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Etichettatura imballaggi slitta al 2022

Con la conversione in legge del Decreto Sostegni rinviato all'anno prossimo l'obbligo a carico di produttori e utilizzatori di imballaggi.



Nel settembre dell'anno scorso è entrata in vigore l’etichettatura ambientale degli imballaggi (Dlg 3 settembre 2020, n. 116 ), che recepisce la Direttiva UE 2018/852 relativa agli imballaggi e ai rifiuti di imballaggio, apportando modifiche al comma 5 dell’art. 219 relativamente ai “criteri informatori dell’attività di gestione dei rifiuti di imballaggio”.

La norma diverrà però operativa solo all'inizio dell'anno prossimo. Un rinvio parziale era già stato introdotto col Decreto Milleproroghe 2021 (leggi articolo), ma il Parlamento si era dimenticato di includere l’obbligo di apporre su tutti gli imballaggi (primari, secondari, terziari) la codifica identificativa del materiale.

A porre rimedio è arrivato un emendamento del Decreto Sostegni, appena convertito il legge, che rimanda in toto l'obbligo di etichettatura al 1° gennaio 2022.

Sullo stesso tema, nei giorni scorsi, il Ministero della Transizione ecologica (MITE) ha emanato una circolare nella quale si specifica che l'obbligo di etichettatura ambientale ricade anche sulla categoria degli "utilizzatori": acquirente-riempitore di imballaggi vuoti, importatore di imballaggi pieni, autoproduttore e commercianti di imballaggi pieni o vuoti.

fonte: www.polimerica.it


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Etichettatura ambientale volontaria del packaging, pubblicate le linee guida CONAI

Sono state presentate le nuove Linee guida per un'etichettatura volontaria del packaging che CONAI ha redatto per guidare le imprese all’utilizzo corretto e consapevole dei claim ambientali volontari





Giovedì 20 maggio 2021 dalle ore 11.00 alle ore 12.00 si è tenuto il webinar CONAI “Etichettatura ambientale volontaria del packaging” in diretta streaming.

Nel corso dell’evento sono state presentate le nuove Linee guida per un’etichettatura volontaria del packaging che CONAI ha redatto per guidare le imprese all’utilizzo corretto e consapevole dei claim ambientali volontari. Il documento è il frutto della consultazione pubblica promossa negli scorsi mesi.

Per saperne di più consulta il sito web dedicato all’etichettatura ambientale: https://www.etichetta-conai.com/

Per rivedere il webinar CONAI del 20 maggio:



fonte: www.ecodallecitta.it


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Etichettatura ambientale volontaria: fino al 30 aprile è possibile partecipare alla consultazione pubblica

l Consorzio Nazionale Imballaggi, dà ad associazioni, aziende ed esperti la possibilità di intervenire nel dibattito sul tema. Un’agorà green che tocca temi importanti legati alle informazioni da apporre in etichetta su base volontaria, come la riciclabilità dell’imballaggio, l’uso di materiale riciclato nella sua produzione e altre caratteristiche ambientali



C’è ancora tempo per partecipare alla consultazione pubblica in vista della redazione delle nuove Linee Guida per un’etichettatura ambientale volontaria: fino al 30 aprile CONAI, il Consorzio Nazionale Imballaggi, dà ad associazioni, aziende ed esperti la possibilità di intervenire nel dibattito sul tema.

Un’agorà green che tocca temi importanti legati alle informazioni da apporre in etichetta su base volontaria, come la riciclabilità dell’imballaggio, l’uso di materiale riciclato nella sua produzione e altre caratteristiche ambientali.

Alla consultazione è possibile accedere tramite l’area Documenti di etichetta-conai.com, il portale che il Consorzio ha dedicato al tema dell’etichettatura.

Sulla piattaforma sono già disponibili in consultazione circa 250 faq, ed è aperto uno spazio per l’invio al Consorzio di casi aziendali di successo.

«CONAI conferma il suo impegno al fianco delle aziende italiane, supportandole nell’orientarsi fra i nuovi obblighi di legge» afferma Simona Fontana, responsabile Centro studi / Area prevenzione CONAI. «Dopo il lavoro per le Linee guida sull’etichettatura obbligatoria, la consultazione sulle informazioni ambientali da riportare sugli imballaggi in modo volontario è una nuova risposta alla crescente richiesta di supporto da parte del mondo delle imprese e delle associazioni».

