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Right to Repair Europe: “Riformare i sistemi EPR per promuovere la riparazione”

Paper di Right to Repair Europe, Runder Tisch Reparatur, Germanwatch e European Environmental Bureau: “La responsabilità estesa del produttore (EPR) ha il potenziale per sostenere le riparazioni, ma deve essere ampiamente riformata”




Il legislatore europeo punta sui

Produttori di plastica USA spingono per il riciclo

American Chemistry Council ha sottoposto al Congresso un programma in cinque punti per favorire una maggiore circolarità degli imballaggi.






















I produttori nordamericani di materie plastiche aderenti all'American Chemistry Council (ACC), federazione dell'industria chimica statunitense, hanno presentato al Congresso una proposta articolata in cinque punti (originale scaricabile QUI) per favorire l'economia circolare e il riciclo di rifiuti plastici post-consumo, da implementare all'interno di una strategia nazionale.

Al primo punto c'è l'utilizzo di almeno il 30% di plastica riciclata negli imballaggi, da attuarsi entro il 2030, attraverso l'introduzione di uno standard nazionale sulle plastiche rigenerate; si stima che, ogni anno, circa 6 milioni di tonnellate di plastica riciclata potrebbero trovare così una seconda vita nel settore del packaging.
Si chiede quindi un quadro normativo che favorisca il "riciclo avanzato" (ovvero il riciclo chimico nelle diverse declinazioni) senza pregiudicare lo sviluppo di quello meccanico.

Al terzo punto del programma c'è l'avvio di un piano organico, su scala nazionale, per il riciclo della plastica che metta insieme le competenze della filiera industriale e degli enti locali sotto l'egida dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente (EPA) e del Dipartimento dell'energia (DOE).
La National Academy of Sciences dovrebbe elaborare uno studio per comparare gli impatti delle diverse materie prime e gli utilizzi finali così da fornire strumenti che possano guidare le politiche future, su una base scientifica.

Ultima delle cinque proposte avanzate da ACC è l'implementazione di un sistema di responsabilità estesa dell'industria del packaging per favorire l'accesso al riciclo, alla raccolta e al riutilizzo di tutti i materiali da imballaggio, compresa la plastica.

"È tempo di accelerare l'economia circolare per gli imballaggi in plastica - sottolinea Joshua Baca, vicepresidente Plastics di ACC -. Abbiamo bisogno che il Congresso attui una strategia nazionale globale che catturi il valore della plastica post-consumo impegnando l'intera filiera, dai produttori di plastiche ai proprietari di marca fino a coinvolgere tutti gli americani". “Stiamo proponendo un nuovo modo di approcciare i rifiuti di plastica, che porterà a un'economia circolare nella quale questo materiale sarà riutilizzato di routine", conclude.

fonte: www.polimerica.it


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Buone idee per rafforzare i sistemi di responsabilità estesa del produttore

Una ricerca condotta da Sofies per Erion analizza i sistemi EPR in Europa e nel mondo e identifica le iniziative utili a renderli più efficaci economicamente ed ambientalmente



I risultati di riciclo dell’Italia e degli altri grandi Paesi europei, dove il fine vita di prodotti e imballaggi è gestito da sistemi di responsabilità estesa del produttore (Extended Producer Responsibility, Epr) dimostrano che questi sistemi, in cui il produttore e l’importatore sono responsabili di ritiro, riciclaggio, smaltimento finale, sono piuttosto efficaci. Un esempio? Tutti i sistemi di imballaggio nei grandi Paesi Ue (Francia, Germania, Italia, Spagna, Gran Bretagna) hanno raggiunto tassi di riciclaggio superiori al 60%, superando l’obiettivo della direttiva UE (2019).

Come possiamo allora renderli ancora più efficienti ed efficaci? Prova capirlo lo studio “I sistemi di Responsabilità estesa del produttore e il loro ruolo strategico per i produttori” elaborato da Sofies per Erion e presentato ieri durante l’evento “Economia Circolare e transizione ecologica, il ruolo strategico dei Sistemi EPR in Europa”.

L’obiettivo del rapporto (redatto da Federico Magalini, Joséphine Courtois, Amba Concheso, Caroline Heinz) è appunto “delineare le caratteristiche e le prassi che contribuiscono al successo di un sistema EPR e alla sua gestione efficiente”. Concentrandosi su Raee (Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), Rifiuti di pile e accumulatori (Rpa) e Rifiuti di imballaggi in Francia, Germania, Spagna, Italia e Regno Unito, ma allargando lo sguardo anche ad esperienze come quella dei rifiuti tessili in Francia, dei penumatici in Belgio o dell’olio esausto in Canada, lo studio mette in evidenza le prassi più efficaci (e che potrebbero essere prese a modello), in grado di contribuiscono alla performance dei consorzi nostrani.

Cos’è l’Epr e quanto sono diversi i sistemi europei

Il concetto di responsabilità estesa del produttore è stato introdotto per la prima volta nel 1990: “Implica – spiega il report – che i produttori (fabbricanti e importatori) si assumano la responsabilità finanziaria e/o organizzativa della raccolta dei rifiuti, nonché del loro smistamento e trattamento per il riciclo o riutilizzo”.

Nell’Unione Europea, il quadro legislativo per lo sviluppo di un sistema EPR è regolato da diverse direttive che forniscono un quadro generale che ogni Stato membro deve recepire sulla base della propria interpretazione. Il risultato è la presenza di politiche EPR eterogenee: con sistemi individuali o collettivi; cono imprese che li gestiscono in concorrenza tra di loro o meno; a copertura della sola gestione dei rifiuti o anche per servizi di supporto come la ricerca e la sensibilizzazione; con differenti livelli di trasparenza sulle informazioni.

Le regole auree per Epr più efficienti

“Indipendentemente dalle sue caratteristiche, un sistema Epr dovrebbe mirare a fornire una raccolta efficace e un elevato livello di riutilizzo/riciclaggio, ottimizzando i costi per i produttori”, spiegano i ricercatori. Le variabili sulle quali puntare, dunque, sono efficacia nella raccolta, nel riutilizzo/riciclo, nei costi. Se non è stata ancora identificata la ricetta dell’Epr perfetto, possiamo però osservare le caratteristiche dei sistemi più efficienti e da queste imparare. Nella ricerca – redatta sulla base di dati pubblici e grazie ad interviste con stakeholder – e in particolare dalle buone prassi riscontrate nei diversi Paesi, vengono identificate diverse linee d’intervento sulle quali agire per migliorare i sistemi Epr: “Una serie di buone pratiche che permettono ai sistemi di adempiere meglio alle loro responsabilità nella gestione dei rifiuti, perseguendo anche l’efficienza economica, in modo da fornire ai loro membri un servizio di qualità senza costi esorbitanti”.

Vediamole con le rispettive best pratice (o #goodideas, come sono identificate nel report).
Ampio sistema di raccolta

L’ampiezza della raccolta dei prodotti giunti a fine vita è legata direttamente all’ampiezza geografica del sistema di raccolta, per questo “puntare a stabilire un ampio sistema di raccolta geografica dei rifiuti per fornire un sistema di raccolta facilmente accessibile per i prodotti usati, è elemento chiave per massimizzare il relativo recupero”.

