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Pesticidi fantasma: scoperte nuove sostanze nel terreno che sfuggono a tutti i controlli
















Uno studio condotto dall’Istituto per la diagnosi ambientale e gli studi sulle acque (IDAEA-CSIC), del Consiglio superiore per la ricerca scientifica (CSIC), in collaborazione con l’Università svedese di scienze agrarie (SLU) ha scoperto 24 nuove sostanze derivate dalla degradazione di pesticidi che fino a oggi non sono mai state rilevate nell’ambiente. In pratica nessuno, fino ad ora le cercava, non supponendone l’esistenza. E non si tratta di molecole innocue, visto che secondo la ricerca gli effetti tossici possono superare quelli dei pesticidi da cui si originano.

Non solo. Al contrario dei fitofarmaci da cui derivano, queste molecole non sono regolamentate, come è ovvio, visto che non se ne supponeva l’esistenza.

Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Environmental Science & Technology, e spiega queste presenze come prodotti di trasformazione che si formano da reazioni chimiche una volta applicati i pesticidi. “Le quantità trovate possono rappresentare un chiaro rischio ambientale, considerata la tossicità di queste sostanze. Questi composti hanno una maggiore capacità di dispersione rispetto ai pesticidi originari e possono raggiungere le falde acquifere da cui viene estratta l’acqua potabile. Questa capacità, insieme al fatto che la presenza nell’ambiente non è monitorata, può rappresentare un rischio per la salute umana”, afferma Pablo Gago Ferrero, ricercatore CSIC presso IDAEA-CSIC e coordinatore del progetto.

La ricerca ha utilizzato una nuova metodologia per il rilevamento di queste sostanze utilizzata in Svezia. Il lavoro ha unito la chimica analitica per identificare nuovi prodotti di trasformazione dei pesticidi, anche a concentrazioni minime nell’ambiente, insieme a una revisione sistematica della distribuzione dei pesticidi nel territorio effettuata dai programmi di monitoraggio ambientale europei.

“Gran parte dei nuovi sottoprodotti rilevati ha superato le concentrazioni dei pesticidi originali da cui si sono formati, con tossicità stimate più elevate. Questo studio mostra che, nonostante l’esistenza di potenti sistemi di controllo ambientale, vengono omesse sostanze con effetti nocivi sull’ambiente”, sottolinea Gago Ferrero.

In alcuni casi, il pesticida originale non è stato rilevato sul campo dagli studiosi. Questo può portare alla convinzione errata che il pesticida non sia presente e che quindi non ci siano problemi. Tuttavia, sono presenti i prodotti di trasformazione di questi pesticidi. “La maggior parte di questi prodotti non è mai stata monitorata nell’ambiente. Inoltre, non sono stati elencati in alcun database. Come risultato di questo studio, questi composti sono stati aggiunti al database PubChem e la loro identificazione sarà d’ora in poi facile”, spiega Gago Ferrero.

Alcune di queste nuove sostanze sono già state incluse nei sistemi di controllo scandinavi e dimostrano la necessità di estendere questa iniziativa ad altri paesi. Ciò è particolarmente rilevante per i paesi con un’elevata attività agricola, come la Spagna e l’Italia, dove i pesticidi vengono utilizzati in modo intensivo ed è necessario conoscere quali sottoprodotti si stanno formando, nonché i loro potenziali effetti dannosi per un adeguato controllo e prevenzione dei rischi associati.

fonte: ilsalvagente.it/


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Stop al mancozeb. La Commissione interviene per ridurre l’uso di pesticidi pericolosi

 


La Commissione europea ha annunciato il ritiro dal mercato del mancozeb, un principio attivo presente in molti pesticidi e utilizzato in agricoltura per viti, pomodori e patate. La decisione, approvata in ottobre, scaturisce da una valutazione del rischio portata avanti dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa), che ha confermato le criticità per la salute e per l’ambiente. Il mancozeb è anche un interferente endocrino per esseri umani e animali. A questo punto gli Stati membri dovranno revocare le autorizzazioni per i prodotti fitosanitarie che lo contengono il mancozeb entro la fine di giugno.

