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Coreve: peggiora la qualità della raccolta del vetro

Si rinnova la campagna di comunicazione su tv e social promossa da CoReVe per ricordare ai cittadini le corrette modalità di raccolta dei rifiuti



Nel 2020 la qualità della raccolta differenziata del vetro effettuata dai cittadini è peggiorata rispetto al 2019, e siamo ancora molto lontani dai livelli medi del resto d’Europa. Ancora troppi oggetti di ceramica, pyrex e cristallo, ma soprattutto di sacchetti che finiscono nella campana del vetro. Il 10,5% dei rifiuti di imballaggio (bottiglie e vasetti) in vetro recuperati all’interno delle campane o nei cassonetti del “porta a porta”, infatti, non può essere avviato a riciclo a causa della presenza di questi inquinanti. Questo perché, negli impianti di trattamento a valle della raccolta, la selezione automatizzata di questi materiali, anche se tecnologicamente sempre più evoluta, comporta inevitabilmente anche la perdita e lo scarto di vetro altrimenti perfettamente riciclabile.

Campagna tv e social
Per provare a interrompere i comportamenti errati che finiscono per compromettere parte del lavoro e dell’impegno dei cittadini più attenti, CoReVe (Consorzio Recupero Vetro), d’accordo con ANCI (Associazione dei Comuni Italiani), ha deciso di lanciare una campagna di sensibilizzazione, con il Patrocinio del MiTe (Ministero per la Transizione Ecologica) e con l’aiuto di Licia Colò, giornalista e divulgatrice, da sempre molto attenta alle tematiche ambientali e alla sostenibilità. Due mesi di campagna TV che vedranno Licia Colò raccontare ai telespettatori di Mediaset e La7, quali errori evitare nel momento in cui si vanno a differenziare i rifiuti di imballaggio in vetro, a cui, da giugno a fine anno, si affiancherà una campagna “social” voluta per raccontare agli italiani l’importanza e i benefici ambientali derivanti dal corretto riciclo del vetro.

Scotti: fanalino di coda per la qualità
“Nel 2020 – spiega Gianni Scotti, Presidente di CoReVe – la qualità della differenziata è ulteriormente peggiorata rispetto all’anno precedente. Mentre migliorano le performance degli impianti di riciclo, i cui scarti si riducono grazie al costante miglioramento tecnologico, c’è evidentemente ancora molto lavoro da fare. L’Italia, che è tra i Paesi più virtuosi d’Europa per le percentuali di raccolta differenziata degli imballaggi di vetro, è tuttavia fanalino di coda per quanto riguarda la qualità. Serve quindi un cambio di passo e serve subito, per evitare inutili sprechi e sostenere l’Economia Circolare del vetro. Per questo abbiamo deciso di lanciare la nuova campagna con un’ambasciatrice d’eccellenza per tutto ciò che riguarda l’ambiente, Licia Colò, che già in passato aveva offerto la sua autorevole voce ai messaggi del Consorzio”.

fonte: www.e-gazette.it


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Carta e cartone dove li butto? Tutti i consigli per una corretta raccolta differenziata

 












Il Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi a base cellulosica (Comieco) ha avviato una nuova campagna per migliorare la qualità della raccolta di carta e cartone, correggendo gli errori di conferimento che ancora persistono. Meno errori nel cassonetto significano maggiore qualità nel riciclo. Conoscere le regole da seguire è dunque fondamentale ma ancora oggi, in base ai risultati dell’indagine, 4 intervistati su 10 nutrono dubbi su cosa sia possibile conferire e cosa no nei contenitori per la carta: il 45,4% si definisce tuttora confuso e il 44% si considera bravo ma insicuro.

Gli Italiani, nel complesso, sono un popolo virtuoso: nel 2019 la raccolta differenziata di carta e cartone ha raggiunto i 3,5 milioni di tonnellate e l’81% degli imballaggi a base cellulosica è stato avviato a riciclo. Sono questi i risultati dell’indagine di AstraRicerche che però confermano possibilità di margini di miglioramento molto ampi, soprattutto sul fronte della qualità di quanto si raccoglie. Inoltre, se da una parte è importante che nella carta non finiscano materiali estranei (ad esempio gli scontrini) è altrettanto importante che tutti i materiali cellulosici riciclabili possano avere una seconda possibilità.

Ecco allora quali sono le regole della corretta raccolta differenziata.

Carta e cartone da riciclare vanno depositati all’interno degli appositi contenitori
Non sempre quello che si chiama carta è da riciclare in questa frazione: stiamo parlando di materiali come la carta oleata o la carta stagnola…
Il sacchetto in cui tengo la carta da buttare se è di plastica, non va gettato con la carta!
Gli imballaggi con residui di cibo, o sostanze chimiche/velenose, non vanno con carta e cartone
Nemmeno i fazzoletti di carta vanno con la carta perché, anche se puliti, sono anti spappolo e difficili da trattare
Scatole e scatoloni vanno appiattiti ripuliti dal nastro adesivo e dei punti metallici eventualmente presenti, poi vanno compressi per ridurne il volume
Gli scontrini non vanno gettati con la carta perché sono fatti con carte termiche che generano problemi nel riciclo
Per i cartoni che contengono liquidi ogni comune ha la sua modalità di raccolta.

Gli scontrini non vanno gettati con la carta perché sono fatti con carte termiche

Oltre ai consigli utili su come ridurre l’impatto ambientale, è bene ricordare che parlando di carta e cartone spesso circolano delle “fake news” che vanno smentite. Ecco le più diffuse.

