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Terminato tra gli applausi il progetto didattico-teatrale ROARR per le scuole primarie di Toscana, Umbria e Marche

Si è tenuto il saggio conclusivo di ROARR! Risparmia, ricicla...ruggisci! - percorso innovativo integrato di didattica digitale e laboratoriale per la costruzione delle competenze chiave di cittadinanza rivolto alle classi I, II, III delle scuole primarie di Toscana, Umbria e Marche.












Si è tenuto mercoledì 9 giugno 2021 il saggio conclusivo di ROARR! Risparmia, ricicla…ruggisci! – percorso innovativo integrato di didattica digitale e laboratoriale per la costruzione delle competenze chiave di cittadinanza rivolto alle classi I, II, III delle scuole primarie di Toscana, Umbria e Marche.

Il progetto, giunto alla quarta edizione, nasce dalla collaborazione tra Straligut Teatro e Estra Spa ed è sostenuto da Corepla e Ricrea per i temi legati alla corretta raccolta differenziata degli imballaggi in plastica e acciaio, il loro avvio a riciclo, le buone pratiche di sostenibilità ambientale.

Le classi vincitrici dell’edizione 20-21 hanno messo in scena un’originale versione del “Mago di Oz” raccontando a modo proprio la celebre fiaba che narra del viaggio di Dorothy, il leone codardo, lo spaventapasseri senza cervello e il boscaiolo di latta verso i loro desideri. Anche i costumi, le maschere e gli elementi di scena sono frutto della fantasia degli alunni, che hanno realizzato in prima persona ogni oggetto riciclando materiali e riutilizzando in modo creativo quel che avevano a disposizione in classe e a casa.

Nell’intervallo tra gli atti della rappresentazione, i video realizzati dalla Compagnia teatrale Kanterstrasse sulla raccolta differenziata di imballaggi in plastica e acciaio.



fonte: www.ecodallecitta.it


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Arriva la prima tariffa rifiuti calcolata sulla CO2 prodotta

La rivoluzione parte da un piccolo Comune marchigiano, Terre Roveresche, che per la prima volta in Italia premierà i cittadini che producono meno rifiuti e differenziano meglio, facendoli pagare in base all’impronta di carbonio della loro spazzatura





La tariffa puntuale tende una mano alla decarbonizzazione e alla lotta climatica. Succede a Terre Roveresche, nella Marche, dove per la prima volta in Italia si applicherà una tariffa rifiuti legata alla CO2 prodotta. L’iniziativa arriva al termine di un progetto pilota chiamato Carbon WastePrint, coordinato dall’ingegnere Andrea Valentini dello studio associato Waste Lab e da Luca Belfiore di Altraleonia e condotto col supporto dell’app utility per la raccolta differenziata Junker.

L’obiettivo di Carbon WastePrint era ambizioso. Il progetto mirava a creare una nuova metodologia di calcolo che permettesse di identificare e quantificare i comportamenti delle utenze nella gestione dei propri rifiuti, sia in termini di prevenzione che di raccolta differenziata. Confrontando in questo modo la differenza di impatto tra le diverse azioni attraverso la conversione in un unico parametro di riferimento: la CO2 prodotta (o evitata).

Il risultato è un modello certificato che nel 2019 è stato testato per la prima volta in due comuni italiani: Mompeo (RI) e Terre Roveresche (PU). Oggi, ad un anno dalla sperimentazione, il piccolo comune marchigiano e i suoi 5mila abitanti sono pronti ad adottare la nuova tariffa rifiuti basata sulla CO2.

Come funziona la tariffa rifiuti basata sulla CO2?

L’amministrazione locale ha approvato un nuovo regolamento che rende questa innovazione attiva dal primo gennaio 2021. Nel dettaglio, il prossimo anno, la tariffa rifiuti sarà calcolata a partire dalla quantità di differenziata e da eventuali riduzioni dei volumi di spazzatura prodotta. Come sarà reso possibile alla pratica? Attraverso la distribuzione di bidoncini dotati di tag RFID, che contabilizzeranno ogni conferimento per ogni singola tipologia di scarto. Quindi basterà moltiplicare tali quantità per opportuni fattori di emissione, determinando così la CO2 generata da ogni utenza.

“Grazie a questo metodo – spiega Andrea Valentini – anche le buone pratiche legate al mondo del riuso o contro lo spreco alimentare troveranno soddisfazione economica nel computo della tariffa. Ma, soprattutto, gli utenti avranno immediata consapevolezza di quale azione, nella propria gestione dei rifiuti, comporti minori impatti ambientali e quindi maggiori vantaggi economici, incentivando così un miglioramento continuo dei propri comportamenti, che è lo spirito stesso dell’economia circolare”.