Stella Kyriakides, Commissaria per la Salute e la sicurezza alimentare, ha dichiarato: “La protezione dei cittadini e dell’ambiente dalle sostanze chimiche pericolose è una priorità per la Commissione europea. Ridurre la dipendenza dai pesticidi chimici è un pilastro fondamentale della strategia ‘Dal produttore al consumatore’ presentata la scorsa primavera. Non possiamo accettare che nell’UE vengano usati pesticidi dannosi per la nostra salute. Gli Stati membri dovrebbero ora revocare con urgenza tutte le autorizzazioni relative ai prodotti fitosanitari contenenti mancozeb“.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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Farmaci e fitofarmaci come risultato dell’economia circolare




Laboratorio di sostanze naturali del dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali (Dafne) dell'Università degli Studi della Tuscia ha messo a punto nuovi modelli di economia circolare applicata agli scarti agricoli, per i settori farmaceutico e fitofarmaceutico.

Lo studio degli scarti del settore primario per il riutilizzo nelle più svariate applicazioni è da anni al centro del programma del Laboratorio di sostanze naturali del dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali (Dafne) dell'Università degli Studi della Tuscia.

Fin dall’antichità, sostanze naturali di tutti i tipi sono state impiegate a scopi farmacologici e terapeutici e, sebbene sia riconosciuto il potere curativo di alcune piante medicinali, il lavoro del Laboratorio si fonda sul dato certo che le piante sono una fonte di composti e molecole bioattive utilizzabili a diversi scopi. Tra questi composti un ruolo di rilievo è giocato dai metaboliti secondari, di cui fanno parte sostanze fenoliche derivanti proprio dagli scarti di alcune produzioni agricole.

Un esempio arriva dagli studi effettuati sulla pianta Actinidia Deliciosa, ovvero la pianta del kiwi, dai quali è emerso che l’estratto della buccia del frutto stesso è ricco di fenoli dal forte potere antinfiammatorio per una particolare linea cellulare umana. Allo stesso modo, l’estratto della buccia della melagrana è utile per la riduzione dello stress infiammatorio.

Accanto a questi elementi che, come detto, hanno proprietà tali da renderli adatti all’impiego nel settore farmaceutico, ve ne sono altri che si prestano a essere applicati in campo fitofarmaceutico. È in questi casi che si concretizza il modello ideale di economia circolare, in cui lo scarto proveniente dall’agricoltura è riutilizzato, eliminando la produzione di rifiuti, per alimentare il settore stesso.

Un esempio arriva dal progetto di ricerca Violin (Valorization of italian olive products through innovative analytical tools), finanziato dalla Fondazione Cariplo, il quale ha preso in considerazione lo studio degli scarti del settore oleario. Dalle analisi è risultato che da alcuni elementi di scarto della catena della produzione dell’olio è possibile ricavare un composto fenolico con proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e antimicrobiche utili per il trattamento di alcuni patogeni batterici che colpiscono l’olivo, causando perdite di rilievo nella produzione di olive.

fonte: https://www.nonsoloambiente.it

Buone pratiche per vigneti e risaie

Grande partecipazione di tecnici, coltivatori e amministratori locali ai due workshop organizzati da Arpa Piemonte, Ispra e Università̀ di Torino.