1. Una volta che i cittadini hanno separato correttamente carta e cartone dagli altri rifiuti, spesso viene buttato via tutto insieme e non viene riciclato. Lo pensano 3 italiani su 5.
Falso! Imballaggi e oggetti in carta e cartone differenziati correttamente dai cittadini vengono raccolti dal gestore del servizio del Comune e portati in piattaforma, selezionati e lavorati. Una volta resi idonei a essere reintrodotti nei cicli produttivi, vengono trasferiti in cartiera dove, grazie al riciclo, diventano carta e cartone pronti per essere utilizzati per nuovi prodotti nelle cartotecniche. È un vero e proprio esempio di economia circolare che conferma l’Italia leader in Europa e ad oggi il tasso di riciclo è poco sotto l’80%, ovvero 4 imballaggi cellulosici su 5 vengono riciclati.

2. Fare la raccolta differenziata costa.
Falso! Raccogliere carta e cartone in modo differenziato è un semplice gesto di senso civico utile non solo a noi stessi ma anche alla comunità. Riciclare apporta benefici ambientali e anche economici. In base all’accordo Anci-Conai, Comieco riconosce ai Comuni un corrispettivo a fronte dell’effettivo riciclo: sono stati erogati circa 97 milioni di euro solo nel 2018. Anche questo deve poter essere stimolo per fare sempre meglio.

Riciclare apporta benefici ambientali e anche economici

3. Il 60% degli italiani pensa che per produrre la carta le foreste vengono distrutte. Il suo consumo dovrebbe quindi essere ridotto.
Falso! La maggior parte del legno che viene utilizzato per produrre carta proviene da foreste gestite in modo sostenibile. In Europa per ogni albero tagliato, ne vengono piantati altri 3. Oggi l’aumento annuo delle foreste europee equivale a 6.450 km2, pari all’aerea di 4.363 campi da calcio.

4. La carta ha un forte impatto ambientale in termini di emissioni CO2.
Falso! In realtà la carta, essendo un prodotto naturale, rinnovabile e riciclabile, contribuisce al contenimento di emissioni di anidride carbonica. Leggere un quotidiano ogni giorno produce il 20% in meno di CO2 rispetto alla lettura online per circa 30 minuti.

5. La carta si ottiene da un processo di produzione inquinante.
Falso! L’industria cartaria italiana è sostenibile e costantemente impegnata nella ricerca tecnologica dedicata alla tutela dell’ambiente. Oggi per produrre 1 tonnellata di carta si usano 24 metri cubi di acqua; nel 1970 ne occorrevano 100. Generalmente il 90% dell’acqua che si impiega nel processo produttivo è acqua di riciclo, solo il restante è costituito da acqua di primo impiego.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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Carta riciclata, materia prima seconda di qualità

La carta è un prodotto naturale, biodegradabile, compostabile, riciclabile e rinnovabile. Può essere reimmessa nel processo produttivo fino a sette volte, ma attenzione a fare bene la raccolta differenziata











La carta è come i gatti, ha sette vite. Ma se nel caso dei gatti è un modo di dire, nel caso della carta è una realtà perché può essere reimmessa nel processo produttivo fino a sette volte. Sbaglia chi pensa che produrre la carta equivalga a distruggere le foreste: la maggior parte del legno impiegato nella produzione della carta proviene da foreste gestite in modo sostenibile. In Europa quando si taglia un albero se ne piantano tre. La carta, essendo un materiale naturale, non produce emissioni di CO2, al contrario contribuisce a contenerle. Bisogna sfatare anche il mito del ciclo produttivo inquinante: di norma, il 90% dell’acqua impiegata è riciclata.

Quello che invece è importante è fare bene la raccolta differenziata affinché la carta possa essere riutilizzata ed entrare a pieno titolo nell’economia circolare: il grande risparmio di materia prima viene da lì. Il macero è la nostra “foresta urbana”, come l’ha definita Amelio Cecchini, presidente di Comieco, il Consorzio nazionale che garantisce il recupero e il riciclo degli imballaggi a base cellulosica provenienti dalla raccolta differenziata comunale.

La filiera della carta vale 25 miliardi di fatturato, ovvero l’1,5% del Pil; in più è un prodotto naturale, biodegradabile, compostabile, riciclabile e rinnovabile. Il tasso di circolarità della carta è del 57%, quello degli imballaggi raggiunge l’81%. A tale proposito, è interessante sapere che abbiamo superato la direttiva UE che indica il 75% come obiettivo da raggiungere entro il 2025; l’obiettivo al 2030 è dell’85%, quindi per l’Italia il passo è breve.

La carta riciclata rientra nel ciclo produttivo come materia prima seconda. Insomma, la carta sembra fatta apposta per inserirsi tra gli obiettivi sostenibili del PNRR (il Piano nazionale di ripresa e resilienza) per l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund. Per questo le associazioni Federazione Carta e Grafica, Comieco e Unirima si sono unite per presentare insieme le proposte della filiera della carta per il Recovery Fund. La prima proposta è di aumentare la capacità di riciclo della carta delle cartiere in ottica di efficienza energetica, utilizzando i residui organici della cellulosa per produrre biogas; la seconda è promuovere ricerca e sviluppo a livello industriale; la terza è sviluppare la digitalizzazione per migliorare la logistica e la tracciabilità dei rifiuti e degli scarti.