Fondamentale, sia per la fase di test che per quella operativa del prossimo anno, il supporto innovativo di Junker, l’app utility smart per la raccolta differenziata più usata dagli italiani. L’applicazione ha reso possibile il coinvolgimento, diretto e interattivo, della cittadinanza in tutte le fasi della sperimentazione. E per motivare gli utenti, ha lanciato una vera e propria “sfida” a premi, chiedendo di effettuare una separazione dei rifiuti particolarmente attenta e di comunicare per tempo la necessità (o meno) di ritiro dei propri rifiuti nel rispetto del calendario delle raccolte. Queste iniziative, insieme ai dati raccolti, hanno consentito di validare il modello in base alla metodologia certificata “Carbon WastePrint”.

Nella sola fase di sperimentazione, nel 2019, a Terre Roveresche è stata certificata una riduzione di 2.352 tonnellate di CO2 derivanti dalla gestione dei rifiuti. Parallelamente, l’attivazione di processi virtuosi ha permesso al Comune di risparmiare 15mila euro, risorse che saranno restituite entro la fine dell’anno ai cittadini più meritevoli.

fonte: www.rinnovabili.it

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Bike Tour della Decrescita 2020















QUESTO link si trova il modulo da compilare per la richiesta di partecipazione alla pedalata del Bike Tour della Decrescita 2020 che andrà dal 10 al 19 luglio, dall’Aquila a Ripe San Ginesio (e Civitanova Marche sul mare).
Se dovete iscrivere PIU’ DI 1 PERSONA, COMPILATE PIU’ MODULI.Il costo dell’iscrizione è comprensivo di:
• Tessera dell’anno associativo 2020 del Movimento per la Decrescita Felice (MDF)
• ALCUNI pernottamenti lungo il percorso*
• ALCUNI pasti offerti dalle realtà che ci accolgono o da MDF*
*Altri pernottamenti (sempre con opzione economica in tenda) e pasti saranno a pagamento.

Solo se non ti sei ancora tesserato a MDF per il 2020, compila anche
questo form.

Le due formule di iscrizione sono, per chi compila il presente modulo ENTRO IL 31 MAGGIO:
Quota ORDINARIA: quota di iscrizione 60 euro
Quota SOSTENITORE*: quota di iscrizione 100 euro
Quota RIDOTTA**: iscriviti e troviamo una soluzione insiemePer chi compilasse il modulo DOPO IL 31 MAGGIO:
Quota ORDINARIA: quota di iscrizione 90 euro
Quota SOSTENITORE*: quota di iscrizione 120 euro
Quota RIDOTTA**: iscriviti e troviamo una soluzione insieme*la quota sostenitore prevede una quota aggiuntiva che permetterà la partecipazione anche a chi ha meno possibilità, e che sosterrà unicamente i costi dell’organizzazione del Bike Tour o di attività di MDF.**IMPORTANTE: se hai difficoltà a pagare qualsiasi di queste cifre, iscriviti lo stesso e spunta la voce “Quota RIDOTTA” nella domanda apposita. Ti contatteremo per trovare insieme una soluzione decrescente.

 CLICCA QUI PER ISCRIVERTI AL BIKE TOUR

ATTENZIONE: l’iscrizione non è automatica perché i posti sono limitati e sarà data precedenza a chi è già tesserato MDF, a chi parteciperà al Bike Tour per un numero superiore di giorni, e a chi si è iscritto in precedenza.
Ci faremo sentire per concludere l’iscrizione!
Per chi volesse ULTERIORI INFORMAZIONI:
evento Facebook – www.facebook.com/events/600484144125393/
pagina del Bike Tour – www.facebook.com/biketourdecrescita/
e-mail: biketour.decrescita@gmail.com

fonte: http://www.decrescitafelice.it

Foodbusters: acchiappacibo in azione per salvare gli avanzi degli eventi

Recuperare il cibo avanzato degli eventi, in particolare dei matrimoni, per donarlo a chi ne ha bisogno. Un’idea semplice ma necessaria in un momento storico in cui regna il paradosso della povertà alimentare e dello spreco di cibo, che proprio in alcune occasioni raggiunge livelli elevatissimi. Ne abbiamo parlato con Diego Ciarloni, portavoce di Foodbusters, la prima associazione di recupero cibo delle Marche e tra le primissime in Italia.


