Di seguito alcuni esempi di iniziative che hanno contribuito ad ampliare la raccolta:

Ecosystem, Francia. Ecosystem è il più grande sistema collettivo per i RAEE domestici e professionali in Francia, con 1,4 milioni di tonnellate sul mercato dai suoi 4.600 produttori membri. Ecosystem gestisce la raccolta, il trasporto, il trattamento e il riciclaggio dei Raee, organizzati in quattro categorie: domestici, professionali, lampade e piccoli estintori (anch’essi coperti dagli adempimenti Epr). E fornisce diversi punti di raccolta per i Raee professionali, tra cui la restituzione al distributore; la richiesta di un contenitore prelevato a intervalli regolari; la richiesta di una raccolta unica che può essere fatta presso il distributore il giorno stesso della consegna delle nuove apparecchiature;

Corepile, Francia. Corepile è il principale consorzio francese per batterie, con 836 membri che nel 2019 hanno immesso sul mercato più di 20 mila tonnellate. Sono più di 32.000 i punti di raccolta con l’80% accessibile ai privati in supermercati, negozi di ferramenta o isole ecologiche. I supermercati e le isole ecologiche hanno il miglior rapporto tra numero di punti di raccolta e tonnellate raccolte. Corepile fornisce gratuitamente ai propri membri materiali per la sensibilizzazione, ma anche materiali per la raccolta diretta dei rifiuti;

Eco-mobilier e Valdelia, Francia. La Francia è l’unico Paese con un sistema Epr nazionale per i mobili. Il sistema, nato nel 2011, è riuscito a raddoppiare la quantità di mobili raccolti in soli 4 anni, passando da 600.000 tonnellate nel 2014 a 1,2 milioni di tonnellate nel 2018. Inoltre, per migliorare il tasso di riutilizzabilità dei mobili, è stato sviluppato un metodo di raccolta separata per limitare i danni ai mobili durante il trasporto. Due i consorzi: Eco-mobilier e Valdelia. Dei 2,68 milioni di tonnellate di mobili immessi sul mercato francese nel 2018, più di 1,2 milioni di tonnellate sono state raccolte: il 56% è stato riciclato, il 32% è andato al recupero energetico, l’1% è stato riutilizzato e l’11% è stato incenerito. Ampia la copertura geografica dei punti di raccolta, con oltre 4.000 punti. Il sistema Eco-mobilier, grazie ad una mappatura online dei punti di raccolta, permette di depositare facilmente i mobili domestici; mentre Valdelia raccoglie prevalentemente mobili usati non domestici direttamente dai proprietari (ad esempio ospedali, alberghi);

Recytyre, Belgio. Le tre province del Belgio hanno ciascuna regolamenti e obiettivi diversi per il recupero dei Pfu (pneumatici fuori uso). Un unico consorzio copre le tre province e applica gli obblighi stabiliti dal regolamento più esigente dei tre. Nonostante un quadro normativo complesso, questo sistema Epr ha un tasso di raccolta superiore al 100% dell’immesso al consumo (il programma copre anche i pneumatici immessi sul mercato negli anni precedenti e quelli provenienti dai paesi vicini) e un tasso di riciclaggio/riutilizzo che ha raggiunto il 97% nel 2019. Tutti i punti di raccolta, che sono per lo più i punti di vendita di pneumatici e garage, devono accettare il ritiro gratuito anche se non sono stati acquistati pneumatici nuovi. I Comuni possono effettuare raccolte indennizzate da Recytyre;

Bcuoma, Canada. Bcuoma è il consorzio nella Columbia Britannica che dal 2004 supervisiona la raccolta e la gestione dell’olio lubrificante, dei filtri dell’olio, dei contenitori dell’olio, dell’antigelo e dei contenitori dell’antigelo. Per garantire un numero sufficiente di punti di raccolta in tutta la Columbia Britannica, Bcuoma fornisce sovvenzioni infrastrutturali a Comuni, imprese private, organizzazioni senza scopo di lucro e altri operatori che richiedono strutture di raccolta aggiuntive. Per esempio, nel 2019, sono state fornite 39 sovvenzioni infrastrutturali per contribuire a garantire luoghi di raccolta nelle comunità più remote in tutta la provincia. Bcuoma fornisce anche supporto per eventi di raccolta comunitari gestiti da distretti regionali, Comuni e gruppi di comunità.

Ricerca e sviluppo

Per creare nuovi mercati in cui valorizzare le materie da riciclo, l’innovazione è essenziale. Soprattutto al servizio delle imprese più piccole che non riescono ad fare innovazione internamente. Per questo è cruciale fornire supporto alle aziende per il miglioramento delle loro prestazioni ambientali attraverso attività di ricerca e sviluppo, per esempio aiutando a trovare nuovi metodi di valorizzazione dei materiali usati; oppure attraverso la promozione della collaborazione tra i membri della filiera organizzando ad esempio conferenze con i produttori che esplorano le questioni chiave del riciclaggio a livello industriale, linee guida di eco-design, servizi di raccolta dedicati.

Alcuni esempi:

Citeo, Francia. Citeo è uno dei due consorzi francesi (insieme a Adelphe) per gli imballaggi. Citeo fornisce diversi strumenti per aiutare i produttori a progettare i loro imballaggi con un design ecologico. Come “Feel”, per minimizzare il loro impatto sull’ambiente e ridurre il correlatoo contributo finanziario al sistema. O “Bee” per determinare l’impatto ambientale dell’imballaggio attraverso un’analisi del ciclo di vita;

Der Grüne Punkt, Germania. Der Grüne Punkt è stato fondato nel 1990, è a scopo di lucro dal 2004 e rappresenta circa il 50% dei produttori nazionali. Der Grüne Punkt aiuta a personalizzare le soluzioni per i sistemi di ritiro, ad esempio tramite macchine per la consegna di imballaggi in cambio di denaro o deposito cauzionale. Sostiene i propri membri per l’eco-design attraverso l’iniziativa Design4Recycling che fornisce ampie linee guida e consulenza ai produttori;

Eco Tlc, Francia. Nel 2007, la Francia è stata il primo e unico Paese a introdurre un quadro giuridico che stabilisse obblighi di Epr per chi produce, importa o distribuisce articoli tessili. Anche attraverso le attività di ricerca di Eco Tlc sull’eco-design, tra il 2018 e il 2019 la quantità degli articoli idonei a beneficiare di una eco-modulazione delle tariffe (pagare meno quando si è più sostenibili e più facilmente riciclabili) è aumentata di oltre 40 milioni di pezzi.

Sensibilizzazione e informazione

Dove si possono depositare i rifiuti? Come viene effettuata la raccolta? Come il riciclo? Ecco alcune delle domande che possono aiutare una raccolta ed un riciclo più efficace, riducendo ad esempio le frazioni estranee. La prova che l’informazione e la sensibilizzazione sono anelli fondamentali per il successo della filiera della raccolta e del riciclo di beni a fine vita.

Vediamo alcune esperienze internazionali da prendere a modello:

Corepile, Francia. Il consorzio punta su una forte comunicazione e su importanti campagne di sensibilizzazione. Come la creazione di giochi online e di un centro giochi a Parigi. O come le partnership con 15 influencer su Instagram e YouTube per raggiungere le giovani generazioni. O ancora attraverso l’organizzazione di una campagna nazionale e di una mostra sul riciclaggio;

Ecoembes, Spagna. Ecoembes, fondata nel 2019, è uno dei due sistemi collettivi in Spagna per i rifiuti di imballaggi, con 12.623 produttori registrati nel 2019. Il consorzio organizza corsi per la formazione del personale dei Comuni e degli operatori degli impianti di smistamento per migliorare l’efficienza del processo;

Eco Tlc, Francia. Ha avviato diverse attività di sensibilizzazione dei consumatori, sia attraverso il sostegno delle autorità locali, sia attraverso la propria vasta gamma di risorse digitali: ha infatti organizzato campagne sui social media e ha progettato una mappa online per trovare il punto di raccolta più vicino;

Recytyre, Belgio. Recytyre conduce programmi di prevenzione dell’usura dei pneumatici e attività di innovazione che includono conferenze con gli attori dell’industria per esplorare la diversificazione degli sbocchi commerciali per i materiali recuperati dal riciclaggio. Altro fattore di consapevolezza che aiuta il successo del recupero è l’importo visibile del contributo ambientale per lo smaltimento, che è indicato sullo scontrino;

BCuoma, Canada. Le attività di sensibilizzazione dei consumatori organizzate da BCUOMA includono ad esempio una mappa online per localizzare il punto di raccolta più vicino, una forte presenza sui social media e attività nelle strade per il coinvolgimento della comunità (per esempio, bancarelle di sensibilizzazione).