Le tra associazioni richiedono incentivi per l’innovazione degli impianti e per la ricerca in un sistema virtuoso che fa bene all’ambiente e crea occupazione. Il fabbisogno di carta è in crescita sia perché ora si tende a preferire la carta alla plastica per gli imballaggi, sia perché a causa della pandemia c’è stata un’impennata dell’e-commerce che richiede molta più carta e cartone per gli imballaggi da spedire, sia perché si preferisce acquistare prodotti alimentari confezionati ritenuti più protetti dal virus. Anche se sono stati sviluppati nuovi materiali, come le pellicole biodegradabili, la carta è ancora il materiale preferito.

fonte: www.rinnovabili.it


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Raccolta differenziata, circa 3,2 milioni di tonnellate l’anno sono da ri-buttare

Politecnico di Milano: «Gli scarti generati dal trattamento di tutte le frazioni della raccolta differenziata dei rifiuti urbani costituiscono complessivamente circa il 19% del materiale raccolto per via differenziata»













Una peculiarità tutta italiana nel modello di gestione dei rifiuti (urbani) è stata incentrare, da più di vent’anni, l’intera impostazione sulla raccolta differenziata come obiettivo da raggiungere: non solo però non abbiamo ancora raggiunto il target che abbiamo stabilito per legge (65% al 2012, invece nel 2019 è al 61,3%) ma abbiamo perso di vista tutta la filiera impiantistica che c’è dopo la suddivisione della nostra spazzatura – o meglio di una piccola parte, sostanzialmente imballaggi e organico – in tanti sacchetti diversi. Per scoprire, ad esempio, che circa un quinto della raccolta differenziata è da buttare di nuovo.

Il dato è noto, stavolta confermato da uno studio commissionato da Ricicla.tv al Politecnico di Milano.

«Nella gestione dei rifiuti urbani – sottolinea il Polimi – si è sempre posta particolare attenzione al raggiungimento di determinati obiettivi di raccolta differenziata. Più recentemente sono stati definiti obiettivi relativi alla quantità di rifiuti avviati ad effettivo recupero, nella consapevolezza che la raccolta differenziata rappresenta solo la prima fase di una virtuosa gestione dei rifiuti. I rifiuti raccolti in modo differenziato non possono essere avviati tal quali agli impianti di riciclo, ma necessitano di selezione, in modo da rendere il più omogeneo possibile il flusso destinato al riciclo. Ciò comporta la generazione di scarti, ossia rifiuti che non sono idonei all’avvio a recupero di materia. Anche nella fase di riciclo è possibile che si generino degli scarti dal processo di recupero vero e proprio». O meglio è certo, dato che il secondo principio della termodinamica naturalmente è valido anche per i processi industriali che hanno a che fare con l’economia circolare.

«L’attuale gestione e trattamento delle principali frazioni della raccolta differenziata dei rifiuti urbani genera – argomenta il Polimi – circa 3,2 milioni di tonnellate di scarti, di cui 3 milioni di tonnellate sono idonei al recupero energetico, che rappresenta la forma di gestione prioritaria rispetto allo smaltimento in discarica per i rifiuti che non possono essere sottoposti a recupero di materia. A questi si aggiungono 203.000 tonnellate di scarti derivanti dal trattamento delle altre frazioni della raccolta differenziata dei rifiuti urbani e non approfonditi in questa analisi (RAEE, raccolta selettiva, tessili, rifiuti da costruzione e demolizione e spazzamento stradale a recupero). Gli scarti generati dal trattamento di tutte le frazioni della raccolta differenziata dei rifiuti urbani costituiscono complessivamente circa il 19% del materiale raccolto per via differenziata, e se sommati al RUR attualmente generato lo incrementano del 26%, portando il quantitativo complessivo a sfiorare le 16 milioni di tonnellate all’anno».

Come riassumono dunque da Ricicla-tv, i numeri messi in fila dal Polimi «dicono che nel 2018 il trattamento di 17,5 milioni di tonnellate di rifiuti differenziati ha generato ben 3,2 milioni di tonnellate di scarti, circa un quinto del totale raccolto. Non tutte le filiere però generano uguale quantità di residui non riciclabili: per il vetro è il 14,8% del totale, per l’umido il 18,2%, per la carta il 22,6% mentre per alluminio e acciaio la percentuale supera di poco il 30%. Ma il dato più allarmante è quello sulla raccolta differenziata della plastica, che dallo studio è risultata generare, tra scarti di selezione e riciclo, oltre 778mila tonnellate di frazioni non riciclabili, pari al 66,3% del totale raccolto. Scarti che, quando non possono essere collocati in impianti sul territorio nazionale devono essere esportati a costi esorbitanti e che, quando anche la valvola dell’export viene meno, si accumulano negli impianti di selezione e riciclo fino a saturarli e a metterne a rischio il funzionamento».

Che fare dunque? La soluzione passa dagli elementi emersi ieri nel corso del webinar ‘Comparazione ambientale di scenari di sviluppo infrastrutturale nella gestione dei rifiuti’ organizzato da Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua, ambiente e energia).

«Il messaggio che vorremmo lanciare – dichiara il vicepresidente Filippo Brandolini – è di ‘evitare le semplificazioni’, cioè evitare di raccontare soltanto quello che fa comodo; è assolutamente indispensabile per affrontare la complessità che abbiamo di fronte. Dopo 20 anni di dibattito incentrato principalmente sul modello di raccolta differenziata da adottare, dobbiamo prendere decisioni urgenti e fare scelte coraggiose, cercando di recuperare un gap che se possibile è anche aumentato in questi anni; un divario sia culturale che industriale, oltre che di organizzazione e dotazione impiantistica. Abbiamo degli scenari di riferimento sulla base dei quali orientare le decisioni: il Programma nazionale di Gestione dei Rifiuti, il Piano Energia e Clima e la Tassonomia. Dobbiamo essere consapevoli – continua Brandolini – che la gestione dei rifiuti è parte dell’economia circolare, ma questa innanzitutto si può verificare o meno con l’immissione dei prodotti nel mercato, e quindi dalla loro progettazione, dall’eco-design, dalla loro riutilizzabilità o riciclabilità Nello studio presentato oggi, che punta a individuare qual è la soluzione migliore per la gestione dei rifiuti, è stato evidenziato un passaggio fondamentale ovvero che la strategia del recupero energetico determina il rendimento ambientale di un sistema di gestione; in altre parole se non abbiamo chiaro come risolviamo il problema di quei rifiuti non riutilizzabili e non riciclabili rischiamo di ostacolare e rendere più difficile tutto il processo».

