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Clima, nuova legge Ue. Greenpeace: «una legge che ci fa perdere dieci anni, ci stiamo preparando al fallimento»




Commentando la proposta di legge sul clima presentata oggi dalla Commissione Ue, Sebastian Mang, policy advisor di Greenpeace per la politica climatica europea, dichiara:

«Senza piani per un obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 basato sulla scienza, né misure per porre fine ai sussidi ai combustibili fossili, ci stiamo preparando al fallimento. Decenni di esitazioni e misure insufficienti ci hanno portato al punto in cui la sopravvivenza stessa della vita sulla Pianeta è a rischio a causa del collasso climatico. Il momento di agire è adesso, non tra 10 anni».

La proposta presentata oggi dalla Commissione Europea infatti non prevede misure per spingere la riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2030. Secondo gli scienziati delle Nazioni Unite, i tagli alle emissioni nei prossimi 10 anni saranno fondamentali per il successo – o il fallimento – dell’azione per il clima.

L’unico impegno vincolante presente nel testo presentato oggi è l’obiettivo a livello europeo per l’azzeramento delle emissioni nette di gas serra nel 2050, già concordato dai governi nazionali lo scorso dicembre. Mentre il disegno di legge menziona una “traiettoria intermedia” per la riduzione delle emissioni, non propone nuovi obiettivi per il 2030. Al contrario, la proposta Ue ribadisce la decisione della Commissione di rinviare a settembre una valutazione d’impatto sulla revisione dell’obiettivo dell’Ue di riduzione delle emissioni di gas serra al 2030. Ciò significa che, per i governi europei, sarebbe estremamente difficile concordare un nuovo obiettivo prima dell’appuntamento cruciale della Conferenza ONU sul clima di novembre.

Un gruppo di paesi, tra cui Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia, ha inviato una lettera alla Commissione chiedendo che l’obiettivo dell’Ue di riduzione delle emissioni di gas serra al 2030 venga elaborato “il prima possibile”, in modo che l’Unione europea possa dare l’esempio prima della COP26 di Glasgow.

Il testo della legge sul clima afferma anche che il Green Deal europeo definisce “una nuova strategia di crescita” per l’Europa, anche se questo è in contrasto con gli avvertimenti dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, secondo cui “l’Europa non raggiungerà la sua visione sostenibile di ‘vivere bene entro i limiti del Pianeta’ continuando a promuovere la crescita economica e cercando di gestire gli impatti ambientali e sociali”.

Per chiedere di agire subito contro la crisi climatica, ieri sera Greenpeace ha proiettato il Pianeta in fiamme con il messaggio “EU Act Now – #HouseOnFire” sul palazzo della Commissione Europea.

fonte: https://www.greenpeace.org

Tagliare le emissioni in Italia del 55%, una legge di iniziativa popolare

Il 14 febbraio è stata depositata presso la cancelleria della Cassazione la proposta di legge di iniziativa popolare “Almeno il 55%”. Lo scopo è far assumere al governo italiano l’obiettivo del 55% di riduzione delle emissioni entro il 2030. L'appello.


Il 14 febbraio è stata depositata presso la cancelleria della Cassazione la proposta di legge di iniziativa popolare “Almeno il 55%”.

La proposta ha l’obiettivo di far assumere al governo italiano l’obiettivo del 55% di riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2030, come proposto dalla presidentessa della Commissione europea Ursale Von der Leyen, target approvato a larghissima maggioranza anche dal Parlamento Ue.

Per aderire all’appello, per sostenere la campagna nazionale “Almeno il 55%” con iniziative nel tuo territorio, per la raccolta delle firme, invia nome, cognome, comune, telefono ed e-mail a: almenoil55percento@gmail.com.

Il sito web è: https://www.almenoil55percento/

I comitati

Il Piano Nazionale Energia Clima (PNIEC) del Governo italiano ha assunto un vergognoso obiettivo del 33% (settori non Ets) di riduzione dei gas serra al 2030, non modificato dal cosiddetto “Decreto clima” dell’ottobre scorso, mentre la neo-presidentessa dell’Ue, Ursula von der Leyen, propone di alzare al 50-55% il precedente obiettivo Ue del 40%.

Dopo gli spaventosi crolli della banchisa polare nell’estate 2019; dopo il rogo della foresta amazzonica, il “polmone verde” della terra, in nome degli interessi delle grandi compagnie agrario-alimentari; dopo le fiamme che hanno devastato per settimane l’Australia non c’è più tempo da perdere: battiamoci per almeno il 55%.