Oltre il contributo ambientale: fonti alternative di reddito per i consorzi e nuovi servizi per le imprese

Alto fattore che rafforza i consorzi ma soprattutto le imprese associate è l’offerta di servizi aggiuntivi, che possono configurarsi come vere e proprie consulenze a vantaggio delle aziende, soprattutto quelle di dimensioni minori.

Alcuni esempi dal panorama internazionale:

BatteryBack, Gran Bretagna. BatteryBack è il più grande consorzio per la gestione dei rifiuti di pile e accumulatori (RPA) del Regno Unito, organizzato da luglio 2008 da WasteCare. BatteryBack ha aperto il primo impianto di riciclaggio di batterie nel Regno Unito, gestito da WasteCare, aiutando a ridurre gli attuali costi di riciclaggio all’estero. L’impianto di riciclaggio è l’unico nel Regno Unito e ha una capacità di 25.000 tonnellate/anno (sufficiente per riciclare tutte le batterie alcaline del Regno Unito);

Der Grüne Punkt, Germania. Ha creato un proprio marchio per riciclati di alta qualità sviluppati da rifiuti plastici post-consumo: ‘Systalen’. Der Grüne Punkt è uno dei più grandi commercianti di materie prime in Europa come metalli, plastica, vetro e altri materiali ottenuti dalla raccolta post-consumo. La sua società di gestione dei rifiuti offre alle imprese una gamma di servizi logistici, tra cui lo stoccaggio e il trasporto internazionale di merci pesanti.

Valpack, Gran Bretagna. È uno dei tanti sistemi collettivi per imballaggi nel Regno Unito ed è stato il primo ad essere istituito, nel 1997. Oggi ha esteso la propria attività a vari altri settori, tra cui Raee, batterie e cialde di caffè. Valpack ai suoi associati offre un’ampia offerta di servizi aggiuntivi a pagamento, oltre alla raccolta e alla gestione dei rifiuti: servizi di consulenza che aiutano le aziende ad aumentare la loro capacità di adempiere agli obblighi, così come di adottare standard come ISO:14001 o ISO:6001; servizio di adempimenti internazionali per aiutare i produttori britannici che esportano prodotti in altri paesi a rispettare i regolamenti Epr locali; servizi di interscambio tra settori: molti produttori di imballaggi sono anche produttori di Raee (e talvolta di batterie), per cui, coprendo più settori, Valpak offre ai produttori una maggiore convenienza, consentendo loro di soddisfare più requisiti con un solo sistema.

Altre iniziative

Oltre a quanto raccontato finora, il report “I sistemi di responsabilità estesa del produttore e il loro ruolo strategico per i produttori” descrive molte altre iniziative degne di nota.

Aggiungiamo qui quelle che, al di là della classificazione precedente, ci sembrano particolarmente interessanti:

Ecosystem, Francia. Ecosystem non solo ha reso visibile sullo scontrino, al momento dell’acquisto di prodotti elettronici, la quota destinata alla gestione del fine vita (tariffa visibile), ma ha anche introdotto un servizio di raccolta di telefoni cellulari tramite sistema postale, che l’anno scorso ha contribuito alla raccolta di 25.000 dispositivi;

Ecotic, Spagna. Ecotic rappresenta il 35,6% del mercato spagnolo dei rifiuti elettronici con oltre 700 produttori associati. Assicura la massima tracciabilità dei rifiuti attraverso un sistema di identificazione a radiofrequenza (Rfid) per identificare i Raee collocando etichette sui prodotti nei punti di raccolta. Una scelta funzionale principalmente per i condizionatori e i grandi elettrodomestici, per rimediare al problema dell’abbandono di Raee in Spagna (insomma, non siamo i soli…);

Grs, Germania. Fondazione per la gestione del fine vita delle batterie, GRS rappresenta oltre il 90% dei produttori registrati e – in Germania è meno diffusi che in Italia – è senza scopo di lucro. Per garantire la sicurezza della raccolta, Grs fornisce tre diversi contenitori di raccolta per batterie portatili, distinti secondo tre classi di sicurezza: 1) contenitori verdi per le batterie tradizionali; 2) gialli per le batterie ad alta energia; 3) rossi per le batterie danneggiate ad alta energia. Inoltre, a causa dei rischi per la sicurezza legati allo stoccaggio delle batterie al litio, Grs sta modificando la propria infrastruttura di raccolta per includere ulteriori punti di raccolta separati per le “batterie ad alta energia”, tra cui la creazione di “punti di restituzione qualificati” gestiti da autorità comunali, rivenditori specializzati e punti vendita.
Sempre Grs gestisce il primo sistema di raccolta a livello nazionale per le batterie delle e-bike. La raccolta è organizzata attraverso l’uso di un fusto per il trasporto, una quantità adeguata di materiale di riempimento non infiammabile e dei sacchetti. Circa l’80% dei rivenditori di e-bike sono convenzionari con Grs;

Valpak, Gran Bretagna. Ha dato vita a “Valpak Insight”, il più grande database sugli imballaggi nel Regno Unito, che consente alle aziende di analizzare i dati sulle loro catene di approvvigionamento: la riciclabilità, l’impatto di carbonio, gli obiettivi del Patto per la Plastica (Plastic Pact Targets), i costi e le prestazioni dei fornitori. Il software viene utilizzato da rivenditori di generi alimentari e all’ingrosso, club calcistici, società di costruzioni e altri per comprendere i propri imballaggi con l’obiettivo di trovare un’alternativa o di eliminare gli imballaggi non necessari;

Ecoembes, Spagna. Fondata nel 2019, è uno dei due sistemi collettivi in Spagna per i rifiuti di imballaggi, con 12.623 produttori registrati nel 2019. Finanzia l’ecodesign e le iniziative per consentire la cooperazione tra produttori. Negli ultimi 20 anni ha permesso di risparmiare 525.300 tonnellate (al 2018) di materie prime grazie alla progettazione sempre più sostenibile degli imballaggi. Nel 2018, 2.179 produttori hanno aderito alle iniziative di eco-design proposte da Ecoembes.

fonte: economiacircolare.com


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Sacchetti, bottiglie, contenitori per il cibo, reti da pesca… La plastica monouso soffoca gli oceani

Uno studio pubblicato su Nature Sustainability afferma che la plastica che arriva dai nostri acquisti è il rifiuto più frequente nei mari. Globalmente si tratta di oggetti di largo consumo, ma nei Paesi ricchi soprattutto reti da pesca. Per questo la direttiva Sup potrebbe non bastare



Il problema della dispersione dei rifiuti negli oceani è una delle grandi minacce del nostro secolo: allo stato attuale, più di 150 milioni di tonnellate di plastica sono state immesse in mare. La preoccupazione del mondo scientifico per questo fenomeno ha dato luogo a importanti ricerche sulla distribuzione e sull’impatto dei rifiuti marini. Restava però frammentario lo studio sulla loro natura. Per colmare questa lacuna, una nuova pubblicazione su Nature Sustainability fornisce la prima diagnosi completa dell’origine dei rifiuti che finiscono negli oceani.

Le informazioni preesistenti si basavano su metodi di campionamento e criteri di classificazione disorganici. Per raccogliere i dati necessari all’analisi, il team di ricerca ha invece integrato modelli regionali e armonizzato sistematicamente dati su tipologie di rifiuti rinvenuti nei grandi ambienti marini a livello globale. Più di 12 milioni di informazioni provenienti da 36 banche dati sono stati standardizzati grazie alla collaborazione con istituti di ricerca e ONG di 10 Paesi.
La plastica rappresenta l’80% dei rifiuti in mare

Guidato dalla ricercatrice Carmen Morales-Caselles dell’Università di Cadice e finanziato dalla Fondazione Bbva e dal ministero della Scienza spagnolo, lo studio ha permesso di identificare i prodotti più inquinanti per i principali ecosistemi acquatici su scala globale, analizzando la composizione dei rifiuti nell’oceano.