In questo contesto anche le discariche «rimarranno indispensabili ma devono svolgere un ruolo residuale, dovranno essere impianti specialistici, ben distribuiti sul territorio nazionale e che per essere efficienti non abbiano bacini. Per il rispetto dei target di economia circolare, occuparsi delle discariche è una priorità e conseguentemente, come evidenziato dallo studio, va limitato il ricorso a impianti intermedi come i Tmb. Poi è necessario fare una scelta sul trattamento dell’organico, per il quale abbiamo stimato che al 2035 servono capacità impiantistiche aggiuntive per circa 3,2 milioni di tonnellate di rifiuti. Occorre inoltre recuperare e reinterpretare il principio di prossimità. Abbiamo visto che il trasporto dei rifiuti non è indifferente rispetto agli impatti ambientali; oggi 2,7 milioni di tonnellate di rifiuti vanno dalle regioni centro-meridionali a quelle settentrionali».

fonte: www.greenreport.it

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#RifiutiZeroEmiliaRomagna: #SOTTOMURO100KG


















PROGRAMMA PROVVISORIO
9,00    accreditamento
9,30    apertura dei lavori, saluti dell’amministrazione comunale di Soliera, introduzione al programma della giornata
PRIMA PARTE: Qualità delle raccolte differenziate e riciclaggio: verso le nuove regole europee
9,35     Troppi scarti nella differenziata: occorre qualià. I dati regionali, Natale Belosi, Coordinatore Rete Rifiuti Zero ER
10,00     Via i cassonetti per migliorare la qualità, Davide De Battisti, Direttore AIMAG
10,15     200 giorni di rivoluzione a Forlì, Paolo Di Giovanni, Direttore ALEA
SECONDA PARTE: comuni verso rifiuti zero
10,30     L’Italia delle 300 comunità rifiuti zero: inizia la rivoluzione ecologica, Rossano Ercolini, premio Goldman per l’ambiente 2013, presidente Zero Waste Europe
11,00    parlano i comuni – interventi dei comuni rifiuti zero e dei comuni partecipanti  per esporre esperienze, problemi aperti, progetti, valori, obiettivi, prospettive, lavoro comune da mettere in campo. Coordina Monica Cinti, Sindaco di Monte S, Pietro, referente Comuni Rifiuti Zero ER
TERZA PARTE: i comuni virtuosi
12,30    Premiazione comuni sotto i 100 Kg
13,00    buffet

A Soliera, il centro Habitat in Via E. Berlnguer 201 lo trovi a questo link https://goo.gl/maps/h5KYCZ93tTtTFzZy7

fonte: https://rifiutizeroer.blogspot.com

Dagli imballaggi ai RAEE: viaggio nelle filiere del riciclo in Italia

Recuperati in anno 12 milioni di tonnellate di materie prime seconde. Sono i numeri del Rapporto di FISE UNICIRCULAR e Fondazione Sviluppo Sostenibile “L’Italia del Riciclo 2019”.


















Continua a crescere il riciclo in Italia, tra modelli d’eccellenza e filiere zoppicanti. Dal 2006 al 2016 la produzione nazionale di rifiuti è riuscita a mantenersi quasi stabile passando da 155 a 164 Mt (un aumento del 6 per cento), alimentando nel contempo una buona gestione sul territorio. Al punto che, nello stesso decennio, le attività di riciclaggio sono passate da 76 Mt a 108 Mt (più 42 per cento) di rifiuti trattati. I numeri appartengono “L’Italia del Riciclo 2019”, la decima edizione del report realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e da FISE UNICIRCULAR (l’Unione Imprese Economia Circolare). Il documento, presentato a Roma, offre un quadro esaustivo del settore. Da un lato ci sono le eccellenze nazionali come nel caso della raccolta degli oli minerali usati, ormai vicina al 100%, o dei tassi di riciclo imballaggi che fanno meritare al Belpaese un terzo posto su scala europea, dopo Germania e Spagna. Dall’altro ci sono le filiere più lente, quelle che si scontrano anche con difficoltà d’approccio culturale, come nel caso dei rifiuti apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Ma, nel complesso, il comparto del riciclo in Italia ottiene buoni voti, permettendoci oggi di recuperare ben 12 milioni di tonnellate di materie prime seconde l’anno.
Alla vigilia del recepimento di nuove direttive europee il sistema del riciclo in Italia è, in generale, già ben predisposto”, ha sottolineato Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. “Oggi occorre quindi intervenire con precisione per mantenere le posizioni conquistate, superare le carenze che ancora permangono e compiere ulteriori progressi”. Come? Non puntando solo sull’incremento della quantità ma anche su quello della qualità della raccolta differenziata e adeguando l’impiantistica, ancora oggi non in grado di coprire tutto il territorio per alcuni settori.

Le filiere del riciclo in Italia

Sono i settori ad aver raggiunto buon risultati: gli imballaggi (carta, vetro, alluminio, legno, acciaio e plastica) oggi hanno un tasso di riciclo rispetto all’immesso al consumo del 67 per cento, perfettamente in linea con la media europea e in anticipo sull’obiettivo 2025. nel dettaglio, diamo una seconda vita all’81 per cento dei rifiuti in carta, al 76 per cento di quelli in vetro, al 45 per cento della plastica, al 63 per cento del legno e ben l’80 per cento dell’alluminio  e  al 79 per cento dei rifiuti in acciaio.

Dal packaging ai pneumatici fuori uso: il report mostra  come, sul totale dei PFU gestiti, la percentuale di quelli avviati al riciclo ha raggiunto il 58 per cento. A livello nazionale – sottolinea tuttavia il rapporto – è ancora difficile vendere sia le materie prime seconde che i manufatti provenienti da questo comparto a causa dei ritardi nell’approvazione del decreto End of Waste.