Per la transizione verso un’agricoltura che faccia sempre meno ricorso all’uso di fitofarmaci, soprattutto nei vigneti e risaie, e sia più compatibile con la tutela della biodiversità, diventa prioritario riflettere sulle strategie da adottare in linea con il Piano d’Azione Nazionale sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (DM 22/1/2014).
Questo il tema al centro dei due workshop organizzati il 16 gennaio a Boca (NO) e il 17 presso il Castello di Rovasenda (VC). Un’occasione per presentare le migliori pratiche ad oggi adottate in vigneti e risaie, per riflettere sulle strategie e migliorare la resistenza dei cultivar alle fitopatologie. Così come sulla gestione delle “infestanti” e la rigenerazione di un suolo che oggi soggetto a fertilizzazione non sempre adeguata e a ripetute lavorazioni e passaggi di mezzi agricoli.
I temi del workshop
E’ emerso nei due incontri quanto sia necessario mantenere la presenza della componente erbacea sia ai margini e all’interno dei coltivi e di fasce inerbite con specie autoctone e appetite agli impollinatori, nonché la disponibilità di habitat e la diversificazione colturale sia all’interno dell’azienda che a livello territoriale, soprattutto nei contesti di monocoltura intensiva.
Con buone pratiche, a partire dalla riscoperta di quelle che hanno storicamente accompagnato il ciclo naturale del riso e della vite,  fino alle sperimentazioni di tecniche innovative al servizio della piena assicurazione della fertilità naturale, l’agricoltore ha in mano la custodia di un paesaggio di alto valore ereditato da generazioni precedenti e la chiave per aumentare la resilienza nei confronti delle minacce future, grazie anche ai servizi ecosistemici offerti dalla biodiversità, fra cui in primis quello dell’impollinazione.
Gli organizzatori
Questi i temi fondanti nei due workshop organizzati da ARPA Piemonte in collaborazione con ISPRA e Università̀ di Torino (DBIOS), nell’ambito del progetto coordinato da ISPRA dal titolo “Sperimentazione di misure previste dalle linee guida per l’attuazione del PAN per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari in Siti Natura 2000”, finanziato dal Ministero dell’Ambiente.
Il workshop sui vigneti a Boca (NO) è stato realizzato in collaborazione con il Consorzio Nebbiolo Alto Piemonte e il Parco Regionale piemontese Monte Fenera, dove viene custodita una delle ultime stazioni della rara vite selvatica (Vitis vinifera sylvestris), il cui patrimonio genetico potrebbe essere molto utile in futuro per salvaguardare dalle avversità le varietà coltivate.
Il workshop sulle risaie del 17 gennaio, presso il Castello di Rovasenda (VC), ha avuto il patrocinio del Comune di Rovasenda, territorio che si distingue per la presenza della Riserva naturale delle Baragge e del Sito Natura 2000 “Isoetes maliverniana”, che custodisce nei canali irrigui delle sue risaie, le ultime stazioni in cui è presente questa felce acquatica endemica.
Entrambi gli appuntamenti sono stati molto partecipati e hanno destato un notevole interesse tra tecnici, coltivatori, fra cui quelli che hanno partecipato al progetto di sperimentazione delle misure del PAN,  e amministratori locali.
Disponibili sul sito dell’Ispra alcune delle presentazioni dei due convegni
Susanna D’Antoni, Ispra
fonte: https://www.snpambiente.it

Presentato il primo rapporto “Cambia la Terra”