Dalla ricerca emerge che solo 10 tipi di prodotti di plastica rappresentano il 75% dei rifiuti, questo a causa sia dell’utilizzo diffuso di questi oggetti che della degradazione estremamente lenta. La plastica originata dal consumo terrestre infatti è di gran lunga l’elemento più frequente nei rifiuti marini su scala globale, costituendone l’80%. A seguire metallo, vetro, tessuti, carta e legno lavorato. A soffocare gli oceani sono soprattutto sacchetti monouso, bottiglie di plastica, contenitori per alimenti e involucri di cibo, i quattro oggetti più diffusi che costituiscono quasi la metà dei rifiuti. “Non ci ha sorpreso che la plastica costituisca l’80% dei rifiuti, ma ci ha sorpreso l’alta percentuale di imballaggi da asporto” ha dichiarato la stessa Morales-Caselles.

Gli articoli per il consumo da asporto hanno quindi costituito la quota maggiore, seguiti da quelli derivanti dalle attività di pesca, soprattutto corde, reti sintetiche e altre attrezzature. Tuttavia, la proporzione di rifiuti legati alle attività marittime come pesca e navigazione aumenta nelle zone scarsamente abitate, diventando il tipo di rifiuti predominante nelle acque oceaniche aperte e alle alte latitudini (> 50°), dove costituisce all’incirca la metà dei rifiuti totali. Secondo la ricercatrice, “il contributo delle attività marittime ai rifiuti oceanici è in media del 22% in tutti gli ecosistemi, ma questo numero dovrebbe essere considerato come un minimo poiché alcuni oggetti non sono facili da collegare alle attività marittime”.

Tale variazione nella composizione dei rifiuti sulla superficie dell’oceano dipende dall’effetto del vento e delle onde, che spazzano regolarmente i grandi oggetti galleggianti verso le coste, dove si accumulano sul fondale marino o subiscono un processo di erosione accelerata e rottura sulla riva, trasformandosi in microplastiche. È così, sotto forma di microplastiche, che possono superare più facilmente le onde, arrivare in mare aperto ed entrare nei circuiti di trasporto delle correnti oceaniche (oltre che nella catena alimentare).
www.marinelitterlab.eu

Fattori socioeconomici

La più alta concentrazione di rifiuti è stata trovata sui litorali e sui fondali marini vicino alle coste. Le differenze di composizione tra gli ambienti indicano infatti una tendenza dei rifiuti più voluminosi a restare intrappolati nelle zone costiere, mentre la plastica di origine terrestre che viene rilasciata in mare aperto ha per lo più la forma di piccole particelle (tuttavia, l’analisi pubblicata su Nature Sustainability ha incluso unicamente oggetti più grandi di 3 cm, escludendo frammenti e microplastiche).

A livello mondiale, la composizione dei rifiuti immessi nearshore (sotto costa) riflette i fattori socioeconomici, con un peso relativamente ridotto di oggetti monouso nei Paesi ad alto reddito, dove invece prevalgono reti e altri strumenti usati nella filiera ittica.
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“Vietare il monouso e puntare su EPR e deposito su cauzione”

Nel complesso, questo studio può essere utilizzato per individuare le azioni necessarie a gestire la produzione, l’utilizzo e il destino degli oggetti più inquinanti prodotti dall’uomo sul Pianeta, fornendo informazioni utili alle politiche di prevenzione. Identificare le principali fonti della plastica oceanica è infatti necessario per fermare il flusso di rifiuti marini verso l’oceano alla fonte, piuttosto che limitarsi a pulirlo, evitando così in primo luogo l’immissione nell’ambiente.

Partendo da questo presupposto, gli autori sostengono divieti normativi sui prodotti di plastica da asporto non indispensabili. Per gli altri prodotti, lo studio suggerisce di applicare sistemi di responsabilità estesa del produttore (Epr), unitamente an sistema di deposito e rimborso per i consumatori di prodotti da asporto (deposito su cauzione), entrambe giustificate dal rischio di dispersione di questi prodotti nell’ambiente.

La sostituzione dei più inquinanti articoli in plastica con altri prodotti realizzati con materiali più facilmente degradabili dovrebbe invece tenere conto di tutti gli impatti del ciclo di vita dei prodotti alternativi, incluso il fatto che sostituendoli alla plastica si avrebbe con tutta probabilità come unico effetto una sostituzione della tipologia di rifiuti dispersi in mare. Senza tener conto poi, chiariscono i ricercatori, l’impatto del ciclo di vita dei prodotti alternativi, che non sempre garantiscono un approvvigionamento sostenibile delle materie prime.

La direttiva Ue sulla plastica monouso? Potrebbe non bastare

Lo studio conclude che il modo migliore per affrontare l’inquinamento da plastica è che i governi limitino severamente gli imballaggi di plastica monouso.

Carmen Morales-Caselles e il suo team analizzano anche le politiche Ue a riguardo (come la direttiva SUP sulla plastica monouso), sostenendo che l’azione europea rischia talvolta di distogliere l’attenzione dal fulcro della questione. ”È un bene che ci sia un’azione contro i cotton fioc di plastica, ma se non aggiungiamo a quest’azione gli oggetti più comuni nei rifiuti, allora non stiamo affrontando il cuore del problema, ci stiamo distraendo”, ha detto la ricercatrice dell’Università di Cadice. Cannucce e palette da caffè infatti costituiscono solamente il 2,3% dei rifiuti, cotton fioc e bastoncini di lecca-lecca lo 0,16%.


Anche l’Italia tra i grandi inquinatori

Uno dei set di dati utilizzato da Morales-Caselles e colleghi è uno studio pubblicato sulla stessa rivista che prende in esame i rifiuti immessi nell’oceano da 42 fiumi in Europa. Lo studio afferma che Turchia, Italia e Regno Unito sono i primi tre contributori di rifiuti marini galleggianti. “Adottare misure di mitigazione non significa pulire la foce del fiume”, ha detto Daniel González-Fernández dell’Università di Cadice, che ha condotto quest’ultima ricerca. “Bisogna fermare la spazzatura alla fonte, in modo che la plastica non entri nemmeno nell’ambiente”. La complessa sfida che ci troviamo ad affrontare ha bisogno pertanto di un’azione urgente a partire dalla terraferma e dai fiumi, bloccando l’immissione 
 dei rifiuti in mare.

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fonte: economiacircolare.com


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Economia Circolare e transizione ecologica, il ruolo strategico dei Sistemi EPR in Europa


 



























L’appuntamento è per mercoledì 7 luglio a partire dalle ore 17.30 in streaming sul nostro canale YouTube.

fonte: erion.it


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Cinque aziende producono un quarto della plastica monouso mondiale

ExxonMobil, Sinopec e Dow sono in cima alla lista dei produttori di polimeri













La plastica monouso finisce spesso nelle discariche o nelle spiagge ingombranti.

Le prime cinque aziende dietro la plastica monouso - i materiali utilizzati per realizzare borse della spesa, cannucce e imballaggi per alimenti che spesso finiscono nelle discariche o nelle spiagge ingombranti - sono responsabili di quasi un quarto del totale globale, alimentate dalla domanda degli Stati Uniti e Cina.

La società petrolifera ExxonMobil, il gruppo chimico Dow e la raffineria cinese Sinopec sono in cima alla lista delle quasi 300 aziende che nel 2019 hanno prodotto collettivamente circa 110 milioni di tonnellate di polimeri, gli elementi costitutivi della plastica monouso, secondo una ricerca del gruppo filantropico Minderoo Foundation.

La società chimica Indorama Ventures e la compagnia petrolifera Saudi Aramco sono state rispettivamente il quarto e il quinto produttore.

Le prime cinque società hanno generato collettivamente circa 26 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, secondo il rapporto, basato su dati delle Nazioni Unite, della Banca mondiale e delle dogane nazionali, e su una ricerca della società di consulenza Wood Mackenzie. Quasi la metà di queste, ovvero 11 milioni di tonnellate, è stata utilizzata negli Stati Uniti e in Cina.

I rifiuti di plastica sono “un problema enorme”. . . Su questa traiettoria, entro il 2050 avremo più plastica nel nostro oceano in termini di peso che pesce", ha affermato Sander Defruyt, che guida l'iniziativa New Plastics Economy presso la Fondazione Ellen MacArthur.