Esponenti ambientalisti e della società civile, scienziati, accademici, esperti e giornalisti lanciano un appello perché tutti i cittadini si mobilitino contro il riscaldamento globale, la “più grande minaccia di questo Secolo”.

Come strumento di mobilitazione, i firmatari dell’appello propongono una legge d’iniziativa popolare che assuma quell’obiettivo, prevedendo a tal fine un fondo speciale per realizzarlo.

Un fondo da finanziare da subito con la riduzione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (Sad) di cui ancora fruiscono, direttamente o indirettamente, i combustibili fossili (circa 19 miliardi di euro); e prevedendo per il seguito l’istituzione di una carbon tax.

L’appello: “Almeno il 55%”

“La più grande minaccia di questo secolo” – il cambiamento climatico, la transizione all’instabilità climatica – si sta delineando con eventi sempre più drammatici: a luglio scorso il National Snow and Ice Data Center (Nsidc) degli USA ha rilevato un picco terribile e inatteso nella curva che documenta l’andamento della fusione dei ghiacci artici in Groenlandia.

Abbiamo denunciato da qualche tempo le conseguenze del cambiamento climatico che si abbatte su uomini e cose con l’intensità degli eventi meteorologici estremi, mentre si estendono le aree desertiche, cresce la siccità, si addensa negli ultimi vent’anni il numero dei massimi di temperatura media terrestre.

La calotta artica si è spaccata nel 2006 aprendo la caccia senza regole al suo sottosuolo, nel 2017 si è staccato dall’Antartide un “iceberg” più grande della Liguria. Le fiamme che hanno devastato per settimane l’Australia rappresentano drammaticamente e su vasta scala quel che succede quando l’incompetenza dei governi si somma con i fenomeni estremi del global warming.

Ci siamo battuti documentando e denunciando la più generale crisi ambientale: la devastazione di uno sviluppo fondato sulla spoliazione e il saccheggio delle risorse naturali, come conseguenza del modo capitalistico di produrre e consumare.

Esemplare, il nuovo odioso colonialismo del land grabbing, che attraverso i meccanismi della mera acquisizione di mercato priva intere popolazioni dei loro diritti, delle loro terre e delle loro acque senza dar loro nemmeno la possibilità di essere ascoltati o addirittura attraverso vere e proprie deportazioni. In America Latina, Asia e Africa sempre più grandi foreste, terre comunitarie, bacini fluviali e interi ecosistemi sono spogliati e le comunità sfollate.

Il rogo della foresta amazzonica è l’ultimo drammatico esempio, ammantato di un sovranismo in realtà prono agli interessi delle grandi compagnie agrario-alimentari.

La diversità biologica è costantemente ridotta, la grande barriera corallina australiana è a rischio nei suoi 3000 km.

Il respiro degli oceani è soffocato dalla plastica.

Abbiamo proposto in tutti questi anni la battaglia a favore dell’ambiente, contro il global warming e per una generale riconversione ecologica dell’economia e della società, come impegno sociale, culturale e morale. La “Laudato si’” di Papa Bergoglio ha messo in risalto gli aspetti umani e spirituali di questa nuova visione: «I governi di tutto il mondo, colpevolmente lenti nell’applicare il Protocollo di Kyoto (2005), oggi in ritardo nell’attuare gli impegni dell’Accordo di Parigi ratificati nel 2016 da 180 Paesi, devono accelerare la loro azione per fare più efficacemente fronte al cambiamento climatico e mantenere l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 °C».

A pagare lo sconquasso del clima sono soprattutto le popolazioni più povere e vulnerabili, colpite dalle migrazioni interne o dalla fuga disperata dalle loro terre, da fame, sete e malattie endemiche, marginalizzate nei loro territori, spesso nel nome stesso dello sviluppo e dell’innovazione.

I rischi dovuti ai disastri ambientali accrescono tensioni e conflitti e nel 2017 hanno causato, da soli, l’esodo di 60 milioni di “rifugiati ambientali”, ma saranno quattro volte tanti nel giro di soli vent’anni.

Non si tratta solo dell’accoglienza e della sicurezza. Occorre “costruire ponti”, capaci di ridurre la distanza tra chi ha troppo e chi non ha abbastanza, tra l’opulenza e la povertà, come indicato dagli obiettivi globali dell’Agenda 2030 proposta dalle Nazioni Unite.