Immaginatevi la scena: il vostro giorno più bello, programmato nei minimi dettagli, finalmente la festa può iniziare. Tutto è perfetto proprio come ve lo eravate immaginato, la location, l’atmosfera, i fiori, la musica e i vostri invitati che condividono con voi questa gioia. Ovunque ci sono prelibatezze, il buffet degli antipasti, i vari angoli a tema, i dolci. La parola d’ordine è: abbondanza.
A fine evento, quando avete salutato tutti e iniziate a pensare alla luna di miele nel lasciare il ristorante, vi rendete conto che di tutte quelle prelibatezze, molte sono ancora intatte nei vassoi e notate la grande quantità di cibo avanzato. Riflettete sul fatto che molto probabilmente tutto questo ben di Dio verrà buttato via. E poi vi viene un’idea: perché non donare tutto quello che è avanzato a chi ne ha bisogno?
Molte persone oggi sono in seria difficoltà economica, anche chi fino al giorno prima aveva una vita “normale” può ritrovarsi per una serie di eventi a non riuscire a mettere insieme tre pasti al giorno. Di contro le statistiche parlano chiaro: in Italia gli sprechi alimentari superano i 15 miliardi di euro all’anno.
Un aiuto concreto si può dare. Nelle Marche c’è un gruppo di persone che hanno fondato la prima associazione Onlus di recupero del cibo, fra le primissime in Italia. Abbiamo incontrato il portavoce di Foodbusters, Diego Ciarloni, ed ecco cosa ci ha raccontato.
Quando e come è nato il progetto?
Il progetto è nato nel 2016 da un gruppo di amici. Una sera mi sono trovato a parlare con una signora con gravi problemi di salute che si è ritrovata all’improvviso senza lavoro e in seria difficoltà. Mi ha raccontato che lei ed altre persone nella sua situazione hanno trovato un grande aiuto da un fruttivendolo e un macellaio della loro zona che a fine serata, dona loro quanto è avanzato.
Mi è quindi venuta l’idea, pensando ai retroscena degli eventi, soprattutto i matrimoni, dove spesso avanza una grande quantità di cibo che quasi sempre viene buttata via. Ho sentito l’urgenza di fare qualcosa di concreto, sono tornato a casa e ne ho parlato con mia moglie e con una coppia di amici e così ci è venuta l’idea.
E poi?
E poi abbiamo dovuto pensare a come poterlo fare concretamente perché sappiamo bene che non basta prelevare il cibo avanzato ma bisogna fare in modo che arrivi a destinazione rispettando tutte le norme igienico sanitarie.
Come avviene il vostro lavoro?
Previo accordo con gli sposi o con gli organizzatori dell’evento, ci rechiamo personalmente a evento finito e ci occupiamo della raccolta del cibo cotto, prestando particolare attenzione alla suddivisione in base alle esigenze alimentari delle persone, per cui stiamo attenti a dividere le pietanze senza glutine o vegetariane. Utilizziamo guanti di protezione, contenitori di alluminio termici e antibatterici. Una volta terminata la raccolta, lo consegniamo personalmente alla mensa sociale più vicina.
In base a quali criteri avviene la distribuzione?
Abbiamo mappato le mense sociali in modo da individuare la mensa più vicina alla location dell’evento garantendo così che il cibo arrivi il più velocemente possibile e inoltre, chiunque si trova in difficoltà, visitando il nostro sito può sapere dove si trovano le mense non trovandosi così nella situazione di dover chiedere.
In che modo chi organizza l’evento può aiutarvi?
Noi chiediamo un contributo di 1 euro a persona, parlando con gli sposi o gli organizzatori degli eventi, forniamo tutto il materiale informativo e diamo la possibilità di usare il nostro logo e i nostri riferimenti. Potranno così spiegare ai loro invitati, che ci stanno dando una mano concreta, che il loro giorno speciale lo sarà ancora di più perché avranno la possibilità di aiutare chi è meno fortunato.
In quali altri modi cercate di sensibilizzare le persone a questo argomento?