Dopo la chiusura della consultazione, un webinar trasmesso live sui canali social di CONAI presenterà le nuove Linee Guida per un’etichettatura ambientale volontaria: l’appuntamento è per il 20 maggio.

fonte: www.ecodallecitta.it


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Francia, via il punto verde dagli imballaggi: “Crea confusione”. Come orientarsi nella selva di simboli ambigui sul riciclo

 












Il simbolo della freccia verde che si avvolge a una freccia più chiara è molto comune sulle confezioni di prodotti alimentari e non solo. Quello che in molto non sanno è che il “punto verde” non indica che la confezione che si ha in mano è riciclabile, o fatta con materiale riciclato, ma indica soltanto l’adesione del produttore al sistema di contributi nei confronti dei consorzi di riciclo. Proprio per evitare questa confusione, la Francia ha deciso di abbandonare il punto verde. La legge sull’economia circolare del 10 febbraio 2020 prevede infatti che “i segni e le marcature che possono indurre confusione sulla norma di cernita o conferimento dei rifiuti dal prodotto sono colpiti da ‘una sanzione che non può essere inferiore all’importo del contributo finanziario richiesto per la gestione dei rifiuti ”. A partire dal 1 aprile, un produttore che si ostina ad apporre il punto verde vedrebbe raddoppiare il suo contributo all’eco-organizzazione. “Sufficientemente dissuasivo perché si possa sperare in una rapida scomparsa, anche se le scorte prodotte prima di questa data possono ancora essere vendute fino a ottobre 2022” scrive Que Choisir che combatte contro il punto verde da anni: “Questo pagamento è stato simboleggiato dal punto verde, ma non ha nulla a che fare con il fatto che l’imballaggio che lo reca è riciclabile. Non fornisce alcuna informazione utile al consumatore e quindi non ha motivo di apparire sui prodotti. Solo gli imperativi di marketing spiegano perché è sopravvissuto”.

Il punto verde non il solo problema: gran parte dell’etichettatura del riciclaggio della plastica è “confusa e incoerente”, secondo una valutazione globale del riciclo e della sostenibilità di etichettatura curata dal programma delle Nazioni Unite per l’ambiente e la rete Consumers International dello scorso maggio. Secondo il Programma ambientale delle Nazioni Unite, “È necessario fare molto di più” per passare a modelli di consumo e produzione sostenibili”

Mappatura globale di standard, etichette e dichiarazioni

Secondo Helena Leurent, direttore generale di Consumers International, “Spesso i consumatori guardano gli imballaggi al fine di trovare informazioni su come smaltire correttamente il prodotto. Fornire informazioni chiare, accessibili e affidabili sulla sostenibilità degli imballaggi in plastica dei prodotti può aiutare a informare il consumatore e rendere la sostenibilità la scelta facile e contribuire a ridurre i rifiuti di plastica non necessari nell’ambiente”. Secondo i loro risultati, il 19% delle 31 etichette mondiali valutate ha ottenuto un punteggio negativo dagli esperti, il 19% era positivo e il resto ha ottenuto risultati contrastanti o neutri.

I giudizi sui loghi


Il logo EUCertPlast, certificazione europea per il riciclo di plastica, ha ricevuto una risposta intermedia. È trasparente, ma l’immagine è difficile da interpretare. Per quanto riguarda le etichette per la guida al riciclaggio, ad esempio, l’etichetta “On-Pack Recycling Label” del Regno Unito (OPRL) ha ottenuto risultati positivi, con gli esperti che ritengono il logo chiaro e pertinente. Il logo “EUCertPlast” – creato da Plastics Recyclers Europe – ha invece ricevuto una risposta “mista”. Gli esperti hanno apprezzato la sua trasparenza ma hanno trovato l’immagine difficile da interpretare. Per quanto riguarda le etichette per il finanziamento del riciclaggio – che sono progettate per indicare che le aziende hanno versato un fondo per sostenere infrastrutture di riciclaggio, schemi di deposito e partenariati per il riciclaggio – gli intervistati hanno anche notato una certa confusione.

Il logo “punto verde” crea confusione

L’etichetta “Punto verde”, che significa che per tale imballaggio, un contributo finanziario è stato versato a un’organizzazione nazionale competente per il recupero degli imballaggi, è stata negativamente ricevuta. 


La sua interpretazione non è chiara, secondo gli intervistati: “non significa riciclabile, ma le immagini suggeriscono il contrario”. Il logo “Pant, A, B, C” della Danimarca – utilizzato nel sistema di riciclaggio nazionale per indicare quali bottiglie possono essere restituite per riscuotere un rimborso del deposito – è stato l’unico logo a ricevere una valutazione positiva in questa categoria.

Biobased o biodegradabile?