Sul fronte RAEE, nonostante una crescita praticamente continua della filiera, l’Italia registra un ritardo in termini (siamo ad un 42 per cento rispetto al 65per cento richiesto dall’UE). Per questo motivo gli autori consigliano di implementare la rete e soprattutto di contrastare lo smaltimento e il commercio illegale di questi rifiuti. In ritardo anche pile e accumulatori portatili, di alcuni punti percentuali sotto l’obiettivo UE. “Per raggiungere i target imposti è necessario garantire una rete di raccolta omogenea sul territorio e investire sull’informazione e la sensibilizzazione dei cittadini per ridurre il conferimento delle pile in maniera indifferenziata”.
Sul fronte oli minerali usati il riciclo in Italia vanta una vera e propria filiera d’eccellenza, grazie anche al lavoro svolto in questi anni dal CONOU. La raccolta sfiora il 100%  ma per il futuro il rapporto raccomanda il rafforzamento degli obblighi derivanti dalla Responsabilità Estesa del Produttore, attraverso un maggiore coinvolgimento del detentore iniziale del rifiuto.

Il settore dei rifiuti organici (umido domestico e verde urbano) è forse quello con la crescita più sensibile degli ultimi anni ma l’Italia deve necessariamente accelerare adeguando la rete impiantistica – in particolare nel Centro e nel Sud Italia – alla crescita futura di questo rifiuto e aggiornando gli impianti esistenti alla produzione di biometano (leggi anche Rifiuti organici: Italia terza in Europa per trattamento)

fonte: www.rinnovabili.it

Rifiuti, la cattiva qualità della differenziata frena il riciclo del vetro

Oltre il 13% dei materiali raccolti viene ributtato in discarica. Per migliorare servono campagne di comunicazione e sensibilizzazione























L’industria del vetro “Made in Italy” conta oltre 23 mila addetti impiagati da oltre 1000 aziende (32 dedite alla produzione, il resto alla trasformazione del materiale), un comparto che rappresenta un settore di punta per l’economia circolare: i dati Coreve mostrano che nel 2018 sono state 2.472.208 le tonnellate di imballaggi in vetro immesse sul mercato italiano (+1,7%), la raccolta differenziata è arrivata a 2.189.000 tonnellate (+8,4%) mentre l’avvio a riciclo ha toccato quota 1.885.957 tonnellate (+6,6%), con dunque un tasso di riciclo pari al 76,3% (dal 72,8% del 2017). Numeri che mostrano però anche un risvolto negativo: la differenziata cresce più del riciclo, anche perché mentre aumenta la quantità dei materiali raccolti diminuisce la qualità.
Un dato che è stato sottolineato anche dal presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Edo Ronchi, intervenuto oggi all’Osservatorio nazionale del Ccnl vetro: il vetro è un materiale durevole, riciclabile infinite volte, economicamente vantaggioso grazie al risparmio non solo di materie prime vergini, ma anche di energia,ed è in grado di tornare a produrre contenitori di pari qualità di quelli riciclati correttamente con la raccolta differenziata. Ma il punto dolente è che la qualità della raccolta differenziata non decolla, soprattutto in alcune Regioni a causa dell’aumento delle quantità raccolte gli scarti sono passati dal 7% del 2013 al 12% del 2017. E il trend sta proseguendo.
Gianni Scotti, presidente del Coreve, commentando i dati 2017 del Consorzio afferma che «lo sviluppo delle quantità raccolte è infatti accompagnato da una crescente presenza di materiale improprio conferito, erroneamente, nella raccolta differenziata del vetro. Il che comporta un aumento degli scarti nella fase di trattamento che precede il riciclo in vetreria. Oltre il 13% del totale raccolto, che potrebbe essere riciclato alimentando un perfetto esempio di economia circolare, è purtroppo perso e smaltito in discarica. Uno spreco dannoso ed oneroso. Una maggior attenzione, da parte del cittadino, nell’evitare di conferire frazioni estranee come la ceramica, il pyrex, il cristallo, o i sacchetti di plastica, che troviamo sempre più spesso associati alla diffusione della raccolta “porta a porta”, potrebbe evitare tutto ciò». E questo nonostante i risultati finora conseguiti siano complessivamente buoni: «Sul versante del recupero siamo giunti ad una fase nella quale, per spingere ulteriormente l’attuale tasso di riciclo – aggiunge Scotti – dovranno essere rese disponibili per la rifusione in vetreria quantità crescenti di rottame separato per colore».
Per il momento l’urgenza più pressante è però quella di migliorare la qualità della raccolta differenziata, che è bene ricordare si tratta di un mezzo utile solo al raggiungimento di un fine, quello dell’effettivo riciclo. Non a caso Coreve e Anci coreve hanno appena scelto la provincia di Rimini per avviare, a livello nazionale, una nuova campagna di sensibilizzazione sulla qualità del vetro rivolta a tutte le strutture ricettive (pub, ristoranti e bar) ed alberghiere della zona turistica dei 5 comuni della Provincia.
La posta in gioco è alta, e non solo dal punto di vista ambientale. «Le filiere del riciclo e del riutilizzo che si allineeranno con i nuovi obiettivi previsti dalla Direttive europee – ha spiegato oggi Ronchi – potranno generare importanti benefici economici e occupazionali nei prossimi 5 anni: 20,1 miliardi di euro di aumento di produzione, un valore aggiunto di 6,6 miliardi di euro e 171 mila nuovi occupati nel quinquennio».
fonte: www.greenreport.it

TGR Piemonte: la città di Torino lancia Junker per la raccolta differenziata

Il TGR Piemonte annuncia l'arrivo di Junker a Torino, come strumento abilitante per i cittadini per un miglioramento di quantità e qualità della raccolta. In più calendari con notifiche e punti di conferimento su mappa.