Andiamo agli eventi, alle fiere e soprattutto nelle scuole dove parliamo con i ragazzi. Li coinvolgo, lancio loro delle “sfide” e gli chiedo di partecipare attivamente allo spreco alimentare, l’ultima volta ho ricevuto una telefonata da una maestra che mi ha messo in viva voce i ragazzi che in coro mi hanno detto: “Sfida accettata”! Andiamo inoltre nelle università parlando con chi fa ricerca e proponendo loro di lavorare a progetti che affrontano questo problema reale.
Un evento particolare?
Una volta siamo andati ad un matrimonio, a fine evento e siamo entrati cercando di dare nell’occhio il meno possibile, non volevamo disturbare o creare imbarazzo. All’improvviso abbiamo sentito un applauso e al momento ho pensato che forse gli sposi stavano entrando in cucina per qualche ragione e l’applauso fosse per loro. Dopo qualche minuto ho capito che gli invitati stavano applaudendo noi, è stato bello, abbiamo sentito tutto il loro sostegno.
Quali sono invece le difficoltà?
Purtroppo ne abbiamo trovate parecchie, altrimenti non si chiamerebbe “lotta allo spreco”. Abbiamo ricevuto molte porte in faccia, persone che non vedono quanto sia reale e grave questo problema e che riguarda tutti noi. Inoltre spesso le persone non comprendono come mai richiediamo un contributo. Ci tengo a precisare che di tutto quello che raccogliamo noi non tratteniamo assolutamente nulla. Chiunque può vedere che documentiamo online in tempo reale sia il ritiro che la consegna del materiale.
Il contributo ci serve per poter affrontare i costi che dobbiamo sostenere per portare a termine ogni ritiro e consegna. Spesso non ci riusciamo e non è raro che ci rimettiamo del nostro, spesso abbiamo macinato chilometri in piena notte per recuperare cibo che altrimenti sarebbe finito in discarica. Ci crediamo, abbiamo un sogno e quindi andiamo avanti.
Quali sono i prossimi progetti?
Gli scenari in cui il cibo viene sprecato sono moltissimi, oltre agli eventi stiamo cercando di sensibilizzare i ristoranti, gli hotels e i supermercati. Vorremmo far capire loro che il valore aggiunto è enorme. Oltre a dare un contributo concreto donando il cibo avanzato a chi ne ha bisogno, renderanno i loro clienti consapevoli che la loro azienda è a favore della lotta allo spreco e inoltre, avranno un potenziale risparmio sui tributi comunali.
Ma si può fare ancora di più.
Cioè?
Pensa a come sarebbe se grazie a questo contributo che chiediamo ci fosse la possibilità di creare un nuovo lavoro magari proprio per chi è disoccupato: il “recuperatore”, una persona che recupera il cibo e lo consegna direttamente a casa delle persone anziane in difficoltà. Molte di loro hanno problemi seri e non hanno più la forza né di fare la spesa, né di cucinare.
Così facendo il recuperatore consegna fino alla loro porta di casa del cibo pronto creando così un circolo virtuoso: il potenziale alimento-rifiuto mantiene le sue qualità intatte divenendo una risorsa che sfama e offre anche un’occasione di reintegro sociale creando valore etico.
Cosa può fare il singolo?
Ognuno di noi può fare piccole azioni per evitare lo spreco. Piccoli gesti quotidiani che facciamo inconsapevolmente ma che possono fare una grande differenza. Un esempio? Al supermercato scegliete prodotti vicini alla scadenza, sarete così più attenti a consumarli per primi anziché lasciarli nel frigo fino alla scadenza e come spesso accade buttandoli via senza averli consumati.
A una pizzata tra amici, anziché ordinare qualcosa mentre si aspetta, sforzatevi di aspettare che vi arrivi quello che avete ordinato e se proprio desiderate prendere qualcos’altro, fatelo dopo che avete terminato la prima portata. Spesso ho visto tornare indietro pizze quasi intere perché ci si era riempiti con i vari antipasti e stuzzichini durante l’attesa oppure, pratica che inizia per fortuna a prendere piede anche da noi, non abbiate timore di chiedere il doggy bag.
Avete un motto?
Certo: “Non salviamo il mondo ma insieme possiamo provarci”.
fonte: www.italiachecambia.org