Predisposto in collaborazione da FederBio, Legambiente, WWF, Lipu e Isde












Il Rapporto “Cambia la Terra. Così l’agricoltura convenzionale inquina l’economia (oltre che il Pianeta)” è il frutto di un progetto di informazione e sensibilizzazione voluto da FederBio con Isde- Medici per l’ambiente, Legambiente, Lipu e WWF, con un comitato di garanti composto da alcune personalità del mondo dell’associazionismo e della ricerca.
Secondo il rapporto, la maggior parte delle risorse destinate all’agricoltura viene ancora usata per finanziare il modello agricolo basato sull’uso di concimi e pesticidi di sintesi chimica.
Secondo i dati ISTAT riportati nel rapporto, nel 2016 in Italia sono stati venduti 125 milioni di chili di prodotti fitosanitari; per acquistarli è stato speso quasi un miliardo di euro (per la precisione 950.812.000 euro). Ancora di più per i fertilizzanti: 1.572.341.000 euro. Cifre decisamente in crescita: nel 2006 la somma impiegata per l’acquisto di pesticidi ammontava a 693.577.000 euro, quella per i fertilizzanti a circa un miliardo di euro.
In percentuale le risorse dedicate all’agricoltura biologica, seppure in crescita rispetto al passato, sono inferiori alla media che spetterebbe al settore in base alla Superficie Agricola Utilizzata (SAU) biologica.
Per i dati elaborati dall’Ufficio studi della Camera dei deputati, su 41,5 miliardi di euro destinati all’Italia, all’agricoltura biologica vanno appena 963 milioni di euro. In altri termini, il bio – che rappresenta il 14,5% della superficie agricola utilizzabile – riceve il 2,3% delle risorse europee: anche solo in termini puramente aritmetici, senza calcolare il contributo del biologico alla difesa dell’ambiente e della salute, circa sei volte meno di quanto gli spetterebbe.
Se ai dati dei fondi europei si aggiunge il cofinanziamento nazionale per l’agricoltura, pari a circa 21 miliardi, il risultato rimane praticamente invariato: su un totale di fondi europei e italiani di circa 62,5 miliardi, la parte che va al biologico è di 1,8 miliardi, il 2,9% delle risorse.
“In altre parole – come ha detto Maria Grazia Mammuccini di FederBio - gli italiani e gli europei in generale pagano per sostenere pratiche agricole che alla fine si ritorcono contro l’ambiente e contro la loro salute, a partire da quella degli agricoltori stessi. Inoltre, non è il modello agricolo ad alto impatto ambientale a farsi carico della tutela degli ecosistemi con cui interagisce, ma sono gli operatori del biologico a sopportare i costi prodotti dall’inquinamento causato dalla chimica di sintesi: il costo della certificazione;  il costo della maggiore quantità di lavoro necessaria a produrre in maniera efficace e a proteggere il raccolto dai parassiti, senza ricorso a concimi di sintesi e diserbanti; il costo della fascia di rispetto tra campi convenzionali e campi biologici”.
fonte: http://www.arpat.toscana.it

Bayer e Monsanto: via libera al colosso dell'agrochimica dagli Usa di Trump


















Matrimonio Bayer-Monsanto, arriva il via libera anche degli Stati Uniti. L'approvazione da parte dell'antitrust statunitense permetterà dunque l'acquisizione da parte di Monsanto per una cifra pari a 66 miliardi di dollari, dando vita al più grande produttore al mondo di sementi e prodotti chimici agricoli.
Bayer ha ora ottenuto quasi tutte le autorizzazioni necessarie a chiudere la transazione. La fusione sembra dunque più vicina, mancano solo i pareri degli antitrust di Messico e Canada ormai dati per certi. Entro il 14 giugno le nozze dovrebbero essere celebrate, visto che fino a quella data Monsanto avrebbe teoricamente il diritto di fare un passo indietro e trovare un acquirente disposto a pagare di più di Bayer.
L'ostacolo Usa è stato superato. Il colosso tedesco dell'agrochimica ha ottenuto l'approvazione del Dipartimento alla giustizia di Washington dopo quasi 2 anni di revisione. Ma, per eliminare gli ostacoli normativi, Bayer ha accettato di vendere circa 9 miliardi di dollari di attività e beni agricoli al colosso chimico BASF, cosa che avverrà tra circa due mesi.
Le attività comprendono le aziende di sementi di canola, soia e semi di ortaggi di Bayer, così come il commercio di erbicidi Liberty, tutti prodotti che attualmente competono con quelli di Monsanto.
Il pacchetto è il più grande del suo genere negli Stati Uniti e può quindi dare un'idea degli enormi interessi economici alla base della fusione tra Bayer e Monsanto.
Una volta concluso l'accordo, tre colossi mondiali domineranno l'industria agricola mondiale, una prospettiva che non può non destare preoccupazione. Le due aziende potrebbero commercializzare circa un quarto dei fitofarmaci venduti a livello mondiale. Inoltre potrebbero avere un ruolo di primo piano nel settore statunitense dei semi di soia e di cereali. Per non parlare della diffusione di OGM, del maggiore impiego di pesticidi ed erbicidi, non ultimo il glifosato.
“La ricezione dell'approvazione del DOJ ci avvicina al nostro obiettivo di creare un'azienda leader nel settore agricolo”, sono le parole del CEO di Bayer Werner Baumann. “Vogliamo aiutare gli agricoltori di tutto il mondo a coltivare alimenti più nutrienti in modo più sostenibile”.
Anche l'Europa ha dato il proprio via libera alla fusione. Possiamo solo incrociare le dita e sperare che le conseguenze siano meno gravi rispetto a quanto ipotizzato.
fonte: https://www.greenme.it

