivo, per diventare plastic free. Lo rende noto la stessa associazione, che da più di trent'anni si occupa di valorizzazione e difesa del patrimonio marino. 
Alla presenza di Salvatore Micillo, Sottosegretario di Stato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è stato siglato l'accordo per rendere gli atenei italiani plastic free da Rosalba Giugni, Presidente di Marevivo, Sauro Longhi, Magnifico Rettore dell'Università Politecnica delle Marche, in rappresentanza della CRUI - Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, e da Antonio Mazzola, Presidente del CoNISMa– Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare, in linea con le attuali posizioni del Parlamento europeo e della proposta legislativa della Strategia Europea sulla plastica che vieterà a partire dal 2021 la vendita di moltissimi articoli in plastica monouso.
Con il Protocollo d’intesa, MarevivoCoNISMa e CRUI si impegneranno a un reciproco rapporto di collaborazione in materia di sensibilizzazione ed educazione alla tutela dell’ambiente e a favorire l’eliminazione della plastica monouso nelle università. E' prevista l'installazione di dispenser di acqua (senza bicchieri di plastica) nelle aree pubbliche, all’interno dei Dipartimenti e degli Uffici Centrali e la relativa distribuzione di borracce personalizzate; l’installazione di macchine del caffè con bicchieri di carta e con l’opzione “senza erogazione del bicchiere”, incentivando l’utilizzo di tazze personali. Inoltre saranno previsti criteri di premialità sulle future gare di appalto dei servizi di ristorazione universitaria per chi abbandona l’utilizzo di plastica monouso (posate, piatti, bicchieri), diminuendo così la produzione di rifiuti plastici negli Atenei.
«Con il lancio di #StopSingleUsePlastic – spiega Salvatore Micillo -  in tutti gli Atenei, con una sola grande campagna di sensibilizzazione portiamo all’attenzione degli studenti e del mondo universitario tre temi importanti su cui il Ministero dell’Ambiente sta lavorando dall’insediamento di questo Governo: la riduzione della plastica monouso, la salvaguardia del mare e l’educazione ambientale. Per ottenere risultati concreti nella tutela dell’ambiente è necessario il coinvolgimento e alla partecipazione di tutta la collettività. I giovani sono pieni di entusiasmo e imparano in fretta. Sono loro il nostro futuro».
«Oggi si aggiunge un altro anello alla catena del percorso “Mare Mostro un mare di plastica”, campagna partita nel 2016, che ha già ottenuto la legge per proibire le microplastiche nei cosmetici e dei cotton fioc non biodegradabili, e che adesso è impegnata ad accelerare il cammino della legge Salvamare di cui è stata ispiratrice. La campagna “Mare Mostro” ha coinvolto i palazzi della Politica, i ministeri, le regioni, i comuni, le isole minori, le scuole e adesso approda nel tempio della ricerca e della scienza, le nostre meravigliose università – dichiara Rosalba Giugni. La plastica è, e sarà, sempre di più un problema planetario se non viene affrontato con urgenza e determinazione, visto che questo materiale indistruttibile è ormai entrato nella catena alimentare con i rischi che ne possono conseguire per l’uomo».
«Questo progetto – nelle parole del Magnifico Rettore Sauro Longhi - è un’occasione importante per diffondere un messaggio urgente: quello di evitare plastiche monouso che inquinano i nostri mari. Le università oggi hanno il compito di educare e sensibilizzare i più giovani su questo tema, poiché avranno loro, domani, la responsabilità di "governare" e scegliere per il futuro di tutti».
«Quella delle plastiche è in effetti una emergenza – spiega Antonio Mazzola, Presidente del CoNISMa -  poiché i risultati più recenti ottenuti dai progetti europei di ricerca hanno confermato gli impressionanti livelli di microplastiche già presenti negli oceani e che annualmente continuano ad aumentare. Si deve ancora fare molto per valutare gli effetti biologici delle microplastiche in mare, ma è evidente che le Università hanno un ruolo fondamentale anche nelle attività di immagine, formazione, di supporto alla politica e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questa importante problematica».