Dall’alveare alla vigna: l’agricoltura resiliente affronta il clima che cambia

I cambiamenti climatici stanno già alterando i delicati equilibri annotati da decenni nei quaderni di apicoltori e vignaioli, mettendo a rischio la sicurezza alimentare. Le storie di chi si sta adattando, dal Trentino-Alto Adige alle Marche



















All’inizio degli anni Novanta l’apicoltore trentino Andrea Paternoster aveva immaginato un modello di azienda resiliente: oggi le 1.200 arnie di Mieli Thun (mielithun.it), che ha sede a Vigo di Ton (TN), in Val di Non, hanno a disposizione 60 diverse postazioni in dieci Regioni. “Non sono tutte contemporaneamente attive -racconta Paternoster-, ma così facendo credevo che sarei stato esonerato dalle ‘bizzarrie del tempo’. Non è così, però: sono tre anni, ad esempio, che non riusciamo a produrre il miele di tarassaco sull’Altipiano di Asiago, uno dei più pregiati. Quest’anno durante la fioritura, che arriva subito dopo quella del melo, intorno a metà maggio, ci sono stati tre giorni a -9 gradi. Una gelata che brucia le piante e ucciderebbe le api. Non le abbiamo nemmeno portate”. Gli eventi estremi mettono in crisi anche un modello aziendale come quello di Mieli Thun: adesso che è possibile fare un bilancio per il 2019, i numeri sono spietati: se in media Paternoster produce ogni anno 400 quintali di miele, quest’anno lo ha chiuso con appena 80.
L’apicoltura è una spia rossa che lampeggia: “L’ape è il punto di contatto tra mondo vegetale e mondo animale, un animale aereo che non tocca mai terra e vive del nettare delle piante, che è il suo nutrimento” sintetizza Paternoster. In gioco c’è la nostra sicurezza alimentare. Lo dice in modo chiaro un rapporto presentato ad agosto 2019 dal Gruppo intergovernativo di lavoro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (IPCC), e dedicato agli effetti dei cambiamenti climatici sull’agricoltura e gli ecosistemi, temi che sono al centro della COP25, la conferenza ONU sul climate change in programma a Madrid dal 2 al 13 dicembre (unfccc.int/cop25): il riscaldamento globale, aggravato dalla siccità, ha già causato una riduzione della produttività nell’Europa meridionale; il cambiamento climatico sta minacciando la sicurezza alimentare nelle zone aride del Pianeta, in particolare in Africa, e nelle regioni montuose dell’Asia e del Sud America.
L’idea di apicoltura nomade di Mieli Thun era nata con due obiettivi: il primo, qualitativo, era quello di raccontare attraverso mieli monorigine i diversi areali di produzione, “e far così emergere le speficità territoriali che siamo abituati a ricercare nelle altre produzioni agroalimentari, in particolare per il vino” spiega Paternoster; il secondo motivo anticipava ciò che oggi emerge con chiarezza: “Se avessi avuto le api in tanti luoghi diversi -racconta l’apicoltore trentino- sarei riuscito a fare quello che fanno i contadini in tutta Italia, quando scelgono di acquistare o affittare appezzamenti in zone diverse, per tenersi al riparo da una gelata, dall’esondazione di un fiume, da una grandinata”. Nel catalogo di Mieli Thun si trovano il miele di abete e quello di bosco, il miele di cardo e di coriandolo, quello di melo e di arancio.
Trent’anni dopo, Andrea Paternoster sa di non esser riuscito a proteggere la sua azienda dagli effetti del cambiamento climatico. Oggi diventa difficile, per un apicoltore, programmare il percorso dell’annata, come fa un pastore transumante. “Esistevano condizioni standard, in merito alla fioritura e allo spostamento delle api, annotate nei nostri quaderni di campagna, ma oggi capitano cose imprevedibili”. Nella primavera del 2019, ad esempio, ci sono stati ben 40 giorni di blocco di volo delle api: gli insetti non sono usciti a raccoglie il nettare per motivi legati al clima, nel periodo di fioritura dell’acacia, e secondo l’ISMEA (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) questo ha causato una riduzione della produzione del 40 per cento. “L’acacia per un apicoltore è come l’etichetta ‘base’ per un vignaiolo: è fondamentale per l’equilibrio economico aziendale” sottolinea Paternoster. La cosa assolutamente non comune, spiega, è che il blocco, e la mancata produzione, abbia coinvolto Cuneo e Pavia, Verona e Treviso, Trieste e la Sicilia, dove il vento di tramontana ha disidratato i fiori d’arancio, che non avevano nettare. “Il problema non è solo di mancata produzione: ho usato ottanta quintali di miele, quello delle prime fioriture primaverili, per alimentare le api, ed abbiamo avuto problemi comunque. Gli insetti che han subito uno stress alimentare, in un periodo dell’anno che è come l’adolescenza di un mammifero, restano in difficoltà per sempre, e così -racconta Paternoster- non hanno prodotto nemmeno nella stagione più clemente”.
“Esistevano condizioni standard, in merito alla fioritura e allo spostamento delle api, ma oggi capitano cose imprevedibili” – Andrea Paternoster
Se l’apicoltore trentino ha almeno trent’anni d’esperienza, il vignaiolo Corrado Dottori -milanese trapiantato a Cupramontana (AN), nelle Marche- ha superato nel 2019 le venti vendemmie. La sua azienda si chiama La Distesa (ladistesa.it), e insieme con altri produttori ha dato vita alla rete terroirMarche (terroirmarche.com, vedi Ae 184). A ottobre Dottori ha pubblicato un libro, in cui racconta l’ecologia vista da un vigna: s’intitola “Come vignaioli alla fine dell’estate” (DeriveApprodi). “Ormai anche gli inverni e le estati che ci sembrano in linea, sono mediamente più caldi: questo è evidente nel ciclo della vite, con le fioriture anticipate. La pianta comincia a ‘muoversi’ sempre prima, ponendoci a rischio di gelate tardive. Un altro metro per misurare i cambiamenti in atto riguarda il regime delle piogge: la nostra sarebbe una Regione temperata, nel Centro Italia, ma ci stiamo tropicalizzando: a maggio di quest’anno ci sono stati tra i 20 e i 22 giorni iniziati col beltempo al mattino, e scossi da uno ‘sciacquone’ nel pomeriggio. Poi a giugno, di colpo non ha fatto una goccia d’acqua, in tutto il mese”.