Occorre modificare il nostro stile di vita e il nostro modo di pensare se vogliamo dare futuro al futuro. Fare di più con meno e trasformare i rifiuti in nuovi prodotti com’è tecnologicamente possibile: “dalla culla alla culla”. Organizzare la società della sufficienza affinché ogni risorsa sia utilizzata senza sprechi e nel modo più appropriato fino all’autogestione.

E, da subito, “decarbonizzare” l’economia sostituendo i combustibili fossili con le fonti rinnovabili.

Serve, soprattutto, che la cultura della sostenibilità si diffonda nel profondo della società e in tutte le sue attività, in modo che le idee di progresso e di futuro siano fondate sulla continua ricerca del completo equilibrio con i grandi cicli della natura.

Oggi finalmente una voce si leva autorevole per imprimere un’accelerazione agli impegni dei Governi, almeno qui in Europa.

La neo-presidentessa della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha proposto al Parlamento europeo a Strasburgo l’obiettivo di riduzione del 50-55% di CO2, il gas serra dominante, entro il 2030 facendo così balzare a quel livello il target dell’Ue. E, conseguentemente, di mantenere «un ruolo di guida dell’Ue nei negoziati internazionali per far crescere il livello di ambizione delle altre principali economie entro il 2021». Come si è verificato lungo tutto il percorso che ha portato all’Accordo di Parigi.

Il Governo italiano continua a perseguire un atteggiamento vergognosamente caudatario; infatti, mentre il Quadro per il Clima e l’Energia 2030 dell’Ue prevede, fin dal 2014, la riduzione del 40% delle emissioni di gas serra, ha proposto nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) un obiettivo di solo il 33% (per i settori non Ets). Il Pniec è stato sottoposto alle osservazioni di tutti i cittadini tramite la Valutazione Ambientale Strategica (Vas).

Noi, le associazioni, i comitati e i gruppi che rappresentiamo, facemmo pervenire le nostre osservazioni nell’ottobre scorso, secondo quanto previsto dalla procedura di Vas. E abbiamo preso atto che il Governo non ha ritenuto di darsi un obiettivo adeguato né con il “Decreto Clima” (ottobre 2019) né con la revisione del Pniec effettuata a seguito della Vas.

Riteniamo, perciò, che debba attuarsi in tutto il Paese la più ampia mobilitazione possibile perché il Piano sia modificato assumendo l’obiettivo di almeno il 55% di riduzione delle emissioni dei gas serra entro il 2030, com’è tecnologicamente possibile.

Al di sotto, saremmo come i Paesi di Visegrad nei confronti dell’immigrazione, non a caso le maggiori resistenze alla “decarbonizzazione” provengono da alcuni di loro in nome del miope privilegio degli “interessi nazionali”. E, soprattutto, non saremmo all’altezza della tremenda sfida e delle responsabilità che il cambiamento climatico impone a tutti.

Per favorire questa mobilitazione e per darle il carattere capillare di confronto con cittadini, organi territoriali elettivi, istituzioni ed enti pubblici, organizzazioni del lavoro, luoghi di socializzazione, organi d’informazione, proponiamo una legge d’iniziativa popolare che assume per l’Italia l’obiettivo di riduzione dei gas serra di almeno il 55% entro il 2030; indica nell’istituzione della carbon tax il mezzo ordinario per coprire la spesa pubblica finalizzata a quell’obiettivo e promuove, già dalla legge di stabilità 2021- 2023, la riduzione di ogni forma diretta o indiretta di finanziamento ai combustibili fossili, che il Governo stesso classifica come Sussidi Ambientalmente Dannosi (Sad), e agli Enti e alle Società che li gestiscono, inclusa la “capacità di generazione” di energia da combustibile fossile.

Coerentemente, l’articolato della PdL – che riguarda anche l’education a tutti i livelli, Università inclusa, e la ricerca – prevede tra gli altri punti che il Governo italiano s’impegni nelle competenti sedi internazionali per una “moratoria” mondiale dei combustibili fossili.

La raccolta di firme per la presentazione della legge può costituire un momento d’informazione e, allo stesso tempo, sollecitare un protagonismo consapevole ed esteso di tutti, quale la drammaticità dei tempi richiede.