In questo supermercato c'è un reparto completamente senza plastica. E' il primo del Regno Unito


















Dopo l’esempio di Amsterdam, anche Londra si attrezza col primo reparto di supermercato completamente libero dalla plastica
Vetro, metallo o materiale compostabile: gli inglesi cominciano a fare a meno degli imballaggi in plastica e al nord di Londra apre il primo reparto di un supermercato plastic-free. E c’è chi spera che prima o poi le catene giganti ne seguano l’esempio.
Il supermercato è il Thornton Budgens di Belsize Park e quella che ha svolto è una missione davvero epica: nelle ultime 10 settimane ha “svestito” più di 1.700 prodotti dagli imballaggi in plastica, con l’obiettivo di portare il negozio ad essere “praticamente senza plastica” entro tre anni. 
All’indomani delle dichiarazioni del Governo britannico di voler imporre nuove tasse sugli imballaggi di plastica che non contengano almeno il 30% di materiale riciclato e sulla scia del medesimo esperimento fatto ad Amsterdam a inizio anno, i sostenitori dell’iniziativa sono convinti di una cosa: questo è uno dei migliori modi per far comprendere che è possibile vendere cibo in modo più sostenibile, anche “verdure, formaggio o carne di selvaggina”.
Per molti prodotti, per esempio, l’imballaggio in plastica è stato sostituito da sacchetti di carta fatti con la cellulosa, così come per i 300 diversi formaggi del negozio è stato necessario sviluppare un nuovo packaging in cera.
“/Speriamo che ciò che stiamo facendo qui sfiderà catene del calibro di Sainsbury, Tesco e altri”, dichiara Andrew Thornton, proprietario dei Budgens.
super londra 1
Anche se inizialmente le vendite sono calate, al Thornton Budgens credono fermamente in una politica di vendita libera dalla plastica: “Sono i grandi marchi che sono come le lumache con il loro ritmo di cambiamento”, dicono. Ma il cambiamento, se solo lo si vuole vedere, è dietro l’angolo.
fonte: https://www.greenme.it

Bag it: Come si può vivere senza plastica?


Come si può vivere senza plastica? Jeb Barrier ce lo dimostra nel suo documentario dal grande clamore mediatico, "Bag it" (USA, 2010). Ogni giorno compriamo, usiamo e buttiamo milioni di sacchetti, barattoli e molti altri oggetti di plastica, con serie conseguenze per l'ambiente e per la salute umana. Il documentario, diretto da Susan Beraza, è un divertente racconto dell'uso e l'abuso della plastica che segue "l'uomo qualunque" Jeb Berrier nel suo tentativo di vivere senza plastica.





Roberto Lepera

Senza plastica si può: parola di Marina

Tre mesi senza plastica o quasi, riducendola drasticamente pressoché a zero: è il traguardo raggiunto da Marina Berro, che è riuscita a portare a termine la prima fase di un impegno che ha preso soprattutto con se stessa e… con il Pianeta.