Ci sono poi comuni confusioni sulle spiegazioni stampate sulle confezioni. L’affermazione “Realizzata in plastica riciclata”, continua FoodNavigator citando il rapporto, ad esempio, può essere confusa con l’affermazione “Riciclabile”. “Biobased” può essere erroneamente interpretato come “biodegradabile” dai consumatori e l’affermazione “compostabile e biodegradabile” è “potenzialmente insignificante”. Questo perché “solo una percentuale molto piccola” di persone ha accesso all’infrastruttura appropriata per compostare il materiale. “L’etichettatura sugli imballaggi in plastica, comprese le bevande e altri prodotti alimentari, non sempre fornisce informazioni chiare e fruibili per i consumatori”, ha dichiarato Helena Leurent, aggiungendo: “Insieme alla mancanza di coerenza tra marchi e paesi, ciò crea confusione in termini di sostenibilità, riciclabilità e altre caratteristiche del packaging.”

fonte: ilsalvagente.it/

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Come funziona RecyClass?

Paolo Glerean, illustra in dettaglio il sistema di valutazione della riciclabilità degli imballaggi in plastica introdotto dall'associazione europea dei riciclatori Plastics Recyclers Europe (PRE).













Nove anni orsono, l' associazione europea dei riciclatori di plastica PRE(Plastics Recyclers Europe) ha iniziato a lavorare a RecyClass, un sistema di valutazione della riciclabilità degli imballaggi in plastica che, sulla falsariga delle classi energetiche per gli elettrodomestici, attribuisce ad un imballaggio una classe che va dalla A alla F a seconda del grado di riciclabilità. Uno strumento di straordinaria efficacia che non lascia spazio al greenwashing e rende più circolare l’utilizzo delle plastiche.
Il responsabile di RecyClass, Paolo Glerean (nella foto), ha seguito il progetto fin dagli esordi e crede molto nella possibilità che questo strumento contribuisca ad armonizzare le linee guida finalizzate al riciclo, anche in considerazione del fatto che il “problema plastica” – ma sarebbe meglio dire “problema monouso” – è emerso nella sua dimensione attuale soltanto da pochi anni.

Può descriverci in cosa consiste a grandi linee RecyClass: da chi è stato ideato, lanciato e con quale scopo?

L’idea di RecyClass è nata nel 2010 da un dialogo-confronto tra me e Roberto Alibardi, fondatore di Aliplast. Ci chiedevamo, allora, come poter classificare gli imballaggi in plastica in base a quanto riciclabili fossero. Da quel dialogo è scaturito un embrione di progetto che ho presentato ad un incontro di Plastics Recyclers Europe, associazione nella quale Aliplast era appena entrata a far parte. Con mia sorpresa, il neo-presidente Ton Emans ha subito colto l’importanza dell’idea e mi ha affiancato seduta stante alcuni riciclatori molto esperti, mettendomi a capo di una task-force per realizzare questo progetto.
Nel 2014 è stato lanciato da Plastics Recyclers Europe il tool online www.recyclass.eu che consente – gratuitamente – di valutare la classe di riciclabilità di un imballaggio in plastica, dalla A (classe migliore) alla F (classe peggiore).
L’utente riceve anche l’informazione di quali parti/componenti dell’imballaggio ne hanno causato un’eventuale declassamento, dando modo all’utente di capire su quali parti concentrarsi per migliorare.



Lo scopo iniziale era – ed in parte lo è ancora – supportare con uno strumento semplice le aziende medio-piccole, che rappresentano la spina dorsale dell’economia europea, nel processo di miglioramento della riciclabilità dei loro imballaggi. Solitamente queste aziende non hanno delle risorse interne specializzate in imballaggi e sono lasciate a loro stesse in queste scelte. Con una discreta sorpresa, fin da subito dopo il lancio abbiamo capito che il maggiore interesse verso lo strumento veniva manifestato da grossi brand i quali, usandolo, capivano quanto le loro nozioni sul riciclo delle materie plastiche non fossero propriamente connesse alla realtà.
Dopo qualche anno in cui il dialogo tra il team di RecyClass ed i grossi brand/converters si era fatto particolarmente intenso, abbiamo deciso di professionalizzare questo servizio, creando una piattaforma (RecyClass Platform), assumendo delle risorse altamente specializzate e preparate ed impiegandole a tempo pieno su due aspetti-obiettivi fondamentali: uniformare le linee-guida sugli imballaggi in plastica in Europa e dare a queste una solida base scientifica, eliminando quindi via via i pareri soggettivi sul tema per sostituirli con dai basati su test scientifici che replicano in scala laboratorio quanto avviene in un processo di riciclo e di ri-trasformazione del riciclato in un nuovo prodotto. Questa evoluzione ha visto e vede compartecipare molti importanti brands, provenienti da diverse aree del mercato, ma anche produttori di tecnologia e di materie prime, oltre a grandi trasformatori. Lo strumento online conta più di tremila utenti attivi.