L’articolo è stato pubblicato sul n.1/2020 della rivista bimestrale QualEnergia

fonte: www.qualenergia.it

#StopMicrofibre, un'alleanza per un'industria tessile competitiva e sostenibile. La proposta di legge di Marevivo

























Si terrà mercoledì 3 luglio 2019 alle ore 10:30 all’Accademia Costume & Moda in Via della Rondinella, 2 a Roma l’incontro sul tema: “#STOPMICROFIBRE. Un’alleanza per un’industria tessile, competitiva e sostenibile. La proposta di Legge di Marevivo” organizzato dall’associazione Marevivo e dall’Accademia Costume & Moda, con il patrocinio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Ad introdurre: Raffaella Giugni, Responsabile Relazioni Istituzionali Marevivo; Lupo Lanzara, Vice Presidente Accademia Costume & Moda e Marta Ferri, Dressmaker e Cavaliere del Mare di Marevivo.
Interverranno:
Giusy Bettoni, CEO and Founder C.L.A.S.S. (Creativity Lifestyle and Sustainable Synergy)
Moda: l’importanza di innovare responsabilmente
Riccardo Andrea Carletto, Ricercatore CNR-STIIMA Biella 
Nuove fibre sostenibili per l'industria tessile
Maria Cristina Cocca, IPCB- CNR Pozzuoli 
Il rilascio delle microfibre dai tessuti: impatto e soluzioni
Giorgio De Montis, Banor Capital
Investimenti e sostenibilità: perché il mercato premia le aziende responsabili
Pierluigi Fusco Girard, Amministratore Delegato Linificio e Canapificio Nazionale Marzotto Lab
Il lino: una fibra europea, sostenibile e polifunzionale
Francesco Regoli, Vice Direttore del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente, Università Politecnica delle Marche
Microplastiche negli oceani: da contaminanti emergenti ad emergenza ambientale
Stefania Ricci, Direttore Museo e Fondazione Ferragamo
Mostra Sustainable Thinking
Giovanni Schneider, Amministratore Delegato del Gruppo Schneider, leader nella prima lavorazione e nella commercializzazione di fibre tessili naturali pregiate
Etichettatura dei capi d'abbigliamento

La campagna #StopMicrofibre
Marevivo, che da oltre trent’anni si batte in difesa del mare e delle sue risorse, ha lanciato la campagna #STOPMICROFIBRE per sensibilizzare sul problema delle microplastiche rilasciate dai tessuti sintetici in lavatrice. Il 40% delle microfibre non viene trattenuto dagli impianti di trattamento e finisce nell’ambiente naturale. Diversi studi dimostrano come ogni lavaggio liberi milioni di fibre microplastiche, particelle inferiori ai 5 millimetri di lunghezza, che vengono ingerite dagli organismi marini, entrando così nella catena alimentare. La fondazione Ellen MacArthur nello studio “A New textiles economy” ha denunciato come gli abiti scarichino ogni anno mezzo milione di tonnellate di microfibre negli oceani, una quantità pari a oltre 50 miliardi di bottiglie di plastica. Tra i tessuti peggiori c’è l'acrilico, cinque volte più inquinante del tessuto misto cotone-poliestere.
È indispensabile investire nella ricerca e nell’innovazione. Per questo Marevivo chiede l'approvazione di una legge che renda obbligatoria l’etichettatura dei capi d’abbigliamento che contengono oltre il 50% di fibre sintetiche e propone alle aziende di progettare sistemi di filtraggio più efficaci per lavatrici e di produrre tessuti che rilascino meno microfibre. É importante anche contrastare il problema della “fast fashion” preferendo prodotti di migliore qualità rispetto alla quantità, e porre attenzione anche ai materiali utilizzati durante la produzione (es: tessuto, filo, etichetta).
Diventare un’azienda sostenibile non è solo marketing, ma un’esigenza vitale per la salvaguardia dell’ambiente.
#STOPMICROFIBRE avrà come partner l’Accademia di Costume & Moda, che aderisce e condivide l’impegno di Marevivo attraverso la sensibilizzazione degli studenti, esortandoli a lavorare per un sistema produttivo rispettoso dell’ambiente e dell’ecosistema marino.
fonte: https://marevivo.it

Quel pasticcio dei fanghi in agricoltura, la vicenda si riapre

Dalla Regione Marche una proposta di legge per abrogare l’art. 41 del “Decreto Genova”, che di fatto ha dato libertà di contaminare i suoli agricoli.
