Marina Berro ha 54 anni, una figlia che studia fuori casa e un compagno con cui sta cercando una casa nel bosco. Intanto, negli ultimi tre mesi, ha portato a compimento un impegno che aveva preso con sé stessa e con l’ambiente: impegnarsi per eliminare sempre di più la plastica fino a farne a meno del tutto. Si sta impegnano e ce la sta facendo. Per ora sono tre mesi, ma, spiega, «perché fermarsi qui?».
Il sogno di Marina è di creare un cohousing dove vivere condividendo pensieri e azioni con altri. Si sposta preferibilmente a piedi e in bicicletta, in estate e in inverno. È vegetariana da 28 anni, ha cresciuto la figlia con giochi autocostruiti, abiti e oggetti di seconda mano, niente merendine né cibi confezionati, niente televisione, videogiochi e cellulare sino a 14 anni, tanti libri, incontri, relazioni  viaggi  e tournè da ricordare, fin da quando era piccolissima.
Marina, come ti è venuta l’idea di abbandonare la plastica e dimostrare che si può vivere senza?
«Tra giugno e luglio scorsi sono venuta a conoscenza della campagna di Greenpeace contro la plastica, della mobilitazione di Legambiente e di Marevivo contro le cannucce e mi sono sentita impotente di fronte a un disastro di questo tipo. Ma poi un mattino, di colpo, la voglia di una sfida: vivere senza plastica. Missione possibile o impossibile?  Sono partita fiduciosa e con un tempo definito: tre mesi. Non avevo ancora le idee molto chiare su come gestire l’avventura, ho optato per un diario quotidiano su cui per 92 giorni ho scritto, preso appunti, fatto riflessioni, registrato successi e insuccessi: quando sono caduta nella distrazione o nell’abitudine, quando invece sono riuscita ad autoprodurre qualcosa o a essere davvero consapevole di ogni gesto della giornata e a dire plastica no grazie.
E una volta terminati i tre mesi?
Ho iniziato il 5 luglio 2018 e ho terminato l’esperimento il 5 ottobre, ma adesso che il gioco si fa duro la faccenda si fa più interessante e ovviamente continuerò. Ho iniziato l’autoproduzione di dentifricio, prodotto sgrassante, detersivo per i piatti, balsamo per i capelli. La sfida poi sta diventando una sana abitudine; tre mesi per cambiare registro e alzare le antenne su molte azioni quotidiane che compiamo  inconsapevolmente perché la testa è spesso altrove.
Quindi, Marina, tu confermi che è possibile vivere senza plastica?
Dopo due giorni di esperimento ho messo il primo paletto: era impossibile includere anche la sfera lavorativa. La sfida, almeno per i primi 3 mesi, avrebbe riguardato solo la mia vita privata. Naturalmente ho eliminato subito gli acquisti con la plastica. Al momento non sono ancora riuscita a eliminare completamente la plastica, perché ne siamo circondati, ma sto facendo continuamente progressi.  Sono da sempre molto attenta al tipo di acquisti che faccio, il più possibile a km 0, il meno possibile nella grande distribuzione; sono attentissima agli imballaggi, scelgo abbigliamento usato, mobili usati, eccetera. Ci si rende conto che la plastica è onnipresente. Un esempio? Prendetevi il tempo per un giorno di scrivere tutte le cose che toccate e che sono di plastica. Provare per credere. Il mio elenco di un giorno qualsiasi: sveglia, asse del WC, tappo e tubetto del dentifricio, bottiglia del latte detergente, tappo della crema, accendino, manici della pentola, manico del coltello, cellulare con cuffiette, computer, zaino, portafoglio, montatura degli occhiali, custodia occhiali, giacca a vento, scolainsalata, cassetta della frutta, colino, scolapasta, guanti per lavare, manici del frigorifero, parte interna del frigo, manopole del gas, posate con manico di plastica, automobile, forbici con manici di plastica , frullatore a immersione, tappo del latte, tappo dosatore per olio e aceto. Ma come si viveva prima della sua invenzione a metà degli anni ‘50? Me lo sono chiesta tante volte in questi mesi. In poco più di 50 anni abbiamo riempito il mondo di un materiale che impiegherà anche più di 1000 anni a scomparire o a trasformarsi in qualcos’altro. Incredibile.
Quale messaggio di incoraggiamento daresti a chi vuole impegnarsi in questa scelta?
Giorno dopo giorno mi rendo conto che non acquistare plastica è un vero e proprio impegno, in alcuni casi una fatica, in tanti altri implica una rinuncia vera e propria all’acquisto. Ma è un po’ come un gioco e non mi scoraggio anche se a volte mi è capitato di ritornare a casa con la plastica senza neppure essermene accorta. Difficile abbassare la guardia! E in vacanza? Ci mettiamo alla prova, partiamo attrezzati di contenitori di vetro, sacchetti di stoffa per la spesa, bottiglie di vetro da riempire. Al momento in casa stanno terminando le scorte dell’ultima spesa  di detersivi, pasta e riso, prodotti per l’igiene e mano a mano che finiscono mi rendo conto che la soluzione migliore è quella di  passare all’autoproduzione su molte cose; l’altra, sicuramente più comoda, è cercare di  acquistare prodotti sfusi. E grazie a un incontro fortuito, ho scoperto i Negozi Leggeri: si parte da casa  con barattoli e altri contenitori vuoti e si ritorna con la spesa fatta: dalla pasta alle spezie, dai legumi  al riso di ogni varietà, e ad ogni cosa che si possa immaginare.
Un bilancio?
Alla fine della prima parte di questa esperienza tiro le fila: 1) quasi impossibile non portarsi a casa la plastica se si fa una spesa improvvisata, quindi decidere prima quando, dove e cosa acquistare; 2) meglio non utilizzare nemmeno le bio-plastiche; fare monocolture di mais per produrre plastica biodegradabile mi pare un vero paradosso; 3) amo sempre di più il vetro. Sì quindi a pentole in vetro, tanti barattoli riciclati di ogni dimensione (vanno bene anche per congelare al posto dei sacchetti), contenitori in vetro per alimenti; 4) purtroppo usare il vetro per l’acquisto di prodotti freschi è molto difficile; occorre cercare piccoli negozi, possibilmente amici, a cui spiegare l’esperimento in corso e tra un “non si può” ed un “mmm….interessante”, ci si porta a casa il formaggio nel contenitore di vetro; 5) bandita, o quasi, la grande distribuzione; la plastica la fa da padrona ovunque, e anche nel caso di prodotti sfusi (pochi), si utilizzano quasi sempre sacchetti di nylon per impacchettare.
Quali suggerimenti ad una famiglia media per incominciare?
Si può iniziare a casa, in famiglia, a scuola, sul lavoro (prossima mia frontiera), da soli e in compagnia. Finiti i miei primi tre mesi ho digitato su internet “Vivere senza plastica si può?”. E… sorpresa: ho trovato tante esperienze in tutto il mondo, e poi artisti, scultori, registi, architetti, designer, tutti hanno questo sogno. Quindi, prendete spunto da esperienze già fatte, intraprendete l’avventura come un gioco, ma un gioco serio, come lo sono tutti i giochi che fanno i bambini. È divertente per esempio fare un inventario di tutte le cose che ci sono in casa di plastica, una caccia al tesoro per intenderci. Oppure fare una spesa normale mensile, settimanale o quotidiana e scoprire quanta plastica ci siamo portati a casa. Poi iniziare a prendere in considerazione che qualcosa sarà difficilissimo da sostituire, qualcos’altro richiederà solo un po’ di attenzione e di consapevolezza al momento dell’acquisto e che a qualcosa si può rinunciare. Divertente anche sperimentare tecniche di riutilizzo creativo e lanciarsi sull’autoproduzione. I bambini potrebbero essere i nostri migliori alleati; sensibili e attenti ci guiderebbero a fare le scelte giuste se tenuti al corrente dello sforzo che stiamo provando a fare. Il pianeta di domani sarà nelle loro mani; a noi il compito, oggi, di cercare di riparare in piccolissima parte ai danni già fatti.