La sua causa principale era la nostra "società usa e getta": i paesi devono passare da un sistema "basato sull'estrazione di risorse a uno basato sulla circolazione delle risorse".

Le materie plastiche sono realizzate con sostanze chimiche a base di combustibili fossili e si rompono in pezzi sempre più piccoli quando vengono smaltite, invece di decomporsi come fa il cibo. Sebbene gli articoli di plastica usa e getta possano spesso essere riciclati, molti non lo sono e milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono nell'oceano ogni anno.

Poiché le immagini delle spiagge disseminate di plastica sono diventate luoghi familiari, i governi hanno iniziato a reprimere il materiale con divieti o tasse sulla plastica.

L'anno scorso, l'Inghilterra ha vietato le cannucce di plastica monouso, gli agitatori e i cotton fioc e ha aumentato la carica sui sacchetti di plastica. La Cina ha bandito borse e posate monouso nelle principali città e sta pianificando di estendere i divieti di plastica negli anni fino al 2025.

Nel tentativo di invogliare gli acquirenti eco-consapevoli, i marchi di consumo, tra cui la catena di caffè Starbucks e il rivenditore di fast food McDonald's, hanno iniziato a sostituire gli articoli in plastica usa e getta con alternative di carta. Ad aprile, il droghiere Morrisons ha annunciato che sarebbe diventato il primo supermercato del Regno Unito a rimuovere completamente i sacchetti di plastica dai negozi.

Nel suo rapporto annuale 2020, Dow ha affermato che la plastica sta affrontando "un maggiore controllo pubblico".

“I governi locali, statali, federali e stranieri hanno sempre più proposto – e in alcuni casi approvato – divieti su alcuni prodotti a base di plastica, compresa la plastica monouso”, che potrebbe influire sulla domanda, ha affermato.

Tuttavia, i produttori si aspettano un aumento della domanda globale di materie plastiche, trainata dalla crescita della popolazione e da una classe media in espansione. La pandemia ha anche provocato un aumento dell'uso di articoli usa e getta, che sono stati visti come un modo per ridurre al minimo la trasmissione del virus.

Exxon ha affermato nel suo rapporto annuale 2020 che la domanda globale di prodotti chimici aumenterà di oltre il 40% entro il 2030. La divisione chimica di Exxon è stata l'unico segmento redditizio nel 2020, con una domanda "resiliente" durante la pandemia in aree chiave tra cui "imballaggio alimentare, igienico-sanitario”.

Helen McGeough, responsabile del team di analisti globali per il riciclaggio della plastica presso ICIS, ha affermato che i divieti del governo tendevano ad essere di portata ristretta. "La vera sfida" per i produttori era il rischio che "i produttori iniziassero ad abbandonare la plastica" per accontentare gli acquirenti, ha affermato.

Secondo il rapporto Minderoo, la plastica monouso rappresenta più di un terzo di tutta la plastica prodotta ogni anno, la maggior parte dei quali è realizzata con materiali "vergini", quelli prodotti con combustibili fossili, piuttosto che con materiale riciclato. L'analisi ha monitorato la produzione di cinque polimeri che rappresentano quasi il 90% di tutte le plastiche monouso.

Molti articoli di plastica usa e getta sono tecnicamente riciclabili, ma spesso finiscono nelle discariche o vengono bruciati o gettati direttamente nell'ambiente.

La domanda era "se i sistemi sono in atto in termini di raccolta e ritrattamento", ha detto McGeough. Una mancanza globale di tali sistemi significa che i grandi produttori potrebbero non avere abbastanza materiale riciclato per fare affidamento solo su quello, ha aggiunto.

Defruyt ha affermato che i governi dovrebbero introdurre schemi di "responsabilità estesa del produttore" che impongano alle aziende di pagare per la gestione dei rifiuti prodotti. Data la portata della sfida: "L'unico luogo da cui possono provenire questi finanziamenti è l'industria".

In una dichiarazione, Exxon ha affermato che "condivide la preoccupazione della società per i rifiuti di plastica e concorda che deve essere affrontata. Quasi 3 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso ad adeguati sistemi di raccolta o smaltimento dei rifiuti”.

Exxon ha rifiutato di commentare se avesse obiettivi per produrre una proporzione maggiore della sua plastica da materiali riciclati, ma ha affermato che stava "lavorando su soluzioni di riciclaggio avanzate".

Indorama Ventures, che secondo il rapporto di Minderoo ha ottenuto un punteggio elevato per la "circolarità" delle risorse rispetto alla maggior parte degli altri produttori, ha affermato di essersi impegnata a investire 1,5 miliardi di dollari per riciclare 50 miliardi di bottiglie di plastica in 750.000 tonnellate di materiale riciclato entro il 2025.

Dow ha rifiutato di commentare, ma ha indicato il suo obiettivo di consentire la raccolta, il riutilizzo o il riciclaggio di 1 milione di tonnellate di plastica entro il 2030.

Saudi Aramco ha dichiarato: “La plastica ha svolto un ruolo essenziale nell'elevare gli standard di vita in molte economie . . . Risolvere la sfida dei rifiuti di plastica richiede la partecipazione e l'impegno a lungo termine di tutti gli elementi della società, inclusi consumatori, produttori, sviluppatori di tecnologie, comunità finanziaria, governi e società civile”.

fonte: https://www.ft.com/



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Sistemi di deposito su cauzione: la via obbligata che conviene anche all’Italia

I sistemi di deposito cauzionali di bottiglie e altri imballaggi di bevande consentono di raggiungere altissime percentuali di raccolta differenziata. Sono un’opportunità per l'economia circolare, creano lavoro e fanno risparmiare gli enti locali. Ecco perché convegno a tutti, anche a chi oggi li ostacola



Troppi imballaggi dispersi nell’ambiente e la preoccupazione per l’inquinamento ormai pervasivo da plastica hanno riacceso l’interesse per i sistemi di deposito su cauzione, nei quali chi compra una bevanda in bottiglia o in lattina paga un piccolo extra che gli sarà restituito quando avrà riportato indietro il contenitore. Questa tipologia di raccolta selettiva nota come DRS (Deposit Return System o Scheme) consente di recuperare i contenitori di bevande monouso, ma si può anche applicare ai modelli di riuso e consente in maniera semplice ed efficace di ridurre i rifiuti da imballaggio dispersi nell’ambiente, il cosiddetto littering, e al tempo stesso di immettere i materiali così “salvati” nel ciclo produttivo.

La piccola cauzione, tipicamente tra i 5 e i 25 centesimi di euro, che si applica al prezzo di vendita delle bevande serve a impegnare il consumatore a riportare il contenitore vuoto presso un punto vendita per consentirne il riciclaggio. Una pratica che le persone più grandi d’età ricordano bene: fino agli anni Sessanta del secolo scorso, infatti, anche nel nostro Paese era molto diffuso il vuoto a rendere, applicato alle bottiglie di vetro per latte, acqua minerale ed altre bevande.


Il passaggio al monouso? È a carico della collettività

Questa modalità di commercializzazione a “ciclo chiuso” e senza produzione di rifiuti ha subito un lento e inesorabile declino con l’avvento della bottiglia in PET, il polietilene tereftalato prodotto interamente da petrolio o gas metano, e anche della lattina in alluminio. Con il loro avvento, i produttori di bevande si sono liberati dei costi di gestione del vuoto a rendere. Per recuperare il vetro e gestire tutta la filiera su scala locale, infatti, servivano importanti investimenti finanziari: i magazzini per lo stoccaggio, gli impianti di lavaggio e sanificazione dei vuoti, la rete logistica, i concessionari che producevano per i vari marchi e via dicendo.