Bio-Distretto della Via Amerina e delle Forre: Che cos’è un Bio-Distretto

















Che cos’è un Bio-Distretto

È un’area geografica naturalmente vocata al biologico dove agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni stringono un accordo per la gestione sostenibile delle risorse, partendo proprio dal modello biologico di produzione e consumo (filiera corta, gruppi di acquisto, mense pubbliche bio). Nel Bio-Distretto la promozione dei prodotti biologici si coniuga indissolubilmente con la promozione del territorio e delle sue peculiarità al fine di raggiungere un pieno sviluppo delle proprie potenzialità economiche, sociali e culturali con la partecipazione diretta dei cittadini.
I comuni del biodistretto sono impegnati a realizzare obiettivi e strategie nel campo del ciclo dei rifiuti, dell’uso dei fitofarmaci, del risanamento delle cave, delle risorse energetiche e della manifattura in coerenza con uno sviluppo sostenibile del territorio. Infatti tra le priorità del Bio-Distretto oltre allo sviluppo agricolo acquista rilevante importanza l’implementare politiche a livello locale che sappiamo potenziare progetti e attività volte ad un riutilizzo dei rifiuti, alla creazione di energie alternative, alla riconversione delle attività industriali coerentemente con un’azione di protezione e riqualificazione del territorio.

Gli impegni ed i vantaggi

Con la nascita di un Bio-Distretto sono messe in rete le risorse naturali, culturali e produttive di un territorio con l’obiettivo di valorizzare quelle politiche locali che sono orientate alla salvaguardia dell’ambiente, alla valorizzazione delle tradizioni e dei saperi locali e a uno sviluppo che abbia al centro la salute dei cittadini e la coesione socialeLa spinta propulsiva alla costituzione di un Bio-Distretto proviene in primo luogo dagli agricoltori biologici che ricercano mercati locali in grado di apprezzare le loro produzioni, dai cittadini, sempre più interessati alla qualità dei prodotti agricoli e un’ambiente non inquinato, e da tutti quegli operatori economici che possono trarre opportunità e vantaggi da una valorizzazione delle risorse naturali, storiche e culturali del territorio.
Altri, ancora, i sono i soggetti e le organizzazioni che partecipano alla costruzione e alla gestione di un Bio-Distretto, a partire dalle pubbliche amministrazioni e dalle scuole che, con le loro attività e le loro scelte sempre più “verdi”, possono orientare le abitudini dei consumatori e dei mercati locali. Così come gli operatori turistici che a loro volta, attraverso gli eco-itinerari ed il turismo rurale, possono puntare alla riqualificazione ed alla destagionalizzazione dell’offerta turistica.

Perché il Bio-Distretto della Via Amerina e delle Forre

I comuni dell’area che interessa il Bio-Distretto costituiscono un territorio rurale in cui l’agricoltura biologica rappresenta una scelta strategica condotta già da molti produttori locali in modo consapevole. L’agricoltura biologica è un metodo di coltivazione e di allevamento che permette di sviluppare un modello di produzione che eviti lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, in particolare del suolo, dell’acqua e dell’aria, utilizzando invece tali risorse all’interno di un modello di sviluppo che possa durare nel tempo.Nell’area del Bio-Distretto della Via Amerina e delle Forre si contano, ad oggi, diverse centinaia di produttori agricoli impegnati nelle filiere ortofrutticole, vinicole, zootecniche e di trasformazione di altri prodotti di eccellenza. La loro offerta si rivolge al mercato interno, tuttavia per alcune produzioni, come olio d’oliva e vino, i mercati più accessibili sono quelli esteri.
Il patrimonio dei Comuni dell’area si caratterizza anche per l’esistenza di beni ambientali e paesaggistici. Nella sola area di Corchiano, ad esempio, sussistono il Monumento Naturale delle Forre, che si estende su 44 ettari, e il Monumento Naturale Pian Sant’Angelo, che si sviluppa su 262 ettari. A Calcata invece, per citare solo un secondo e ultimo esempio, è di straordinaria importanza e unicità il Parco Regionale della Valle del Trejia. L’area della Via Amerina e delle Forre si connota poi fortemente per le scelte responsabili di gestione delle risorse idriche e nelle gestione integrata dei rifiuti.Il progetto Bio-Distretto si inserisce perfettamente nell’esperienza del “Comprensorio della VIA AMERINA e delle FORRE” nella quale erano già protagonisti diversi comuni della zona (Civita Castellana, Castel Sant’Elia, Corchiano, Fabrica di Roma, Faleria, Gallese, Nepi, Orte, Vasanello, Calcata, Vignanello, Vallerano e Canepina). L’idea del Bio-Distretto è inclusiva nei confronti di altri comuni dell’area che decidessero di aderire al progetto, da qui l’importanza dell’adesione nel 2017 di tre comuni dei monti Cimini : Canepina, Vallerano e Vignanello.