Corrado Dottori, titolare dell’azienda “La Distesa” insieme alla moglie Valeria Bochi tra le vigne di Cupramontana (AN). Con altri produttori ha dato vita alla rete “terroirMarche” – © Paula Prandini

Anche il titolo del libro, “Come vignaioli alla fine dell’estate”, rimanda a un evento estremo, la grandinata (che a fine estate distrugge il raccolto pronto per la vendemmia), un tema contadino: “Ne ho contate cinque o sei nei primi quindici anni, mentre adesso capita due o tre volte l’anno, tutti gli anni. Colpa di un atmosfera che è più calda” sottolinea Dottori.
Nel medio periodo, gli effetti già misurabili sono anche altri, e riguardano il vitigno e i vigneti: “Il Verdicchio (è il vitigno a bacca bianca più diffuso a Cupramontana, da cui si ricava il Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC) negli ultimi cinque anni ha perso un punto di acidità in media, quasi un 20 per cento dell’acido tartarico complessivo. Questo significa che puoi acidificare il vino, come fanno i produttori ‘industriali’, ma se lavori in naturale hai ben pochi margini, se non quello di anticipare un po’ le vendemmie, di piantare in zone più fresche o di affittare parcelle in zone più alte a livello altimetrico. In termini di denominazione, però, questa mutazione cambia il vino -spega Corrado Dottori-. Il clima che cambia, quindi, ha necessariamente un impatto sul concetto di terroir, sul mito del terroir, cioè l’identificazione tra vitigno e territorio. Per assurdo, non sarà più possibile coltivare con successo determinati vitigni nei luoghi dove li abbiamo conosciuti e dove siamo abituati a collocarli”.
In Emilia-Romagna c’è chi si sta misurando da un paio d’anni con la coltivazione di nuove varietà orticole “migranti” per valutarne la capacità di adattamento di fronte alla (prossima) scarsità idrica. Il progetto Semìno (semino.org) è coordinato da Kilowatt, cooperativa di lavoro e incubatore di idee ad alto impatto sociale e ambientale. In autunno nei campi ci sono pak choi, tatsoi e brassica mizuna, mentre nel ciclo di primavera c’erano gombo/okra, fagiolo dall’occhio, curcuma, edamame, shiso. Brassicacee, leguminose, radici che arrivano da Africa, America Latina, Asia e Medio Oriente. “Siamo partiti da mezzo ettaro, l’anno scorso, con la prima sperimentazione, ed oggi coltiviamo un ettaro e mezzo” racconta Samanta Musarò. Una collaborazione con la facoltà di Agraria dell’Università di Bologna permette di misurare la Water Use Efficiency (WUE), un’analisi che s’è concentrata sull’okra, originaria del continente africano. “La WUE è specifica di ogni pianta e si ottiene dal rapporto tra produzione e acqua utilizzata durante il ciclo produttivo -spiega Musarò-. Nel terreno dedicato alla sperimentazione sono state create tre aiuole diverse: una veniva irrigata con 100 litri, che è quanto consigliato dai disciplinari, le altre con 50 e 25 litri. La resa migliore l’hanno avuta le piante che hanno ricevuto il 50% di acqua”. Dopo il primo anno, con la coltivazione nei campi della cooperativa sociale Pictor, la rete s’è allargata a due altre aziende bolognesi, Floema e Holerialla, e ad una Ong di Perugia, Tamat, che ha un progetto di agricoltura sociale sul territorio. “Holerialla è una piccola azienda che si occupa di ‘microgreen’ (la coltivazione di germogli). Tra i collaboratori c’era un migrante del Pakistan, e l’ingresso nella rete permette alla titolare di rispondere a una richiesta del collaboratore, quella di poter coltivare prodotti che conosce di più”. L’inclusione sociale resiliente.
fonte: https://altreconomia.it