È accaduto così che, ricorrendo a imballaggi in plastica o alluminio monouso, i produttori abbiano potuto ampliare il mercato di riferimento (non dovendo più gestire la raccolta localmente) riducendo sia i costi per le infrastrutture appena citate, sia quelli di gestione del fine vita dei propri prodotti. Oneri e onori sono così passati ai governi locali e ai contribuenti dei Paesi in cui le bevande venivano immesse al consumo: da quel momento il costo di ciò che accadeva alla bottiglia o al flacone monouso dopo l’utilizzo non è più stato un problema di chi ne produceva il contenuto, ma è finito a carico della collettività.

Tempo di soluzioni: la responsabilità estesa del produttore

Parallelamente all’allarme legato al cambiamento climatico e all’eccessivo sfruttamento di risorse, si è via via affermato, soprattutto a livello comunitario, il principio della responsabilità estesa del produttore (in sigla inglese Epr, Extended producer responsability), in virtù del quale chi produce e commercializza un bene deve farsi carico dei costi del suo avvio a riciclo. Questo importante cambiamento ha riportato l’attenzione sulle potenzialità dei sistemi cauzionali e non a caso tanti Paesi, in Europa e non solo, hanno iniziato a introdurli.



D’altro canto, non si intravedono all’orizzonte altre soluzioni e strumenti di efficacia comparabile. Dove sono stati adottati, infatti, i DRS hanno dimostrato di riuscire a ridurre, se non prevenire, la dispersione di contenitori di bevande nell’ambiente, a reimmettere in nuovi cicli economici i recipienti senza perdita di risorse preziose e valore economico, creando al contempo occupazione verde. Questi sistemi consentono di raggiungere percentuali di differenziata altrimenti impossibili, dal momento che persino in Paesi con i sistemi di raccolta differenziata più performanti – come nel caso del Giappone e della Svizzera – si superi di poco un tasso di raccolta e riciclo dell’80% per i contenitori di bevande.

Come dicevamo, in Europa sono state le ultime legislazioni europee sui rifiuti a portare alla ribalta i sistemi di deposito su cauzione, e a stemperare, quando non neutralizzare, la storica opposizione da parte dell’industria delle bevande e di altri gruppi di interesse ai sistemi cauzionali. Di fatto sia le direttive sui rifiuti del pacchetto Economia Circolare recentemente recepite dagli Stati membri – in Italia con il decreto legislativo 116 del 2020 – sia quelle in via di recepimento come la direttiva Single-use plastics (nota come direttiva Sup) hanno il potenziale per produrre cambiamenti epocali.

I fattori che favoriscono il passaggio ai sistemi cauzionali

Sono diverse le misure in grado di imprimere una forte spinta verso l’adozione di un DRS anche nel nostro Paese: di seguito elenchiamo quelle più rilevanti.
La novità introdotta nel nostro Paese dal decreto legislativo 116/2020, che riforma i sistemi EPR con lo scopo di rendere i produttori responsabili dal punto di vista finanziario (e a volte anche operativo) del fine vita degli imballaggi. In modo che gli utilizzatori e produttori di imballaggi siano obbligati a coprire i costi di avvio a riciclo dei propri imballaggi nella misura di almeno l’80%. Attualmente invece, con il vigente regime di Responsabilità Condivisa del Produttore che regola l’accordo quadro Anci-Conai, questi costi ricadono per la maggior parte sugli enti locali che si occupano della raccolta differenziata;
L’obbligo di raggiungere obiettivi di riciclaggio più elevati entro il 2030 (il 60% per l’alluminio, l’80% per l’acciaio, il 75% per il vetro e il 55% per gli imballaggi in plastica) con una metodologia di calcolo dei tassi di riciclaggio molto più rigorosa che renderà più difficile gonfiare artificialmente tali numeri;
L’obbligo di una percentuale minima di contenuto riciclato dei contenitori: per le bottiglie in PET il 25% entro il 2025 e per tutti gli imballaggi per bevande in plastica il 30% entro il 2030. In realtà, alcuni marchi già superano queste percentuali di contenuto riciclato ed è presumibile che la possibilità di utilizzare il 100% di PET riciclato, il cosiddetto rPET, nelle bottiglie di plastica a partire da quest’anno contribuisca ad aumentare la richiesta di rPET da parte del mercato;
Il raggiungimento degli obiettivi di raccolta e riciclo per le bottiglie in PET imposti dalla direttiva Sup: il 77% al 2025 e il 90% al 2029 rispetto all’immesso al consumo.
Obiettivo 77% ancora lontano

Le elaborazioni di alcuni addetti del settore visionate da EconomiaCircolare.com indicano un tasso di intercettazione e riciclo nazionale delle bottiglie in PET del 58,29% nel 2019, dato che rende piuttosto improbabile raggiungere il 77%, obiettivo intermedio della direttiva Sup, entro il 2025.

Va detto che questa difficoltà, che accomuna tutti i Paesi europei privi di un sistema di deposito, sarà messa a dura prova dal nuovo metodo di calcolo dei tassi di riciclaggio, che sulla base di stime effettuate in altri Paesi potrebbe ridurre le attuali performance di riciclo in modo significativo. Anche per le bottiglie in PET la stima è di una una riduzione del 10-15%. Un rischio su cui ha acceso i riflettori anche la Corte dei Conti Europea in una sua analisi dello scorso ottobre, stimando una sensibile riduzione del tasso di riciclo medio europeo, dal 42% attuale al 30%. 

I vantaggi emersi dalle oltre 40 esperienze esistenti

I sistemi cauzionali per i contenitori di bevande già in vigore da tempo in oltre 40 giurisdizioni a livello internazionale, hanno dimostrato di poter raggiungere maggiori prestazioni a vari livelli rispetto ad altri sistemi di raccolta, completando di fatto i programmi di raccolta domiciliare. Il primo vantaggio per importanza, soprattutto in relazione agli obiettivi di riciclo introdotti dalla SUP per le bottiglie di plastica, è l’alto tasso di intercettazione degli imballaggi, che arriva facilmente a superare il 90% dell’immesso al consumo. In Europa, secondo l’ultimo rapporto della piattaforma Reloop, Global Deposit Book 2020, la media si aggira intorno al 91%.

Tra gli altri vantaggi, è importante rilevare che questo sistema consente di produrre materia riciclata di qualità per realizzare altri contenitori ad uso alimentare, il cosiddetto riciclo bottle to bottle, possibile solo quando i contenitori sono puliti perché raccolti separatamente da altri imballaggi non food-grade (cioè non per beni commestibili). A questo si aggiunge che i sistemi di deposito su cauzione vedono ridurre sensibilmente i costi di gestione dei rifiuti a carico degli enti locali.

Il modo più performante di intercettare i contenitori

I sistemi di deposito su cauzione più performanti operano con il modello Return to Retail, il più diffuso, in cui la restituzione dei contenitori vuoti e il recupero della cauzione avviene presso i rivenditori abitualmente frequentati per fare la spesa. I contenitori vuoti vengono in genere restituiti attraverso dispositivi automatici chiamati Reverse Vending Machines (Rvm) installati presso i supermercati, oppure al personale dei punti di vendita, quando la raccolta è manuale e avviene nei negozi di prossimità con superfici di vendita più ridotte.

Oltre al conferimento del singolo imballaggio, le Rvm più moderne permettono anche restituzioni multiple con sacchi contenenti più imballaggi. I sistemi automatizzati moderni garantiscono standard di convenienza per i consumatori e un’affidabilità elevata, grazie a modalità di riconoscimento ottiche integrate che verificano la tipologia, la forma e il peso dell’imballaggio da ritirare, e ne determinano in tempo reale l’appartenenza o meno al programma di deposito.

I consumatori possono poi recuperare le somme derivanti dalla restituzione delle cauzioni in diverse forme: ricevono indietro i contanti, deducono la cifra dall’importo dello scontrino quando fanno la spesa oppure la possono devolvere a una causa benefica.

Silvia Ricci

fonte: economiacircolare.com

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Come funziona RecyClass?

Paolo Glerean, illustra in dettaglio il sistema di valutazione della riciclabilità degli imballaggi in plastica introdotto dall'associazione europea dei riciclatori Plastics Recyclers Europe (PRE).