Junker APP

I contenitori in plastica non sono sempre riciclabili
















La British Plastics Federation chiede incentivi finanziari per permettere alle industrie di impiegare un numero maggiore di materiali plastici riutilizzabili


La maggior parte dei contenitori in plastica per alimenti non sembra essere realmente riciclabile. A parer dell’Associazione del governo londinese, solo un terzo dei prodotti destinati al riciclaggio può realmente essere riutilizzato.
Stop ai materiali di scarsa qualità

Secondo l'analisi LGA, delle 525.000 tonnellate di vasi, vaschette e vassoi di plastica che vengono utilizzati dalle famiglie nel Regno Unito ogni anno, solo 169.000 possono essere riciclate. Pare che i produttori di contenitori utilizzino un mix di polimeri di bassa qualità. La British Plastics Federation ha chiesto un incentivo finanziario al governo, per permettere ai progettisti di impiegare un numero maggiore di plastiche riutilizzabili, nella realizzazione della loro merce. Una migliore cura nei materiali utilizzati potrebbe rendere più riciclabili l’80% delle confezioni che vengono scartate. La LGA vorrebbe fortemente che il governo introducesse il divieto, per le industrie, di impiegare materie di scarsa qualità nella realizzazione dei propri prodotti. Sarebbe opportuno, inoltre, per la LGA, che i creatori di materie plastiche iniziassero a pagare i costi della raccolta e dello smaltimento dei loro articoli di basso livello.
Limiti nell’impianto di riciclaggio

Potrebbero bastare pochi e semplici cambiamenti per fare la differenza. I pasti da scaldare al microonde, per esempio, vengono spesso serviti in involucri di materiale plastico nero, utilizzato per indicare l’alta qualità dell’alimento al loro interno. Questo colore, però, non può essere riconosciuto dagli scanner di selezione nell’impianto di riciclaggio e viene, per questo motivo, scartato e portato in discarica. “È impensabile che si permetta l’utilizzo di materie difficili da riciclare. La plastica nera è una di queste; l’unica ragione del suo impiego è la sua capacità di rendere il cibo migliore”, ha rivelato a BBC News Cllr Peter Fleming della LGA. I cestini per raccogliere la frutta e la verdura, inoltre, sembrano essere costituiti in buona parte dal polistirene, noto per essere un materiale di difficile riutilizzo. Al momento, nel Regno Unito, non è presente alcun sistema fiscale che spinga i progettisti a realizzare prodotti utili al riciclaggio. Simon Ellin, presidente dell’Associazione, ha dichiarato che le industrie dei materiali plastici hanno una grande responsabilità in questo campo ed è giunto il momento che se ne occupino.


fonte: https://tg24.sky.it

Il divieto di importare plastica in Cina ci riempirà di rifiuti

Gli scienziati calcolano l'impatto del divieto cinese sulle importazioni di rifiuti di plastica. Grossi problemi per l’Ue, colossali per gli Usa, ma Trump se ne frega



















Mentre il riciclo è spesso considerato la soluzione alla produzione su larga scala di rifiuti di plastica, al contempo si tratta di operazioni che a quanto pare amiamo veder concretizzare non nel nostro giardino: ad oggi più della metà dei rifiuti di plastica destinati al riciclaggio viene esportata dai Paesi a più alto reddito verso altri Paesi, con la Cina che storicamente ne importava la quota maggiore. Ma nel 2017, la Cina ha approvato la politica  della “National Sword” che, a partire dallo scorso gennaio, vieta in maniera permanentemente l’importazione di molti rifiuti plastici.

Ora, lo studio studio “The Chinese import ban and its impact on global plastic waste trade” pubblicato su Science Advances  da Amy Brooks, Shunli Wang e Jenna Jambeck del College of Engineering, New Materials Institute dell’Università della Georgia, ha calcolato il potenziale impatto globale del bando cinese sull’importazione dei rifiuti plastici, e come questo potrebbe influenzare gli sforzi per ridurre la quantità di rifiuti di plastica che entrano nelle discariche o – molto peggio – nell’ambiente naturale in tutto il  mondo.

La Jambeck spiega: «Dai nostri studi precedenti, sappiamo che solo il 9% di tutta la plastica prodotta è stata riciclata, e la maggior parte finisce nelle discariche o nell’ambiente naturale. A causa del divieto di importazione, nel 2030 circa 111 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiranno da un’altra parte, quindi, se vogliamo trattare questa spazzatura responsabilmente, dovremo sviluppare programmi di riciclaggio più robusti a livello nazionale e ripensare l’utilizzo e la progettazione di prodotti in plastica».

Dal 1993 le importazioni e le esportazioni annuali globali di rifiuti di plastica sono salite alle stelle, con una crescita di circa l’800% al 2016. All’Università della Georgia sottolineano che «da quando è iniziato il reporting nel 1992, la Cina ha accettato circa 106 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, che rappresentano quasi la metà delle importazioni mondiali di rifiuti di plastica. La Cina e Hong Kong hanno importato più del 72% di tutti i rifiuti di plastica, ma la maggior parte dei rifiuti che entra a Hong Kong – circa il 63% – viene esportata in Cina. I Paesi ad alto reddito dell’Europa, dell’Asia e delle Americhe rappresentano oltre l’85% di tutte le esportazioni mondiali di rifiuti di plastica. Considerata collettivamente, l’Unione europea è il principale esportatore».