Quale è il valore aggiunto, il contributo che Recyclass può dare in un momento in cui la plastica è nell’occhio del ciclone per l’inquinamento ambientale pervasivo e i tassi di riciclo insufficienti?


Sono fermamente convinto che la battaglia sulla sostenibilità della plastica, degli imballaggi in particolare, si giochi sugli scaffali. Se gli imballaggi sono progettati in modo da rappresentare a fine vita una vera risorsa in termini di valore, allora ci sarà qualcuno che se ne prenderà cura, avviandoli ad una filiera del riciclo che verrà remunerata da quanto valore potrà generare. Viceversa, se questo non avviene e quindi l’imballaggio esausto rappresenta solo un costo, allora nonostante tutti i sistemi più o meno cogenti o incentivanti, il materiale plastico in esso contenuto sarà sempre considerato un peso per l’economia.
In questo senso RecyClass consente di guidare i produttori di imballaggi verso imballaggi di maggiore valore a fine vita. Da un certo punto di vista, questo è anche il modo per fare della lobby costruttiva nel senso di promuovere anche standardizzazioni nella raccolta-selezione sul territorio europeo. 

Gli scaffali della Grande Distribuzione Europea sono molto simili tra loro nei diversi Paesi EU, ci troviamo spesso gli stessi prodotti. Perché i sistemi di raccolta e la selezione non debbono essere il più possibile uniformati?

Il fatto che la plastica sia sotto attacco, soprattutto per l’inquinamento marino, non cambia il fatto che, spesso, rappresenti la soluzione con l’uso più efficiente delle risorse, basti pensare al rapporto tra peso del contenitore e peso del contenuto. Questo non deve essere un alibi per disfarsene in modo dannoso per l’ambiente. RecyClass da questo punto di vista mira a supportare in modo concreto le aziende che vogliano veramente trasformare i propri imballaggi plastici in imballaggi circolari. Questo significa elevare la qualità della materia plastica – rifiuto in modo da produrre materie prime seconde di qualità più alta a costi minori, rendendo sempre più la materia plastica riciclata succedanea della materia plastica vergine.

Quali sono i vantaggi complessivi per industria che aderisce e quali sono gli effetti che possono esserci a livello di comunicazione marketing e anche rispetto ad un potenziale greenwashing che le aziende possono esercitare sul packaging?


Come dicevo prima, uno degli scopi della piattaforma RecyClass è quello di uniformare le linee-guida sul design-for-recycling in Europa e questo sottintende anche una uniformazione relativa alle definizioni. All’interno della piattaforma abbiamo creato anche una task-force che sta lavorando sulla creazione di linee-guida per i cd. “recyclability claims”, ovvero un insieme di istruzioni sui comportamenti corretti da utilizzare in sede di dichiarazioni relative alla riciclabilità degli imballaggi in plastica. Se consideriamo che nella piattaforma ci sono i principali brands mondiali di FMCG, è facile immaginare come questo documento possa diventare una specie di disciplinare condiviso.
Al di là di questo, la valutazione relativa alla classe di riciclabilità può essere apposta all’imballaggio solo previo certificazione, ovvero la analisi condotta on-line dall’utente deve essere validata da un auditor autorizzato che ne verifichi la veridicità ed attinenza al caso specifico. Solo dopo questo passaggio al richiedente è concesso l’uso del logo con la classe ottenuta.

In cosa si differenzia da progetti di etichettatura che hanno interessato gli imballaggi di plastica in diversi paesi allo scopo di informare sulle probabilità che un determinato imballaggio aveva di venire realmente riciclato?

Spesso i sistemi di etichettatura sugli imballaggi non si riferiscono alla riciclabilità, ma al fatto che una determinata tipologia di imballaggio vada conferito all’interno di una determinata raccolta. Si ragiona in questo caso sulla categoria cui l’imballaggio appartiene (ad esempio tratto tutti i flaconi in polietilene ad alta densità HDPE allo stesso modo, perché i flaconi di HDPE in una determinata area sono raccolti e, sperabilmente, “widely recycled”. Un esempio è lo schema OPRL –On Pack Recycling Label in Inghilterra .