Intanto insegniamo ai bambini a differenziare i rifiuti

Terra Nuova ha da sempre caro il tema della riduzione dei rifiuti e di un radicale cambio di paradigma nel modo di gestirli. Ora ha dato alle stampe, per la collana Terra Nuova dei Piccoli, una splendida storia illustrata per insegnare ai bambini che i rifiuti, se differenziati, possono diventare una risorsa. Il titolo è "Il segreto di patata lessa"  .
Naturalmente la plastica merita un discorso a sé, poichè ormai le quantità sono tali da rendere impossibile il riciclaggio totale, quindi l'unica chanche diventa smettere di produrla e di usarla.
Il libro, con la sua semplicità e dolcezza, arriva diretto al cuore dei bambini sensibilizzandone le coscienze. 

E alla fine sarà svelato il “segreto” di Patata Lessa: la cura dell’ambiente e la salvaguardia del Pianeta sono nelle nostre mani. Sono i nostri piccoli gesti quotidiani a fare la differenza.
fonte: https://www.terranuova.it



Civita di Bagnoregio: la rinascita ecologica della “città che muore”



Diventare il primo comune plastic free d'Italia ed un esempio di pratiche virtuose. È questa l'ambizione di Civita di Bagnoregio, suggestivo borgo della provincia di Viterbo noto come "la città che muore". Promotori della rinascita ecologica di questo piccolissimo comune, oggi meta di tantissimi turisti, sono il sindaco Francesco Bigiotti e l'artista scozzese James P. Graham, impegnato per l'abolizione della plastica.


