La Brooks, principale autrice dello studio, ricorda che «i rifiuti di plastica una volta erano un business abbastanza redditizio per la Cina, perché poteva usare o rivendere i rifiuti una volta riciclati. Ma molta della plastica che la Cina ha ricevuto negli ultimi anni era di scarsa qualità  ed è diventato difficile ricavarne un profitto. La Cina produce anche più rifiuti di plastica a livello nazionale, quindi non può fare affidamento sulle altre nazioni per i rifiuti. Per gli esportatori, la lavorazione a buon mercato in Cina voleva dire che esportare rifiuti all’estero era meno costoso rispetto al trasporto nazionale dei materiali via camion o ferrovia».

La Jambeck  aggiunge: «E’ difficile prevedere cosa accadrà ai rifiuti di plastica che un tempo erano destinati agli impianti di lavorazione cinesi. Alcuni potrebbero essere dirottati verso altri Paesi, ma la maggior parte non ha le infrastrutture per gestire i propri rifiuti e tanto meno i rifiuti prodotti dal resto del mondo». Insomma, il divieto cinese potrebbe far saltare l’intera filiera mondiale di raccolta e riciclo delle plastiche, e rendere davvero difficili mantenere gli impegni a ridurre l’impatto dei rifiuti in plastica sull’ambiente, in particolare su quello marino che soffre particolarmente proprio per la già inefficace gestione dei rifiuti a terra.

A pagare il prezzo più alto potrebbero essere proprio gli Usa di Donald Trump che hanno dichiarato guerra commerciale alla Cina (e all’Europa, al Canada e al Messico…). Stati come il Massachusetts e l’Oregon potrebbero vedersi costretti a togliere il divieto di scaricare plastica nelle discariche, e in molte città statunitensi i programmi di riciclaggio potrebbero andare in tilt, Come ha detto a WaPo Ben Harvey, presidente di EL Harvey Sons Recycling Services a Westborough, Massachussets: «Se non c’è posto per questa roba, qual è il senso di differenziarla? Riguarderemo i programmi e dovremo dire perché la stiamo raccogliendo, non è più una merce. E’ una cosa enorme. E’ una cosa spaventosa».

Il divieto cinese riguarda la plastica potenzialmente contaminata, come vasetti di maionese non lavati o bottiglie di plastica non più integre, ma la Cina consente ancora di importare balle di plastica con meno dello 0,5% di contaminazione per avviarle a riciclo. Per esempio, la compagnia che si occupa dei rifiuti di plastica di San Francisco ha rallentato la linea di selezione del suo impianto per abbassare il livello di contaminazione da circa il 5% a meno dell’1%, consentendo alla metropoli californiana di continuare a inviare le sue bottiglie oltreoceano. Ma, come fa notare Ellen Airhart su  Wired «non tutti i gestori locali di rifiuti hanno la capacità o il denaro per ridurre i loro livelli di contaminazione».

E la Jambeck conferma che non ci sono nemmeno alternative ragionevoli per esportare la spazzatura di plastica: «Non c’è davvero un altro grande hub principale in cui possa andare il materiale. Alcune nazioni come Vietnam, Thailandia e Malaysia riciclano la plastica, ma non hanno le infrastrutture necessarie per sostenere il carico precedente della Cina. Non esiste un altro Paese che abbia la capacità che aveva la Cina per poter prendere il materiale».

La National Recycling Coalition Usa ha dichiarato che «l’industria deve cambiare radicalmente il modo in cui comunica con l’opinione pubblica e come raccoglie e tratta i materiali riciclabili». La direttrice della coalizione,  Marjorie Griek ha detto: «Dobbiamo guardare ai nuovi utilizzi di questi materiali. E a come fare in modo che i produttori progettino un prodotto che sia più facilmente riciclabile».

La Brooks ha detto alla Airhart di sperare che la comunità internazionale presti attenzione allo studio dell’Università della Georgia: «Il mio sogno sarebbe che questo sia un campanello di allarme abbastanza forte da portare ad accordi internazionali per regolamentare le materie plastiche usa e getta».

Secondo lo Smithsonian Magazine, ci sono alcuni segnali che le nazioni di tutto il mondo stanno iniziando a prendere in considerazione gli impatti della plastica monouso: recentemente, l’India ha annunciato un piano per vietare la plastica monouso entro il 2022 e un recente rapporto Onu dimostra che 50 nazioni in tutto il mondo stanno facendo sforzi per vietare sacchetti di plastica, il polistirolo e altri oggetti non biodegradabili. Anche la Gran Bretagna ha recentemente annunciato un divieto per la plastica monouso e probabilmente nel 2019 eliminerà cose come cannucce di plastica e cotton fioc.

Ma ancora una volta sono il Paese sviluppato che produce ed esporta più plastica – e che probabilmente la gestisce peggio –, ovvero gli  Stati Uniti, continua a non assumere il ruolo guida che gli spetterebbe e, come succede per le emissioni di gas serra e le politiche climatiche, ancora una volta sono le città a sostituirsi all’inerzia del governo federale: in molte a hanno vietato o tassato i sacchetti di plastica, alcune stanno pensando di vietare le cannucce. E mentre Trump e il suo governo di eco-scettici se ne fregano, l’opinione pubblica sta diventando così sensibile al tema che anche un gigante del fast food come McDonald’s ha deciso di testare le alternative alle cannucce di plastica entro la fine dell’anno, anche se i suoi azionisti non sono molto entusiasti dell’idea.