Nove anni orsono, l' associazione europea dei riciclatori di plastica PRE(Plastics Recyclers Europe) ha iniziato a lavorare a RecyClass, un sistema di valutazione della riciclabilità degli imballaggi in plastica che, sulla falsariga delle classi energetiche per gli elettrodomestici, attribuisce ad un imballaggio una classe che va dalla A alla F a seconda del grado di riciclabilità. Uno strumento di straordinaria efficacia che non lascia spazio al greenwashing e rende più circolare l’utilizzo delle plastiche.
Il responsabile di RecyClass, Paolo Glerean (nella foto), ha seguito il progetto fin dagli esordi e crede molto nella possibilità che questo strumento contribuisca ad armonizzare le linee guida finalizzate al riciclo, anche in considerazione del fatto che il “problema plastica” – ma sarebbe meglio dire “problema monouso” – è emerso nella sua dimensione attuale soltanto da pochi anni.

Può descriverci in cosa consiste a grandi linee RecyClass: da chi è stato ideato, lanciato e con quale scopo?

L’idea di RecyClass è nata nel 2010 da un dialogo-confronto tra me e Roberto Alibardi, fondatore di Aliplast. Ci chiedevamo, allora, come poter classificare gli imballaggi in plastica in base a quanto riciclabili fossero. Da quel dialogo è scaturito un embrione di progetto che ho presentato ad un incontro di Plastics Recyclers Europe, associazione nella quale Aliplast era appena entrata a far parte. Con mia sorpresa, il neo-presidente Ton Emans ha subito colto l’importanza dell’idea e mi ha affiancato seduta stante alcuni riciclatori molto esperti, mettendomi a capo di una task-force per realizzare questo progetto.
Nel 2014 è stato lanciato da Plastics Recyclers Europe il tool online www.recyclass.eu che consente – gratuitamente – di valutare la classe di riciclabilità di un imballaggio in plastica, dalla A (classe migliore) alla F (classe peggiore).
L’utente riceve anche l’informazione di quali parti/componenti dell’imballaggio ne hanno causato un’eventuale declassamento, dando modo all’utente di capire su quali parti concentrarsi per migliorare.



Lo scopo iniziale era – ed in parte lo è ancora – supportare con uno strumento semplice le aziende medio-piccole, che rappresentano la spina dorsale dell’economia europea, nel processo di miglioramento della riciclabilità dei loro imballaggi. Solitamente queste aziende non hanno delle risorse interne specializzate in imballaggi e sono lasciate a loro stesse in queste scelte. Con una discreta sorpresa, fin da subito dopo il lancio abbiamo capito che il maggiore interesse verso lo strumento veniva manifestato da grossi brand i quali, usandolo, capivano quanto le loro nozioni sul riciclo delle materie plastiche non fossero propriamente connesse alla realtà.
Dopo qualche anno in cui il dialogo tra il team di RecyClass ed i grossi brand/converters si era fatto particolarmente intenso, abbiamo deciso di professionalizzare questo servizio, creando una piattaforma (RecyClass Platform), assumendo delle risorse altamente specializzate e preparate ed impiegandole a tempo pieno su due aspetti-obiettivi fondamentali: uniformare le linee-guida sugli imballaggi in plastica in Europa e dare a queste una solida base scientifica, eliminando quindi via via i pareri soggettivi sul tema per sostituirli con dai basati su test scientifici che replicano in scala laboratorio quanto avviene in un processo di riciclo e di ri-trasformazione del riciclato in un nuovo prodotto. Questa evoluzione ha visto e vede compartecipare molti importanti brands, provenienti da diverse aree del mercato, ma anche produttori di tecnologia e di materie prime, oltre a grandi trasformatori. Lo strumento online conta più di tremila utenti attivi.

Quale è il valore aggiunto, il contributo che Recyclass può dare in un momento in cui la plastica è nell’occhio del ciclone per l’inquinamento ambientale pervasivo e i tassi di riciclo insufficienti?


Sono fermamente convinto che la battaglia sulla sostenibilità della plastica, degli imballaggi in particolare, si giochi sugli scaffali. Se gli imballaggi sono progettati in modo da rappresentare a fine vita una vera risorsa in termini di valore, allora ci sarà qualcuno che se ne prenderà cura, avviandoli ad una filiera del riciclo che verrà remunerata da quanto valore potrà generare. Viceversa, se questo non avviene e quindi l’imballaggio esausto rappresenta solo un costo, allora nonostante tutti i sistemi più o meno cogenti o incentivanti, il materiale plastico in esso contenuto sarà sempre considerato un peso per l’economia.
In questo senso RecyClass consente di guidare i produttori di imballaggi verso imballaggi di maggiore valore a fine vita. Da un certo punto di vista, questo è anche il modo per fare della lobby costruttiva nel senso di promuovere anche standardizzazioni nella raccolta-selezione sul territorio europeo. 

Gli scaffali della Grande Distribuzione Europea sono molto simili tra loro nei diversi Paesi EU, ci troviamo spesso gli stessi prodotti. Perché i sistemi di raccolta e la selezione non debbono essere il più possibile uniformati?

Il fatto che la plastica sia sotto attacco, soprattutto per l’inquinamento marino, non cambia il fatto che, spesso, rappresenti la soluzione con l’uso più efficiente delle risorse, basti pensare al rapporto tra peso del contenitore e peso del contenuto. Questo non deve essere un alibi per disfarsene in modo dannoso per l’ambiente. RecyClass da questo punto di vista mira a supportare in modo concreto le aziende che vogliano veramente trasformare i propri imballaggi plastici in imballaggi circolari. Questo significa elevare la qualità della materia plastica – rifiuto in modo da produrre materie prime seconde di qualità più alta a costi minori, rendendo sempre più la materia plastica riciclata succedanea della materia plastica vergine.

Quali sono i vantaggi complessivi per industria che aderisce e quali sono gli effetti che possono esserci a livello di comunicazione marketing e anche rispetto ad un potenziale greenwashing che le aziende possono esercitare sul packaging?


Come dicevo prima, uno degli scopi della piattaforma RecyClass è quello di uniformare le linee-guida sul design-for-recycling in Europa e questo sottintende anche una uniformazione relativa alle definizioni. All’interno della piattaforma abbiamo creato anche una task-force che sta lavorando sulla creazione di linee-guida per i cd. “recyclability claims”, ovvero un insieme di istruzioni sui comportamenti corretti da utilizzare in sede di dichiarazioni relative alla riciclabilità degli imballaggi in plastica. Se consideriamo che nella piattaforma ci sono i principali brands mondiali di FMCG, è facile immaginare come questo documento possa diventare una specie di disciplinare condiviso.
Al di là di questo, la valutazione relativa alla classe di riciclabilità può essere apposta all’imballaggio solo previo certificazione, ovvero la analisi condotta on-line dall’utente deve essere validata da un auditor autorizzato che ne verifichi la veridicità ed attinenza al caso specifico. Solo dopo questo passaggio al richiedente è concesso l’uso del logo con la classe ottenuta.

In cosa si differenzia da progetti di etichettatura che hanno interessato gli imballaggi di plastica in diversi paesi allo scopo di informare sulle probabilità che un determinato imballaggio aveva di venire realmente riciclato?

Spesso i sistemi di etichettatura sugli imballaggi non si riferiscono alla riciclabilità, ma al fatto che una determinata tipologia di imballaggio vada conferito all’interno di una determinata raccolta. Si ragiona in questo caso sulla categoria cui l’imballaggio appartiene (ad esempio tratto tutti i flaconi in polietilene ad alta densità HDPE allo stesso modo, perché i flaconi di HDPE in una determinata area sono raccolti e, sperabilmente, “widely recycled”. Un esempio è lo schema OPRL –On Pack Recycling Label in Inghilterra .