Ciò che invece RecyClass fa è valutare il singolo imballaggio e non la sua appartenenza ad una categoria che, normalmente, viene raccolta e avviata a riciclo. Solo così si può aumentare la qualità dei rifiuti da riciclare, dare una definizione generalistica “widely recycled” ad una categoria non permette di avviare quella sana competizione tra produttori che consente il miglioramento continuo della riciclabilità. Sono “widely recycled”, allora perché devo migliorare? Da notare che un imballaggio – nell’esempio un flacone HDPE – che abbia un design pessimo che lo rende irriciclabile, spesso sarà etichettato come “widely recycled” perché appartiene ad una categoria che viene raccolta e, spesso riciclata.

Può indicarci, in poche parole, come sia possibile una valutazione del grado di riciclabilità di un imballaggio accedendo alla piattaforma dello schema e di quali dati si debba preventivamente disporre?

E’ molto semplice: si accede al tool online (www.recyclass.eu) al quale ci si deve registrare con email e password. Lo strumento guida l’utente con delle domande a risposta multipla, dietro le quali si “nascondono” le linee-guida sul design-for-recycling che sono il cuore di RecyClass.
Occorre avere di fronte a sé l’imballaggio da valutare, completo delle informazioni relative alla sua composizione. Solo nella parte finale verrà chiesto di effettuare dei test (10) di svuotamento dell’imballaggio per misurare quanto residuo di contenuto resta alla fine dell’operazione, fattore che compartecipa alla valutazione sulla riciclabilità. Questa viene definita auto-analisi, intendendo che ogni utente può farla da sé. Quando invece l’utente intende utilizzare il logo RecyClass sull’imballaggio valutato e con la classe ottenuta, deve fare verificare e certificare la propria auto-analisi da un auditor autorizzato RecyClass. Al termine della certificazione vengono rilasciati logo e certificato da poter apporre sull’imballaggio. Il processo di certificazione viene condotto sulla base di una metodologia che, come per tutti i documenti utilizzati nella Piattaforma, è di pubblico dominio e visionabile dal sito di RecyClass.

Quali sono le variabili che entrano in gioco in fase di progettazione di un imballaggio? Quali possono rendere più laborioso e costoso il processo di riciclaggio e influire sul “punteggio” ovvero la classe che RecyClass assegna?

Ci sono imballaggi per i quali non esiste una filiera di raccolta-selezione-riciclo e questi finiscono direttamente in classe F, di solito dopo le prime domande poste dal tool. Per gli altri imballaggi, che rientrano invece nelle filiere, le domande vanno a valutare i singoli componenti o combinazioni, variando a seconda della tipologia dell’imballaggio valutato. Evidentemente le domande su una bottiglia in HDPE saranno diverse da quelle su un film flessibile, perché diverse sono le linee-guida sottostanti. L’uso dell’etichetta sbagliata (ad esempio in PVC su una bottiglia in PET) causa pesanti declassamenti, mentre un’etichetta non ottimale ma tollerata (come quelle di carta) causa la perdita di un solo livello nella scala di valutazione.


Per ogni componente e sue combinazioni ci sono delle scelte preferite in quanto non impattano sui processi di selezione-riciclo (verde nelle linee-guida), delle scelte tollerate in quanto hanno un impatto limitato e gestibile (arancio nelle linee-guida) o non tollerate affatto in quanto mettono a rischio la riciclabilità dell’imballaggio (rosso). L’elenco di queste componenti è lungo e varia a seconda della categoria di imballaggio, può andare dal materiale di cui è fatto il corpo dell’imballaggio, fino ai collanti ed ai materiali usati per le etichette, ai materiali con cui sono fatti i tappi/chiusure o i film di sigillatura, la quantità e qualità di inchiostri usati per le stampe, gli eventuali materiali utilizzati per dare maggiore barriera alla luce o ai gas e così via. Le linee-guida sono documenti tecnici, di difficile lettura per chi non è del settore. Il tool online nasce per rappresentare un’interfaccia semplice a favore dell’utente non tecnico.

Come hanno rilevato studi e sondaggi tra cui il Progetto SCELTA, la preoccupazione sull’inquinamento da plastica ha indotto buona parte dell’opinione pubblica a credere che la biodegradabilità di un materiale/manufatto equivalga ad un ridotto impatto ambientale. Come stanno affrontando i brand con cui siete in contatto questo “sentiment plastic free”?