fonte: http://biodistrettoamerina.com

La primavera Trentina delle mele avvelenate

La primavera Trentina delle mele avvelenate
Il Trentino è la terra dei sogni, delle alte montagne e dei grandi laghi, una regione ricca di storia, di tradizioni e di paesaggi mozzafiato. 
Il Trentino dovrebbe essere una favola, infatti ricorda molto bene quella di Biancaneve: dove delle aziende in cerca della mela perfetta, preferiscono avvelenare territorio, animali e cittadini con un consumo spropositato di pesticidi, protetti spesso dallo specchio magico delle autorità che non intervengono per proteggere gli interessi più grandi del reame.
Dalla favola alla realtà: la regione autonoma risulta essere una delle regioni Italiane che utilizza più fitofarmaci in assoluto: (qui il rapporto Ispra)  in un Paese, l’Italia, che risulta essere a sua volta uno dei più grandi consumatori di fitofarmaci a livello Europeo (Fonte WWF e Ispra).
Infine non si può non tenere in considerazione, il rapporto Ispra 2016, pubblicato da pochi giorni, il quale ha segnalato un aumento dei pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee in tutta Italia.
Certamente, la questione più dibattuta del momento è quella riguardante i reali rischi a lungo termine di questi prodotti. Di recente, medici, esperti, cittadini e contadini si sono riuniti in Val di Non, dove il consumo di fitofarmaci è consistente da ormai molti anni, per via delle ben note coltivazioni di mele. Il dibattito tenutosi in marzo ha portato ad interessanti discussioni riguardo temi forti e dati piuttosto allarmanti, come riportano questi passaggi dell’articolo di un giornale locale: «Il dibattito sui pesticidi c’è ed è pure molto acceso».
Nell’affollatissima sala dell’Istituto comprensivo di Cles, si è svolto il convegno «Ambiente è salute: esposizione cronica a pesticidi e Dna umano», presentazione della prima ricerca scientifica su alcuni residenti della Val di Non ed organizzata dal Comitato per il diritto alla salute. In quel frangente Il dottor Marco Tomasetti dell’università politecnica delle Marche ha spiegato l’azione dei pesticidi sul Dna umano: «anzitutto essi - ha spiegato - creano una rottura del genoma, poi inibiscono la naturale funzione ricostruttiva e, proprio per questo, obbligano la cellula a riprodursi in maniera errata. Questo non significa certo malattia istantanea, ma è comunque una premessa a tumori o malattie neurodegenerative.»  
Evidentemente qualche rischio c’è, o per lo meno c’è qualcosa di cui parlare, qualcosa della quale assicurarsi: i pesticidi a quale distanza da persone, case, scuole e strade dovrebbero essere irrorati per non causare danni in modo assoluto? Certo le fonti di inquinamento chimico sono molte, ma il tema in questione non vuole essere una lotta diretta verso una categoria, ma piuttosto una tutela verso tutti, anche chi si trova ad utilizzare questi prodotti per lavoro.
Dal punto di vista dei cittadini qualche legge a riguardo già esiste, con un regolamento che stabilisce le distanze minime da abitazioni, scuole, strade, etc.. e degli orari consentiti per l’irrorazione di sostanze pericolose.
Non sempre però queste leggi vengono rispettate ed i cittadini Trentini lo sanno bene. Come tutelarsi allora? I vigili urbani ad esempio sono attivi solo dopo le sette del mattino, mentre le irrorazioni molto spesso avvengono molto prima, alle prime luci dell’alba. Ci si può allora rivolgere ai carabinieri, ma anche questi ultimi nella fascia oraria che precede le sette del mattino hanno poco personale attivo e spesso questo è impegnato in quelle che sono considerate operazioni di maggiore rilevanza.