Come certo molti ricorderanno l’art 41 (1) sulla gestione dei fanghi di depurazione inserito nel “Decreto Genova”, nell’ottobre scorso, ha suscitato notevoli critiche e preoccupazioni, condivise anche da ISDE con un comunicato ufficiale (2). La vicenda è complessa ma fortunatamente, grazie a una recentissima delibera della Regione Marche, il caso si è riaperto e ora sta anche alla sensibilità della società civile e di chi ha a cuore la salute pubblica operare affinchè il problema venga finalmente affrontato in modo organico e non, come purtroppo è accaduto con l’art. 41, in modo frettoloso e “pasticciato”.
FANGHI IN AGRICOLTURA: DI COSA PARLIAMO?
Prima di entrare nel merito di quanto deliberato dalla Regione Marche, vale la pena capire di cosa stiamo parlando e ricostruire l’intera vicenda nel dettaglio. La depurazione dei reflui civili (e non solo) è un problema più che mai attuale e niente affatto risolto, che ha causato già procedure di infrazione contro il nostro Paese (3).
Il problema è particolarmente sentito anche in Toscana, visto che proprio nella settimana in corso si prevede lo sversamento diretto di liquami nel torrente Brana – cosa che suscita ovviamente grande preoccupazione in associazioni e cittadini (4) – per lavori al locale depuratore che è risultato gravemente inefficiente e inadeguato.
L’utilizzo di fanghi in agricoltura, secondo il Dlgs 27 gennaio 1992, n. 99 (5), è consentito se: “... non contengono sostanze tossiche e nocive e/o persistenti e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l’uomo e per l’ambiente in generale”, ma con le norme introdotte con l’art. 41 si è data libertà di contaminare ulteriormente i suoli agricoli – e quindi la catena alimentare – in modo forse irreversibile.
L’Allegato 1 B del Dlgs del 1992 stabiliva caratteristiche agronomiche e limiti solo per alcuni inquinanti, lasciando libertà alle Regioni di deliberare autonomamente. La Regione Lombardia, ad esempio, aveva posto un limite per gli idrocarburi a 10.000 mg/kg di sostanza secca (ss), limite giudicato troppo alto dalla sentenza 1782 del 20 luglio 2018 del TAR della Lombardia che, accogliendo il ricorso di numerosi Comuni, di fatto bloccava gli sversamenti.
TAR e Cassazione concordemente stabilivano infatti che i limiti da rispettare nei fanghi, se non indicati nella normativa specifica nazionale, erano quelli indicati nei suoli a uso residenziale, limiti che se superati fanno automaticamente scattare le procedure per la bonifica. Limiti che i depuratori purtroppo non sono in grado di assicurare e pertanto, al fine di superare lo stallo creatosi, proprio con questa motivazione fu giustificata, dall’attuale Governo, la decretazione d’urgenza.
Tuttavia così facendo per alcuni contaminanti, specie se persistenti e bioaccumulabili, nel giro di pochi anni i suoli agricoli potrebbero diventare talmente saturi da essere degni di bonifica! Per Cromo totale, Diossine, PCB, Toluene i limiti indicati dall’art 41 sono superiori a quelli indicati per la bonifica dei suoli per uso residenziale (a cui la giurisprudenza assimila i suoli agricoli), addirittura per il Toluene il limite è 100 mg/kg ss, quando per i suoli uso residenziale è 0,5 mg/kg e per quelli industriali 50 mg/kg. Per Cromo VI, Berillio, Selenio e Arsenico i limiti sono gli stessi delle bonifiche, ma per l’Arsenico i 20 mg/kg ss sono il doppio di quanto stabilito dalla normativa della Regione Lombardia.
Ricordo che Arsenico, Berillio, Cromo VI, PCB sono cancerogeni a livello umano, ma a parte l’azione cancerogena, a livelli estremamente bassi agiscono come interferenti endocrini e sono in grado di alterare l’equilibrio ormonale. Per quanto riguarda gli idrocarburi, nell’art 41 il limite è di 1000 mg/kg su “tal quale” e non su “sostanza secca”, ciò significa di fatto non porre alcun limite perché se i fanghi hanno elevate percentuali di acqua si potranno superare anche i 10.000 mg/kg ss del Decreto della Regione Lombardia bocciato dal TAR.