Le Marche saranno plastic free, è la prima regione italiana a recepire la direttiva europea per il divieto delle plastiche monouso















ANCONA – “Primi in Italia! La politica ambientale della Regione Marche, basata su fatti concreti in difesa dell’ambiente e dell’economia circolare, dopo la legge sulle plastiche in mare, la legge sulla tariffa puntuale della raccolta differenziata, la battaglia contro l’inceneritore, si è arricchita di un nuovo fatto concreto: ieri è stata approvata all’unanimità da parte del Consiglio regionale la legge sulla riduzione dei rifiuti derivati dalla plastiche”: lo dichiara con soddisfazione l’assessore all’ambiente, Angelo Sciapichetti, che aggiunge: “Con l’approvazione di questa legge, le Marche sono la prima regione d’Italia a recepire la direttiva europea per il divieto delle plastiche monouso. Una scelta giusta doverosa e concreta, proprio come noi marchigiani”. Regione, Provincie e Comuni, Società partecipate, strutture sanitarie pubbliche e private accreditate, istituti e mense scolastiche, chiunque svolga attività economica in area demaniale marittima o organizzi eventi e sagre, avvalendosi di patrocinio o contributo regionale, non potrà più utilizzare prodotti in materiale plastico monouso (piatti, bicchieri, posate..). La legge diverrà operativa dal novembre 2019 mentre ci sarà tempo fino al 31 marzo 2020 per consumare le scorte. La nuova disposizione prevede anche il divieto di fumo nei tratti di arenile se non sono provvisti di appositi contenitori per la raccolta dei filtri. “Questa scelta oltre a disciplinare le modalità di utilizzo dei prodotti di plastica, favorisce uno sviluppo sostenibile e diffonde una nuova prospettiva di valore, basilare, per una società culturalmente e socialmente più sensibile” conclude l’assessore.

fonte: http://www.marchetoday.it

Spiagge senza filtro nelle Marche, campagna contro i mozziconi



















Lanciata la campagna di sensibilizzazione #spiaggesenzafiltro da parte di Arpa Marche, assieme a Regione Marche, ANCI e Marche Tourism, per sensibilizzare i cittadini sul tema della nocività dei mozziconi delle sigarette in modo che gli stessi non vengano abbandonati sulle spiagge.
Oltre a non essere biodegradabili, i mozziconi di sigaretta gettati a terra possono essere fonte di inquinamento per il suolo, oltre che per l’acqua, a causa della fuoriuscita di nicotina e catrame rimasti all’interno del filtro.
I mozziconi dei circa 80 milioni di chilogrammi di sigarette fumate in Italia ogni anno dai 13 milioni di fumatori italiani hanno un peso di oltre 20 mila tonnellate, poche rispetto ai quasi 35 milioni di tonnellate dei rifiuti solidi urbani, ma moltissime se si pensa al potenziale inquinante di tali mozziconi, dispersi dovunque.
D’altra parte l’abbandono incontrollato dei rifiuti (ed i mozziconi di sigaretta lo sono), oltre che un gesto di inciviltà che danneggia l’ambiente e noi stessi, è un reato che ( ai sensi del D.Lgs. 152/2006) prevede una sanzionzione amministrativa da 30 a 150 euro per rifiuti di piccolissime dimensioni (es. scontrini, fazzoletti di carta e gomme da masticare) abbandonati sul suolo, nelle acque, nelle caditoie e negli scarichi.
La sanzione è aumentata fino al doppio in caso di mozziconi dei prodotti da fumo.
Il rapporto Beach Litter 2019 di Legambiente ha collocato i mozziconi di sigaretta al 4° posto per oggetti rilevati nelle nostre spiagge, ben 77 ogni 100 metri.
Anche il monitoraggio ufficiale, effettuato dal Snpa ai sensi della Strategia Marina dell’UE, prevede il censimento dei rifiuti spiaggiati (modulo 4) e fra questi i mozziconi di sigaretta (IT32).
Quando si pensa all’inquinamento da plastica, raramente si associa quello che effettivamente è l’oggetto più inquinante di tutti: i filtri di sigarette. Questi, per la loro composizione e per il diffusissimo malcostume di gettarli per terra, sono diventati un problema da risolvere urgentemente.
Numerosi studi scientifici hanno dimostrato che i mozziconi di sigaretta hanno effetti tossici su diversi microrganismi, sugli insetti e soprattutto sugli organismi acquatici, inclusi i pesci. In particolare sul tema si segnala il rapporto “Tobacco and its environmental impact: an overview” pubblicato nel 2017 dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