Per quello che è il mio punto di osservazione, vedo che i brand – ingiustamente posti in fondo alla classifica dei soggetti di cui fidarsi, da quanto risulta dall’indagine effettuata all’interno del Progetto Scelta – se opportunamente “illuminati” cercano di basare le proprie scelte su dati e quindi sull’uso razionale delle risorse. Da questo punto di vista, spesso la plastica “tradizionale” rappresenta la migliore soluzione tra quantità di risorse impiegata e risultato ottenuto, mentre la plastica biodegradabile non offre spesso una soluzione migliorativa rispetto alla plastica tradizionale. In ogni caso va raccolta separatamente per essere avviata in impianti dedicati per cui nulla di diverso rispetto alla plastica tradizionale. Al di là di operazioni di immagine, il vero punto non è quindi se usare plastica o meno ma come utilizzarla per conservarne i vantaggi, eliminandone l’aspetto negativo dato dal littering, che si lega spesso alla non riciclabilità e al valore negativo del rifiuto irriciclabile. Da questo punto di vista, credo la Piattaforma RecyClass sia la testimonianza vivente dell’impegno dei brands e dell’industria del packaging nel voler trovare delle soluzioni vere al problema. E’ un impegno recente ma particolarmente sostenuto. E’un peccato che il consumatore medio non possa vedere cosa succede “dietro le scene” ma sarebbe sorpreso di vedere quante risorse siano oggi dedicate a questo tema.

Come procede l’adesione dei marchi? Considerato che le linee guida per il riciclo esistono da tempo e che RecyClass è uno schema volontario quali misure legislative e fiscali sarebbero necessarie per rendere più circolare il fine vita degli imballaggi in plastica?

Come dicevo, l’adesione è molto alta e procede a ritmi importanti. E’ vero che alcune linee-guida esistono da parecchi anni, credo le prime siano degli anni ’90 da parte del EPR tedesco, ma la sensibilità vera sul tema è scoppiata un paio di anni fa. Da allora l’impegno di brands ed industria è diventato serrato e reale. Tutto ad un tratto si è scoperto che mancano degli standard condivisi (non abbiamo ancora una definizione condivisa di cosa significhi "riciclabile", relativamente a definizioni, metodologie di prova, dichiarazioni legate alla riciclabilità. Tutto questo, se deve essere fatto bene, richiede tempo e lavoro.
Dal punto di vista normativo vedo che la Commissione EU si sta muovendo in modo coerente e credo la Plastic Strategy pubblicata a gennaio 2018 sia un testo importante e con un approccio concreto al tema. Al suo interno si prevede la definizione degli Essential Design Requirements legati agli imballaggi, cioè verrà definito per legge le cose che non vanno fatte in sede di progettazione di un imballaggio. Questo sicuramente aiuterà ad evitare gli sprechi più macroscopici di risorse e supporterà un percorso di maggiore standardizzazione. Sicuramente la previsione di quantità obbligatorie di materiale riciclato nei prodotti/imballaggi sarà un fattore determinante per trainare la circolarità delle plastiche.
Dal punto di vista fiscale, degli sgravi (IVA agevolata, crediti di imposta per gli acquirenti, etc.) legati all’acquisto di materiale riciclato potranno aiutarne la diffusione sui diversi mercati. Da non dimenticare una leva quasi-fiscale ovvero il contributo ambientale per i beni inseriti in contesti di responsabilità estesa del produttore. La sua modularità legata alla riciclabilità del singolo imballaggio sicuramente sarà una leva per incentivare le imprese ad investire sulla riciclabilità, fatto che si tradurrà anche in una maggiore efficienza dei sistemi EPR stessi che potranno vedere migliorato il rapporto costi/ricavi da questa evoluzione. Anche uno sconto sul contributo legato alla quantità di materia plastica riciclata (lo stanno facendo in Francia) sicuramente si inserisce in questo tipo di strumenti a favore di una maggiore circolarità delle plastiche.

Silvia Ricci


fonte: www.polimerica.it

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#StopMicrofibre, un'alleanza per un'industria tessile competitiva e sostenibile. La proposta di legge di Marevivo

