Il contenuto in idrocarburi dei fanghi industriali (non classificati “di depurazione”) è di 500 mg/kg ss e, come fa notare il TAR, si arriva al paradosso che sui suoli agricoli sarebbe consentito lo sversamento di fanghi non utilizzabili in recuperi ambientali se non dopo adeguato abbattimento degli inquinanti. Fuori luogo apparvero quindi le rassicurazioni fornite dal ministro Costa (6) perché purtroppo i fanghi non derivano esclusivamente da depurazione di scarichi civili o produzioni alimentari e basta controllare i codici CER dei reflui ammessi agli impianti di depurazione per averne conferma.
Mancano inoltre nell’art. 41 indicazioni precise per i controlli da eseguire essendone indicato solo uno ogni 12 mesi per le diossine. Infine – e cosa certo non meno grave – i limiti individuati nell’art 41 non risultano supportati da studi di impatto ambientale, né da indagini sulla biodiversità, sulla percolazione nelle falde, sulla tipologia e qualità dei suoli, sulla presenza già di un “fondo” che per moltissimi inquinanti non è certo pari a zero, sul trasferimento dei contaminanti nella catena alimentare e quindi in definitiva sui rischi per la salute umana.
COSA HA DELIBERATO LA REGIONE MARCHE
A fronte quindi di questa situazione di vero allarme l’assemblea legislativa delle Marche – avvalendosi di quanto previsto dall’articolo 121 della Costituzione Italiana e su richiesta del consigliere di minoranza Sandro Bisonni – ha approvato il 28 maggio scorso con la deliberazione n°91 (7) la proposta di legge alle Camere di abrogazione dell’art. 41 del Decreto Genova e di modifiche al decreto legislativo 27 gennaio 1992 prevedendo una più estesa regolamentazione degli inquinanti previsti nei suoli ad uso residenziale e, contestualmente, l’obbligo di osservanza di tali limiti anche per i fanghi a uso agricolo. Questo permetterebbe quindi il rispetto delle sentenze del TAR e della Cassazione perché è impensabile che i suoli agricoli possano venire contaminati a tal punto da necessitare poi di bonifiche!
CONCLUSIONI
A questo punto Camera e Senato sono obbligate a riprendere in mano la materia e a discutere della proposta di legge della Regione Marche, ma perché tutto non vada “alle calende greche” è necessario che anche nella società civile si riapra la discussione su un argomento di cruciale importanza per la salute pubblica e si pretendano tempi rapidi per il riesame della normativa e l’adozione di limiti per gli inquinanti nei fanghi certamente più cautelativi per la salute umana di quanto attualmente in essere.
Come abbiamo scritto nel nostro comunicato ISDE (2) i fanghi possono essere una grande risorsa per i suoli agricoli che sempre più sono poveri di humus, ma solo se non sono contaminati da metalli pesanti e altre sostanze tossiche e pericolose che passano inesorabilmente nella catena alimentare, mettendo a rischio la salute di tutti. Men che meno i fanghi essiccati vanno inceneriti, come qualcuno ventila, perché l’inquinamento si trasferirebbe nell’aria, peggiorandone ulteriormente la qualità, per ricadere poi comunque sui suoli.
Tutto questo si può fare imponendo la separazione dei flussi all’origine perché è impensabile che reflui civili e industriali arrivino di fatto agli stessi impianti e pretendendo che i “depuratori” finalmente ottemperino a ciò che il loro nome indica.
    1. http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/D18109a.pdf?_1540460564603
    2. https://www.isde.it/decreto-genova-e-fanghi-di-depurazione-i-limiti-previsti-non-vanno-nella-direzione-giusta-per-la-salute-e-per-lambiente/
3. https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-11-07/italia-fuori-legge-mancanza-depuratori-arrivo-due-   nuove-procedure-ue-infrazione-182728.shtml?uuid=AECrvwcG
4. http://www.lavocedipistoia.it/a54536-lavori-al-depuratore-centrale-emessa-un-ordinanza-di-divieto-di-attingimento-di-acqua-e-di-pesca-nella-brana.html
5. https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1992/02/15/092G0139/sg
6. https://www.facebook.com/SergioCostaMinistroAmbiente/posts/483780278799023?__tn__=K-R
7. http://www.consiglio.marche.it/banche_dati_e_documentazione/iter_degli_atti/pdd/pdf/d_am26_10.pdf?fbclid=IwAR0TeXj5IucSZWBEy1-VJX9jSnqefTC5aBvkdOyW4f6hFOANwQPnq3IDgY0
fonte: https://www.toscanachiantiambiente.it