Quindi in definitiva, un cittadino che osserva un trattore irrorare pesticidi tossici alle sei del mattino a cinque metri da casa sua, sarà lasciato solo: difficilmente le autorità arriveranno in tempo per cogliere sul fatto l’irroratore e multarlo.
Sappiamo che da circa tre anni molte persone stanno vivendo in prima persona questo processo, fatto di denunce, filmati, discussioni e promesse. Nulla è ancora cambiato: a Trento Nord, in un piccolo campo di appena trenta metri per trenta, circondato dalle case, si irrora almeno una volta in settimana prima delle sei del mattino e le denunce si costruiscono sulla base di foto e filmati di pochissimi cittadini virtuosi che si espongono per vedere un loro diritto rispettato.
I vigili dicono che i cittadini hanno ragione, i carabinieri dicono che la legge da ragione a chi subisce questo trattamento iniquo che mette a rischio la salute. Eppure sono tre anni che alcune famiglie denunciamo questa situazione senza ottenere nulla. A cosa serve quindi avere una legge quando non è possibile farla rispettare?
Questi piccoli campi (nella foto uno di questi) vengono irrorati in due minuti e trenta secondi, peccato che il tempo che serve per alzare il telefono, spiegare la situazione alle autorità e aspettare che arrivino, sia molto più lungo. L’ingranaggio è bloccato, non si va avanti, non si torna indietro e nel frattempo i cittadini rischiano la salute mentre si sentono abbandonati dalle autorità e dalla regione che dovrebbe proteggerli.
Se pensate che questo sia un problema solo Trentino, vi sbagliate di grosso. Purtroppo seppur in misura minore in tutta Italia si usano pesticidi in modo intollerabile e la legge nazionale è ancora più confusa di quella regionale. Il gruppo No Pesticidi di Facebook, vanta 12.000 iscritti in 8 mesi ed ha alle spalle una petizione firmata da 11.000 persone per tutelare da pesticidi e diserbanti, chi vive in campagna.
Sul gruppo troverete una bacheca talmente fitta di testimonianze da far rabbrividire, ma vi sono anche tantissime splendide alternative naturali per garantire risultati soddisfacenti, senza distruggere la biodiversità. Troverete un dialogo acceso tra agricoltori che provano nuove tecniche, sperimentano e rischiano per salvaguardare l’ambiente e le persone che fanno parte del nostro ecosistema, ormai sin troppo fragile.
Il discorso è vecchio come il mondo, la colpa è del sistema, del consumatore che vuole belle mele, delle multinazionali dei pesticidi e del mercato che danneggia gli agricoltori. Vero, ma non possiamo dimenticare che questi fitofarmaci alla lunga danneggiano il terreno, entrano nelle falde acquifere, uccidono le api e danno origine ad un ciclo poco sostenibile.
Una regione così bella, così innovativa e così ricca come il Trentino dovrebbe essere un esempio di sostenibilità, dovrebbe tutelare agricoltori e cittadini, promuovendo l’agricoltura vera, quella di una volta, quella senza veleni. Non sarebbe bello essere il polmone verde del nostro Paese?
A Malles, in Alto Adige, cittadini e contadini sono arrivati ad un accordo soddisfacente. Il dialogo è una soluzione, il dialogo è democrazia e tutela. Proviamoci anche noi, facciamo le leggi e facciamole rispettare. Dopotutto, voi accettereste la mela avvelenata?

fonte: http://www.lavocedeltrentino.it