Si terrà mercoledì 3 luglio 2019 alle ore 10:30 all’Accademia Costume & Moda in Via della Rondinella, 2 a Roma l’incontro sul tema: “#STOPMICROFIBRE. Un’alleanza per un’industria tessile, competitiva e sostenibile. La proposta di Legge di Marevivo” organizzato dall’associazione Marevivo e dall’Accademia Costume & Moda, con il patrocinio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Ad introdurre: Raffaella Giugni, Responsabile Relazioni Istituzionali Marevivo; Lupo Lanzara, Vice Presidente Accademia Costume & Moda e Marta Ferri, Dressmaker e Cavaliere del Mare di Marevivo.
Interverranno:
Giusy Bettoni, CEO and Founder C.L.A.S.S. (Creativity Lifestyle and Sustainable Synergy)
Moda: l’importanza di innovare responsabilmente
Riccardo Andrea Carletto, Ricercatore CNR-STIIMA Biella 
Nuove fibre sostenibili per l'industria tessile
Maria Cristina Cocca, IPCB- CNR Pozzuoli 
Il rilascio delle microfibre dai tessuti: impatto e soluzioni
Giorgio De Montis, Banor Capital
Investimenti e sostenibilità: perché il mercato premia le aziende responsabili
Pierluigi Fusco Girard, Amministratore Delegato Linificio e Canapificio Nazionale Marzotto Lab
Il lino: una fibra europea, sostenibile e polifunzionale
Francesco Regoli, Vice Direttore del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente, Università Politecnica delle Marche
Microplastiche negli oceani: da contaminanti emergenti ad emergenza ambientale
Stefania Ricci, Direttore Museo e Fondazione Ferragamo
Mostra Sustainable Thinking
Giovanni Schneider, Amministratore Delegato del Gruppo Schneider, leader nella prima lavorazione e nella commercializzazione di fibre tessili naturali pregiate
Etichettatura dei capi d'abbigliamento

La campagna #StopMicrofibre
Marevivo, che da oltre trent’anni si batte in difesa del mare e delle sue risorse, ha lanciato la campagna #STOPMICROFIBRE per sensibilizzare sul problema delle microplastiche rilasciate dai tessuti sintetici in lavatrice. Il 40% delle microfibre non viene trattenuto dagli impianti di trattamento e finisce nell’ambiente naturale. Diversi studi dimostrano come ogni lavaggio liberi milioni di fibre microplastiche, particelle inferiori ai 5 millimetri di lunghezza, che vengono ingerite dagli organismi marini, entrando così nella catena alimentare. La fondazione Ellen MacArthur nello studio “A New textiles economy” ha denunciato come gli abiti scarichino ogni anno mezzo milione di tonnellate di microfibre negli oceani, una quantità pari a oltre 50 miliardi di bottiglie di plastica. Tra i tessuti peggiori c’è l'acrilico, cinque volte più inquinante del tessuto misto cotone-poliestere.
È indispensabile investire nella ricerca e nell’innovazione. Per questo Marevivo chiede l'approvazione di una legge che renda obbligatoria l’etichettatura dei capi d’abbigliamento che contengono oltre il 50% di fibre sintetiche e propone alle aziende di progettare sistemi di filtraggio più efficaci per lavatrici e di produrre tessuti che rilascino meno microfibre. É importante anche contrastare il problema della “fast fashion” preferendo prodotti di migliore qualità rispetto alla quantità, e porre attenzione anche ai materiali utilizzati durante la produzione (es: tessuto, filo, etichetta).
Diventare un’azienda sostenibile non è solo marketing, ma un’esigenza vitale per la salvaguardia dell’ambiente.
#STOPMICROFIBRE avrà come partner l’Accademia di Costume & Moda, che aderisce e condivide l’impegno di Marevivo attraverso la sensibilizzazione degli studenti, esortandoli a lavorare per un sistema produttivo rispettoso dell’ambiente e dell’ecosistema marino.
fonte: https://marevivo.it

Lo spreco alimentare per ignoranza: la confusione sulla data di scadenza spinge a gettare via cibo ancora commestibile. Lo studio americano


