Sembrava destinata a scomparire e invece Civita di Bagnoregio, meglio nota coma la città che muore, è esplosa come fenomeno turistico internazionale, manifestando un’inarrestabile vitalità. La piccola frazione di Bagnoregio, in provincia di Viterbo, conta una decina di abitanti e un giro di 800 mila visitatori che, ogni anno, attraversano il ponte pedonale (unico accesso al borgo) per addentrarsi tra viuzze e case medioevali sospese sullo sperone di roccia tufacea. Un delicato mix di equilibri che l’attuale amministrazione sembra intenzionata a gestire anche in chiave ecosostenibile. E infatti all’interno di questa vetrina mondiale del Belpaese è in cantiere un progetto ambizioso: diventare ufficialmente il primo comune plastic free d’Italia.


“Faremo guerra alla plastica – ci anticipa il sindaco Francesco Bigiotti –. Definirsi sensibili all’ambiente non basta, vogliamo continuare a mettere in campo iniziative concrete che possano cambiare in meglio il territorio. Soprattutto siamo disposti a mettere sul piatto incentivi economici. Un comune come Bagnoregio che vive grazie ai turisti, il cui impatto è centinaia di volte superiore a quello popolazione locale, ha il dovere di dare il buon esempio e di farsi portavoce di un nuovo approccio verso l’ecosistema” .

Il primo step sarà l’introduzione di piatti, posate e bicchieri biodegradabili durante le sagre e gli eventi promossi dal Comune. “In secondo luogo vogliamo sensibilizzare e coinvolgere i commercianti della zona affinché abbraccino pratiche virtuose. Certo, bisognerà misurarsi con la grande distribuzione ma sono certo che con il sostegno del Comune non sarà impossibile immaginare che bar, ristoranti e negozi facciano scelte alternative nel rispetto dell’ambiente”. Pugno duro anche contro l’abitudine di buttare a terra le cicche di sigarette: “Distribuiremo posaceneri tascabili a chiunque ce ne faccia richiesta e faremo multe di 65 euro ai trasgressori”.


Sbandierare una politica plastic free in uno dei borghi più belli d’Italia significa, in definitiva, fare da cassa di risonanza in momento in cui, su più fronti, sembra esserci spazio per un salto di qualità. E infatti l’annuncio di Civita di Bagnoregio, che aspira a diventare patrimonio Unesco, coincide curiosamente con la proposta dell’Unione Europea di tassare gli imballaggi in plastica non riciclabile.





Tra i promotori della svolta sostenibile di Civita di Bagnoregio troviamo lo scozzese James P. Graham, artista di professione e referente in Italia di A Plastic Planet, il movimento a cui si deve l’apertura ad Amsterdam di Ekoplaza, il primo supermercato balzato all’attenzione dei media mondiali per aver abolito totalmente la plastica. “A livello globale – spiega – l’obiettivo del movimento è azzerare la produzione della plastica. Altro tema su cui ci battiamo è la corretta informazione. Per esempio diamo per scontato che tutta la plastica sia riciclabile e invece non è così. In Inghilterra se ne incomincia a parlare, in Italia c’è ancora molto lavoro da fare. In compenso gli italiani hanno un grande vantaggio: su buona parte della popolazione il background contadino è ancora presente e questo permette di avere una straordinaria una vicinanza con il linguaggio della natura”.


Lo sa bene James, che ha lasciato Londra e una carriera avviata nell’industria pubblicitaria per vivere nella quiete della campagna laziale. Nel suo studio, a pochi chilometri di Bagnoregio, ci mostra gli involucri biodegrabili di alcuni prodotti acquistati da Ekoplaza. “Le alternative ci sono e non sono così difficili da adottare come si pensa. Forse non tutti sanno che anche in Italia esistono diverse aziende all’avanguardia che offrono soluzioni di imballaggio sostenibili. Novamont, per esempio, produce il mater-bi, una famiglia di bioplastiche biodegradabili e compostabili. Per far luce sulla filiera alternativa alla plastica, gli attivisti italiani di A Plastic Planet hanno preparato un documento dettagliato da sottoporre all’amministrazione e ai commercianti di Bagnoregio”.