La strada in teoria appara dunque tracciata: demonizzare la plastica non è utile, occorre piuttosto limitarne drasticamente gli usi impropri – ad esempio nel dilagante impiego di imballaggi monouso – e realizzare nel territorio di ogni Paese (secondo logica di sostenibilità e prossimità) i necessari impianti di riciclo per gestire i rimanenti flussi di materia, incoraggiando poi la diffusione sul mercato delle relative materie prime seconde attraverso adeguati incentivi economici. Peccato che tra il dire e il fare la strada appaia ancora molto, molto lunga.

fonte: www.greenreport.it

Ecco come la Toscana cambierà il Piano regionale sui rifiuti, con orizzonte 2023

Rossi: la Giunta avvierà entro giugno una revisione del Prb. Entro l’estate una proposta di legge sull’economia circolare





















Entro il prossimo mese giugno la Giunta toscana avvierà una revisione del Piano regionale sui rifiuti e bonifiche (Prb) approvato alla fine del 2014 indicando nuovi obiettivi da raggiungere, e riguardo all’economia circolare sarà presentata al Consiglio una proposta di legge entro l’estate. Sono questi tempi della «svolta ambientalista» prospettata oggi dal presidente Enrico Rossi al Consiglio regionale, anticipando anche alcuni dei principali punti attorno ai quali si svilupperà il rinnovato Prb. In primis cambiano le tempistiche: l’attuale Prb prevede obiettivi al 2020, il nuovo avrà come orizzonte il 2023.

Per quanto riguarda invece i contenuti, relativamente ai rifiuti urbani il Piano vigente ha tra i principali target al 2020 una raccolta differenziata fino al 70% (nel 2016 era al 51,1%, e Rossi ha anticipato che le prime stime parlano di un 54% nel 2017); un riciclo effettivo di materia da rifiuti urbani di almeno il 60% degli stessi; arrivare al 20% di recupero energetico; portare i conferimenti in discarica a un massimo del 10%.

In cosa cambia il rinnovato Prb che vedrà presto la luce? Rossi ha anticipato oggi che la raccolta differenziata nel 2023 arriverà «almeno al 75%. Non diciamo l’80% perché, ci dicono i tecnici, lo sforzo richiesto per il raggiungimento di questa soglia potrebbe avere costi eccessivi, anche se non si capisce fino in fondo il motivo». Un obiettivo per il quale «la Giunta ha stanziato 30milioni di euro per i tre Ato. Ci siamo convinti che quella della raccolta porta a porta è la scelta fondamentale per compiere il salto».

La parte restante dei rifiuti, il «25% a obiettivo raggiunto – ha dichiarato il presidente – vogliamo riservarlo alle discariche e ai termovalorizzatori». Nel dettaglio, la riduzione dei conferimenti in discarica «fino al 10% passerà per una prima riduzione del numero di discariche attive fino a 5 (lo stesso numero previsto nel vigente Prb al 2020, ndr), con una graduale riduzione dei conferimenti (al 2016 sono 9 le discariche attive, ndr)». Nel frattempo la Giunta regionale ha già bloccato il conferimento di rifiuti da altre regioni, che «ammonta a circa 150mila tonnellate l’anno, pari a circa il 7% dei 2milioni e 300mila tonnellate di rifiuti urbani che la Toscana produce ogni anno».

In riferimento al recupero energetico Rossi osserva che «l’Europa non esclude la termovalorizzazione, ma pone paletti ben precisi, ci richiama alla necessità di valutare bene la disponibilità degli attuali termovalorizzatori». La previsione del presidente è dunque quella di «escludere la realizzazione di nuovi impianti di incenerimento in nuovi siti e di puntare solo sui revamping di quattro degli impianti esistenti (su 5 presenti in totale al 2016, e rispetto ai 7 previsti nel vigente Prb, ndr) per raggiungere una quota di trattamento adeguata».

L’attuale Prb ritiene infine «prioritaria la realizzazione di un’adeguata rete di impianti di trattamento biologico, aerobico e anaerobico, delle frazioni organiche», e dal nuovo Piano emergerà al proposito una configurazione impiantistica più precisa: nasceranno «sei impianti per la biodigestione anaerobica», nei quali conferire «circa 600mila tonnellate l’anno di rifiuti urbani». La frazione organica rappresenta attualmente oltre il 40% di tutti i rifiuti urbani prodotti, e i biodigestori anaerobici potranno rivolgersi tecnicamente solo a questa frazione – umido, sfalci, potature – producendo compost ed energia.

A queste evoluzioni del Prb «vogliamo – ha poi aggiunto Rossi – accompagnare un piano attuativo relativo in particolare ai problemi dei rifiuti dei nostri distretti industriali: carta, cuoio, tessile». Al proposito il presidente cita l’esempio della carta: «Ne raccogliamo ogni anno 200mila tonnellate, mentre il fabbisogno delle cartiere di Lucca supera il milione di tonnellate. Dovremo capire se l’attuale 200mila possa diventare 400mila. Con i distretti della Toscana – aggiunge – apriremo una serie di tavoli, lo abbiamo deciso nell’ultima Giunta, per concordare modalità di raccolta e di riuso (o meglio riciclo, ndr) dei materiali provenienti sia dai rifiuti urbani che dai rifiuti speciali». Senza escludere «che in qualche caso, come dicono i regolamenti europei, sia necessaria la valorizzazione energetica per chiudere il ciclo produttivo». Proprio il riciclo della carta ad opera delle cartiere, ad esempio, ha attualmente in questa mancata chiusura del cerchio una delle difficoltà più significative nel portare avanti il lavoro.

Più in generale, come riassume l’Agenzia di informazione della Giunta regionale, sono quattro i cardini su cui poggerà il nuovo Prb, che riportiamo di seguito testualmente:

– incentivare, attraverso gli Ato ed i gestori, le famiglie per migliorare la quantità e la qualità della raccolta differenziata

– incentivare la “domanda” di materia recuperata attraverso la raccolta differenziata da parte del sistema produttivo regionale. In particolare da parte dei principali distretti produttivi della carta, del cuoio e del tessile

– assicurare la chiusura dei cicli di produzioni toscani attraverso il riconoscimento di una priorità negli impianti toscani che trattano rifiuti speciali

– stimolare la ricerca e l’innovazione tecnologica in materia

fonte: www.greenrepot.it