Lo spreco di cibo deriva anche dalla scarsa conoscenza del vero significato della data di scadenza riportata sulle etichette. Lo dimostra uno studio pubblicato su Waste Management dai ricercatori del Johns Hopkins Centre for a Livable Future di Baltimora, nel quale oltre mille persone di età compresa tra i 18 e i 65 anni sono state interrogate sulle abitudini domestiche e sulle opinioni relative alle diciture che indicano le scadenze di nove diversi cibi.
Il risultato è che l’84% dei partecipanti ha ammesso di buttare via alimenti vicini alla data di scadenza almeno occasionalmente, e il 37% di farlo abitualmente. Più della metà delle persone aveva idee errate sulla scadenza. C’è chi pensa a una regolamentazione stabilita a livello federale, chi ritiene la data   un’indicazione relativa al giorno successivo rispetto all’effettiva scadenza, mentre in realtà si tratta di consigli dei produttori. Proprio questo gruppo, soprattutto se di età compresa tra i 18 e i 34 anni, era più inclini a eliminare cibo ancora confezionato.
Negli Stati Uniti le nuove norme adottate da pochi mesi, prevedono due tipi di diciture: “da consumarsi preferibilmente entro…”, che indica il giorno oltre il quale la qualità nutrizionale dell’alimento non è più assicurata al 100% perché potrebbe progressivamente diminuire, e “da consumare prima di…”,  che indica  la data entro la quale il prodotto deve essere consumato. Anche se in linea generale gli intervistati associano la prima dicitura alla qualità e la seconda alla sicurezza e tendono a buttare più spesso i cibi su cui compare la scadenza e quelli deperibili, ci sono alcuni aspetti meno scontati, a dimostrazione del fatto che il messaggio delle diciture non è correttamente interpretato.
Così, per esempio, il pollo crudo è molto temuto e il 69% degli intervistati lo “cestina”  quando è vicino alla data di scadenza, mentre potrebbe essere consumato anche nei giorni successivi, dopo un’attenta e completa cottura. Per quanto riguarda gli alimenti confezionati, il 62% afferma di buttarli quando si raggiunge la data indicata, così come sostiene di fare il 61% delle persone per i piatti pronti a base di carne. Se  si approfondisce il tema però  si score che la percentuale di chi lo getta il formaggio molle scaduto è pari al 49%, anche se si tratta di prodotti  che rappresentano una fonte reale di contaminazione batterica. Ultimi in classifica sono risultati i cibi in scatola e i cereali da colazione, che comunque il 47% degli intervistati dice di buttare dopo la data impressa sull’etichetta, anche se è noto che il pericolo per questi cibi è molto basso.
etichetta cibo uomo
Il 47% degli intervistati dice di buttare dopo la data impressa sull’etichetta cereali per la colazione e carne in scatola anche se i rischi sono improbabili
In definitiva, concludono gli autori, c’è bisogno di una seria campagna di informazione – soprattutto mirata ai giovani, che sembrano essere più attenti, ma troppo spesso male informati – per spiegare  meglio di quanto non si sia fatto finora il reale significato delle date apposte sulle confezioni degli alimenti.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Sondaggio USA, americani vogliono prodotti facili da riciclare

Il 66% degli americani concorda sul fatto che “se un prodotto non è facile / conveniente da riciclare, probabilmente non lo riciclerebbe”




















L’Institute of Scrap Recycling Industries (ISRI) e Harris Poll hanno condotto a settembre 2018 uno studio tra oltre 2.000 americani per capire come aziende produttrici e il governo possano svolgere un ruolo per aumentare i tassi di riciclo. Stando ai risultati del sondaggio, circa il 66% degli americani concorda sul fatto che “se un prodotto non è facile / conveniente da riciclare, probabilmente non lo riciclerebbe”.
“Capire cosa è riciclabile e cosa non lo è può essere fonte di confusione – spiega Robin Wiener, presidente dell’ISRI – Più è facile per le persone capire se un prodotto è riciclabile, più è probabile che si diriga verso il flusso di riciclaggio. Ciò include non solo la realizzazione di prodotti facili da riciclare attraverso la progettazione per il riciclaggio e l’etichettatura dei prodotti, ma rendendo il riciclo conveniente attraverso gli sforzi di raccolta”.
I risultati del sondaggio evidenziano come oltre l’80% dei cittadini statunitensi vorrebbero che produttori e distributori fornissero una “guida al riciclo” nell’etichetta dei prodotti, così come per la classe energetica degli elettrodomestici: poche informazioni che spieghino le parti e la percentuale di prodotto che potrebbe essere riciclato e, soprattutto, dove va conferito.
Inoltre, questo genere di informazioni potrebbe orientare le scelte di acquisto da parte di chi è più attento all’ambiente, oltre a incoraggiare il corretto smaltimento.
I giovani tra i 18 e i 34 anni si sono dimostrati quelli più attenti alla sostenibilità quando si tratta di effettuare un acquisto. Il 17% (gli over 34 sono l’11%) degli intervistati predilige packaging riciclabile e scarterebbe quello che non può essere recuperato. Un trend importante per i brand che hanno come obiettivo il potere d’acquisto dei millennial.
D’altra parte, il governo potrebbe intervenire dando la priorità ai materiali riciclabili. Secondo il sondaggio, circa quattro su cinque americani (80%) sono d’accordo sul fatto che i governi a tutti i livelli dovrebbero dare priorità all’utilizzo di prodotti materiali riciclabili quando prendono decisioni di acquisto.
“Promuovere il riciclaggio va ben oltre la responsabilità sociale delle imprese per i marchi”, aggiunge Wiener. “Questo sondaggio rivela chiaramente che l’indicazione della riciclabilità di un prodotto, nonché l’uso di imballaggi riciclabili, potrebbero avere un impatto positivo sul risultato economico di un marchio”.

fonte: www.rinnovabili.it