In attesa che il progetto “plastic free” venga preso in carico dal Comune, si pensa a un tavolo di riflessione di più ampio respiro: a luglio, infatti, James ospiterà a Bagnoregio Satish Kumar, fondatore dello Schumacher College, centro internazionale di studi ecologici, e attualmente editor della rivista inglese Resurgence/Ecologist. “Oltre che intimo amico, Kumar è una fonte di ispirazione. Siamo stati di recente in Cina, invitati dall’University of Forestry and Agriculture della Provincia del Fujian. Con grande sorpresa abbiamo appreso che la Cina ha intenzione di diventare la più grande civiltà ecologica del mondo, un piano a cui il governo sta lavorando dal 2007. Una sfida non facile ma che ci dimostra che i tempi sono ormai maturi per ripensare lo sfruttamento delle risorse del pianeta”.


fonte: www.italiachecambia.org

Bulk Market, nasce a Londra il primo negozio senza plastica














Siamo talmente abituati all’aspetto che il cibo che acquistiamo dovrebbe avere che non ci accorgiamo più degli imballaggi che lo avvolgono. Eppure si tratta di qualcosa che dovrebbe attirare la nostra attenzione, poiché tutta quella plastica deve essere smaltita, con un enorme impatto ambientale per il pianeta.
Se fra i consumatori c’è già chi si pone questo problema e cerca di evitare cibi confezionati con imballaggi inutili e porta sempre con sé una busta per trasportare i propri acquisti, evitando così di continuare ad acquistare altra plastica, fra i venditori è molto più difficile trovare questi cenni di sensibilità ambientale. C’è però chi ha preso questo problema molto sul serio, aprendo il primo negozio senza plastica.
Si tratta di Ingrid Caldironi, che ha da poco inaugurato a Londra il Bulk Market, il primo negozio privo di plastica. Non si tratta di un semplice alimentari, ma vi si trovano anche prodotti come spazzolini da denti in bambù, rotoli di carta igienica avvolti nella carta e cibo per cani.
L’idea alla base di questo negozio altamente sostenibile proviene dalla sua esperienza diretta, afferma Caldironi “Volevo sostenere i commerci giusti e comprare senza creare rifiuti. Ma non c’era niente del genere a Londra. […] Ho sempre pensato che gli sprechi fossero una conseguenza inevitabile dello stile di vita moderno, ma è venuto fuori che dipendono solo dallo scarso design. Gli oggetti non sono ancora pensati per un’economia circolare.” A questa conclusione, e al desiderio di fare veramente qualcosa per l’ambiente, è arrivata dopo anni di lavoro nel settore marketing, notando che né le industrie né la politica si stava occupando veramente del problema ambientale.
I prodotti in vendita nel suo Bulk Market non hanno una marca, invece di essere nascosti dietro confezioni che riportano a lettere cubitali il nome di questa o di quella casa produttrice. Al contrario, provengono da cooperative locali, fattorie comuni o imprese sociali.

In questo modo le persone sanno dove e come viene prodotto il loro cibo, per tutto il percorso dalla fattoria alla tavola e, infine, al secchio.” Dice la proprietaria.


 

All’interno del negozio, allineati in contenitori di vetro vi sono spezie, pasta, piselli, lenticchie, ceci e altri alimenti secchi, ma bisogna portare il proprio contenitore da casa per acquistarli perché, ovviamente, non vi sono buste di plastica.
Il negozio è temporaneo e sostenuto dal crowdfunding, ma il progetto di Ingrid Caldironi è di spostarlo in una location permanente, che avrà anche un alverare personale, una macchina per il compostaggio industriale e un’area conferenze per worshop ecosostenibili e per educare le persone ad uno stile di vita più green.
Bulk Market è un esempio che andrebbe seguito, dal momento che, benché anche le grandi catene di supermercati si stiano adeguando ad uno stile di vita con meno sprechi, la loro diffusione sul territorio fa sì che il loro impatto ambientale sia ancora molto alto. Un negozio di questo genere, invece, dimostra che è possibile vivere senza plastica, dipende solo dalla nostra volontà.

fonte: https://www.ecosost.it