Filiera del Riuso: Proposta di Legge, al via l’iter alla Camera















Avviato alla Camera dei Deputati l’iter della Proposta di Legge n.1065 sul Riutilizzo. Il provvedimento punta a istituire un Tavolo di lavoro permanente, a ridurre l’IVA al 10% per promuovere il settore del riuso e a definire la figura di “operatore dell’usato”. Una iniziativa del Movimento 5 Stelle che va ad accogliere in parte significativa, come affermato dalla stessa associazione, le istanze avanzate dalla Rete ONU (Rete Nazionale degli Operatori dell’Usato).
La Proposta di Legge n.1065 si propone di regolamentare il settore italiano del riutilizzo, anche per quanto riguarda la raccolta e ridistribuzione di beni di seconda mano. Tra i soggetti coinvolti anche gli operatori ambulanti che lavorano nei vari mercati rionali o su strada, nei mercati delle pulci, fieristici o nei mercati storici. Inclusi tra i destinatari del provvedimento anche i negozi dell’usato in “conto terzi” e quelli tradizionali come i rigattieri, ma anche “le cooperative del riuso; gli operatori della raccolta, del recupero e della distribuzione all’ingrosso di abiti usati ed elettrodomestici; i centri di riuso e gli impianti di preparazione per il riutilizzo”. Come ha sottolineato Alessandro Stillo, presidente Rete Onu:
Il quadro normativo vigente è inadatto a sviluppare e valorizzare le potenzialità della filiera del riuso. L’avvio dell’iter della Proposta di Legge rappresenta per gli operatori del settore un’importante possibilità di riconoscimento che produrrà diritti e norme utili a regolamentare l’intero comparto. Per noi oggi è un giorno importante.


La Proposta di Legge n. 1065 (“Disposizioni per la disciplina dell’economia dei beni usati e la promozione del settore del riutilizzo, nonché istituzione del Tavolo di lavoro permanente sul riutilizzo”), di cui Stefano Vignoli (portavoce M5S e capogruppo di Commissione Ambiente alla Camera) è primo firmatario, istituisce il Codice Ateco, un codice specifico di attività che andrà a identificare con precisione le attività soggetti ai particolari regimi fiscali, commerciali, urbanistici e ambientali. Come dichiarato nel comunicato di presentazione del provvedimento:
Verrà creato presso il Ministero dell’Ambiente un Tavolo di lavoro permanente sul Riutilizzo, al quale partecipano Enti Pubblici e associazioni rappresentative del settore: il Tavolo avrà il compito di promuovere accordi e politiche finalizzati a incrementare riutilizzo e preparazione per il riutilizzo. Nel testo ci sono anche obblighi di tracciabilità dei beni usati per prevenire ricettazione e riciclaggio, non mancano disposizioni a tutela dei mercati storici, misure a favore dei soggetti vulnerabili e regole sull’insediamento degli operatori dell’usato nel territorio.


Attraverso questa proposta i firmatari puntano a intercettare fondi europei per supportare il settore “riuso” favorendo percorsi di formazione professionale degli operatori. Come ha spiegato Pietro Luppi, portavoce Rete Onu:
Questa iniziativa contribuirà a sbloccare l’intercettazione delle 600 mila tonnellate di rifiuti riutilizzabili in buono stato che potrebbero essere reinseriti in circolazione; si tratta del 2% dell’intera produzione di rifiuti urbani che causa uno spreco di denaro pubblico di almeno 60 milioni di euro annui. Seguiremo con estrema attenzione tutto l’iter di discussione della legge e proporremo che vengano affrontate alcune questioni che per gli operatori dell’usato sono fondamentali, come ad esempio le difficoltà generate dalla richiesta di offerte economiche al massimo rialzo per affidare il servizio di raccolta di beni riutilizzabili.

fonte: www.greenstyle.it 

Vietato l’incenerimento nelle Marche, la Regione approva la legge



Il Consiglio regionale ha approvato oggi una proposta di legge che vieta la combustione dei rifiuti e di tutti i suoi derivati compreso il Css (Combustibile solido secondario da
rifiuti) in tutto il territorio marchigiano. Relatori della proposta poi approvata Francesco Micucci (Pd) per la maggioranza, e Sandro Bisonni (misto) per la minoranza. 


