I mozziconi sono costituiti in gran parte dal filtro, un insieme di fibre di acetato di cellulosa disposte in modo da offrire un ostacolo alle sostanze trascinate dal fumo delle sigarette verso la bocca e i polmoni dei fumatori. Il colore bruno dei mozziconi è dovuto alle sostanze trattenute, principalmente nicotina e un insieme di composti che rientrano nel nome generico di “catrame”: metalli tossici fra cui cadmio, piombo, arsenico e e i pericolosissimi idrocarburi aromatici policiclici, alcuni altamente cancerogeni, acido cianidrico, ammoniaca, acetaldeide, formaldeide, benzene, fenoli.
Il filtro è composto di un materiale chimico sintetico che è molto resistente. Dunque, in condizioni normali, saranno necessari dai 5 ai 12 anni di tempo per distruggere il filtro che, in questo periodo, potrebbe non solo sporcare la spiaggia ma anche provocare effetti dannosi su terreni e microrganismi.
Dal punto di vista numerico, i mozziconi di sigaretta sono il rifiuto singolo più abbondante sulla Terra: su scala globale, ogni giorno, ne vengono dispersi nell’ambiente più di 10 miliardi. Il problema è che poi impiegano anni a decomporsi.
fonte: http://www.snpambiente.it/

Seabin, il cestino mangia rifiuti marini, arriva nelle Marche

Anche le Marche scendono in prima linea nella lotta contro i rifiuti marini con l’installazione del dispositivo mangia rifiuti Seabin nel porto di Fano, cui seguirà anche quella nel porto di San Benedetto del Tronto




















Il cestino mangia rifiuti marini approda anche nelle Marche. Si chiama Seabin ed è il sistema inventato da una coppia di surfisti australiani, Andrew Turton e Pete Ceglinski, per abbattere l’inquinamento marino, dovuto principalmente a scarti e residui di plastica. Ne avevamo già parlato più o meno un anno fa ai tempi della prima installazione nel porto britannico di Portsmouth; da oggi l’innovativo sistema mangia rifiuti sarà operativo anche a Marina dei Cesari, nel porto di Fano.

Progettato senza intaccare la sicurezza della fauna marina, Seabin si comporta come una sorta di aspirapolvere galleggiante: dotato al suo interno di un sacchetto in fibre naturali, il cestino è azionato da una pompa ed è in grado di raccogliere i rifiuti che galleggiano in acqua di superficie, comprese le microplastiche e i mozziconi di sigaretta. A seconda del vento e della quantità dei detriti, Seabin è attivo 24 ore al giorno e riesce a catturare circa 1,5 kg di rifiuti; non potendo essere installato in mare aperto, proprio perché richiede un collegamento elettrico, il cestino mangia rifiuti risulta straordinariamente efficace in aree come i porti.

All’installazione nel porto di Fano di Seabin (che rientra nel più vasto progetto promosso da LifeGate, PlasticLess), ne seguirà un’altra nel Circolo nautico di San Benedetto del Tronto, entrambe sostenute da Whirlpool EMEA. “Siamo molto orgogliosi – ha commentato la responsabile comunicazione e marketing di Marina dei Cesari, Maura Garofoli – di essere stati scelti da grandi nomi internazionali come Whirlpool e LifeGate per la sperimentazione di Seabin nel nostro porto. Questo conferma la validità del nostro impegno nell’opera di sensibilizzazione in difesa del mare portata avanti fin dalla nascita nel 2003 e rafforzata in questi ultimi anni insieme alla rete MPN Marinas di cui facciamo parte e al progetto europeo Clean Sea Life”.


Quella nel porto di Fano è la quinta installazione di Seabin in Italia. Seabin è già operativo a Santa Margherita Ligure (GE), nell’Area Marina Protetta di Portofino (GE), nel Porto delle Grazie a Roccella Ionica (RC) e a Venezia Certosa Marina (VE); dopo Fano e San Benedetto del Tronto, sarà la volta anche di Marina di Cattolica (RN), Marina di Varazze (SV) e un secondo dispositivo per il Venezia Certosa Marina (VE).

fonte: http://www.rinnovabili.it