Ciò che invece RecyClass fa è valutare il singolo imballaggio e non la sua appartenenza ad una categoria che, normalmente, viene raccolta e avviata a riciclo. Solo così si può aumentare la qualità dei rifiuti da riciclare, dare una definizione generalistica “widely recycled” ad una categoria non permette di avviare quella sana competizione tra produttori che consente il miglioramento continuo della riciclabilità. Sono “widely recycled”, allora perché devo migliorare? Da notare che un imballaggio – nell’esempio un flacone HDPE – che abbia un design pessimo che lo rende irriciclabile, spesso sarà etichettato come “widely recycled” perché appartiene ad una categoria che viene raccolta e, spesso riciclata.

Può indicarci, in poche parole, come sia possibile una valutazione del grado di riciclabilità di un imballaggio accedendo alla piattaforma dello schema e di quali dati si debba preventivamente disporre?

E’ molto semplice: si accede al tool online (www.recyclass.eu) al quale ci si deve registrare con email e password. Lo strumento guida l’utente con delle domande a risposta multipla, dietro le quali si “nascondono” le linee-guida sul design-for-recycling che sono il cuore di RecyClass.
Occorre avere di fronte a sé l’imballaggio da valutare, completo delle informazioni relative alla sua composizione. Solo nella parte finale verrà chiesto di effettuare dei test (10) di svuotamento dell’imballaggio per misurare quanto residuo di contenuto resta alla fine dell’operazione, fattore che compartecipa alla valutazione sulla riciclabilità. Questa viene definita auto-analisi, intendendo che ogni utente può farla da sé. Quando invece l’utente intende utilizzare il logo RecyClass sull’imballaggio valutato e con la classe ottenuta, deve fare verificare e certificare la propria auto-analisi da un auditor autorizzato RecyClass. Al termine della certificazione vengono rilasciati logo e certificato da poter apporre sull’imballaggio. Il processo di certificazione viene condotto sulla base di una metodologia che, come per tutti i documenti utilizzati nella Piattaforma, è di pubblico dominio e visionabile dal sito di RecyClass.

Quali sono le variabili che entrano in gioco in fase di progettazione di un imballaggio? Quali possono rendere più laborioso e costoso il processo di riciclaggio e influire sul “punteggio” ovvero la classe che RecyClass assegna?

Ci sono imballaggi per i quali non esiste una filiera di raccolta-selezione-riciclo e questi finiscono direttamente in classe F, di solito dopo le prime domande poste dal tool. Per gli altri imballaggi, che rientrano invece nelle filiere, le domande vanno a valutare i singoli componenti o combinazioni, variando a seconda della tipologia dell’imballaggio valutato. Evidentemente le domande su una bottiglia in HDPE saranno diverse da quelle su un film flessibile, perché diverse sono le linee-guida sottostanti. L’uso dell’etichetta sbagliata (ad esempio in PVC su una bottiglia in PET) causa pesanti declassamenti, mentre un’etichetta non ottimale ma tollerata (come quelle di carta) causa la perdita di un solo livello nella scala di valutazione.


Per ogni componente e sue combinazioni ci sono delle scelte preferite in quanto non impattano sui processi di selezione-riciclo (verde nelle linee-guida), delle scelte tollerate in quanto hanno un impatto limitato e gestibile (arancio nelle linee-guida) o non tollerate affatto in quanto mettono a rischio la riciclabilità dell’imballaggio (rosso). L’elenco di queste componenti è lungo e varia a seconda della categoria di imballaggio, può andare dal materiale di cui è fatto il corpo dell’imballaggio, fino ai collanti ed ai materiali usati per le etichette, ai materiali con cui sono fatti i tappi/chiusure o i film di sigillatura, la quantità e qualità di inchiostri usati per le stampe, gli eventuali materiali utilizzati per dare maggiore barriera alla luce o ai gas e così via. Le linee-guida sono documenti tecnici, di difficile lettura per chi non è del settore. Il tool online nasce per rappresentare un’interfaccia semplice a favore dell’utente non tecnico.

Come hanno rilevato studi e sondaggi tra cui il Progetto SCELTA, la preoccupazione sull’inquinamento da plastica ha indotto buona parte dell’opinione pubblica a credere che la biodegradabilità di un materiale/manufatto equivalga ad un ridotto impatto ambientale. Come stanno affrontando i brand con cui siete in contatto questo “sentiment plastic free”?

Per quello che è il mio punto di osservazione, vedo che i brand – ingiustamente posti in fondo alla classifica dei soggetti di cui fidarsi, da quanto risulta dall’indagine effettuata all’interno del Progetto Scelta – se opportunamente “illuminati” cercano di basare le proprie scelte su dati e quindi sull’uso razionale delle risorse. Da questo punto di vista, spesso la plastica “tradizionale” rappresenta la migliore soluzione tra quantità di risorse impiegata e risultato ottenuto, mentre la plastica biodegradabile non offre spesso una soluzione migliorativa rispetto alla plastica tradizionale. In ogni caso va raccolta separatamente per essere avviata in impianti dedicati per cui nulla di diverso rispetto alla plastica tradizionale. Al di là di operazioni di immagine, il vero punto non è quindi se usare plastica o meno ma come utilizzarla per conservarne i vantaggi, eliminandone l’aspetto negativo dato dal littering, che si lega spesso alla non riciclabilità e al valore negativo del rifiuto irriciclabile. Da questo punto di vista, credo la Piattaforma RecyClass sia la testimonianza vivente dell’impegno dei brands e dell’industria del packaging nel voler trovare delle soluzioni vere al problema. E’ un impegno recente ma particolarmente sostenuto. E’un peccato che il consumatore medio non possa vedere cosa succede “dietro le scene” ma sarebbe sorpreso di vedere quante risorse siano oggi dedicate a questo tema.

Come procede l’adesione dei marchi? Considerato che le linee guida per il riciclo esistono da tempo e che RecyClass è uno schema volontario quali misure legislative e fiscali sarebbero necessarie per rendere più circolare il fine vita degli imballaggi in plastica?

Come dicevo, l’adesione è molto alta e procede a ritmi importanti. E’ vero che alcune linee-guida esistono da parecchi anni, credo le prime siano degli anni ’90 da parte del EPR tedesco, ma la sensibilità vera sul tema è scoppiata un paio di anni fa. Da allora l’impegno di brands ed industria è diventato serrato e reale. Tutto ad un tratto si è scoperto che mancano degli standard condivisi (non abbiamo ancora una definizione condivisa di cosa significhi "riciclabile", relativamente a definizioni, metodologie di prova, dichiarazioni legate alla riciclabilità. Tutto questo, se deve essere fatto bene, richiede tempo e lavoro.
Dal punto di vista normativo vedo che la Commissione EU si sta muovendo in modo coerente e credo la Plastic Strategy pubblicata a gennaio 2018 sia un testo importante e con un approccio concreto al tema. Al suo interno si prevede la definizione degli Essential Design Requirements legati agli imballaggi, cioè verrà definito per legge le cose che non vanno fatte in sede di progettazione di un imballaggio. Questo sicuramente aiuterà ad evitare gli sprechi più macroscopici di risorse e supporterà un percorso di maggiore standardizzazione. Sicuramente la previsione di quantità obbligatorie di materiale riciclato nei prodotti/imballaggi sarà un fattore determinante per trainare la circolarità delle plastiche.
Dal punto di vista fiscale, degli sgravi (IVA agevolata, crediti di imposta per gli acquirenti, etc.) legati all’acquisto di materiale riciclato potranno aiutarne la diffusione sui diversi mercati. Da non dimenticare una leva quasi-fiscale ovvero il contributo ambientale per i beni inseriti in contesti di responsabilità estesa del produttore. La sua modularità legata alla riciclabilità del singolo imballaggio sicuramente sarà una leva per incentivare le imprese ad investire sulla riciclabilità, fatto che si tradurrà anche in una maggiore efficienza dei sistemi EPR stessi che potranno vedere migliorato il rapporto costi/ricavi da questa evoluzione. Anche uno sconto sul contributo legato alla quantità di materia plastica riciclata (lo stanno facendo in Francia) sicuramente si inserisce in questo tipo di strumenti a favore di una maggiore circolarità delle plastiche.

Silvia Ricci


fonte: www.polimerica.it

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