Con la nuova legge le Marche negano alle Provincie, o meglio alle Ata, la possibilità di gestire i loro rifiuti prevedendo la possibilità di bruciarli, fatta eccezione per il biometano. 
Così i Piani d’ambito provinciali in tema di rifiuti dovranno adeguarsi a questa nuova norma e, qualora previsto, la pratica della combustione dovrà essere cancellata.
«Un risultato epocale – dice Bisonni -, che rappresenta per me e per molti che
mi sono stati vicini, il traguardo di una vita. Ho dedicato gli ultimi 10 anni a combattere la combustione dei rifiuti e oggi finalmente vedo realizzarsi quello che sembrava essere solo un sogno.
Oltre a me – ha detto in aula dopo la votazione -, vi ringraziano i tanti marchigiani che rinnegano la combustione dei rifiuti e in particolar modo gli abitanti di Tolentino,
Castelraimondo, Matelica, San Severino, Macerata e tutti quelli della provincia di Macerata, che in questi anni hanno continuato a vivere con lo spettro che nei loro territori si tornasse a bruciare. 
Con questa legge – conclude il consigliere -, le Marche voltano pagina e si candidano ad essere la terra delle armonie e della sostenibilità ambientale, dove vivere in modo green permetterà a noi e alle nuove generazioni di guardare al futuro con maggiore speranza e ottimismo. 
Un risultato storico per questa regione».

fonte: www.cronachemaceratesi.it

Riutilizzo, una legge attesa da tre anni: ‘Dalla nuova legislatura ci aspettiamo fatti concreti, l’inerzia porta al collasso’

Operatori dell’usato ancora in attesa: sono passati 3 anni dalla prima proposta di legge per il riordino del settore nonostrante il pacchetto dell’economia circolare mette il riutilizzo al centro dell’agenda europea























Sul Riutilizzo l’Italia non riesce ad andare oltre le dichiarazioni di principio. Questo nonostante le chiare indicazioni di priorità arrivate 10 anni fa dalla direttiva europea 98/2008, nonostante l’applicazione in Italia di questa direttiva mediante la legge 205/10, nonostante un recente pacchetto dell’economia circolare che ancora una volta mette il riutilizzo al centro dell’agenda.

“Il settore del riutilizzo - riferisce il Presidente di Rete ONU Alessandro Stillo - è animato da quasi 100.000 operatori dell’usato che reimmettono ogni anno in circolazione almeno mezzo milione di tonnellate di beni durevoli che altrimenti sarebbero conferiti tra i rifiuti. Nonostante questo importantissimo lavoro a favore dell’ambiente e a dispetto dei principi di legge, gli operatori dell’usato continuano ad essere abbandonati a loro stessi e ad essere vittima di evoluzioni normative che non tengono per nulla conto della loro esistenza e delle loro esigenze”.

Il Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti adottato dal Ministero dell’Ambiente nel 2013 afferma che “per incrementare i volumi di riutilizzo occorre pianificare azioni che rimuovano o contribuiscano a rimuovere gli ostacoli che inibiscono lo sviluppo del settore dell’usato” e specifica che “problemi ed esigenze del settore degli operatori dell’usato sono descritti nella piattaforma della Rete Nazionale degli Operatori dell’Usato (www.reteonu.it)”.

“Negli ultimi anni - spiega il Portavoce di Rete ONU Pietro Luppi - un gruppo di parlamentari, appartenenti a diverse forze politiche, ha raccolto le istanze degli operatori dell’usato italiani avanzando proposte di legge per il riordino del settore alle quali però non è stata data finora nessuna priorità. La prima di queste in ordine cronologico, firmata dagli Onorevoli Vignaroli, Zolezzi, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo e Terzoni, è stata presentata il 17 giugno 2015, quindi esattamente 3 anni fa. Successivamente, altre tre proposte finalizzate alla promozione e al riordino del settore sono state presentate da altri parlamentari (primi firmatari Murer, Rossomando e Carrescia). Tra esse, la proposta di legge di Vignaroli è stata recentemente riproposta con l’Atto 56 della Camera dei Deputati”.

“Ora gli operatori dell’usato si aspettano rapide risposte - conclude Luppi - dalla nuova legislatura ci aspettiamo fatti concreti, prolungare l’inerzia rischia infatti di condurre il settore al collasso”.

fonte: www.ecodallecitta.it